“Siamo più vicini che mai” alla fine della guerra in Ucraina. Lo ha detto il
presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, nello Studio Ovale alla Casa Bianca,
dopo il nuovo round di trattative e dopo aver parlato con il suo omologo ucraino
Volodymyr Zelensky e con una serie di leader europei. “Stiamo ricevendo un
enorme sostegno dai leader europei. Vogliono che finisca”, ha detto Trump
sottolineando che gli Usa hanno avuto numerose conversazioni con il presidente
russo Vladimir Putin. “Dobbiamo mettere tutti sulla stessa pagina”, ha aggiunto
il presidente americano ribadendo di voler mettere fine alle morti causate dalla
guerra.
L'articolo Trump: “Vicini come non mai alla fine della guerra tra Russia e
Ucraina” proviene da Il Fatto Quotidiano.
Tag - Guerra Russia Ucraina
di Francesco Valendino
C’è qualcosa di davvero commovente nell’ottimismo dei nostri eurocrati. Mentre
l’economia tedesca affonda, la Francia è politicamente paralizzata e i governi
europei cadono come birilli, a Bruxelles hanno trovato la soluzione a tutto:
imbarcare l’Ucraina nell’Unione Europea entro il 1° gennaio 2027. Non un giorno
di più.
La notizia, spifferata dal Financial Times, svela l’ultima genialata partorita
sull’asse Kiev-Bruxelles per ingraziarsi il nuovo padrone, Donald Trump. Il
piano è semplice e, come tutte le cose semplici pensate dai complessi burocrati
europei, demenziale: offriamo a The Donald una via d’uscita. Lui non deve
spendere più un dollaro per Zelensky, e in cambio noi ci accolliamo la
ricostruzione, i debiti e la difesa di un Paese in guerra, facendolo entrare
nell’Ue a tempo di record.
Siamo di fronte al capolavoro dell’ipocrisia. Per decenni, la solenne
Commissione Europea ci ha fatto una testa così con il “merito”. La Turchia
aspetta dal secolo scorso, i Balcani occidentali sono in sala d’attesa da
vent’anni, costretti a misurare la curvatura delle banane e a riformare i codici
civili fino all’ultima virgola per aprire mezzo capitolo negoziale. Per
l’Ucraina, invece, vale il telepass. Dei 36 capitoli negoziali necessari – che
richiedono riforme strutturali ciclopiche in un Paese che, prima dell’invasione
russa, Transparency International classificava come il più corrotto d’Europa
dopo la Russia – Kiev non ne ha chiuso nemmeno uno. Ma che importa? Quando la
geopolitica chiama, lo Stato di diritto risponde: “Obbedisco”.
La parte più esilarante, però, è il metodo. Per far passare questa follia serve
l’unanimità, e c’è quel guastafeste di Viktor Orban che continua a dire niet. E
qui i nostri atlantisti “de sinistra”, quelli che dipingono Trump come il nuovo
Hitler, a chi si affidano? A Trump stesso. Il piano prevede che sia il tycoon
americano a torcere il braccio all’amico Orban per costringerlo a dire sì. Siamo
al cortocircuito: l’Europa “dei valori” prega il mostro arancione di usare
metodi da gangster per violare le proprie regole interne.
Ma c’è un dettaglio che i nostri strateghi da aperitivo fingono di ignorare.
L’articolo 42.7 del Trattato dell’Unione Europea. È la clausola di mutua difesa,
che è persino più vincolante dell’articolo 5 della Nato: obbliga gli Stati
membri a prestare aiuto “con tutti i mezzi in loro potere” a chi viene
aggredito. Traduzione per i non addetti ai lavori: se l’Ucraina entra nell’Ue
mentre è in guerra o in una tregua armata, e Putin spara un petardo oltre il
confine, l’Italia, la Francia e la Germania sono giuridicamente in guerra con la
Russia.
Ecco il vero “piano di pace”: trasformare un conflitto locale in una guerra
continentale automatica. E tutto questo viene venduto come un compromesso.
Mosca, ci dicono, dovrebbe accettare di buon grado. Peccato che al Cremlino
sappiano leggere i trattati meglio di Von der Leyen. Offrire alla Russia
un’Ucraina nell’Ue ma fuori dalla Nato è come offrire a un diabetico una torta
alla panna dicendogli che è senza zucchero perché sopra non c’è la ciliegina.
La perseveranza è una virtù, ma l’idiozia è un vizio. E a Bruxelles sembrano
averne fatto una dottrina politica.
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L'articolo Far entrare l’Ucraina nell’Ue segnerà l’inizio della nostra guerra
con la Russia proviene da Il Fatto Quotidiano.
Al di là del rito, delle forme, dei rispettivi ruoli, davanti al corpo
diplomatico italiano, riunito nell’annuale Conferenza delle ambasciatrici e
degli ambasciatori – in programma oggi e domani tra Roma e Milano – a sentire i
discorsi del ministro degli Esteri e del presidente della Repubblica si colgono
due linee di politica internazionale espressa dai vertici istituzionali. C’è una
“dottrina Mattarella” e una posizione, espressa da Antonio Tajani che sembra più
barcamenarsi che esporre una visione politica.
Il ministro degli Esteri mette l’accento, come da direttive della presidente del
Consiglio, sui rapporti atlantici e sul valore “occidentale” delle alleanze per
cercare di tenere unite le due sponde dell’Atlantico che, invece, su spinta di
Donald Trump, tendono a divaricarsi sempre più. E, però, da questo punto di
vista si pone in forma molto dialettica con il processo di pace in corso,
disponendosi ad accettare compromessi e mediazioni. Dall’altra, la “dottrina
Mattarella”, ribadisce saldamente l’approccio “multilaterale”, si dice
insofferente per quella “disordinata e ingiustificata aggressione nei confronti
dell’Unione Europea” rigettando l’idea che la Ue possa essere, come nella
narrazione Maga in voga a Washington, “una organizzazione oppressiva, se non
addirittura nemica della libertà”. Ma su questa impostazione, tutto sommato
limpida, chiude qualsiasi strada al rapporto con la Russia la cui aggressione ai
danni dell’Ucraina, “con vittime e immani distruzioni, e con l’aberrante
intendimento, malgrado gli sforzi negoziali in atto, di infrangere il principio
del rifiuto di ridefinire con la forza gli equilibri e i confini in Europa” non
è accettabile in nessun modo. Per respingerla, anzi, Mattarella chiama in causa
la Conferenza di Helsinki sulla Cooperazione e la Sicurezza nel continente,
evento che, invece, è stato chiamato in causa da rinomati giuristi e
costituzionalisti come sponda proprio per impostare invece un possibile dialogo.
Si potrebbe discutere ovviamente di quanto una diversa politica estera sia
prerogativa del Quirinale che abilmente e con un tono sempre cordiale e molto
sereno la spiattella davanti al governo – nella Conferenza in corso alla
Farnesina, sono diversi gli ambasciatori che commentano la capacità di
Mattarella di dire cose “contundenti” con la soavità che lo caratterizza. La
divergenza è tanto più rilevante proprio perché esibita davanti al fulcro
dell’attività diplomatica italiana, quelle 130 feluche che devono rappresentare
una posizione chiara davanti ai governi di tutto il mondo. Si tratta,
ovviamente, di sfumature e sottigliezze che, però, nella diplomazia
internazionale costituiscono la sostanza. Mentre Tajani, con un discorso in
realtà molto amministrativo e di basso profilo, invia il messaggio di
derivazione berlusconiana che più gli sta a cuore – la diplomazia a sostegno
delle imprese italiane, “voglio darmi l’obiettivo di raggiungere 700 miliardi di
export entro il 2027” – e esalta la riforma della Farnesina con la nuova
vice-segreteria generale incaricata di supervisionare proprio l’economia, è
Mattarella a esporre una visione politica. Il presidente passa in rassegna,
oltre l’Ucraina, “la tragedia di Gaza”, il dramma nel “Sahel e nel Corno
d’Africa”, le “tensioni” che “si vanno accentuando anche in America Latina e nei
Caraibi, da ultimo con il riaffacciarsi di una sorta di riedizione della
cosiddetta “dottrina” di James Monroe, la cui presidenza si è conclusa
esattamente due secoli fa”.
Il quadro di Mattarella serve a dare risalto al centro della sua visione, il
rilievo che compete “alle istituzioni del multilateralismo e all’Unione Europea”
contro la “tentazione della frammentazione” che si insinua nelle relazioni
internazionali – e persino nel mondo occidentale – “con la ripresa di un metodo
di ostilità che misura i rapporti internazionali su uno schema a somma zero: se
qualcuno ci guadagna significa che qualcun altro ci perde”.
Mattarella ha il merito di mettere in risalto il tema della cooperazione
internazionale, della difesa del diritto, importante il suo attacco alla
“pretesa di imporre punizioni contro giudici delle Corti internazionali per le
loro funzioni di istruire denunce contro crimini di guerra”. Le Nazioni Unite,
quindi, la legalità e un approccio che vuole la “‘ricerca della pace nella
sicurezza’- come ammoniva un illustre inquilino di questo palazzo, Aldo Moro”.
Proprio questo tipo di citazioni fa capire che la sua “dottrina” si colloca su
un pacchetto di storia e cultura politica che innerva una politica
internazionale ben precisa e che affonda nelle direttive costituzionali “del
valore del dialogo internazionale come via privilegiata per affermare il suo
ruolo nel mondo” e nella “Costituzione materiale che ha guidato, senza
discontinuità, il nostro Paese nello scenario internazionale, basandosi su pace,
dialogo, multilateralismo, europeismo, legame atlantico”.
“Quegli orientamenti continuano a rappresentare, ancora oggi, un patrimonio
prezioso che ci può guidare nelle nuove forme con cui si presentano i conflitti”
è la linea offerta dal presidente della Repubblica direttamente agli
ambasciatori. In ossequio alle “poli-crisi” internazionali, Mattarella propone
loro una “poli-diplomazia”. Ma, come sottolineato, proprio questa presentazione
al corpo diplomatico rende plastica la differenza tra Quirinale e governo
mettendo in evidenza una dualità di posizioni istituzionali che, nelle strettoie
della attualità, pongono approcci diversi alla questione ucraina. A riprova che
non si tratta solo di linee politico-culturali, ma di scelte cogenti. In cui a
soffrire di più è il governo. La sua posizione filo-trumpiana rende complesso il
reiterato appoggio all’Ucraina senza accedere alle possibilità di mediazione e
compromesso che si stanno presentando. La “dottrina Mattarella” è più limpida e
anche più secca: quelle mediazioni non vanno accettate.
L'articolo L’uscita su Trump e l’approccio multilaterale: il governo Meloni
davanti alla “dottrina Mattarella” sulla politica estera proviene da Il Fatto
Quotidiano.
“Mamma, sono stato fatto prigioniero. Non guardare la TV mamma, qui non ci sono
nazisti. Mamma, perché è la guerra chiamata ‘operazione speciale’?”. Questo è il
ritornello del brano Mama, Don’t Watch TV della band Pussy Riot. Lo scorso
settembre, le componenti del gruppo sono state condannate in contumacia per aver
diffuso “false informazioni” sull’esercito russo. I magistrati, per corroborare
le loro motivazioni, hanno citato sia il brano in questione, che la protesta
avvenuta nel 2024 al museo Pinakothek der Moderne di Monaco, durante la quale le
Pussy Riot hanno scandito slogan contro la guerra e hanno definito il presidente
Vladimir Putin un “criminale di guerra”, mentre un membro della band ha urinato
sul ritratto del leader del Cremlino.
Ma non è bastato. Da qualche ora, Pussy Riot per le autorità russe è una sigla
inserita nell’elenco delle “organizzazioni estremiste” che hanno il divieto di
svolgere attività in Russia. A stabilirlo è stato il tribunale distrettuale di
Tverskoy (Mosca) che ha accolto la richiesta del viceprocuratore generale della
Federazione Russa. Da questo momento, chiunque sia associato alle azioni di
Pussy Riot potrà essere perseguito penalmente. Lapidario il commento delle
protagoniste: “Questi idioti ci lavorano da anni, almeno dal 2012”.
Le componenti della band, del resto, hanno già sul groppone condanne non
indifferenti. Maria Alyokhina e Nadia Tolokonnikova sono state arrestate e
incarcerate nel 2012 per aver eseguito una “preghiera punk” nella Cattedrale di
Cristo Salvatore, a Mosca: un gesto che è costato a entrambe 13 anni di galera.
Olga Borisova, Alina Petrova e Diana Burkot hanno ricevuto pene di otto anni
ciascuna, Taso Pletner è stato condannato a 11 anni.
Il gruppo dissidente è stato fondato nel 2011 nella capitale russa e ha subito
attirato l’attenzione delle autorità per le performance anti governative e
contro la censura. Nel 2012 è proprio l’iniziativa messa in atto nella
Cattedrale di Cristo Salvatore – che prende di mira sia Putin che la Chiesa
Ortodossa – a farle conoscere a livello internazionale.
Gli attivisti del collettivo non si mostrano sorpresi dalla decisione del
tribunale. Alexander Sofeev, ascoltato dal Moscow Times, ha dichiarato: “I
terroristi ci hanno etichettati come estremisti. Non posso dire di essere
particolarmente turbato da una decisione presa da persone del genere. Per me,
queste sono istituzioni completamente illegittime che non rappresentano in alcun
modo i miei interessi. Per quanto riguarda le nostre attività, fortunatamente
tutti i partecipanti ora si trovano fuori dalla Russia, quindi non credo che ci
saranno grandi cambiamenti”.
Nel 2023, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato la Russia per le
conseguenze di una operazione di polizia contro le Pussy Riot, avvenuta a Sochi
nel 2014. La Corte ha stabilito che le azioni delle forze di sicurezza avevano
violato sia il divieto di trattamenti inumani o degradanti, che il diritto alla
libertà di espressione. La Corte ha riconosciuto a ciascuna delle cinque
ricorrenti un risarcimento di 15.000 euro. Tornando alla decisione dei
magistrati russi, le Pussy Riot evidentemente si aspettavano una mossa simile,
tanto che già un mese fa Nadya Tolokonnikova, ora residente negli Stati Uniti, e
ricercata da Mosca, il mese scorso aveva scritto su X: “Se dire la verità è
estremismo, allora siamo felici di essere estremisti”.
L'articolo Quando il dissenso infastidisce il Cremlino: il collettivo Pussy Riot
dichiarato “organizzazione estremista” proviene da Il Fatto Quotidiano.
L'articolo Kallas: “Se Putin conquista il Donbass, cade la fortezza”. A Berlino
colloqui Kiev-Usa e vertice con leader Ue e Nato proviene da Il Fatto
Quotidiano.
Personalmente, per quel che vale, sono contro i due tiranni, contro il russo
Vladimir Putin e contro l’americano Donald Trump. Però non posso fare a meno di
pensare che Putin non potesse restare fermo mentre la Nato – che non è
un’organizzazione di beneficenza ma un’organizzazione armata offensiva antirussa
che ha già fatto guerre illegali, sanguinose e disastrose in Serbia,
Afghanistan, Iraq, Libia, Siria – cercava di mettere le sue basi militari anche
in Ucraina, dove la Russia è nata. E non riesco neppure a dare torto a Trump che
ha affermato nella recente intervista a Politico che molti leader europei sono
stupidi. Ha ragione: è incredibile quanto i Volenterosi europei siano stupidi.
Tanto stupidi quanto impotenti e masochisti. Meno male che l’Unione Europea è un
condominio di 27 paesi che non riescono a mettersi d’accordo neppure
sull’abolizione (indispensabile!) dell’ora solare.
Altrimenti la Ue ci trascinerebbe in guerra con Mosca. E meno male che sulle
questioni veramente importanti – difesa, sicurezza, guerra e pace, fiscalità,
eccetera – nella Ue si decide solo all’unanimità e non a maggioranza. Così ogni
democrazia europea può prendere le sue decisioni in autonomia.
La questione sorprendente – ma soprattutto tragica – è che gli stupidi leader
europei vogliono spingere Kiev a continuare una guerra che sta già perdendo, che
loro stessi non sono in grado di combattere e nemmeno di finanziare, e che senza
l’aiuto americano – che Trump vuole cessare subito – è già completamente persa.
E’ un po’ come se io pretendessi che il mio amico, peso piuma, continuasse a
finire fino alla morte un combattimento che sta perdendo con Mike Tyson: sarei
un perfetto idiota o un cinico profittatore! La politica europea è tragica per
gli ucraini che, più combattono questa guerra, più perdono terreno e uomini, ma
è disastrosa anche per gli europei.
L’astuto Trump, pur essendo a capo di un esercito ultrapotente, ha capito che
non conviene continuare a combattere inutilmente con la Russia fino a rischiare
una guerra atomica, e corre verso un accordo diretto con Putin, alle spalle
degli ucraini e di Volodymyr Zelensky, l’uomo politico che ha distrutto
l’Ucraina sfidando i russi pur di aderire a una Nato che comunque non lo ha mai
voluto.
Trump ha riconosciuto che la Nato di Joe Biden ha provocato la guerra in Ucraina
minacciando di mettere le basi militari Nato al confine con la Russia e
spingendo l’Ucraina a abbandonare la sua neutralità. Il presidente americano
piuttosto che rischiare una guerra atomica preferisce avviare rapporti pacifici
con Mosca. Al contrario gli europei, che avrebbero tutto l’interesse a
riprendere le forniture russe di gas e di petrolio da Mosca, che non hanno
neppure un esercito, e che quindi non possono pretendere nulla, puntano a una
guerra perpetua con la Russia e a trasformare l’Ucraina in un “porcospino di
acciaio”. Vogliono partecipare alle trattative di pace pur volendo continuare la
guerra. Dio prima rende dementi chi vuole poi mandare in rovina. Così l’Europa
guidata dall’irresponsabile valchiria in miniatura Ursula von der Leyen si
prepara alla guerra con la Russia, prima o seconda potenza atomica mondiale.
Sul piano strategico è ormai chiaro che l’Europa è in una situazione di declino
quasi irreversibile, che è isolata, impotente e arretrata, e che ha disperato
bisogno di amici o almeno di soci: ma gli Usa e la Cina sono troppo potenti per
allearsi con l’Europa, saranno sempre avversari strategici. L’unica grande
potenza che, ovviamente per convenienza, in prospettiva potrebbe esserci amica,
è proprio la Russia, contro cui però gli europei… si stanno armando! Per fortuna
che questa Ue richiede ancora il voto all’unanimità e che l’Italia può staccarsi
dalla follia bellicista della Ue!
Circa l’80% di tutta la legislazione Ue è adottato con voto a maggioranza
qualificata. Su questioni di natura politica e di importanza strategica, come la
difesa e la guerra, il Consiglio Ue deve però votare all’unanimità. Il voto
all’unanimità è oggetto di critica da parte degli europeisti, come il francese
Macron, Mario Draghi, Ursula e lo stesso presidente italiano Sergio Mattarella,
e in generale da parte delle formazioni europeiste di sinistra e di
centrosinistra (come in Italia il Pd). Al contrario i sovranisti, come Giorgia
Meloni e Viktor Orban, vogliono mantenere l’unanimità. Questo è uno dei pochi
casi in cui i cosiddetti sovranisti hanno completamente ragione. Infatti sulle
questioni fondamentali, come la guerra o la pace, ogni popolo deve potere
decidere democraticamente grazie alle sue istituzioni rappresentative.
Dare tutto il potere a Bruxelles sarebbe terribile e antidemocratico! Perfino la
Nato prende le sue decisioni all’unanimità!
L'articolo Per fortuna c’è ancora il voto all’unanimità in Ue: su questo Meloni
e Orban hanno ragione proviene da Il Fatto Quotidiano.
L'articolo Ucraina, a Berlino i colloqui con Usa ed europei. Zelensky: “Pronto a
rinunciare a richiesta di adesione alla Nato” proviene da Il Fatto Quotidiano.
Il nuovo documento di Strategia di Sicurezza Nazionale di Donald Trump non è una
semplice critica all’Europa. È la prova tangibile di una verità geopolitica
fondamentale: quando si è vassalli di una superpotenza, in questo esempio gli
Usa, quando cambia il vento a Washington deve cambiare tutto anche da noi.
Ma questa volta, il cambiamento non è una semplice sterzata di politica estera.
È un terremoto epocale, una trasformazione a 360 gradi che lascia l’Europa,
abituata a ricevere ordini, nella posizione tragicomica di non sapere cosa fare
quando l’ordine è: “Pensate con la vostra testa.”
Il disorientamento europeo, oggi palese, è la diretta conseguenza di un
fallimento strategico di proporzioni storiche. Come è stato notato, l’Europa,
Italia in prima fila, “ha fallito puntando sulla scommessa militare della
vittoria dell’Ucraina sulla Russia a colpi di invii di armi e di spese
militari”. Abbiamo confuso la solidarietà con una strategia, trasformando il
sostegno a Kiev in una gigantesca scommessa bellica senza via d’uscita,
svuotando arsenali e bilanci senza un piano politico.
In questo quadro, la dichiarazione di Giuseppe Conte – “lasciamo che a condurre
il negoziato siano gli Stati Uniti” – assume un significato rivelatore. Non è
solo un’ammissione di fallimento strategico europeo; è un atto di resa politica.
Conte, nel constatare il disorientamento europeo, non propone un risveglio della
sovranità continentale, ma si schiera di fatto dalla parte dell’America
trumpiana. La sua posizione certifica che, per ampi settori della politica
europea, l’unica alternativa al fallimento dell’atlantismo interventista di
stampo Biden non è l’autonomia, ma un diverso tipo di vassallaggio: quello
realista e isolazionista di Trump.
È la logica del vassallo che, tradito dal proprio signore in una guerra, si
affretta a giurare fedeltà al signore rivale, pur di non dover reggere da solo
il peso della propria difesa.
La diagnosi di Conte sul vicolo cieco europeo resta perfetta: “L’Europa è
completamente disorientata, avevano solo una linea, la vittoria militare sulla
Russia, hanno scommesso su questo e adesso non hanno nessuna alternativa.”
È questo il cuore della crisi. Per tre anni, Bruxelles e le capitali europee
hanno rinunciato a qualsiasi pensiero strategico autonomo, affidandosi alla
narrazione semplicistica di una vittoria militare come unica opzione. Hanno dato
carta bianca a una logica di escalation, senza mai porsi la domanda
fondamentale: e se non vincessimo?
Ora, con Trump alla Casa Bianca che smantella quella stessa strategia, l’Europa
si ritrova come un pilota che ha bruciato tutto il carburante seguendo le
indicazioni di una torre di controllo che ora gli dice: “Trovati un altro
aeroporto, noi chiudiamo.” Il governo italiano, come molti suoi omologhi, è
emblematico di questo cortocircuito: dopo aver puntato tutto su un cavallo, ora
attende passivamente di vedere su quale podio salire, pur di non ammettere la
sconfitta della propria visione.
La reazione dell’establishment atlantista alle critiche è stata istruttiva.
Invece di un esame di coscienza, abbiamo assistito a una recita difensiva che
bolla come “inaccettabili e irresponsabili” le affermazioni che mettono in
discussione la strategia militare, ribadendo il mantra che “non si tratta di una
scommessa… ma di sostenere la resistenza”.
Peccato che sia proprio questa distinzione semantica a essere crollata sotto il
peso dei fatti. Sostenere la resistenza, senza un obiettivo politico chiaro e
realistico, diventa una scommessa. Una scommessa costosissima, pagata con
risorse sottratte alle vere emergenze nazionali: il crollo della produzione
industriale, gli stipendi erosi, le tasse in aumento, le liste d’attesa
sanitarie, l’insicurezza delle strade.
La proposta di risposta – più integrazione europea, più difesa comune – suona
come la richiesta di avere più dosi della stessa medicina che ci ha portato allo
stallo attuale. È l’illusione che il problema sia la quantità di Europa, non la
sua qualità strategica. Il vero “cortocircuito” è quello di chi vede la
debolezza europea e propone come soluzione di cedere ancora più sovranità a
un’entità che ha appena dimostrato un fallimento strategico monumentale.
Le dichiarazioni di Trump e le reazioni scomposte rivelano uno spartiacque. Da
una parte c’è chi riconosce l’impossibilità di una vittoria militare e invoca
una posizione europea “più negoziale” e un’autonomia reale. Dall’altra, c’è chi
rimane aggrappato al dogma interventista, anche di fronte all’evidenza del suo
fallimento e al tradimento del proprio protettore d’oltreoceano.
Trump ha lanciato una sfida letale all’Europa: indebolirla economicamente e
umiliarla politicamente, mentre le intima di diventare autonoma. La
trasformazione è a 360 gradi perché smaschera tutte le ipocrisie su cui si è
retta l’alleanza atlantista post-1989: l’Europa non è un alleato alla pari, ma
un vassallo; la sua sicurezza non è un interesse vitale americano, ma un costo
da ridurre.
L’Europa non sa come gestire questa trasformazione perché per decenni ha
disimparato a pensare in termini di interessi nazionali e realpolitik. Ha
scambiato l’obbedienza per strategia. La data del 2027 fissata dal Pentagono per
la nostra “autonomia” suona ora come una condanna. Siamo come vassalli a cui il
signore feudale, dopo averli impoveriti con tasse per una guerra inutile,
restituisce un feudo devastato dicendo: “Ora arrangiatevi.”
La tragedia non è il disprezzo di Trump, ma la nostra incapacità di raccogliere
la sfida. Dobbiamo scegliere: continuare a essere vassalli di un impero che ci
disprezza, o diventare finalmente architetti del nostro destino, cominciando dal
riconoscere che la pace in Ucraina non è una sconfitta, ma l’unico interesse
razionale per un continente che ha smarrito la bussola e sta bruciando le
proprie risorse in una scommessa già persa.
L'articolo L’Europa vassalla degli Usa ora non sa cosa fare: la tragedia non è
il disprezzo di Trump, ma l’incapacità d’azione proviene da Il Fatto Quotidiano.
Bagarre a Tagadà (La7) tra Tonia Mastrobuoni, corrispondente da Berlino per
Repubblica, e l’europarlamentare di Fratelli d’Italia, Carlo Fidanza, sulla
situazione della guerra in Ucraina e sugli aiuti europei. Mastrobuoni si
sofferma sulla decisione della Ue di rendere indefinito il congelamento dei 210
miliardi di euro di asset russi: se prima le sanzioni dovevano essere rinnovate
ogni 6 mesi all’unanimità (col rischio di veto da parte di paesi come Ungheria e
Slovacchia, più vicini a Mosca), ora restano congelati finché la Russia non
termina la guerra e paga i danni all’Ucraina.
La giornalista aggiunge: “Quando ci sarà il voto il 18 dicembre, ovviamente si
litigherà, ma c’è sempre un piano B che ha formulato Ursula von der Leyen la
settimana scorsa. Purtroppo nessuno ne parla e anche l’Italia e il governo sono
troppo stupidi per parlarne, perché per il governo italiano sarebbe l’ideale,
cioè 90 miliardi in due anni finanziati con eurobond e garantiti dal bilancio
europeo”.
Quando prende la parola, Fidanza commenta le parole di Mastrobuoni: “Al di là
degli epiteti abbastanza incommentabili della Mastrobuoni, il governo è
assolutamente presente al tavolo europeo con una bussola che è sempre la stessa:
quella di rendere compatibili gli impegni per l’Ucraina con il nostro interesse
nazionale, perché tra le varie proposte che sono sul tavolo a Bruxelles in
queste ore, ce ne sono alcune che non sarebbero del tutto poco gravose
potenzialmente per l’Italia”.
Mastrobuoni lo interrompe più volte: “Ma non ho detto che non siete al tavolo
europeo. Lei non ha capito niente, mi mette in bocca parole che non ho mai
detto”.
“Allora forse è un problema di ritorno dell’audio – replica Fidanza mentre la
giornalista si dimena – Ho sentito la parola ‘stupido’, forse ho sentito male.
Però vorrei terminare, poi lei chiarisce. Se ho sentito male, mi fa piacere se
lo smentisce, ma la prego di non interrompermi”.
La polemica esplode quando Mastrobuoni ha la parola: “Non ha capito una sola
parola di quello che ha detto. Le mie parole, che lei definisce
‘incommentabili’, non le ha proprio capite”.
Fidanza insorge: “Si sente molto male. Non è che non capiamo, il suo
collegamento fa schifo. Forse è lei che dovrebbe capirlo”.
“Sì, sono comunista – ribatte la giornalista – quindi il collegamento fa
schifo”.
“Lei deve dare sempre lezioni, come tutti quelli di Repubblica – rilancia
l’europarlamentare – Ci date lezioni anche quando non funziona il collegamento,
date sempre lezioni di vita. Siamo stufi delle vostre lezioncine“.
“Ha finito? – controbatte Mastrobuoni – Stia calmo e si prenda la pillolina
rossa. Lei non ha capito nulla di quello che ho detto”.
E Fidanza protesta nuovamente: “Certo, perché sono stupido, mentre voi di
Repubblica siete degli illuminati”.
“Sì, esattamente – risponde Mastrobuoni – È stupido lei ed è stupido il
governo“.
“Noi di destra abbiamo l’anello al naso – replica il politico – non capiamo
niente e aspettiamo Repubblica che ci spieghi la vita”.
“Sì, lei ha l’anello al naso ed è anche molto maleducato“, replica la cronista.
“No, è lei una cafona – risponde Fidanza – Si vergogni, lei non può dare lezioni
a nessuno”.
“Maleducato, si vergogni lei”, replica Mastrobuoni.
“Esca dal suo salotto”, rilancia Fidanza.
“Ma la smetta – insorge la giornalista – Nel salotto ci sta lei che guadagna
15mila euro al mese, ma stia zitto e taccia. Lei non ha capito nulla”.
“Non faccia la demagoga e si vergogni – urla Fidanza – Io sono stato votato da
decine di migliaia di persone. A lei chi l’ha mai votata?”.
L'articolo Lite Fidanza-Mastrobuoni su La7: “Si vergogni, cafona. Esca dal
salotto”. “Taccia maleducato, lei prende 15mila euro al mese” proviene da Il
Fatto Quotidiano.
L'articolo Ucraina, Mosca replica al congelamento degli asset: “All’Ue sono
imbroglioni”. Raid russo su Odessa: “Interruzioni di elettricità e acqua” | La
diretta proviene da Il Fatto Quotidiano.