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Trump: “Vicini come non mai alla fine della guerra tra Russia e Ucraina”
“Siamo più vicini che mai” alla fine della guerra in Ucraina. Lo ha detto il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, nello Studio Ovale alla Casa Bianca, dopo il nuovo round di trattative e dopo aver parlato con il suo omologo ucraino Volodymyr Zelensky e con una serie di leader europei. “Stiamo ricevendo un enorme sostegno dai leader europei. Vogliono che finisca”, ha detto Trump sottolineando che gli Usa hanno avuto numerose conversazioni con il presidente russo Vladimir Putin. “Dobbiamo mettere tutti sulla stessa pagina”, ha aggiunto il presidente americano ribadendo di voler mettere fine alle morti causate dalla guerra. L'articolo Trump: “Vicini come non mai alla fine della guerra tra Russia e Ucraina” proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Far entrare l’Ucraina nell’Ue segnerà l’inizio della nostra guerra con la Russia
di Francesco Valendino C’è qualcosa di davvero commovente nell’ottimismo dei nostri eurocrati. Mentre l’economia tedesca affonda, la Francia è politicamente paralizzata e i governi europei cadono come birilli, a Bruxelles hanno trovato la soluzione a tutto: imbarcare l’Ucraina nell’Unione Europea entro il 1° gennaio 2027. Non un giorno di più. La notizia, spifferata dal Financial Times, svela l’ultima genialata partorita sull’asse Kiev-Bruxelles per ingraziarsi il nuovo padrone, Donald Trump. Il piano è semplice e, come tutte le cose semplici pensate dai complessi burocrati europei, demenziale: offriamo a The Donald una via d’uscita. Lui non deve spendere più un dollaro per Zelensky, e in cambio noi ci accolliamo la ricostruzione, i debiti e la difesa di un Paese in guerra, facendolo entrare nell’Ue a tempo di record. Siamo di fronte al capolavoro dell’ipocrisia. Per decenni, la solenne Commissione Europea ci ha fatto una testa così con il “merito”. La Turchia aspetta dal secolo scorso, i Balcani occidentali sono in sala d’attesa da vent’anni, costretti a misurare la curvatura delle banane e a riformare i codici civili fino all’ultima virgola per aprire mezzo capitolo negoziale. Per l’Ucraina, invece, vale il telepass. Dei 36 capitoli negoziali necessari – che richiedono riforme strutturali ciclopiche in un Paese che, prima dell’invasione russa, Transparency International classificava come il più corrotto d’Europa dopo la Russia – Kiev non ne ha chiuso nemmeno uno. Ma che importa? Quando la geopolitica chiama, lo Stato di diritto risponde: “Obbedisco”. La parte più esilarante, però, è il metodo. Per far passare questa follia serve l’unanimità, e c’è quel guastafeste di Viktor Orban che continua a dire niet. E qui i nostri atlantisti “de sinistra”, quelli che dipingono Trump come il nuovo Hitler, a chi si affidano? A Trump stesso. Il piano prevede che sia il tycoon americano a torcere il braccio all’amico Orban per costringerlo a dire sì. Siamo al cortocircuito: l’Europa “dei valori” prega il mostro arancione di usare metodi da gangster per violare le proprie regole interne. Ma c’è un dettaglio che i nostri strateghi da aperitivo fingono di ignorare. L’articolo 42.7 del Trattato dell’Unione Europea. È la clausola di mutua difesa, che è persino più vincolante dell’articolo 5 della Nato: obbliga gli Stati membri a prestare aiuto “con tutti i mezzi in loro potere” a chi viene aggredito. Traduzione per i non addetti ai lavori: se l’Ucraina entra nell’Ue mentre è in guerra o in una tregua armata, e Putin spara un petardo oltre il confine, l’Italia, la Francia e la Germania sono giuridicamente in guerra con la Russia. Ecco il vero “piano di pace”: trasformare un conflitto locale in una guerra continentale automatica. E tutto questo viene venduto come un compromesso. Mosca, ci dicono, dovrebbe accettare di buon grado. Peccato che al Cremlino sappiano leggere i trattati meglio di Von der Leyen. Offrire alla Russia un’Ucraina nell’Ue ma fuori dalla Nato è come offrire a un diabetico una torta alla panna dicendogli che è senza zucchero perché sopra non c’è la ciliegina. La perseveranza è una virtù, ma l’idiozia è un vizio. E a Bruxelles sembrano averne fatto una dottrina politica. IL BLOG SOSTENITORE OSPITA I POST SCRITTI DAI LETTORI CHE HANNO DECISO DI CONTRIBUIRE ALLA CRESCITA DE ILFATTOQUOTIDIANO.IT, SOTTOSCRIVENDO L’OFFERTA SOSTENITORE E DIVENTANDO COSÌ PARTE ATTIVA DELLA NOSTRA COMMUNITY. TRA I POST INVIATI, PETER GOMEZ E LA REDAZIONE SELEZIONERANNO E PUBBLICHERANNO QUELLI PIÙ INTERESSANTI. QUESTO BLOG NASCE DA UN’IDEA DEI LETTORI, CONTINUATE A RENDERLO IL VOSTRO SPAZIO. DIVENTARE SOSTENITORE SIGNIFICA ANCHE METTERCI LA FACCIA, LA FIRMA O L’IMPEGNO: ADERISCI ALLE NOSTRE CAMPAGNE, PENSATE PERCHÉ TU ABBIA UN RUOLO ATTIVO! SE VUOI PARTECIPARE, AL PREZZO DI “UN CAPPUCCINO ALLA SETTIMANA” POTRAI ANCHE SEGUIRE IN DIRETTA STREAMING LA RIUNIONE DI REDAZIONE DEL GIOVEDÌ – MANDANDOCI IN TEMPO REALE SUGGERIMENTI, NOTIZIE E IDEE – E ACCEDERE AL FORUM RISERVATO DOVE DISCUTERE E INTERAGIRE CON LA REDAZIONE. SCOPRI TUTTI I VANTAGGI! L'articolo Far entrare l’Ucraina nell’Ue segnerà l’inizio della nostra guerra con la Russia proviene da Il Fatto Quotidiano.
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L’uscita su Trump e l’approccio multilaterale: il governo Meloni davanti alla “dottrina Mattarella” sulla politica estera
Al di là del rito, delle forme, dei rispettivi ruoli, davanti al corpo diplomatico italiano, riunito nell’annuale Conferenza delle ambasciatrici e degli ambasciatori – in programma oggi e domani tra Roma e Milano – a sentire i discorsi del ministro degli Esteri e del presidente della Repubblica si colgono due linee di politica internazionale espressa dai vertici istituzionali. C’è una “dottrina Mattarella” e una posizione, espressa da Antonio Tajani che sembra più barcamenarsi che esporre una visione politica. Il ministro degli Esteri mette l’accento, come da direttive della presidente del Consiglio, sui rapporti atlantici e sul valore “occidentale” delle alleanze per cercare di tenere unite le due sponde dell’Atlantico che, invece, su spinta di Donald Trump, tendono a divaricarsi sempre più. E, però, da questo punto di vista si pone in forma molto dialettica con il processo di pace in corso, disponendosi ad accettare compromessi e mediazioni. Dall’altra, la “dottrina Mattarella”, ribadisce saldamente l’approccio “multilaterale”, si dice insofferente per quella “disordinata e ingiustificata aggressione nei confronti dell’Unione Europea” rigettando l’idea che la Ue possa essere, come nella narrazione Maga in voga a Washington, “una organizzazione oppressiva, se non addirittura nemica della libertà”. Ma su questa impostazione, tutto sommato limpida, chiude qualsiasi strada al rapporto con la Russia la cui aggressione ai danni dell’Ucraina, “con vittime e immani distruzioni, e con l’aberrante intendimento, malgrado gli sforzi negoziali in atto, di infrangere il principio del rifiuto di ridefinire con la forza gli equilibri e i confini in Europa” non è accettabile in nessun modo. Per respingerla, anzi, Mattarella chiama in causa la Conferenza di Helsinki sulla Cooperazione e la Sicurezza nel continente, evento che, invece, è stato chiamato in causa da rinomati giuristi e costituzionalisti come sponda proprio per impostare invece un possibile dialogo. Si potrebbe discutere ovviamente di quanto una diversa politica estera sia prerogativa del Quirinale che abilmente e con un tono sempre cordiale e molto sereno la spiattella davanti al governo – nella Conferenza in corso alla Farnesina, sono diversi gli ambasciatori che commentano la capacità di Mattarella di dire cose “contundenti” con la soavità che lo caratterizza. La divergenza è tanto più rilevante proprio perché esibita davanti al fulcro dell’attività diplomatica italiana, quelle 130 feluche che devono rappresentare una posizione chiara davanti ai governi di tutto il mondo. Si tratta, ovviamente, di sfumature e sottigliezze che, però, nella diplomazia internazionale costituiscono la sostanza. Mentre Tajani, con un discorso in realtà molto amministrativo e di basso profilo, invia il messaggio di derivazione berlusconiana che più gli sta a cuore – la diplomazia a sostegno delle imprese italiane, “voglio darmi l’obiettivo di raggiungere 700 miliardi di export entro il 2027” – e esalta la riforma della Farnesina con la nuova vice-segreteria generale incaricata di supervisionare proprio l’economia, è Mattarella a esporre una visione politica. Il presidente passa in rassegna, oltre l’Ucraina, “la tragedia di Gaza”, il dramma nel “Sahel e nel Corno d’Africa”, le “tensioni” che “si vanno accentuando anche in America Latina e nei Caraibi, da ultimo con il riaffacciarsi di una sorta di riedizione della cosiddetta “dottrina” di James Monroe, la cui presidenza si è conclusa esattamente due secoli fa”. Il quadro di Mattarella serve a dare risalto al centro della sua visione, il rilievo che compete “alle istituzioni del multilateralismo e all’Unione Europea” contro la “tentazione della frammentazione” che si insinua nelle relazioni internazionali – e persino nel mondo occidentale – “con la ripresa di un metodo di ostilità che misura i rapporti internazionali su uno schema a somma zero: se qualcuno ci guadagna significa che qualcun altro ci perde”. Mattarella ha il merito di mettere in risalto il tema della cooperazione internazionale, della difesa del diritto, importante il suo attacco alla “pretesa di imporre punizioni contro giudici delle Corti internazionali per le loro funzioni di istruire denunce contro crimini di guerra”. Le Nazioni Unite, quindi, la legalità e un approccio che vuole la “‘ricerca della pace nella sicurezza’- come ammoniva un illustre inquilino di questo palazzo, Aldo Moro”. Proprio questo tipo di citazioni fa capire che la sua “dottrina” si colloca su un pacchetto di storia e cultura politica che innerva una politica internazionale ben precisa e che affonda nelle direttive costituzionali “del valore del dialogo internazionale come via privilegiata per affermare il suo ruolo nel mondo” e nella “Costituzione materiale che ha guidato, senza discontinuità, il nostro Paese nello scenario internazionale, basandosi su pace, dialogo, multilateralismo, europeismo, legame atlantico”. “Quegli orientamenti continuano a rappresentare, ancora oggi, un patrimonio prezioso che ci può guidare nelle nuove forme con cui si presentano i conflitti” è la linea offerta dal presidente della Repubblica direttamente agli ambasciatori. In ossequio alle “poli-crisi” internazionali, Mattarella propone loro una “poli-diplomazia”. Ma, come sottolineato, proprio questa presentazione al corpo diplomatico rende plastica la differenza tra Quirinale e governo mettendo in evidenza una dualità di posizioni istituzionali che, nelle strettoie della attualità, pongono approcci diversi alla questione ucraina. A riprova che non si tratta solo di linee politico-culturali, ma di scelte cogenti. In cui a soffrire di più è il governo. La sua posizione filo-trumpiana rende complesso il reiterato appoggio all’Ucraina senza accedere alle possibilità di mediazione e compromesso che si stanno presentando. La “dottrina Mattarella” è più limpida e anche più secca: quelle mediazioni non vanno accettate. L'articolo L’uscita su Trump e l’approccio multilaterale: il governo Meloni davanti alla “dottrina Mattarella” sulla politica estera proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Quando il dissenso infastidisce il Cremlino: il collettivo Pussy Riot dichiarato “organizzazione estremista”
“Mamma, sono stato fatto prigioniero. Non guardare la TV mamma, qui non ci sono nazisti. Mamma, perché è la guerra chiamata ‘operazione speciale’?”. Questo è il ritornello del brano Mama, Don’t Watch TV della band Pussy Riot. Lo scorso settembre, le componenti del gruppo sono state condannate in contumacia per aver diffuso “false informazioni” sull’esercito russo. I magistrati, per corroborare le loro motivazioni, hanno citato sia il brano in questione, che la protesta avvenuta nel 2024 al museo Pinakothek der Moderne di Monaco, durante la quale le Pussy Riot hanno scandito slogan contro la guerra e hanno definito il presidente Vladimir Putin un “criminale di guerra”, mentre un membro della band ha urinato sul ritratto del leader del Cremlino. Ma non è bastato. Da qualche ora, Pussy Riot per le autorità russe è una sigla inserita nell’elenco delle “organizzazioni estremiste” che hanno il divieto di svolgere attività in Russia. A stabilirlo è stato il tribunale distrettuale di Tverskoy (Mosca) che ha accolto la richiesta del viceprocuratore generale della Federazione Russa. Da questo momento, chiunque sia associato alle azioni di Pussy Riot potrà essere perseguito penalmente. Lapidario il commento delle protagoniste: “Questi idioti ci lavorano da anni, almeno dal 2012”. Le componenti della band, del resto, hanno già sul groppone condanne non indifferenti. Maria Alyokhina e Nadia Tolokonnikova sono state arrestate e incarcerate nel 2012 per aver eseguito una “preghiera punk” nella Cattedrale di Cristo Salvatore, a Mosca: un gesto che è costato a entrambe 13 anni di galera. Olga Borisova, Alina Petrova e Diana Burkot hanno ricevuto pene di otto anni ciascuna, Taso Pletner è stato condannato a 11 anni. Il gruppo dissidente è stato fondato nel 2011 nella capitale russa e ha subito attirato l’attenzione delle autorità per le performance anti governative e contro la censura. Nel 2012 è proprio l’iniziativa messa in atto nella Cattedrale di Cristo Salvatore – che prende di mira sia Putin che la Chiesa Ortodossa – a farle conoscere a livello internazionale. Gli attivisti del collettivo non si mostrano sorpresi dalla decisione del tribunale. Alexander Sofeev, ascoltato dal Moscow Times, ha dichiarato: “I terroristi ci hanno etichettati come estremisti. Non posso dire di essere particolarmente turbato da una decisione presa da persone del genere. Per me, queste sono istituzioni completamente illegittime che non rappresentano in alcun modo i miei interessi. Per quanto riguarda le nostre attività, fortunatamente tutti i partecipanti ora si trovano fuori dalla Russia, quindi non credo che ci saranno grandi cambiamenti”. Nel 2023, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato la Russia per le conseguenze di una operazione di polizia contro le Pussy Riot, avvenuta a Sochi nel 2014. La Corte ha stabilito che le azioni delle forze di sicurezza avevano violato sia il divieto di trattamenti inumani o degradanti, che il diritto alla libertà di espressione. La Corte ha riconosciuto a ciascuna delle cinque ricorrenti un risarcimento di 15.000 euro. Tornando alla decisione dei magistrati russi, le Pussy Riot evidentemente si aspettavano una mossa simile, tanto che già un mese fa Nadya Tolokonnikova, ora residente negli Stati Uniti, e ricercata da Mosca, il mese scorso aveva scritto su X: “Se dire la verità è estremismo, allora siamo felici di essere estremisti”. L'articolo Quando il dissenso infastidisce il Cremlino: il collettivo Pussy Riot dichiarato “organizzazione estremista” proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Per fortuna c’è ancora il voto all’unanimità in Ue: su questo Meloni e Orban hanno ragione
Personalmente, per quel che vale, sono contro i due tiranni, contro il russo Vladimir Putin e contro l’americano Donald Trump. Però non posso fare a meno di pensare che Putin non potesse restare fermo mentre la Nato – che non è un’organizzazione di beneficenza ma un’organizzazione armata offensiva antirussa che ha già fatto guerre illegali, sanguinose e disastrose in Serbia, Afghanistan, Iraq, Libia, Siria – cercava di mettere le sue basi militari anche in Ucraina, dove la Russia è nata. E non riesco neppure a dare torto a Trump che ha affermato nella recente intervista a Politico che molti leader europei sono stupidi. Ha ragione: è incredibile quanto i Volenterosi europei siano stupidi. Tanto stupidi quanto impotenti e masochisti. Meno male che l’Unione Europea è un condominio di 27 paesi che non riescono a mettersi d’accordo neppure sull’abolizione (indispensabile!) dell’ora solare. Altrimenti la Ue ci trascinerebbe in guerra con Mosca. E meno male che sulle questioni veramente importanti – difesa, sicurezza, guerra e pace, fiscalità, eccetera – nella Ue si decide solo all’unanimità e non a maggioranza. Così ogni democrazia europea può prendere le sue decisioni in autonomia. La questione sorprendente – ma soprattutto tragica – è che gli stupidi leader europei vogliono spingere Kiev a continuare una guerra che sta già perdendo, che loro stessi non sono in grado di combattere e nemmeno di finanziare, e che senza l’aiuto americano – che Trump vuole cessare subito – è già completamente persa. E’ un po’ come se io pretendessi che il mio amico, peso piuma, continuasse a finire fino alla morte un combattimento che sta perdendo con Mike Tyson: sarei un perfetto idiota o un cinico profittatore! La politica europea è tragica per gli ucraini che, più combattono questa guerra, più perdono terreno e uomini, ma è disastrosa anche per gli europei. L’astuto Trump, pur essendo a capo di un esercito ultrapotente, ha capito che non conviene continuare a combattere inutilmente con la Russia fino a rischiare una guerra atomica, e corre verso un accordo diretto con Putin, alle spalle degli ucraini e di Volodymyr Zelensky, l’uomo politico che ha distrutto l’Ucraina sfidando i russi pur di aderire a una Nato che comunque non lo ha mai voluto. Trump ha riconosciuto che la Nato di Joe Biden ha provocato la guerra in Ucraina minacciando di mettere le basi militari Nato al confine con la Russia e spingendo l’Ucraina a abbandonare la sua neutralità. Il presidente americano piuttosto che rischiare una guerra atomica preferisce avviare rapporti pacifici con Mosca. Al contrario gli europei, che avrebbero tutto l’interesse a riprendere le forniture russe di gas e di petrolio da Mosca, che non hanno neppure un esercito, e che quindi non possono pretendere nulla, puntano a una guerra perpetua con la Russia e a trasformare l’Ucraina in un “porcospino di acciaio”. Vogliono partecipare alle trattative di pace pur volendo continuare la guerra. Dio prima rende dementi chi vuole poi mandare in rovina. Così l’Europa guidata dall’irresponsabile valchiria in miniatura Ursula von der Leyen si prepara alla guerra con la Russia, prima o seconda potenza atomica mondiale. Sul piano strategico è ormai chiaro che l’Europa è in una situazione di declino quasi irreversibile, che è isolata, impotente e arretrata, e che ha disperato bisogno di amici o almeno di soci: ma gli Usa e la Cina sono troppo potenti per allearsi con l’Europa, saranno sempre avversari strategici. L’unica grande potenza che, ovviamente per convenienza, in prospettiva potrebbe esserci amica, è proprio la Russia, contro cui però gli europei… si stanno armando! Per fortuna che questa Ue richiede ancora il voto all’unanimità e che l’Italia può staccarsi dalla follia bellicista della Ue! Circa l’80% di tutta la legislazione Ue è adottato con voto a maggioranza qualificata. Su questioni di natura politica e di importanza strategica, come la difesa e la guerra, il Consiglio Ue deve però votare all’unanimità. Il voto all’unanimità è oggetto di critica da parte degli europeisti, come il francese Macron, Mario Draghi, Ursula e lo stesso presidente italiano Sergio Mattarella, e in generale da parte delle formazioni europeiste di sinistra e di centrosinistra (come in Italia il Pd). Al contrario i sovranisti, come Giorgia Meloni e Viktor Orban, vogliono mantenere l’unanimità. Questo è uno dei pochi casi in cui i cosiddetti sovranisti hanno completamente ragione. Infatti sulle questioni fondamentali, come la guerra o la pace, ogni popolo deve potere decidere democraticamente grazie alle sue istituzioni rappresentative. Dare tutto il potere a Bruxelles sarebbe terribile e antidemocratico! Perfino la Nato prende le sue decisioni all’unanimità! L'articolo Per fortuna c’è ancora il voto all’unanimità in Ue: su questo Meloni e Orban hanno ragione proviene da Il Fatto Quotidiano.
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L’Europa vassalla degli Usa ora non sa cosa fare: la tragedia non è il disprezzo di Trump, ma l’incapacità d’azione
Il nuovo documento di Strategia di Sicurezza Nazionale di Donald Trump non è una semplice critica all’Europa. È la prova tangibile di una verità geopolitica fondamentale: quando si è vassalli di una superpotenza, in questo esempio gli Usa, quando cambia il vento a Washington deve cambiare tutto anche da noi. Ma questa volta, il cambiamento non è una semplice sterzata di politica estera. È un terremoto epocale, una trasformazione a 360 gradi che lascia l’Europa, abituata a ricevere ordini, nella posizione tragicomica di non sapere cosa fare quando l’ordine è: “Pensate con la vostra testa.” Il disorientamento europeo, oggi palese, è la diretta conseguenza di un fallimento strategico di proporzioni storiche. Come è stato notato, l’Europa, Italia in prima fila, “ha fallito puntando sulla scommessa militare della vittoria dell’Ucraina sulla Russia a colpi di invii di armi e di spese militari”. Abbiamo confuso la solidarietà con una strategia, trasformando il sostegno a Kiev in una gigantesca scommessa bellica senza via d’uscita, svuotando arsenali e bilanci senza un piano politico. In questo quadro, la dichiarazione di Giuseppe Conte – “lasciamo che a condurre il negoziato siano gli Stati Uniti” – assume un significato rivelatore. Non è solo un’ammissione di fallimento strategico europeo; è un atto di resa politica. Conte, nel constatare il disorientamento europeo, non propone un risveglio della sovranità continentale, ma si schiera di fatto dalla parte dell’America trumpiana. La sua posizione certifica che, per ampi settori della politica europea, l’unica alternativa al fallimento dell’atlantismo interventista di stampo Biden non è l’autonomia, ma un diverso tipo di vassallaggio: quello realista e isolazionista di Trump. È la logica del vassallo che, tradito dal proprio signore in una guerra, si affretta a giurare fedeltà al signore rivale, pur di non dover reggere da solo il peso della propria difesa. La diagnosi di Conte sul vicolo cieco europeo resta perfetta: “L’Europa è completamente disorientata, avevano solo una linea, la vittoria militare sulla Russia, hanno scommesso su questo e adesso non hanno nessuna alternativa.” È questo il cuore della crisi. Per tre anni, Bruxelles e le capitali europee hanno rinunciato a qualsiasi pensiero strategico autonomo, affidandosi alla narrazione semplicistica di una vittoria militare come unica opzione. Hanno dato carta bianca a una logica di escalation, senza mai porsi la domanda fondamentale: e se non vincessimo? Ora, con Trump alla Casa Bianca che smantella quella stessa strategia, l’Europa si ritrova come un pilota che ha bruciato tutto il carburante seguendo le indicazioni di una torre di controllo che ora gli dice: “Trovati un altro aeroporto, noi chiudiamo.” Il governo italiano, come molti suoi omologhi, è emblematico di questo cortocircuito: dopo aver puntato tutto su un cavallo, ora attende passivamente di vedere su quale podio salire, pur di non ammettere la sconfitta della propria visione. La reazione dell’establishment atlantista alle critiche è stata istruttiva. Invece di un esame di coscienza, abbiamo assistito a una recita difensiva che bolla come “inaccettabili e irresponsabili” le affermazioni che mettono in discussione la strategia militare, ribadendo il mantra che “non si tratta di una scommessa… ma di sostenere la resistenza”. Peccato che sia proprio questa distinzione semantica a essere crollata sotto il peso dei fatti. Sostenere la resistenza, senza un obiettivo politico chiaro e realistico, diventa una scommessa. Una scommessa costosissima, pagata con risorse sottratte alle vere emergenze nazionali: il crollo della produzione industriale, gli stipendi erosi, le tasse in aumento, le liste d’attesa sanitarie, l’insicurezza delle strade. La proposta di risposta – più integrazione europea, più difesa comune – suona come la richiesta di avere più dosi della stessa medicina che ci ha portato allo stallo attuale. È l’illusione che il problema sia la quantità di Europa, non la sua qualità strategica. Il vero “cortocircuito” è quello di chi vede la debolezza europea e propone come soluzione di cedere ancora più sovranità a un’entità che ha appena dimostrato un fallimento strategico monumentale. Le dichiarazioni di Trump e le reazioni scomposte rivelano uno spartiacque. Da una parte c’è chi riconosce l’impossibilità di una vittoria militare e invoca una posizione europea “più negoziale” e un’autonomia reale. Dall’altra, c’è chi rimane aggrappato al dogma interventista, anche di fronte all’evidenza del suo fallimento e al tradimento del proprio protettore d’oltreoceano. Trump ha lanciato una sfida letale all’Europa: indebolirla economicamente e umiliarla politicamente, mentre le intima di diventare autonoma. La trasformazione è a 360 gradi perché smaschera tutte le ipocrisie su cui si è retta l’alleanza atlantista post-1989: l’Europa non è un alleato alla pari, ma un vassallo; la sua sicurezza non è un interesse vitale americano, ma un costo da ridurre. L’Europa non sa come gestire questa trasformazione perché per decenni ha disimparato a pensare in termini di interessi nazionali e realpolitik. Ha scambiato l’obbedienza per strategia. La data del 2027 fissata dal Pentagono per la nostra “autonomia” suona ora come una condanna. Siamo come vassalli a cui il signore feudale, dopo averli impoveriti con tasse per una guerra inutile, restituisce un feudo devastato dicendo: “Ora arrangiatevi.” La tragedia non è il disprezzo di Trump, ma la nostra incapacità di raccogliere la sfida. Dobbiamo scegliere: continuare a essere vassalli di un impero che ci disprezza, o diventare finalmente architetti del nostro destino, cominciando dal riconoscere che la pace in Ucraina non è una sconfitta, ma l’unico interesse razionale per un continente che ha smarrito la bussola e sta bruciando le proprie risorse in una scommessa già persa. L'articolo L’Europa vassalla degli Usa ora non sa cosa fare: la tragedia non è il disprezzo di Trump, ma l’incapacità d’azione proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Lite Fidanza-Mastrobuoni su La7: “Si vergogni, cafona. Esca dal salotto”. “Taccia maleducato, lei prende 15mila euro al mese”
Bagarre a Tagadà (La7) tra Tonia Mastrobuoni, corrispondente da Berlino per Repubblica, e l’europarlamentare di Fratelli d’Italia, Carlo Fidanza, sulla situazione della guerra in Ucraina e sugli aiuti europei. Mastrobuoni si sofferma sulla decisione della Ue di rendere indefinito il congelamento dei 210 miliardi di euro di asset russi: se prima le sanzioni dovevano essere rinnovate ogni 6 mesi all’unanimità (col rischio di veto da parte di paesi come Ungheria e Slovacchia, più vicini a Mosca), ora restano congelati finché la Russia non termina la guerra e paga i danni all’Ucraina. La giornalista aggiunge: “Quando ci sarà il voto il 18 dicembre, ovviamente si litigherà, ma c’è sempre un piano B che ha formulato Ursula von der Leyen la settimana scorsa. Purtroppo nessuno ne parla e anche l’Italia e il governo sono troppo stupidi per parlarne, perché per il governo italiano sarebbe l’ideale, cioè 90 miliardi in due anni finanziati con eurobond e garantiti dal bilancio europeo”. Quando prende la parola, Fidanza commenta le parole di Mastrobuoni: “Al di là degli epiteti abbastanza incommentabili della Mastrobuoni, il governo è assolutamente presente al tavolo europeo con una bussola che è sempre la stessa: quella di rendere compatibili gli impegni per l’Ucraina con il nostro interesse nazionale, perché tra le varie proposte che sono sul tavolo a Bruxelles in queste ore, ce ne sono alcune che non sarebbero del tutto poco gravose potenzialmente per l’Italia”. Mastrobuoni lo interrompe più volte: “Ma non ho detto che non siete al tavolo europeo. Lei non ha capito niente, mi mette in bocca parole che non ho mai detto”. “Allora forse è un problema di ritorno dell’audio – replica Fidanza mentre la giornalista si dimena – Ho sentito la parola ‘stupido’, forse ho sentito male. Però vorrei terminare, poi lei chiarisce. Se ho sentito male, mi fa piacere se lo smentisce, ma la prego di non interrompermi”. La polemica esplode quando Mastrobuoni ha la parola: “Non ha capito una sola parola di quello che ha detto. Le mie parole, che lei definisce ‘incommentabili’, non le ha proprio capite”. Fidanza insorge: “Si sente molto male. Non è che non capiamo, il suo collegamento fa schifo. Forse è lei che dovrebbe capirlo”. “Sì, sono comunista – ribatte la giornalista – quindi il collegamento fa schifo”. “Lei deve dare sempre lezioni, come tutti quelli di Repubblica – rilancia l’europarlamentare – Ci date lezioni anche quando non funziona il collegamento, date sempre lezioni di vita. Siamo stufi delle vostre lezioncine“. “Ha finito? – controbatte Mastrobuoni – Stia calmo e si prenda la pillolina rossa. Lei non ha capito nulla di quello che ho detto”. E Fidanza protesta nuovamente: “Certo, perché sono stupido, mentre voi di Repubblica siete degli illuminati”. “Sì, esattamente – risponde Mastrobuoni – È stupido lei ed è stupido il governo“. “Noi di destra abbiamo l’anello al naso – replica il politico – non capiamo niente e aspettiamo Repubblica che ci spieghi la vita”. “Sì, lei ha l’anello al naso ed è anche molto maleducato“, replica la cronista. “No, è lei una cafona – risponde Fidanza – Si vergogni, lei non può dare lezioni a nessuno”. “Maleducato, si vergogni lei”, replica Mastrobuoni. “Esca dal suo salotto”, rilancia Fidanza. “Ma la smetta – insorge la giornalista – Nel salotto ci sta lei che guadagna 15mila euro al mese, ma stia zitto e taccia. Lei non ha capito nulla”. “Non faccia la demagoga e si vergogni – urla Fidanza – Io sono stato votato da decine di migliaia di persone. A lei chi l’ha mai votata?”. L'articolo Lite Fidanza-Mastrobuoni su La7: “Si vergogni, cafona. Esca dal salotto”. “Taccia maleducato, lei prende 15mila euro al mese” proviene da Il Fatto Quotidiano.
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