“Mamma, sono stato fatto prigioniero. Non guardare la TV mamma, qui non ci sono
nazisti. Mamma, perché è la guerra chiamata ‘operazione speciale’?”. Questo è il
ritornello del brano Mama, Don’t Watch TV della band Pussy Riot. Lo scorso
settembre, le componenti del gruppo sono state condannate in contumacia per aver
diffuso “false informazioni” sull’esercito russo. I magistrati, per corroborare
le loro motivazioni, hanno citato sia il brano in questione, che la protesta
avvenuta nel 2024 al museo Pinakothek der Moderne di Monaco, durante la quale le
Pussy Riot hanno scandito slogan contro la guerra e hanno definito il presidente
Vladimir Putin un “criminale di guerra”, mentre un membro della band ha urinato
sul ritratto del leader del Cremlino.
Ma non è bastato. Da qualche ora, Pussy Riot per le autorità russe è una sigla
inserita nell’elenco delle “organizzazioni estremiste” che hanno il divieto di
svolgere attività in Russia. A stabilirlo è stato il tribunale distrettuale di
Tverskoy (Mosca) che ha accolto la richiesta del viceprocuratore generale della
Federazione Russa. Da questo momento, chiunque sia associato alle azioni di
Pussy Riot potrà essere perseguito penalmente. Lapidario il commento delle
protagoniste: “Questi idioti ci lavorano da anni, almeno dal 2012”.
Le componenti della band, del resto, hanno già sul groppone condanne non
indifferenti. Maria Alyokhina e Nadia Tolokonnikova sono state arrestate e
incarcerate nel 2012 per aver eseguito una “preghiera punk” nella Cattedrale di
Cristo Salvatore, a Mosca: un gesto che è costato a entrambe 13 anni di galera.
Olga Borisova, Alina Petrova e Diana Burkot hanno ricevuto pene di otto anni
ciascuna, Taso Pletner è stato condannato a 11 anni.
Il gruppo dissidente è stato fondato nel 2011 nella capitale russa e ha subito
attirato l’attenzione delle autorità per le performance anti governative e
contro la censura. Nel 2012 è proprio l’iniziativa messa in atto nella
Cattedrale di Cristo Salvatore – che prende di mira sia Putin che la Chiesa
Ortodossa – a farle conoscere a livello internazionale.
Gli attivisti del collettivo non si mostrano sorpresi dalla decisione del
tribunale. Alexander Sofeev, ascoltato dal Moscow Times, ha dichiarato: “I
terroristi ci hanno etichettati come estremisti. Non posso dire di essere
particolarmente turbato da una decisione presa da persone del genere. Per me,
queste sono istituzioni completamente illegittime che non rappresentano in alcun
modo i miei interessi. Per quanto riguarda le nostre attività, fortunatamente
tutti i partecipanti ora si trovano fuori dalla Russia, quindi non credo che ci
saranno grandi cambiamenti”.
Nel 2023, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato la Russia per le
conseguenze di una operazione di polizia contro le Pussy Riot, avvenuta a Sochi
nel 2014. La Corte ha stabilito che le azioni delle forze di sicurezza avevano
violato sia il divieto di trattamenti inumani o degradanti, che il diritto alla
libertà di espressione. La Corte ha riconosciuto a ciascuna delle cinque
ricorrenti un risarcimento di 15.000 euro. Tornando alla decisione dei
magistrati russi, le Pussy Riot evidentemente si aspettavano una mossa simile,
tanto che già un mese fa Nadya Tolokonnikova, ora residente negli Stati Uniti, e
ricercata da Mosca, il mese scorso aveva scritto su X: “Se dire la verità è
estremismo, allora siamo felici di essere estremisti”.
L'articolo Quando il dissenso infastidisce il Cremlino: il collettivo Pussy Riot
dichiarato “organizzazione estremista” proviene da Il Fatto Quotidiano.
Tag - Vladimir Putin
di Riccardo Bellardini
Io credo che nello sconquasso generale che domina il quadro geopolitico globale,
l’Unione Europea possa ritrovare ancora la sua saggezza, o più precisamente il
senno, buttato via negli ultimi anni, sostituito da una lucida, inquietante
follia guerrafondaia. Ancora c’è tempo, forse, per evitare il peggio, e a mio
avviso la via da percorrere è solo una: riaprire il canale diplomatico con
Putin. Sì. L’unione deve tornare a parlare con Hitler 2.0.
Non in via indiretta, fingendo da una parte disposizione a discutere l’accordo
negoziale già improntato dall’America, spingendo poi dall’altra l’acceleratore
sulla militarizzazione anti-russa della società a tutti i livelli. Deve
incontrare dal vivo lo Zar, guardarlo in faccia di fronte ad un tavolo. Parlare
con lui, coi suoi collaboratori. Tornare a riallacciare rapporti concreti,
tangibili, mettersi in prima linea nell’iniziativa negoziale. Solo così
spariglierebbe le carte. Donald Trump perderebbe il suo ruolo da unico
pacificatore mondiale che ormai gli viene riconosciuto in ogni sede, mancando
davvero soltanto la conquista del Nobel, e in tal caso sarebbe un premio unico
nel suo genere, consegnato a chi ha nei fatti formalizzato una pulizia etnica,
quella palestinese, spacciandola per pace (oh, che pace sublime!).
A quel punto Trump non potrebbe più dire peste e corna della piccola Europa, per
decenni fiero zerbino degli Usa. Dovrebbe starsene almeno per un po’ in disparte
a guardare. Papa Leone XIV ritiene che non è possibile escludere l’Europa dalle
trattative di pace, ma a sua Santità vorrei dare una notizia: é lei che si è fin
dall’inizio autoesclusa. Dall’Unione Europea non sentiamo che frasi incendiarie
da tre anni. I fragori delle armi li ascoltiamo già nelle frasi dei leader
sprezzanti del vecchio continente, che sembrano correre con gioia il pericolo
mortale, forse perché saranno i civili comuni quelli inevitabilmente più esposti
ai drammi di una catastrofe bellica, mentre loro avranno modo di trovare il
salvacondotto.
Se l’Unione europea è diversa dai barbari, se si ritiene emblema dei diritti
umani e delle libertà, riprenda la via della diplomazia, completamente
seppellita sotto la coltre di un riarmo dissanguante per le economie nazionali.
Parlare con Putin non significa consegnargli la vittoria. Significa tentare di
ottenere una distensione che il leader russo non sembra disdegnare, dal momento
che da Mosca le uniche minacce che sentiamo sono in realtà risposte alle minacce
subite dal blocco occidentale, con in testa l’Ue fomentata dal riarmo, dunque
sono minacce solo perché l’informazione allineata le vende come tali. Vorrei
tanto essere un complottista qualsiasi nel sostenere ciò. Purtroppo però non è
così. Finite le patrie e gli slanci identitari, non resta che l’odio, dunque ci
inculcheranno l’odio nei confronti dei russi, e lo faranno i paladini delle
libertà.
Loro, i capi di quel progetto di pace che fu l’Unione Europea, se tutto
procederà senza deviazioni ci educheranno ad aver paura del nemico orientale e a
provare astio nei suoi confronti, così ci verrà pure la voglia di neutralizzarlo
con un’arma di ultima generazione. Loro, difensori inarrivabili dei diritti
umani, ci insegneranno ad odiare. Proprio loro. Tuttavia un cambio di direzione
è ancora possibile: si può parlare a voce più bassa e tendere la mano, perché il
mondo non si può permettere una guerra nucleare.
Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha dichiarato che l’Italia
ripudia la guerra. Ha riportato il testo di un articolo costituzionale ormai de
facto completamente dimenticato, violato senza ritegno. Il Capo dello Stato si
attivi, se quest’articolo è davvero ancora valido, pressando il governo
nazionale per indurlo ad un cambio di strategia da discutersi anche in sede
europea. L’Unione Europea può tornare credibile soltanto se alla legge del più
forte sostituisce la riabilitazione e la valorizzazione di un canale che l’ha
sempre contraddistinta: quello diplomatico.
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L'articolo L’Ue può ancora ritrovare il senno buttato nella follia bellicista
riaprendo il dialogo con Putin proviene da Il Fatto Quotidiano.
Ieri il commissario Ue all’Economia Valdis Dombrovskis in conferenza stampa ha
detto che il regolamento sul rinnovo sine die delle sanzioni anti-russe, al
vaglio del Consiglio Ue, “contribuirà alle discussioni sul prestito di
riparazione” all’Ucraina: “Sta ponendo l’immobilizzazione dei beni russi su
solide basi, evitandoci di dover fare affidamento su un regime di sanzioni che
prevede il rinnovo dell’immobilizzazione ogni sei mesi”. Entro oggi
probabilmente i governi potrebbero concordare per un’intesa per prolungare il
congelamento degli asset della banca centrale russa in Ue “per tutto il tempo
necessario”.
Il vertice in cui si deciderà il destino degli asset russi congelati si terrà il
prossimo 18 dicembre: il tempo scorre, servono 90 miliardi di euro per salvare
il bilancio e la Difesa di Kiev e l’Unione non li ha. Per evitare un debito
comune – che incontrerebbe di certo il veto magiaro –, punta a usare i fondi
russi in Ue, che terrebbero a galla Kiev fino al 2027. La Commissione europea
propone di far ricorso alla clausola di emergenza, ricorrendo all’articolo 122 –
quello già usato per far fronte a crisi economiche, energetiche e pandemia
Covid. Nella sua proposta, la Commissione sostiene che i danni provocati dal
conflitto in Ucraina hanno causato un “grave impatto economico”, innescando
“gravi interruzioni dell’approvvigionamento, maggiore incertezza, maggiori premi
di rischio, minori investimenti e consumi”, dunque “è urgentemente necessario
per limitare i danni all’economia dell’Unione”.
Contrario al prelievo dei fondi russi rimane il Belgio – che, materialmente,
detiene 185 miliardi dei 210 miliardi di euro russi nelle casse dell’Euroclear.
Oltre a una richiesta di garanzie di ferro per condividere rischi di
un’eventuale controversia che potrebbe avviare Mosca in tribunale, il premier
Bart De Wever ha forti riserve anche sul ricorso all’articolo 122: “Sarebbe come
irrompere in un’ambasciata, portar via tutti i mobili e venderli”, in fondo “si
tratta di denaro proveniente da un Paese con cui non siamo in guerra”. De Wever
ha reso noto che se le sue richieste non verranno accolte, sarà proprio il
Belgio a ricorrere contro la decisione: “Se verrà presa una decisione che
ritengo manifestamente in contrasto con la legalità, che non ha senso e che
comporta rischi molto elevati per questo Paese, allora non si può escludere
nulla”.
La Russia promette intanto vendetta e ritorsioni contro quello che definisce
“furto”: sebbene non disponga di beni sovrani paragonabili per volume e
dimensioni a quelli russi in Ue, promette “una dura reazione”. La Federazione
stima che ci siano 300 miliardi di dollari di asset esteri congelati nei
cosiddetti conti “di tipo C” – azioni, obbligazioni societarie e sovrane russe
di proprietà di investitori provenienti da Paesi che la Russia considera
“ostili”. Sono stati creati nel marzo 2022 in risposta alle sanzioni
occidentali, ma non si conosce la cifra complessiva di liquidità e proventi dei
titoli. “La banca russa Sberbank ha stimato che il 25% dei suoi 787 miliardi di
rubli (9,9 miliardi di dollari) di dividendi su azioni di proprietà di
investitori stranieri per il 2024 sia stato versato su conti “di tipo C”,
riporta Reuters. Però, qualora Mosca decidesse di sequestrarli, potrebbe
innescare ulteriori confische ai danni di privati cittadini (anche estranei al
conflitto) con conti in Ue.
Non esiste una stima attendibile del valore complessivo dei beni detenuti dagli
investitori europei in Russia. All’inizio del 2022 la Banca centrale valutava
gli investimenti Ue in circa 364 miliardi di dollari, ma quella cifra fotografa
la situazione di un mondo ormai scomparso: se non hanno abbandonato la
Federazione nel 2022, molte aziende hanno visto i loro asset sequestrati e
trasferiti a nuovi proprietari.
L'articolo Asset congelati, la Russia promette vendetta: “Abbiamo 300 miliardi
di dollari di investimenti esteri, potremmo sequestrarli” proviene da Il Fatto
Quotidiano.
Alle 12 di giovedì 11 dicembre torna Millenium Live con Roberto Festa, Fabrizoo
D’Esposito e Mario Portanova. “Trump, Putin, Netanyahu e gli altri. Ma Dio è
davvero con loro?”
L'articolo Trump, Putin, Netanyahu e gli altri. Ma Dio è davvero con loro?
Millennium Live con Fabrizio D’Esposito e Roberto Festa proviene da Il Fatto
Quotidiano.
L’Europa che ha fallito nell’isolamento della Russia e che ora, al contrario, è
lei a trovarsi isolata. Gli Usa di Trump che non considerano più Mosca parte
“del cosiddetto asse del male” e che dunque vorrebbero solo “sbarazzarsi” del
conflitto in Ucraina. E parlando proprio della guerra ai confini dell’Europa,
Putin non farà alcuna concessione “su Nato, territori, dimensioni delle forze
armate ucraine. È una posizione rigida, e ufficiale. Tutto il resto sono
sfumature di grigio”. A parlare è Marat Bashirov, politologo vicino a Vladimir
Putin che nel 2014 fu primo ministro della fittizia Repubblica separatista di
Lugansk, in un’intervista al Corriere della Sera. “Al raggiungimento di un
accordo di pace – continua facendo riferimento al conflitto con Kiev – secondo
me lavorano altri fattori. Con Trump, gli Usa hanno cambiato il paradigma della
promozione dei loro interessi. Che il principale concorrente in tutto il mondo
per loro sia la Cina, lo si sapeva da molto. Questo obbliga per forza di cose la
Casa Bianca a non considerarci più parte del cosiddetto ‘asse del mala’. Ne
consegue che il ‘caso ucraino’ per loro non ha più alcuna valenza. E vorrebbero
solo sbarazzarsene”, aggiunge. Poi esplicita i punti su cui Putin non farà
alcuna concessione, e rispetto alla fine dell’isolamento della Russia, risponde:
“Non da parte dell’Europa. Che infatti è rimasta sola. Ma il resto del mondo non
lo aveva neppure cominciato, Usa compresi. Negli ultimi tempi, le imprese
americane hanno occupato determinati settori del mercato in Russia, e lo hanno
fatto apertamente, mentre le società europee se ne andavano”. Alla domanda
invece se consideri “Europa e Nato fuori dai giochi”, Bashirov osserva:
“Intanto, siete divisi in almeno tre gruppi. I nostri amici o alleati, diciamo
così. Poi ci sono Francia, Germania e Regno Unito che giocano a fare la guerra.
L’ultimo gruppo è quello dei taciturni, composto da tutti gli altri Paesi, per i
quali si pone soprattutto la questione dell’unità della Ue e il grande problema
dell’Euro-Nato, l’Alleanza non più atlantica, senza gli Usa. L’Italia balla tra
il secondo e il terzo gruppo. Quando vi metterete d’accordo, forse potrete
contare di più. Ma al momento, parlano i fatti. Siete isolati. Voi, non noi”.
L'articolo “Ecco i tre punti sui quali Putin non farà nessuna concessione”:
parla Marat Bashirov, il politologo vicino allo zar proviene da Il Fatto
Quotidiano.
Un caloroso abbraccio ha accolto ai piedi dell’aereo presidenziale il leader
russo Vladimir Putin al suo arrivo all’aeroporto della capitale indiana Nuova
Delhi nella serata di giovedì. A riservargli questo benvenuto è stato il primo
ministro Narendra Modi, felice di ospitare l’inquilino del Cremlino per una
visita di due giorni a suo modo storica. Putin mancava infatti dal territorio
indiano dal 2021, prima dell’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina.
Il viaggio era stato annunciato mesi fa e nel corso di questo periodo non sono
mancate speculazioni circa il suo significato e la possibilità che sancisse un
riorientamento della politica estera indiana. Motivi non mancherebbero all’India
per innescare una dinamica di questo tipo, su tutti la pressione applicata da
parte degli Stati Uniti del presidente Donald Trump. Washington vede come fumo
negli occhi l’acquisto da parte di Nuova Delhi di petrolio russo a prezzi
scontati, un canale commerciale che viene ritenuto vitale per Mosca per
consentirle di portare avanti la guerra in Ucraina. Nel periodo tra il gennaio
2023 e l’ottobre di quest’anno, l’India è stata seconda solo alla Cina per
importazioni di idrocarburi dalla Federazione, per un controvalore complessivo
pari a oltre 130 miliardi di dollari. La ritorsione Usa? L’imposizione di dazi
nei confronti del gigante asiatico pari al 50%. Trattative sono in corso
sull’asse indo-statunitense per cercare di arrivare a un’intesa sul fronte
commerciale. Al momento, però, nulla di concreto.
Tornando alla visita di Putin, l’attesa era soprattutto per l’eventuale annuncio
di nuovi accordi economici. Durante la conferenza stampa congiunta organizzata a
margine del bilaterale tra i due leader, durato due ore e mezza, il presidente
russo ha ribadito la disponibilità a fornire un flusso ininterrotto di energia
alla controparte indiana. Una dichiarazione in qualche modo ovvia, considerando
la rilevanza per Mosca di un mercato da 1,4 miliardi di persone come quello del
gigante asiatico e il contraccolpo che potrebbero subire le casse statali dallo
stop deciso a livello europeo delle importazioni di gas russo a partire dal
2027.
Nessun annuncio ufficiale – se non un generico riferimento al settore – è
arrivato invece in merito alla collaborazione bilaterale sul fronte della
difesa. L’India attende ancora la consegna di altri due sistemi missilistici
terra-aria S-400, prevista nell’ambito dell’accordo del valore di 5,4 miliardi
di dollari per cinque di queste unità siglato nel 2018, armamenti che si sono
dimostrati efficaci durante i round di scontri con il Pakistan dei mesi scorsi.
Proprio quest’ultimo Paese è stato di recente protagonista di un inatteso
riavvicinamento con gli Stati Uniti, situazione che ha ulteriormente irritato
l’India che ha nel vicino pachistano uno dei maggiori rivali in termini storici
e geopolitici.
A corto di lavoratori considerando lo sforzo bellico, la Russia ha bisogno di
manodopera e sta iniziando a guardare anche all’Asia meridionale, oltre alla
tradizionale Asia Centrale, come potenziale bacino. In questo senso è stata
siglata un’intesa che dovrebbe favorire l’afflusso di personale qualificato
indiano verso le industrie e i grandi centri urbani russi. Uno dei momenti
maggiormente simbolici è stata la visita del presidente russo al memoriale
dedicato al Mahatma Gandhi: Putin non ha mancato di sfruttare in chiave
propagandistica l’occasione, sostenendo come il padre della nazione indiana
fosse portatore di principi attualmente difesi dalla Russia sulla scena
internazionale. Un’altra dimostrazione della volontà russa di blandire
l’opinione pubblica dell’India si è avuta con l’annuncio del lancio della
versione locale del canale televisivo russo RT, finanziato da Mosca.
Tutti i passi menzionati sono sicuramente significativi ma non segnano l’inizio
di una nuova era lungo l’asse indo-russo. Al di là degli abbracci, da entrambe
le parti sembra esserci grande opportunismo legato soprattutto alla sfera
economica, ma i fronti a cui l’India e la Russia prestano maggiore attenzione
sono altri. Nel primo caso, alla necessità di ricucire i rapporti con gli Stati
Uniti e trovare nuove forme di cooperazione con l’Europa, anche sul fronte della
difesa, contenendo al contempo la Cina; nel secondo caso, al consolidamento
della relazione con Pechino e alla definizione di un accordo con l’Ucraina che
sia funzionale alla narrativa del Cremlino.
L'articolo Putin in visita da Modi, ma tra Russia e India è un amore di
convenienza. Nuova Delhi guarda agli Usa, Mosca rimane legata a Pechino proviene
da Il Fatto Quotidiano.
Il 4 marzo 2018, una domenica, Sergey Skripal, 66 anni, ex colonnello
dell’intelligence militare russa Gru, fuggito da Mosca e accolto dal Regno
Unito, viene trovato privo di sensi assieme alla figlia Yulia su una panchina di
Salisbury. La ragazza era arrivata dalla Russia per trascorrere qualche giorno
con il padre. Entrambi non presentavano lesioni fisiche. Il primo agente che li
soccorre, Nick Bailey, presenta sintomi di avvelenamento. In totale, sono 21 le
persone che quel giorno si sentono male, ma solo una morirà mesi dopo: si
chiamava Dawn Sturgess, aveva 44 anni: si era spruzzata addosso il contenuto di
una boccetta che il marito ha trovato per caso, portandola poi a casa.
Londra giunge alla conclusione che Skripal e il resto delle vittime quel giorno
hanno inalato Novichok, un gas nervino potenzialmente letale. Il governo inglese
dopo i primi accertamenti punta il dito sui servizi di sicurezza di Mosca. La
portavoce del ministero degli esteri Maria Zakharova, dichiara: “Né in Russia né
in Unione sovietica ci sono mai stati programmi di ricerca per lo sviluppo di un
gas chiamato Novichok”.
Ma oggi, dopo sette anni di inchiesta condotta dall’ex giudice Anthony Hughes,
Londra ribadisce: il presidente Vladimir Putin è “moralmente responsabile” per
la morte di Dawn Sturgess perchè aveva autorizzato la missione che avrebbe
dovuto eliminare il “traditore” Skripal. Il dossier si sviluppa in 174 pagine e
racconta come Dawn Sturgess morì l’8 luglio 2018, poco più di una settimana dopo
essersi spruzzata il Novichok. A trovare la boccetta, che credeva essere
profumo, era stato il marito Charlie Rowley, 52 anni; il contenitore era stato
recuperato dall’uomo ad Amesbury il 30 giugno. Anche Rowley è rimasto in
condizioni critiche, ma è sopravvissuto.
Nella ricostruzione del giudice Hughes, la donna ebbe le cure appropriate, ma
per lei non c’era nulla da fare, considerata l’esposizione al gas nervino. Gli
agenti che erano arrivati in Inghilterra per eliminare Skripal, secondo il
rapporto erano tutti del Gru ed avevano agito sotto gli pseudonimi di Alexander
Petrov, 46 anni, Ruslan Boshirov, 47 anni e Sergey Fedotov. Petrov e Boshirov
avrebbero applicato il Novichok sulla maniglia della porta d’ingresso di
Skripal, per poi buttare via la boccetta in modo “incauto”, non avendo riguardo
per le persone che hanno rischiato la vita.
L’ex magistrato ha affermato: “Sono giunto alla conclusione che l’operazione per
assassinare Sergey Skripal deve essere stata autorizzata ai massimi livelli, dal
presidente Putin. Concludo quindi che coloro che sono coinvolti nel tentativo di
assassinio (non solo Petrov, Boshirov e Fedotov, ma anche coloro che li hanno
inviati e chiunque altro abbia dato l’autorizzazione o sia a conoscenza
dell’assistenza in Russia o altrove) sono stati moralmente responsabili della
morte di Dawn Sturgess”.
La frizione diplomatica già alta tra Londra e Mosca a causa della guerra in
Ucraina raggiunge così un nuovo livello critico. Il premier Keir Starmer ha
convocato l’ambasciatore russo a Londra, Andrei Kelin, per chiedergli conto di
quella che ha definito “attività ostile” da parte del Cremlino, annunciando
anche un pacchetto di sanzioni verso il Gru. Starmer ha parlato di “disprezzo
del Cremlino per le vite innocenti. Il Regno Unito si opporrà sempre al brutale
regime di Putin e chiamerà la sua macchina omicida per quello che è”. Zakharova
ha definito “favole di cattivo gusto” le notizie del dossier inglese, ed chiesto
dove Yulia Skripal e suo padre siano stati negli ultimi sette anni. Una domanda
a cui i servizi segreti di Sua Maestà difficilmente daranno risposte, visti i
precedenti.
L'articolo “Putin moralmente responsabile, autorizzò la missione”: Londra
all’attacco sul caso Skripal e la morte per Novichok di una donna proviene da Il
Fatto Quotidiano.
L'articolo Ucraina, Putin: “Kiev via dal Donbass, o lo prenderemo con la forza”.
Trump: “Colloqui buoni, percorso accidentato”. Incontro a Miami tra l’uomo di
Zelensky e gli inviati Usa proviene da Il Fatto Quotidiano.
Il presidente russo Vladimir Putin ha affermato che la Russia è “pronta” per la
guerra se l’Europa la desidera, accusando l’Europa di aver tentato di sabotare
un accordo sul conflitto ucraino prima di incontrare gli inviati statunitensi.
“Non abbiamo intenzione di andare in guerra con l’Europa, ma se l’Europa vuole e
inizia, siamo pronti fin da ora”, ha dichiarato Putin prima dei colloqui con
l’inviato statunitense Steve Witkoff e il genero del presidente Donald Trump,
Jared Kushner.
L'articolo L'”avvertimento” di Putin all’Europa: “Se vuole iniziare una guerra,
siamo pronti fin da ora” proviene da Il Fatto Quotidiano.
Natale al Cremlino – la mia vignetta per Il Fatto Quotidiano in edicola oggi
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L'articolo Natale al Cremlino proviene da Il Fatto Quotidiano.