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Palermo, al Policlinico chiedevano mazzette da 50 a 400 euro per accelerare la riconsegna delle salme: 15 arresti
Soldi chiesti al marito per permettergli di dare l’ultimo saluto alla moglie deceduta. Ma anche per accelerare il rilascio della salma e per favorire la vestizione del defunto. Un tariffario di “mazzette” che andava dalle 50 e 400 euro imposto da quattro operatori della camera mortuaria del Policlinico “Giaccone” di Palermo: Salvatore Lo Bianco, Marcello Gargano, Antonio Di Donna e Giuseppe Anselmo. Sono accusati di associazione per delinquere e corruzione dalla procura di Palermo, che ne ha chiesto l’arresto insieme ad altre undici persone, titolari delle ditte di servizio funebre: Francesco e Nunzio Trinca (“Centro servizi funerari”), Domenico Abbonato (“Centro servizi funebri Corona”), Davide Madonia (“Madonia servizi funebri” di Rosa Belli), Natale Mannino (titolare dell’omonima azienda), Antonio Mineo (“Mineo srl”), Angelo Milani, Giuseppe Maggio (ditta “Maggio Pietro”), Giacomo Marchese (“Il Giardino dei fiori” di Villabate), Daniele Bonura (“Alfano srl” di Salvatore e Giuseppe) e Marcello Spatola (“Alfano srl Salvatore e Giuseppe”). Secondo l’inchiesta del sostituto Felice De Benedittis e della Squadra mobile di Palermo, che coinvolge 52 persone, era una prassi pagare per accelerare le pratiche di rilascio delle salme. La procedura prevede che si attenda 24 ore dal decesso prima di poter chiudere il corpo nel feretro, per evitare possibili casi di morte apparente. Le famiglie delegano le agenzie funebri di occuparsi di tutte le pratiche, e in questo caso le ditte avrebbero pagato gli operatori della camera mortuaria, all’insaputa dei medici, per accelerare l’uscita dei defunti. L’origine dell’indagine nasce da un’intercettazione della Squadra mobile di Milano, nel corso di una conversazione tra due impresari di pompe funebri si scopre che nel capoluogo siciliano serve “offrire un caffè” per smuovere le acque. “Mi ha detto di avere dato un caffè a quello della camera mortuaria, perché così funziona lì…”, dice l’impresario. “E fratello, gli ha dato 100 euro”, risponde l’altro. Quando gli agenti palermitani iniziano ad ascoltare quello che succede nella camera mortuaria del capoluogo siciliano, scoprono il sistema. “Un mare di piccioli ci sono qua”, dice Di Donna mentre guarda il collega contare i soldi nella busta: “Qua ho gli altri vieni qua, io già la mia parte me la sono presa – risponde Lo Bianco -, 40-45 tu (Di Donna, ndr), 45 Marcello (Gargano, ndr) e sono 90 e 15 Iachineddu… questo è il foglio della salma che arriverà domani”. In un’altra conversazione, si sente l’operatore Lo Bianco che fa valere la sua posizione nei confronti del titolare della ditta funebre: “La famiglia a me non mi interessa, qua ci sono i soldi a posto così. La prossima volta esce dopo uno due giorni, tre giorni”. E se non si rispettano gli accordi, c’è il rischio della ritorsione. “Se vuoi ti do i documenti perché i parenti neanche te li faccio trasere (entrare, ndr) visto che tu parli accussì (così, ndr), poi te la fermo (la salma, ndr) in camera mortuaria e chiudo e io ietto (butto, ndr) a tutti fuori”. C’è persino il caso di un marito che avrebbe pagato 50 euro a Gargano per vedere la salma della moglie, prima che venisse portata in obitorio al Policlinico. “La possiamo vedere cinque minuti perché c’è mio figlio che vive in Olanda, l’altro è in Germania”, chiede l’uomo. “Ci sono le telecamere non facciamo scendere mai nessuno sotto”, risponde l’operatore. Qualche istante dopo, gli inquirenti immortalano il marito prendere il portafogli e dare qualcosa a Gargano, che cambia atteggiamento: “Ora mi organizzo la situazione che siamo qua… facciamo tutti una scinnuta (discesa, ndr)”. “Bravo, bravo”, replica il marito. L'articolo Palermo, al Policlinico chiedevano mazzette da 50 a 400 euro per accelerare la riconsegna delle salme: 15 arresti proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Maxi-operazione antimafia a Palermo, 50 misure cautelari: “Nel traffico di droga rapporti stretti Cosa nostra-Camorra”
Maxi-operazione contro i clan mafiosi e il narcotraffico a Palermo. L’inchiesta – coordinata dalla Dda del capoluogo siciliano guidata dal procuratore Maurizio de Lucia – ha fatto luce su un vasto traffico di stupefacenti e ha svelato i nuovi organigrammi di uno dei principali mandamenti mafiosi della città. 50 MISURE CAUTELARI Eseguite dalla polizia misure cautelari nei confronti di 50 persone: sono accusate, a vario titolo di associazione mafiosa, estorsione, intestazione fittizia di beni, associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti e spaccio. Per 19 di loro il gip ha disposto la custodia cautelare in carcere, per 6 gli arresti domiciliari mentre per gli altri 25 è stato emesso un provvedimento di fermo. L’operazione ha visto impegnati oltre 350 agenti della Polizia di Stato. “STRETTO RAPPORTO TRA COSA NOSTRA E CAMORRA” “È stato documentato un rapporto stretto tra i clan mafiosi di Palermo con un clan della Camorra, da cui la mafia si riforniva per la droga”, ha detto il procuratore aggiunto di Palermo Vito Di Giorgio nel corso della conferenza stampa: “Siamo in presenza di organizzazioni fortemente strutturate capaci di commerciare ingenti quantitativi di sostanze stupefacenti anche in periodi di tempo molto brevi”, ha aggiunto. Al centro ci sono due diverse inchieste della sezione Antidroga della Squadra Mobile, coordinate dalla Dda. Tra ottobre 2022 e agosto 2023 sono state individuate due le bande di narcos: una faceva base a Palermo ed era caratterizzato da rapporti molto forti tra gli affiliati legati da vincoli di parentela: l’altra, invece, operava in Campania e forniva la merce ai siciliani. Alcuni componenti della banda campana tenevano rapporti con i palermitani e trattavano anche per conto di un clan camorrista che ha riversato importati quantitativi di droga non soltanto nella provincia di Palermo, ma anche in quella di Catania. La seconda indagine dell’Antidroga ha portato alla scoperta di una cellula criminale palermitana che ha organizzato un grosso traffico di cocaina, hashish e marijuana tra Palermo e Trapani. La droga sarebbe arrivata dalla zona di Marsala. Gli indagati apparterrebbero ad ambienti criminali di rilevante caratura e già indagati per mafia: prova del ruolo svolto dalle “famiglie” di Cosa nostra nell’approvvigionamento e nello smercio degli stupefacenti. “Nel corso delle investigazioni, inoltre, sono stati messi a segno sequestri per un totale di circa due quintali e mezzo di hashish e quattro chilogrammi di cocaina, con conseguente arresto in flagranza di dodici persone”. IL MANDAMENTO DELLA NOCE TRA VECCHI E NUOVI BOSS Il maxiblitz di oggi “dimostra che Cosa nostra è tutt’altro che sconfitta” ha detto il Procuratore capo di Palermo Maurizio de Lucia nel corso della conferenza stampa. L’operazione ha colpito anche il mandamento mafioso palermitano della Noce. L’indagine ha permesso di ricostruire posizioni e ruoli nelle famiglie mafiose di Noce, Cruillas ed Altarello, e di ricostruire le attività illecite nel territorio. Il vuoto di potere, generato dagli ultimi arresti, avrebbe dato spazio a nuovi personaggi intenzionati a scalare le posizioni di vertice del clan. Oltre agli aspiranti boss nel mirino degli investigatori sono finiti nomi noti con curricula di tutto rispetto all’interno di Cosa nostra. Tra loro un anziano boss, in grado di decidere le strategie del clan. Identificato anche il nuovo capo del mandamento che avrebbe preso il comando in virtù della sua parentela con un ex reggente: “In linea di continuità familiare ad una trascorsa gestione, poiché risulta essere imparentato con un già ‘reggente’, oggi in carcere”. Nelle casse delle cosche – ha accertato l’indagine – continuano a finire i soldi delle estorsioni: sei quelle messe a segno a carico di negozi e attività imprenditoriali della zona. IL CANALE TELEGRAM CON LA FOTO DI SCARFACE È stata scoperta anche una centrale di smercio virtuale, creata grazie ad un canale Telegram e ritenuta più sicura dalla banda. Per accreditarsi e far capire nel settore che i leader erano loro usavano sul profilo aperto sul canale la foto di Al Pacino nel ruolo di Tony Montana nel film Scarface, dicono gli investigatori. Gli indagati annotavano scrupolosamente in un “libro mastro” i soldi incassati col narcotraffico: una contabilità precisa con tanto di appunti sul tipo di stupefacenti, sui pagamenti delle partite di droga e sui compensi settimanali di tutti gli associati. Materiale prezioso per gli investigatori. L'articolo Maxi-operazione antimafia a Palermo, 50 misure cautelari: “Nel traffico di droga rapporti stretti Cosa nostra-Camorra” proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Scattano gli arresti domiciliari per Totò Cuffaro: la decisione del gip nell’ambito dell’inchiesta su appalti e sanità in Sicilia
Salvatore Cuffaro è stato arrestato e posto agli arresti domiciliari. Torna in stato di detenzione vent’anni dopo l’inchiesta che lo ha portato alla condanna per favoreggiamento alla mafia: nel 2015 era stato scarcerato dopo aver scontato cinque anni. È quanto disposto dal gip di Palermo per l’ex presidente della Regione siciliana, indagato con altre 17 persone, a vario titolo, per associazione a delinquere, turbativa d’asta e corruzione. Per la procura Totò Vasa Vasa sarebbe al vertice di un’associazione criminale, un comitato d’affari occulto che ruoterebbe intorno a un presunto sistema di appalti pilotati nella sanità e assunzioni di soggetti segnalati dall’ex governatore e dai suoi sodali. La misura cautelare era stata chiesta dai pm agli inizi di novembre. Il gip, che come prescrive la legge ha interrogato gli indagati prima di decidere, ha invece respinto la richiesta di arresto di Saverio Romano, deputato e coordinatore di Noi Moderati, anche lui coinvolto nell’inchiesta. Oltre che per Cuffaro i domiciliari sono stati disposti per Roberto Colletti, ex manager dell’azienda ospedaliera Villa Sofia e Antonio Iacono. Per l’ex braccio destro di Cuffaro Vito Raso, il gip ha invece deciso l’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria, mentre per Mauro Marchese e Marco Dammone l’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria e la misura cautelare interdittiva del divieto, per un anno, di esercitare attività imprenditoriali e uffici direttivi di persone giuridiche. Per tutti i 18 indagati la procura aveva chiesto i domiciliari. Il gip, però, ha respinto la richiesta e non ha applicato alcun provvedimento cautelare per il capogruppo all’Assemblea regionale Siciliana della Democrazia Cristiana e fedelissimo di Cuffaro, Carmelo Pace, e per Antonio Abbonato, Ferdinando Aiello, Paolo Bordonaro, Alessandro Caltagirone, Giuseppa Di Mauro, Vito Fazzino, Sergio Mazzola, Paolo Emilio Russo, Giovanni Giuseppe Tomasino e Alessandro Vetro. Cuffaro (come Iacono e Colletti) non dovrà comunque indossare il braccialetto elettronico. Per il giudice delle indagini preliminari la misura degli arresti domiciliari è sufficiente a garantire le esigenze cautelari. Non viene applicato il braccialetto elettronico “non emergendo particolari esigenze da imporre il costante monitoraggio”, ma viene imposto un “assoluto divieto di comunicazione così da escludere qualsiasi possibilità di mantenere contatti con altri coindagati o con soggetti terzi, comunque appartenenti alla pubblica amministrazione e all’imprenditoria”, si legge nella misura cautelare. L'articolo Scattano gli arresti domiciliari per Totò Cuffaro: la decisione del gip nell’ambito dell’inchiesta su appalti e sanità in Sicilia proviene da Il Fatto Quotidiano.
Giustizia
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Totò Cuffaro
Arresti
Inchiesta Sicilia, Cuffaro non risponde al gip. E ai Ros disse: “L’accelerazione della gara d’appalto voluta da Romano”. Video
L’ex governatore della Sicilia, Totò Cuffaro si è avvalso della facoltà di non rispondere. È durato meno di un’ora l’interrogatorio preventivo davanti al gip di Palermo, Carmen Salustro, per l’ex segretario nazionale della Democrazia Cristiana Sicilia, accusato dalla procura di Palermo guidata da Maurizio de Lucia, di associazione a delinquere, corruzione e turbata libertà degli incanti. I pm ne hanno chiesto l’arresto ai domiciliari, nell’ambito dell’inchiesta del Ros che coinvolge altre 17 persone, tra cui il deputato nazionale Francesco Saverio Romano, coordinatore di Noi Moderati. “FIDUCIOSO NELLA GIUSTIZIA” “Sono fiducioso nella giustizia” sono state le poche parole pronunciate dall’ex presidente stamane all’arrivo (intorno alle 9:15) al Tribunale palermitano, accompagnato dai suoi legali Giovanni Di Benedetto e Marcello Montalbano. Dopo circa un’ora, Cuffaro è uscito dal palazzo di Giustizia, senza fermarsi davanti ai microfoni e sviando le ripetute domande dei numerosi giornalisti presenti. “Mi hanno detto di non parlare”, l’unica frase pronunciata dall’ex governatore. “Non abbiamo nessun commento, Cuffaro si è avvalso della facoltà di non rispondere, ha reso le sue dichiarazioni davanti al gip. Ci limiteremo ad inviarvi una nostra nota, non abbiamo altro da dire”, ha aggiunto l’avvocato Di Benedetto. IL COMUNICATO DEI LEGALI “Si ritiene indispensabile, prima di sottoporsi a qualsivoglia interrogatorio, un approfondimento sul compendio probatorio con il quale misurarsi, con particolare riferimento al contenuto delle intercettazioni. Tale convincimento nasce anche dal fatto che l’unica trascrizione di intercettazione ambientale finora ascoltata, anche con l’ausilio di un consulente tecnico espressamente nominato, è risultata errata su un punto di centrale rilevanza per la configurabilità del reato contestato al capo 5 in concorso con Vetro, Pace e Tomasino, nel senso che non si ravvisa la parola “soldi” e la frase in questione, diversamente da quanto emerge nella trascrizione, non è stata proferita da Cuffaro. Nel corso dell’udienza camerale la difesa ha eccepito l’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza per tutte le incolpazioni provvisorie contestate, nonché l’inutilizzabilità della relazione di servizio contenente asserite dichiarazioni spontanee rese da Cuffaro e da questo disconosciute”, si legge nella nota dei legali Di Benedetto-Montalbano. L’ATTO CONTESTATO Il riferimento dei legali di Cuffaro alla richiesta di non ammettere l’atto, si riferisce al deposito della relazione di servizio redatta dal Ros durante la perquisizione negli appartamenti dell’ex presidente, e depositata stamane dai magistrati Claudio Camilleri, Giulia Falchi e Andrea Zoppi della procura di Palermo. Secondo i pm l’atto sarebbe ammissibile considerata la sentenza della Cassazione del 2022 – della sezione all’epoca presieduta da Alfredo Mantovano (attuale sottosegretario alla presidenza del Consiglio) – in cui si spiega che “le dichiarazioni spontanee che la persona sottoposta alle indagini abbia reso, in assenza di difensore ed in difetto degli avvisi” siano “utilizzabili nella fase procedimentale, e dunque nell’incidente cautelare e negli eventuali riti a prova contratta”. L’ACCELERAZIONE DELLA GARA D’APPALTO “VOLUTA DA ROMANO” Nelle pagine firmate dai Ros, Cuffaro avrebbe chiamato in causa Saverio Romano, spiegando che il direttore generale dell’Asp di Siracusa, Francesco Maria Caltagirone “era uomo di Forza Italia” e dagli atti dell’inchiesta “era chiaramente indicato che la vera accelerazione nella gara d’appalto verso la società Dussman era avvenuto soltanto a seguito dell’intervento di Romano, tanto che – aggiunge Cuffaro – la vera svolta c’era stata grazie a Roma”. Tra i diversi passaggi, Cuffaro avrebbe detto ai carabinieri che il tenente colonnello Stefano Palminteri “aveva chiesto un incontro con lui tramite l’amico comune, l’avvocato Gallina”, e che gli “aveva detto, a suo dire millantando, della presenza di indagini sul suo conto e che la stessa cosa aveva fatto anche con il deputato Carmelo Pace” e che “l’ufficiale gli aveva chiesto di aiutarlo ad ottenere l’incarico di direttore generale di Gesap, società di gestione dell’aeroporto Falcone-Borsellino di Palermo”. L'articolo Inchiesta Sicilia, Cuffaro non risponde al gip. E ai Ros disse: “L’accelerazione della gara d’appalto voluta da Romano”. Video proviene da Il Fatto Quotidiano.
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