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La standing ovation di Atreju per Abu Mazen. La premier Meloni: “La sua presenza qui fa giustizia di tante falsità sul governo”
Ad Atreju il presidente del Consiglio e presidente di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni ha introdotto l’ospite internazionale di questa edizione della festa del partito: Mahmud Abbas, conosciuto in occidente con il nome di Abu Mazen, leader dell’Autorità nazionale palestinese. La sala ha accolto i due leader con un lungo applauso. In sala anche Gianfranco Fini e e il presidente del Senato Ignazio La Russa. L'articolo La standing ovation di Atreju per Abu Mazen. La premier Meloni: “La sua presenza qui fa giustizia di tante falsità sul governo” proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Leggere Primo Levi a Gaza: “In ‘Se questo è un uomo’ ritroviamo lo scarso valore della vita che si vede in Palestina”
Gli arabi leggono Primo Levi per capire la tragedia della Striscia di Gaza. “I palestinesi spogliati dell’Idf, messi in fila per le strade di Gaza, ricordano quegli ebrei lasciati nudi davanti alle SS”. Per questo, ricorda Luay Abdul Ilah sulle pagine del quotidiano saudita as Sharq al Awsat, diventa importante leggere Se questo è un uomo, alla luce degli eventi nella Striscia. La riscoperta delle opere dello scrittore italiano, di origine ebraica, non è però qualcosa di nuovo: “Avevo questo libro da dieci anni”, scrive, ma “non ho mai trovato una sufficiente attrazione che mi spingesse a leggerlo”. Il motivo? “Forse l’illusione che lo sterminio su vasta scala degli ebrei in Europa, per mano dei nazisti tedeschi durante gli anni della Seconda guerra mondiale, appartenesse alla storia e non si sarebbe più ripetuto, vista la capacità di documentare ciò che accade nel mondo istante per istante”. È forse dalla necessità di comprendere il presente che, nel febbraio 2025, è apparsa una nuova traduzione in arabo di Se questo è un uomo, pubblicata dalla casa editrice al Mutawassit, tradotto dall’accademico iracheno Gassid Mohammed, professore di lingua araba all’università Ca’ Foscari di Venezia. “È molto importante – sottolinea Mohammed al telefono con Ilfattoquotidiano.it – che questa opera sia stata pubblicata da un editore palestinese”. La casa editrice è stata fondata a Milano da un poeta palestinese, Khaled Soliman al Nassiry. Ma il lettore arabo che cosa trova in Levi? “Sicuramente – spiega Mohammed – nella realtà descritta rivede molte somiglianze con le difficoltà e la poca considerazione del valore della vita umana che si sono viste anche nel mondo arabo, in Palestina e in altre parti del mondo”. In effetti, Levi rientra benissimo in quel filone della letteratura araba che si chiama adab al sujun, la letteratura delle carceri, in cui gli scrittori hanno descritto la loro esperienza carceraria. Su questo tema, sulle pagine di Al Hewar, quotidiano progressista arabo, lo scrittore Ahmad Saloum mette in parallelo il suo romanzo con Se questo è un uomo di Levi. “In un solo istante – scrive – possono convivere nella memoria umana due immagini opposte: il campo di Auschwitz, dove il silenzio inghiotte le voci, la fame divora i corpi e l’uomo viene spogliato della propria umanità fino a diventare un numero nella macchina della morte, e l’immagine di Gaza oggi, una città assediata che si trasforma in un teatro di genocidio trasmesso in diretta, dove le macerie ricoprono le case, i bambini vengono estratti da sotto le rovine davanti alle telecamere del mondo e il sangue diventa un linguaggio quotidiano che non ha bisogno di traduzione”. Realtà lontane, anche a livello temporale, possono quindi convivere lasciando aperte molte domande. Leggendo Levi, Saloum, autore palestinese, si chiede: “Può l’essere umano restare umano davanti alla macchina dello sterminio, o la storia è condannata a ripetersi in forme sempre più crudeli?”. L'articolo Leggere Primo Levi a Gaza: “In ‘Se questo è un uomo’ ritroviamo lo scarso valore della vita che si vede in Palestina” proviene da Il Fatto Quotidiano.
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La Palestina già dimenticata? Il silenzio rende i popoli preda di interessi affaristici
La Palestina è stata nuovamente e volutamente cancellata dall’attenzione dei mezzi di comunicazione che sono fortemente controllati da governi e da interessi economici e finanziari. La mobilitazione mondiale dell’umanità contro il genocidio, la missione di pace della Global sumud flotilla, le piazze come fiumi in solidarietà nei confronti del popolo palestinese, avevano messo seriamente in difficoltà i governi occidentali, sempre più complici, anche sul piano giuridico, del genocidio messo in atto dal terrorismo di stato israeliano. Hanno cominciato ad avere tutti timore, da Trump a Meloni per passare alle varie cancellerie occidentali, che il vento straordinario di umanità e partecipazione li potesse travolgere. All’inizio eravamo davvero in pochi a parlare di crimini di guerra e di genocidio, poi un poco alla volta la verità è stata, come sempre, rivoluzionaria. Hanno dovuto costruire, con Trump in testa, in fretta e furia una piattaforma di una pseudo pace imposta dall’alto, quindi ingiusta già solo per questo, che per ora è poco più di una fragile tregua, mentre Israele continua ad uccidere, massacrare, occupare, abusare. Un cessate il fuoco imposto alle parti dalle establishment mondiali per evitare che i popoli potessero prendere il sopravvento e scrivere la storia. Pensavano di cancellare definitivamente la Palestina e si sono ritrovati un mondo sempre più palestinese. Merito soprattutto dell’eroica resistenza palestinese e del martirio di decine di migliaia di palestinesi. Ma non vi può essere pace senza giustizia e verità e qui veniamo alle note assai dolenti perché, con la prevalenza sempre più della legge del più forte e della umiliazione del diritto internazionale, sarà sempre drammaticamente più difficile garantire giustizia ad un popolo che ha sofferto nella storia così tanto. La Palestina sarà ancora di più terra di conquista, non solo del progetto criminale sionista israeliano, che porta alla sua cancellazione, ma anche delle altre forze colonialiste che punteranno a lucrare enormi affari sulle macerie provocate dalle bombe e dai missili dello sterminio di massa. Ecco anche come si muove l’economia capitalistica e liberista, soprattutto quando entra in crisi non congiunturale ma strutturale, con le guerre, il traffico d’armi, la distruzione, la ricostruzione, i domini, le occupazioni, il disegno di un nuovo ordine mondiale economico e politico fondato sulla paura e sulle oligarchie di finte democrazie sempre più solo formali ed apparenti ma che agiscono al di fuori del diritto internazionale. In Italia, poi, siamo al continuo tradimento della Costituzione, una sorta di recidiva reiterata con la garanzia però dell’impunità, dove l’art. 11 in cui la guerra è ripudiata viene preso a calci istituzionali ormai da anni. La guerra è il peggiore fatto umano che la storia conosca, non sono mai i popoli a volerla, la subiscono, ma l’indifferenza ed il silenzio dei popoli può però diventare humus essenziale per gli interessi egoistici, affaristici, politici e criminali di governanti senza scrupoli. Ci vorrebbe una grande mobilitazione contro le guerre, per la pace e la fratellanza universale, a sostegno dei popoli oppressi. Solo il risveglio delle coscienze e le mobilitazioni individuali e collettive spaventano il sistema. Rimuovere gli ostacoli alla pace ed attivare la sovranità popolare non è solo un diritto e nemmeno un dovere, è di più, è una missione costituzionale. L'articolo La Palestina già dimenticata? Il silenzio rende i popoli preda di interessi affaristici proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Delrio e Sinistra per Israele dicono ‘lotta all’antisemitismo’, ma colpiscono i pro-Palestina
Come si fa a non notare la coincidenza tra l’iperattivismo parlamentare degli ultimi tempi per contrastare l’antisemitismo e la cronologia del genocidio a Gaza? Il ddl Delrio è solo l’ultimo arrivato, ma il primo, a firma del leghista Leone, venne depositato due giorni dopo la prima udienza contro Israele alla ICJ dell’Aia, nel caso portato dal Sudafrica. Sospetto a mio avviso quel tempismo, e quello degli altri sul ddl, così come sono sospette le reali intenzioni del blocco politico trasversale: qual è l’obiettivo? Le motivazioni addotte, francamente, fanno acqua da tutte le parti. E con tutto il rispetto e la sensibilità per la comunità ebraica, è difficile sostenere che, numeri alla mano, l’antisemitismo sia oggi l’emergenza principale in Italia: il punto è che l’antisemitismo è un tema posto con la forza in cima all’agenda da quasi tutto l’arco parlamentare, come se l’impennata dei crimini d’odio, veicolati soprattutto dal web, non sia un fenomeno strutturale ma un qualcosa che riguarda e colpisce solo gli ebrei. Prendiamo le campagne d’odio contro musulmani, rom, persone LGBTIQ e migranti: sono alimentate quotidianamente da politici nazionali e figure istituzionali, senza che questo generi alcuna mobilitazione per una tutela speciale. Vi ricordate,- l’altro ieri – come venivano derisi e linciati commentatori, opinionisti e accademici che parlavano di “razzismo strutturale”, “patriarcato” e persecuzione nei confronti dei musulmani? Abbiamo una lunga lista di rappresentanti istituzionali di ogni ordine e grado che, ogni giorno, passano il tempo a fomentare odio contro gruppi ben precisi, senza che alcuna legge speciale venga pensata per proteggere quelle categorie. Vi immaginate un parlamentare che presentasse un ddl a tutela della comunità Rom? Questa accelerazione improvvisa per una legge speciale contro l’antisemitismo e i pochi argomenti che giustificano misure così drastiche, non può che apparire sospetta: la fonte unica del ddl Delrio per giustificare la necessità di un intervento immediato – da quanto si desume nel preambolo al testo della norma – sono i report del Centro di documentazione ebraica contemporanea (CDEC), una Fondazione tutt’altro che equidistante. Dice il direttore della Fondazione, Gadi Luzzatto Voghera, che tra le altre cose siede anche come direttore della sezione italiana dall’IHRA: “Succede in tutte le guerre moderne (che la gente muoia, nota mia)… Per dire dei più recenti massacri di civili, è successo non più tardi di due anni fa a Mariupol, in Ucraina, dove sono morti non meno di 35.000 civili (…). In Israele, dove centinaia di migliaia di persone sono state costrette ad abbandonare le proprie case e a rifugiarsi in zone più protette, subendo comunque continui bombardamenti che proseguono anche in questi minuti. La guerra, quindi, colpisce in maniera tragica soprattutto le popolazioni civili. Tutte le popolazioni civili”. Delrio e Sinistra per Israele dicono “lotta all’antisemitismo”, ma intendono lotta ai pro-Palestina. Anche il consigliere comunale di Milano Daniele Nahum, ex Pd, ora in Azione, esponente della comunità ebraica meneghina, lo dice apertamente in un’intervista a La Stampa: “Definire Israele uno Stato ‘razzista’ o ‘colonialista’ non è critica politica, è negare la sua legittimità storica. E questo sfocia nell’antisemitismo.” Non può esistere, in una vera democrazia, un dibattito sanitizzato sul piano dei contenuti: a risentirne, laddove la legge stabilisca cosa si possa o non si possa dire è il sistema per intero: è lecito criticare la reazione – o la non-reazione – della comunità ebraica mondiale davanti al genocidio; è lecito domandarsi se l’esistenza di Israele nelle forme attuali sia compatibile con un sistema internazionale basato sulle regole. Non è certamente antisemita definire Israele uno Stato che pratica apartheid o uno Stato genocida: non è illegale. I preamboli dei ddl – da quella di Scalfarotto a quella di Gasparri – entrano a gamba tesa sulla libertà di espressione, provando a limitarla con leggi ordinarie. In quei preamboli si citano cifre allarmistiche sull’emergenza, senza mai entrare veramente nel merito: quanti casi riguardano crimini d’odio contro persone perché ebree? E quanti, invece, riguardano ostilità verso lo Stato di Israele per il trattamento riservato ai palestinesi? In nessuno dei ddl la parola “Palestina” compare. Ma come si fa a parlare di Israele senza parlare di Palestina? Vogliono introdurre un divieto di critica nei confronti di uno Stato con cui l’Italia continua a fare affari, affari che non ha sospeso nemmeno nel momento più drammatico del massacro di Gaza. E, soprattutto, imporre una marcatura stretta ai luoghi dove possono nascere idee critiche, come le università. Del resto, il sospetto che si voglia mettere sotto sorveglianza accademici e studenti che protestano per la Palestina, perché le agitazioni negli atenei di mezza Europa hanno messo a rischio gli accordi Horizon (il protocollo UE di associazione con Israele nel campo dell’“innovazione”, dove l’industria bellica ha un ruolo decisivo), è più che legittimo. L'articolo Delrio e Sinistra per Israele dicono ‘lotta all’antisemitismo’, ma colpiscono i pro-Palestina proviene da Il Fatto Quotidiano.
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De Monticelli a Francesca Albanese: “Hai fatto un lavoro di una grandezza incomparabile. Coraggio, la verità ti salva”
Cara Francesca, C’è una cosa importante che voglio dirti prima di tutto. Tu hai fatto e fai un lavoro di una grandezza incomparabile rispetto a quello che facciamo noi professori, o anche gli intellettuali pubblici, e certamente anche gli attivisti, per buona e giusta che sia la loro causa. Non basta dire “un lavoro diverso”, bisogna dire: un lavoro d’altra responsabilità e d’altra taglia, comparabili solo all’intensità e all’estensione del concetto di umanità. Questa frase ha molti sensi. Il primo è: coraggio Francesca, la verità ti salva. Tu hai finalmente incarnato la voce che dovrebbe essere quella del diritto, e diciamolo pure, proprio del suo nucleo “divino”, più divino ancora per chi non crede più a nessun dio: tradurre nel dettato universale della giustizia il grido dei massacrati e degli oppressi, e con questo dare loro la voce e la rappresentanza che non hanno. Non si tratta di rappresentanza politica. No. Questo è uno dei grandi equivoci possibili. Tu li rappresenti nella difesa che ne assumi al cospetto della giurisdizione universale della ragione, cioè della “giustizia universale”, quella che in parte i tribunali internazionali amministrano. Lo sanno i milioni di uomini e donne che pendono dalle tue labbra nel mondo, perché tu rafforzi la loro (già miracolosa) speranza che “esista pure un giudice a Berlino”, nonostante tutto. E non resterà vana, ma inciderà profondamente nella storia, tutta la verità che il lavoro del diritto internazionale ha fatto in questi anni, riuscendo infine, in questi ultimi mesi, a squarciare la spessissima coltre di silenzio e menzogna che riguarda la Palestina e Israele, e con questa, a mostrare più universalmente, in tutto il suo orrore, la tragedia coloniale su cui l’economia occidentale si è fondata, “il gene dormiente” che ancora abita le nostre menti. A mostrarlo anche con le tue parole, rapporti, lezioni, interventi. La tua lezione da Johannesburg è un pezzo da antologia, che bisognerebbe leggere a scuola: anche per la speranza in qualcosa che nasce, e sembra incrinare quella normalizzazione dell’atroce e dell’abnorme che da sempre tu combatti. Ma poi, Francesca, c’è molto altro da dire su questa espressione che i più leggeranno solo come enfatica, la “grandezza” di questo tuo lavoro. Questa grandezza c’entra con la tua persona solo nella misura in cui tu hai reso umana e a tutti comprensibile la voce del diritto, e per questo ho detto che i milioni pendono dalle tue labbra, cosa mai successa per i precedenti relatori speciali. Io ho capito solo vedendoti parlare su tutti i palcoscenici del mondo, oltre che studiando i tuoi rapporti, perché l’ad-vocatus sia in greco il Paracleto, perché il Difensore sia anche il Consolatore. Che poi è lo spirito, quello che si dice “dono di vita”, il soffio che guarisce, ricrea, rinnova, fa rinascere. E’ la sensazione che milioni di persone al mondo hanno provato ascoltando i delegati del Sudafrica parlare di fronte alla Corte internazionale di giustizia dell’Aja, enunciando le ragioni per accusare Israele di genocidio. No, non è enfasi questa. È l’altra faccia della tragedia, e la premessa per capirla. Una tragedia che non travolge (momentaneamente, Francesca, ne sono certa) solo te. Anche a prescindere dalla viltà di espressioni quali “la maestrina dalla penna rossa”, o “dell’estremismo”, che tradiscono forse anche il completo cinismo di chi le scrive, assimilandoti ai “cattivi maestri” che facevano azzoppare gli avversari. Ma nessuno di quelli che ti fanno la lezione sa cosa vuol dire reggere sulle proprie spalle la speranza di milioni di oppressi e l’odio mortale degli altri, i responsabili di questo genocidio e le schiere di complici che ne vivono e ne dipendono, e le loro sanzioni, e le minacce di morte e di violenza che quotidianamente tu subisci. I più, anche a sinistra, sembrano non capire fino in fondo questa tragedia: che una figura dell’universale – cioè della giustizia – possa venire ridotta a figura di parte, non appena l’umanità di questa figura, minacciata quotidianamente di morte, traligni anche di pochissimo dall’altezza del suo destino. Che proibisce a te ciò che è concesso a tutti noi, un minimo sfogo, una parola opaca. E quelli che si limitano soltanto a sottolineare l’errore, la parola sbagliata che c’è stata, perfino quando lo fanno proprio per difendere l’ideale, e non per imbrattarlo, come fa la canea che contro di te si è scatenata: perfino loro, se fanno solo questo e non dicono altro, sembrano ciechi alla questione di fondo. Che ha due aspetti: uno, la tua tragedia personale, l’altro, la tragedia che incombe su noi tutti. Ecco il primo aspetto. Che un’irruzione di un branco di teppisti alla Stampa sia di gravità estrema, tu lo hai detto, l’hai condannata, e tutta la tua vita la condanna. Ma non è estrema anche quella delle omissioni e distorsioni che operano da sempre quasi tutti i giornali su Palestina e Israele, (purtroppo anche alla Stampa, nonostante l’eccezione di alcune grandi voci)? Sì, ma è vero che la libertà di opinione come diritto protegge anche chi omette e chi distorce il vero. Simone Weil arrivò a dire che questo viola un diritto dell’anima – la conoscenza – e va punito. Tu hai lasciato intendere molto di meno: che non si dovrebbe, omettere e distorcere. Ma tutti hanno visto soltanto la giustificazione dell’irruzione, che avevi appena condannato. Ora, alla filosofia importano le relazioni e distinzioni di valore, in assoluto e non nel relativo delle circostanze. E allo spirito del diritto non importa nulla delle conseguenze. Ma tu come persona invece rischi più dell’onda d’odio e perfino più della vita. Tu rischi la vita per una causa che la politica quotidiana relativizza e quindi delegittima. È una solitudine tragica, che nessuno dei tuoi accusatori conosce. Ma questa è anche la tragedia di tutti, quella che da sempre incombe nei rapporti fra politica e verità, politica e giustizia, politica e diritto. Quella che colpì anche Platone, a Siracusa: perché non ci si oppone impunemente alla forza immane dei Leviatani. Una cosa è l’impotenza del diritto, che è contingente, dipende dalla politica. Altra cosa è il miracolo cognitivo che le pronunce del diritto internazionale hanno fatto. Oggi a livello globale “tutti conoscono la verità”, anche quelli che la negano o la rimuovono. Disse Licia Pinelli: “Quando chiedi giustizia, vuoi che tutti conoscano la verità.” Se si delegittimano le persone e le istituzioni la cui grandezza è figura di quella verità, allora restano solo opinioni, solo partiti. E chi abbia ragione e chi torto è soggettivo e imperscrutabile. È abolita la differenza fra il vero e il falso. Prendere posizione è schierarsi, e basta. E questo è tragedia. Ci sguazzano i sofisti e i retori. Socrate morì perché non morisse la figura ideale della verità: la sua grandezza, che dà respiro e salvezza a chi non ha potere. L'articolo De Monticelli a Francesca Albanese: “Hai fatto un lavoro di una grandezza incomparabile. Coraggio, la verità ti salva” proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Di Gaza non si parla più: Israele può continuare ‘il lavoro’
di Rosamaria Fumarola Di Gaza non si parla più. Ciò a cui ambivano Israele ed i suoi sostenitori si è realizzato: continuare “il lavoro” senza il fastidioso cicaleccio dell’opinione pubblica mondiale. La Striscia è stata così di fatto consegnata ai suoi carnefici e la Cisgiordania alla violenta efferatezza dei coloni. Importante è stata tuttavia proprio la reazione generata nei due anni in cui si è consumata la mattanza, che ha segnato un limite oltre il quale l’umanità ha dimostrato di non essere disposta a tollerare il laissez faire consentito a Netanyahu. Se qualcuno ritiene però che tale reazione abbia posto termine alla disumanizzazione ed allo sterminio del popolo palestinese, sarà costretto a ricredersi. La barbarie che si è scatenata in Medio Oriente ha suscitato sì la reazione indignata del mondo e questa ha sollevato un dibattito sull’arroganza del potere esercitato da quella che in molti considerano ancora la sola democrazia in area mediorientale. È forse proprio questo dibattito la sola cosa positiva che il genocidio dei gazawi ha prodotto, perché ha imposto alle coscienze addormentate dell’Occidente interrogativi a cui prima o poi si dovrà dare una risposta e che avrà la responsabilità di imporre con la verità ai criminali un cambiamento, un argine che troppi anni orsono sarebbe dovuto essere imposto. Sintomatico è a tal proposito anche il silenzio caduto su un fenomeno quale la Global Sumud Flotilla, che ha dimostrato che un no può sempre essere detto e che uccidere un attivista è un conto, assassinarne centinaia perché hanno varcato un confine marittimo, peraltro illegittimo è altra cosa. Non riconoscere il ruolo determinante della Flotilla, che ha rappresentato una spina nel fianco dell’Occidente complice di Netanyahu e che è stata capace di risvegliare l’opinione pubblica mondiale, racconta molto meglio di tanti discorsi che a Gaza ed in Cisgiordania la persecuzione dei palestinesi non è destinata a lasciare il posto ad un vero cessate il fuoco. Va detto che la complessa situazione che Israele – dopo la sua nascita nel 1948 ed il suo essere ormai per legge uno stato confessionale – ha di fatto posto in essere un’anomalia che il tempo ha complicato, anche grazie ad una politica di violenza ed odio alla quale non ha mai abdicato. Gli orrendi fatti di cui si è reso responsabile hanno dimostrato che è necessario che questa democrazia sui generis comprenda che deve incominciare a fare un passo indietro e che se abbandonare quelle terre acquisite decenni fa non è possibile, almeno deve recedere dalla politica genocidaria e della ulteriore usurpazione territoriale. Solo questo fornirebbe la prova di un interesse concreto a dare avvio al processo di pace. Diventa fondamentale ora più che mai non cedere al disinteresse, ma restare vigili su quanto accadrà a Gaza ed in Cisgiordania, imparando a formulare accuse per ogni abominio di cui Israele si renda responsabile, affinché risponda dei propri atti puntualmente. Pagare per crimini tanto grandi è quasi impossibile, lo so, ciò che invece è auspicabile è un processo di riconciliazione che parta da un’ammissione di colpevolezza. Il regime segregazionista dell’apartheid in Sudafrica, prese anch’esso avvio nel 1948. Alla ricomposizione della dolorosa frattura tra neri ed afrikaners si giunse solo nel 1994, a cui contribuì l’istituzione della Commissione di Verità e Riconciliazione da parte di Nelson Mandela e che diede finalmente avvio alla pace. Mandela è stato a lungo presidente del Sudafrica. In molti gli rimproverano di non aver portato a compimento tutte le riforme ed i cambiamenti che il suo popolo si aspettava, ma tutto ciò era in fondo prevedibile. La storia ha bisogno di tempi lunghissimi per portare davvero alla nascita di democrazie compiute. La cosa certa è che però questo non accade senza che il percorso di pace prenda avvio dal riconoscimento della Verità e della responsabilità delle colpe. Solo dopo può avere inizio il nuovo tempo della Riconciliazione. IL BLOG SOSTENITORE OSPITA I POST SCRITTI DAI LETTORI CHE HANNO DECISO DI CONTRIBUIRE ALLA CRESCITA DE ILFATTOQUOTIDIANO.IT, SOTTOSCRIVENDO L’OFFERTA SOSTENITORE E DIVENTANDO COSÌ PARTE ATTIVA DELLA NOSTRA COMMUNITY. TRA I POST INVIATI, PETER GOMEZ E LA REDAZIONE SELEZIONERANNO E PUBBLICHERANNO QUELLI PIÙ INTERESSANTI. QUESTO BLOG NASCE DA UN’IDEA DEI LETTORI, CONTINUATE A RENDERLO IL VOSTRO SPAZIO. DIVENTARE SOSTENITORE SIGNIFICA ANCHE METTERCI LA FACCIA, LA FIRMA O L’IMPEGNO: ADERISCI ALLE NOSTRE CAMPAGNE, PENSATE PERCHÉ TU ABBIA UN RUOLO ATTIVO! SE VUOI PARTECIPARE, AL PREZZO DI “UN CAPPUCCINO ALLA SETTIMANA” POTRAI ANCHE SEGUIRE IN DIRETTA STREAMING LA RIUNIONE DI REDAZIONE DEL GIOVEDÌ – MANDANDOCI IN TEMPO REALE SUGGERIMENTI, NOTIZIE E IDEE – E ACCEDERE AL FORUM RISERVATO DOVE DISCUTERE E INTERAGIRE CON LA REDAZIONE. SCOPRI TUTTI I VANTAGGI! L'articolo Di Gaza non si parla più: Israele può continuare ‘il lavoro’ proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Sumud Flotilla, lo scrittore Vanni Bianconi: “Un’esperienza difficile da ripetere, ma i veri eroi sono i palestinesi, non noi che eravamo a bordo”
Sulla Flotilla ci tornerebbe, ma “non è detto che la seconda volta avrà la stessa attenzione mediatica della prima” e allora, anche con molte più barche, si rischia pure “che qualcuna la affondino”, dice Vanni Bianconi, scrittore e poeta svizzero del Canton Ticino, che ha scritto il primo libro sulla Global Sumud Flotilla. Si chiama “Wahoo! Un’Odissea al contrario”, edito da Marcos y Marcos. Dopo Locarno lo presentano oggi 3 dicembre a Milano alla Libreria del Convegno (ore 19) e il 17 dicembre a Roma (Libreria Giufà). Wahoo! è la barca di cui Bianconi era l’organiser, il responsabile politico, anche se non è un attivista. L’abbiamo conosciuto con le fascette ai polsi sul blindato che ci trasferiva dal porto di Ashdod al carcere di Keziot, prima col riscaldamento acceso e poi con l’aria condizionata gelida. Ci siamo ritrovati insieme a Istanbul, riportati indietro dal governo turco con tutti gli onori: “Non è che arriva anche Erdogan?”, si chiedeva Bianconi, con una certa preoccupazione. “Ma le battaglie non puoi farle tutte insieme”, taglia corto ora. Ai primi 26 italiani rimpatriati ha pagato tutto la Turchia, agli svizzeri la Confederazione ha invece ha presentato il conto: “A me hanno chiesto 300 franchi, ad altri anche mille”, dice Bianconi. Nato nel 1977, vive tra Londra e Locarno, è stato responsabile dei programmi culturali della Radiotelevisione svizzera italiana, tra i creatori della rivista plurilingue www.specimen.press e della piattaforma internazionale di podcast www.tornasole.audio, le sue poesie sono state tradotte in dodici lingue. Ha scritto un libro denso, cronaca e diario di bordo ma anche opera letteraria, dove i droni si mescolano alle stelle e l’Odissea al contrario è il viaggio verso l’inferno di Gaza. Lì però lo aspettava Qasem Waleed, un giovane fisico che racconta il genocidio su Al Jazeera, sfollato nove volte dal 7 ottobre 2023: gli scriveva mentre Bianconi navigava e il libro si chiude con una conversazione tra i due, lo svizzero e il palestinese. I diritti d’autore serviranno a ricostruire la casa della famiglia di Qaseem a Khan Younis. C’è chi ha fatto una certa fatica a tornare alla vita normale. È successo anche a te? Mi è successo a gennaio, quando sono tornato dalla Cisgiordania. Lì era difficile, ero a Tubas, non è lontano da dove hanno picchiato i tre italiani e la canadese qualche giorno fa. Stavo con i beduini, gli israeliani spaccano i denti anche ai loro figli, gli distruggono le cose, gli uccidono le pecore e loro non si lamentano. E poi sono tornato in Svizzera dove c’è tutto e di più e una lamentela costante: ho fatto molta fatica. Stavolta tra scrivere, fare incontri e andare nelle scuole non mi sono ancora fermato un attimo, non ho avuto neanche tempo di fare fatica. Atterrare correndo, come dicono in inglese. Qaseem Waleed come l’hai conosciuto? Avevo letto su Al Jazeera alcuni suoi articoli in cui da giovane scienziato, usando metafore della scienza anche complesse come il gatto di Schrödinger, riusciva a prendere l’immaginazione e a farti soffrire di nuovo mentre rischiamo di essere assuefatti dal numero di morti, non riusciamo più a sentire il dolore e la rabbia. Gli ho chiesto allora di scrivere un podcast per una mia piattaforma, ha scritto un testo bellissimo e poi un designer invece di fare un sound design col violoncello accorato ha fatto una cosa di fantascienza con un sintetizzatore, rompendogli la voce. Una modalità molto gazawi, palestinese, che con irriverenza e genialità riparte dalle cose distrutte e dolorose per andare avanti. Siamo rimasti in contatto e mentre navigavo mi mandava i video: ci invitava a pranzo a casa a sua ma non ha più la casa, mi offriva la la maqluba di sua madre (un piatto palestinese, ndr) ma non c’è cibo. Nell’ultimo video, la notte dell’intercettazione diceva: ‘Non posso credere che lo sto dicendo ma penso davvero che ce la potreste fare’. Sapevano come noi che era molto difficile. Poi quando sono tornato ci siamo parlati, lui non aveva mai fatto videochiamate dal 7 ottobre, ci siamo parlati per 4 ore, ogni volta cadeva Zoom e doveva riattivare la connessione. Sei andato tante volte in Palestina? Ero andato a Ramallah per la Qalandiya International, una biennale d’arte, nel 2015, e poi a gennaio. Altre flottiglie in passato mai? No, io non sono un attivista. Finora avevo sempre lavorato con la scrittura, con la cultura. Ero in Bosnia nell’estate del ’24 con l’angoscia per Gaza e stare a Sarajevo, dove la gente ti parla ancora dell’assedio e della guerra, mi ha mandato in crisi. La storia non è una tragedia dopo l’altra, ci sono momenti che definiscono il nostro tempo e chi siamo noi. Mi sono reso conto che sulla guerra jugoslava ho scritto poesie, avevo 17/18 anni, non ho mai pensato di metterci il corpo, di fare qualcosa. E mi sono promesso che non sarebbe più bastato, in una poesia ho promesso che mi sarei alzato e sarei andato. Dopo il 7 ottobre c’era solo l’International solidarity movement per andare, a Ramallah ci hanno fatto un training serio: chi sono i coloni, che proiettili usano, ogni venti minuti dicevano ‘voi potete morire’… Abbastanza tosto. Sono andato a nord nella valle del Giordano, dove ci sono gli ultimi degli ultimi, le famiglie di beduini che fanno il lavoro di uno Stato: papà, mamma, dieci figli, cento capre… quando li fanno fuori la terra viene presa. E loro stanno lì, sanno che non c’è speranza ma resistono. È stato il mio primo gesto da attivista, col tuo passaporto svizzero ti metti in mezzo, come gli italiani che hanno picchiato adesso, cerchi di de-escalare la violenza e di documentare. Poi ho fatto il tentativo della Global March a giugno in Egitto e gli svizzeri mi hanno chiesto di essere responsabile di una barca della Sumud. Scrivi che c’erano pochi intellettuali e artisti sulle barche, forse è anche vero se pensiamo a figure tradizionali. Ma perché? Persone colte e creative ce n’erano tante, scrittori o artisti visivi meno. Ho visto attivisti puri e poi le dimensioni legate all’Islam o alla Malesia, gli influencer, ma artisti nel senso delle arti liberali ne ho incontrati pochi. Almeno così mi è sembrato. Si prepara un’altra Flotilla ancora più grande per la prossima primavera, pensi di andare? Spererei di no, ho una vita, una figlia, genitori vecchi. Però questo finto cessate il fuoco, il fatto che la gente ci creda… La Svizzera italiana è un contesto piccolo, musone e lamentoso, eppure abbiamo smosso dal torpore e dall’apatia masse di ogni generazione, di ogni estrazione. Dovunque mi fermassi c’erano dieci persone che venivano: chi piangeva, chi mi abbracciava, chi mi insultava perché non aveva dormito tre notti… È durato per settimane e ancora adesso succede. L’hai scritto nel libro: non siamo eroi, semmai lo sono i gazawi che trovano pure la forza di solidarizzare con noi… Quella è la cosa più incredibile. Non solo la loro resistenza in questi due anni e in questi 77 anni. E non solo che con la loro coerenza e sumud offrono uno specchio al mondo in cui individui e società vedono riflesse le proprie ipocrisie e le proprie inadempienze. Ma anche il modo in cui resistono, con delicatezza, cura, humour, generosità per il mondo che, così spesso, quello specchio lo usa solo per mettersi un po’ più di cipria. C’è una parola araba che riassume questo ed altro: adab. Letteratura, buone maniere, etica, delicatezza. È il titolo dell’ultima parte del libro. Ma insomma ti rimetteresti su una barca per Gaza? Tante persone sono state toccate e ora invece l’opinione più ampia si sta di nuovo riaddormentando. Questo rende necessario per chi ci è passato, per chi inizia avere qualche conoscenza su come può funzionare una Flotilla, essere di nuovo in prima linea. Con tante barche è anche possibile che qualcuna passi e arrivi a Gaza. Sì, è possibile, ma è anche possibile che qualcuna la affondino. Un giornalista di Arabiya, che era imbarcato e poi è sceso durante l’attesa estenuante in Sicilia, mi ha detto che la strategia israeliana era di colpirne uno per educarne cento. Sarebbe potuto succedere, secondo fonti che ritiene affidabili, se non avessero fatto l’errore dei cordoni incendiari e non si fossero mosse, di conseguenza, le diplomazie sottotraccia e le fregate mandate da Italia, Spagna e Turchia. Non sono sicuro che un’altra Flotilla avrebbe la stessa attenzione mediatica della prima. Le fragili barche arcaiche che vanno contro il mostro erano un gesto poetico e ha funzionato. Le Mille Madleen che sono andate dopo di noi, più fighe e con più artisti, molto meno. Ma funzionerà ancora una narrazione così simile? Vedo che c’è anche un altro progetto di portare lì cinque grandi navi con molti medici. Si passerebbe da un discorso poetico, le fragili barche con sopra i civili, a Grey’s Anatomy: cosa c’è di più giusto che portare lì medici, infermieri e farmaci? Io voglio esserci, ma vorrei anche una riflessione. Questa volta c’è tempo. Ultima cosa: la parola Cipro non c’è mai nel libro… Cipro? Vuoi dire cipria? (ride, ndr) Mentre in Italia e nella delegazione italiana si parlava molto di Cipro, del tentativo cioè di portare gli aiuti umanitari lì dirottando la Flotilla, l’organizzazione nel complesso non ha mai preso in considerazione questa ipotesi. Sulla tua barca non se n’è neanche parlato? Non avremmo accettato, saremmo andati dritti. È cipria, è far finta di trovare una soluzione. Lo sai tu e lo so io che gli aiuti umanitari c’erano, erano importanti e però erano simbolici. Erano fermi allora e sono fermi ancora adesso al valico di Rafah. La questione non era ‘dateci gli aiuti che li portiamo noi’: era aprire il corridoio e poi gli aiuti veri sarebbero arrivati. L'articolo Sumud Flotilla, lo scrittore Vanni Bianconi: “Un’esperienza difficile da ripetere, ma i veri eroi sono i palestinesi, non noi che eravamo a bordo” proviene da Il Fatto Quotidiano.
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L’insegnante di Genova e le polemiche per la foto con bambini e genitori in piazza per lo sciopero generale
“Oggi si sciopera. Insegnanti, genitori e bambini e bambine. Sempre fiera della mia scuola e della sua partecipazione. Perché non possiamo che occuparci dei bambini e delle bambine di tutti e tutte. Anche quelli lontano da noi. Siamo i loro occhi e la loro voce. Ce lo chiede la nostra Costituzione. W la Daneo W la scuola pubblica W Genova resistente. W la Palestina libera”. Sotto questo post pubblicato sul profilo Facebook della maestra e scrittrice, che insegna all’istituto “Daneo” di Genova, Cinzia Pennati, la foto di otto donne e sei bambini e bambine tra cui uno avvolto nella bandiera palestinese. Sullo sfondo i vessilli dei sindacati di base che venerdì scorso hanno proclamato lo sciopero generale di 24 ore contro la manovra finanziaria – improntata, per gli organizzatori, a “un’economia di guerra”- e per la Palestina. Uno scatto fotografico che ha sollevato parecchie polemiche tanto da ricevere oltre sei mila commenti tra i quali molte critiche come “Brava insegnante che prepara i bambini per i centri sociali ma i genitori dove sono?”. Oppure “Poveri bambini trascinati nell’ignoranza…”. Tra i tanti anche chi difende la maestra: “Ci fossero più insegnanti come lei, forse ci sarebbero meno risposte maleducate. Grazie per l’esempio che state dando” o “Bravissimi…insegnate l’altruismo e il rispetto dei diritti umani”. Il post dell’insegnate continua così: “W la scuola capace di dissentire da un governo che spende più soldi in armamenti, sovvenziona le scuole private e taglia fondi alle scuole pubbliche. Un governo che mette bavagli. Ps: tesserata Cgil da 28 anni, sono un po’ stanca di difese tiepide e divisioni. Si scende insieme. Si lotta insieme. Grazie Francesca Albanese Greta Thunberg e Thiago Avila. Ps: per questo venerdì di sciopero ho una trattenuta di 85 euro circa, che pesa sul Tfr e sulla pensione. Guai a chi mi parla di scelta di scioperare per stare a casa! Informatevi”. Parole che hanno sollevato un polverone. Pennati, contattata da ilfattoquotidiano.it, spiega: “Non ho molto da dire. Come lavoratrice ho esercitato il mio diritto di sciopero. I bambini e le bambine li ho incontrati con le loro famiglie in manifestazione. Come risulta dalla fotografia ciascuno era con il proprio genitore”. L’insegnante, che ha pubblicato diversi libri (tra cui l’ultimo “Questione di famiglia” per Sperling & Kupfer), a Genova è molto nota: da oltre vent’anni lavora come insegnante, si occupa di scrittura espressiva ed è formatrice. Nel dicembre 2016 ha aperto un blog, sosdonne.com, che tratta tematiche femminili e si rivolge a una community di oltre 30 mila follower. Un caso che non è passato inosservato al deputato leghista Rossano Sasso che sempre da Facebook ha attaccato la scrittrice: “Una maestra elementare che ha pubblicamente gioito per aver visto in piazza con sé anche bambini di sette anni, probabilmente i suoi alunni. Questo è quanto emerge da quanto la stessa insegnante, tale Cinzia Pennati, attivista politica già candidata con il centrosinistra in Liguria e mai eletta, ha pubblicato sui suoi canali social con tanto di foto. Si vedono alcuni bambini in maniera nitida (e quindi senza nemmeno oscurare il volto, come prescrive la normativa) bardati di bandiere palestinesi e kefiah, novelli propal infanti che anziché essere in classe erano in piazza insieme a bandiere rosse e simboli islamici. Voglio sperare e anzi, sono quasi certo che (ahimè) insieme ai bambini ci fossero anche i genitori, perché altrimenti saremmo dinanzi a qualcosa di molto grave”. A tutti, intanto, con garbo, Pennati, sul social sul social replica così: “Rispondo qui un grazie a chi mostra vicinanza e sentire. A chi usa parole di dissenso con spirito critico. Per chi è violento e insultante non voglio spendere nemmeno un attimo del mio tempo, oltre questa frase”. L'articolo L’insegnante di Genova e le polemiche per la foto con bambini e genitori in piazza per lo sciopero generale proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Albanese: “Raccapricciante disumanizzazione del popolo palestinese, se vengono uccise 300 persone in un mese non fa notizia”
“C’è una raccapricciante disumanizzazione del popolo palestinese. Ora si legge che 300 persone uccise dall’inizio del cessate il fuoco sono poche”. Lo ha detto Francesca Albanese, Relatrice Speciale delle Nazioni Unite sulla situazione dei diritti umani nei territori palestinesi occupati, ospite di Luca Sommi ad Accordi&Disaccordi, sul Nove. “Risoluzione Onu? È stato il punto più basso della storia delle Nazioni Unite. È servito per ammutolire l’opinione pubblica mondiale, dire ‘vedete, c’è il cessate il fuoco, smettete di scendere in piazza a protestare e tornate a lavorare'”. L'articolo Albanese: “Raccapricciante disumanizzazione del popolo palestinese, se vengono uccise 300 persone in un mese non fa notizia” proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Ucraina, il Papa: “Piano Trump proposta concreta per la pace”. E sulla Palestina: “Israele non accetta soluzione due Stati”
“La Santa Sede già da diversi anni pubblicamente appoggia la soluzione dei due Stati. Sappiamo tutti che in questo momento Israele ancora non accetta questa soluzione, ma la vediamo come unica soluzione al conflitto che continuamente vivono” israeliani e palestinesi. Lo ha detto Papa Leone XIV parlando con i giornalisti a bordo del volo che lo ha portato da Istanbul a Beirut nell’ambito del suo viaggio in Turchia e Libano. “Noi siamo anche amici di Israele e cerchiamo con le due parti di essere una voce mediatrice che possa aiutare ad avvicinarci a una soluzione giusta per tutti”, ha aggiunto. Prevost afferma di aver “parlato di questo” con il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan, che, dice, “è certamente d’accordo” sull’ipotesi dei due Stati: “La Turchia potrebbe giocare un ruolo importante in questo”, ha sottolineato. Leone ha anche elogiato la Turchia per aver favorito, “qualche mese fa”, i nuovi colloqui di Istanbul tra Ucraina e Russia: “Il presidente Erdoğan ha aiutato molto a convocare le due parti. Ancora non abbiamo visto purtroppo una soluzione, però ci sono oggi di nuovo proposte concrete per la pace”, ha aggiunto, in riferimento al piano di Trump. “Speriamo che Erdoğan, con i suoi rapporti con i presidenti di Russia, Ucraina e di Stati Uniti possa aiutare a promuovere il dialogo, il cessate il fuoco e risolvere questo conflitto, questa guerra in Ucraina. Certamente abbiamo parlato di tutte e due le situazioni“, ha detto, riferendosi al conflitto in Europa e a quello in Medio Oriente. L'articolo Ucraina, il Papa: “Piano Trump proposta concreta per la pace”. E sulla Palestina: “Israele non accetta soluzione due Stati” proviene da Il Fatto Quotidiano.
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