La commissione Anticamorra della Regione Campania saluta e chiude i lavori per
fine legislatura con un dossier sull’uso abnorme degli affidamenti diretti per
le forniture alle Asl campane nel periodo 2020-2023. Nei giorni scorsi la
presidente uscente Carmela Rescigno (Lega), ricandidata e non rieletta in
Consiglio, ha consegnato il rapporto nelle mani del procuratore di Napoli Nicola
Gratteri. Dal documento risulta che nelle Asl di Caserta e Salerno la
percentuale degli affidi diretti in alcuni lunghi periodi temporali ha raggiunto
il 100%.
In generale, emerge come le strutture delle Asl preposte all’approvvigionamento
di beni, servizi e lavori abbiano fatto un uso larghissimo degli affidamenti
diretti, fino a superare in molti casi il 90% e comunque “in misura percentuale
tale da destare non pochi dubbi e perplessità sulla legittimità dei relativi
atti di affidamento” secondo Rescigno, che ricorda inoltre l’utilizzo di
“numerose procedure negoziate senza la pubblicazione del bando di gara, che è
prevista dalla legge”.
Il dossier è frutto dell’opera di un comitato di vigilanza e investigazione
composto dai rappresentati di tutte le forze dell’ordine e della Direzione
investigativa antimafia, tra cui il dirigente di Polizia Nicola Donadio,
referente nazionale del Siulp. Del comitato ha fatto parte Salvatore Carli,
consulente tecnico di diverse procure campane ed esperto in materia di appalti
pubblici.
I dati sono stati raccolti attraverso il portale Anac, i siti web delle singole
Asl ed il portale Open Data della Regione Campania. Nel periodo considerato sono
stati analizzati oltre 120.000 lotti di appalto, per un valore complessivo
stimato superiore a 3 miliardi di euro. Il picco di attività si è registrato nel
2020, in corrispondenza della prima ondata pandemica. Nel biennio successivo c’è
stata una graduale normalizzazione. Dai grafici allegati al rapporto (nella
foto) risulta che i valori più alti degli affidamenti diretti sia in termini di
lotti che di valori sono quelli delle Asl di Caserta e Salerno.
Quanto ai dubbi sollevati da Rescigno sulla legittimità degli atti di
affidamento, resteranno sospesi. Con l’abrogazione dell’abuso d’ufficio è
diventato quasi impossibile – in assenza di reati ‘spia’ tipo turbative d’sta o
tangenti – dare risposte a questi interrogativi.
L'articolo “Uso abnorme degli affidamenti diretti per le forniture alle Asl, a
Caserta e Salerno picchi del 100%”: il dossier dell’Anticamorra campana proviene
da Il Fatto Quotidiano.
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Calo dell’affluenza diffuso in tutte le tre Regioni chiamate ad eleggere i nuovi
presidenti e i consiglieri regionali. Alle 12 in Campania si è recato alle urne
l’8,25% degli aventi diritto, -3,07% rispetto al 2020 quando alla stessa ora
aveva votato l’11,32%. In Puglia i dati dell’affluenza alle 12 si fermano
all’8,53%, percentuale in calo di 3,5 punti rispetto al 12,04% di cinque anni
fa. Leggermente superiore il dato del Veneto. Alle 12 ha votato il 10,10% degli
aventi diritto, segnando però un calo dell’affluenza superiore rispetto alle
altre due Regioni: -4,64%, nel 2020 infatti alle 12 si era già recato alle urne
il 14,74%.
SI VOTA ANCHE LUNEDÌ FINO ALLE 15
Le urne sono aperte fino alle 23 di oggi. Si vota anche domani dalle ore 7 alle
15, poi via allo spoglio. Si conosceranno così i nomi dei tre nuovi governatori
di Veneto, Campania e Puglia. L’unico dato certo è che si chiude l’era di Luca
Zaia, Vincenzo De Luca e Michele Emiliano alla guida delle rispettive Regioni.
Se il Veneto arriva da 15 anni a guida centrodestra con Zaia, il centrosinistra
punta alla riconferma nelle due elezioni regionali in programma al Sud.
Quest’anno, nel duello a distanza tra le coalizioni, si parte dal 2-1 per la
maggioranza di governo, vincente in Calabria e nelle Marche con gli uscenti
Roberto Occhiuto (Fi) e Francesco Acquaroli (Fdi). Mentre il campo progressista
è tornato al successo in Toscana con la riconferma del dem Eugenio Giani.
VENETO
In Veneto Alberto Stefani, 33enne vicesegretario e deputato della Lega, punta a
essere il successore di Zaia a Palazzo Balbi e il governatore più giovane
d’Italia. Il “Doge”, presidente uscente, che nel 2020 era stato riconfermato con
il 77% delle preferenze, sarà capolista della Lega in tutte le Province venete,
per provare a dare la spinta al Carroccio nel derby tutto interno alla destra
con i meloniani di Fratelli d’Italia. Sono sette le liste che sostengono il
campo progressista guidato da Giovanni Manildo, ex sindaco Pd di Treviso. Gli
altri tre candidati sono Marco Rizzo (Democrazia Sovrana Popolare), Fabio Bui
per la lista “Popolari per il Veneto” e Riccardo Szumski per “Resistere Veneto”.
CAMPANIA
In Campania si vota, invece, per il post Vincenzo De Luca, per dieci anni alla
guida della Regione. Il centrosinistra sostiene Roberto Fico, ex presidente
della Camera del M5s. Per il centrodestra, invece, è in corsa Edmondo Cirielli,
viceministro degli Esteri e deputato di Fratelli d’Italia. Alla poltrona più
alta di Palazzo Santa Lucia ambiscono anche Stefano Bandecchi, sindaco di Terni,
con ‘Dimensione Bandecchi”, Giuliano Granato, portavoce di Potere al Popolo,
Carlo Arnese per “Forza del Popolo” e Nicola Campanile, candidato della lista
“Per – per le persone e la comunità”.
PUGLIA
La terza sfida alle urne è in Puglia, dove Antonio Decaro, europarlamentare del
Pd ed ex sindaco di Bari, guida la coalizione del centrosinistra e punta a
subentrare al governatore uscente dem Michele Emiliano (presidente della Regione
dal giugno del 2015). Per il centrodestra, invece, il nome scelto è quello
dell’imprenditore barese, Luigi Lobuono, civico di Forza Italia ed ex presidente
della Fiera del Levante. In corsa ci sono anche altre due candidati: Ada Donno
con “Puglia Pacifista e Popolare” e Sabino Mangano, ex consigliere comunale M5s
di Bari, con la lista “Alleanza Civica per la Puglia”.
LE COMUNALI
Contemporaneamente alle Regionali si tiene anche il turno elettorale
straordinario nei comuni sciolti: Monteforte Irpino (Avellino), Caivano
(Napoli), Acquaro e Capistrano (Vibo Valentia).
L'articolo Elezioni regionali, urne aperte. Affluenza in calo: in Campania ha
votato l’ 8,25%, in Puglia l’8,53% e il 10,10% in Veneto proviene da Il Fatto
Quotidiano.
di Francesco Miragliuolo*
L’ultima settimana di campagna elettorale è iniziata: domenica 23 e lunedì 24
novembre noi campani voteremo per eleggere il prossimo Presidente della Giunta e
il nuovo Consiglio regionale. Eppure, dai sondaggi, ciò che dovrebbe
preoccuparci di più è il dato degli astenuti, che dovrebbe aggirarsi intorno al
64% secondo Ipsos. Un dato tutt’altro che rassicurante.
Dovremmo tutti interrogarci su come e quando si sia generata questa frattura, e
soprattutto perché.
Un primo elemento è sicuramente il trionfo del capitalismo, così come era stato
prefigurato nella visione thatcheriana: qualcosa che “non si può cambiare”,
destinato soltanto a radicalizzarsi. E infatti questa sembra la tendenza verso
cui ci stiamo muovendo, se pensiamo che ormai, in moltissimi Paesi, quel modello
ha piegato a sé anche il diritto pubblico, orientandolo verso ciò che il prof.
Alberto Lucarelli definisce “riformismo della governance”: quel tipo di riforme
che, invece di restituire potere ai cittadini, si limitano a riorganizzare la
macchina amministrativa — nuove procedure, nuovi organigrammi, nuovi strumenti
di controllo — senza incidere mai sui rapporti di forza.
È un riformismo che parla il linguaggio della gestione, non quello della
democrazia: la politica viene sostituita dalla tecnica, il conflitto dalla
retorica dell’efficienza. Si cambia tutto perché, in realtà, non cambi nulla.
L’altro grande motivo della frattura tra rappresentati e rappresentanti è il
venir meno di quella “democrazia dei partiti” immaginata dai costituenti. I
partiti, oggi, sembrano incapaci di costruire un’idea di mondo e, a partire da
quella, selezionare la propria classe dirigente. È venuta meno la funzione
pedagogica, comunitaria, culturale della politica, e questo ha lasciato un vuoto
che l’individualismo non è riuscito a colmare. Che fare, allora? Nel suo volume
Il costituzionalismo tra tradizione e prassi (ESI), il professor Lucarelli
ricorda che l’unica via d’uscita non è rassegnarsi alla tecnocrazia, ma
ricostruire ciò che definisce una “teologia civica”: una comunità di cittadini
capace di tornare vero contro-potere, guardiano permanente delle istituzioni.
Non un civismo di facciata, fatto di buone maniere e campagne social, ma una
partecipazione concreta, organizzata, capace di controllare, criticare e
orientare le scelte di chi governa.
È questa partecipazione reale che permette di superare la dicotomia fra diritto
e realtà, fra tradizione e prassi.
Il diritto, infatti, vive solo se diventa azione collettiva, e l’esperienza dei
beni comuni — dall’acqua pubblica alla cura dei territori — ha mostrato che
quando il diritto si mette al servizio della pratica sociale può diventare
trasformativo.
È ciò che Arendt chiamava democrazia militante: una democrazia capace di
difendersi quando è minacciata. Per comprendere il ruolo del voto, bisogna
tornare ai fondamenti.
L’articolo 1 della Costituzione indica che la sovranità “appartiene al popolo”.
Quel verbo non lascia spazio a equivoci: la sovranità resta ai cittadini, non è
una delega in bianco. Se lo leggiamo insieme all’articolo 48, appare chiaro che
il voto non è un atto episodico ma il compimento di un percorso di
partecipazione: è personale, libero, uguale e segreto proprio perché presuppone
discernimento, responsabilità, consapevolezza. Altrimenti — come avverte Luciano
Canfora — rischiamo di scivolare nell’elezionismo, la riduzione della democrazia
a un rito svuotato, a un gesto privo di legame con la vita pubblica.
L’alternativa sta nella ricostruzione di quello che Lucarelli definisce
populismo democratico: una partecipazione popolare vigile, permanente, capace di
esercitare pressione sulle istituzioni e di rinnovare la rappresentanza dal
basso.
È da qui che può prendere forma quella “democrazia progressiva” di cui parlava
Togliatti: una democrazia che non si limita a conservare, ma avanza, include, si
espande nella società, amplificando gli spazi di sovranità popolare. Allora ecco
che il voto è il primo passo per ridare dignità a noi stessi, come cittadini —
cittadini intesi come comunità che si fa Stato — ricordando che il voto non è un
rituale, ma un esercizio concreto di responsabilità: il punto da cui riparte una
rappresentanza più forte, più esigente, più vicina ai bisogni reali della
Campania.
Rinunciare al voto significa lasciare che altri decidano al nostro posto;
esercitarlo significa tornare protagonisti del futuro di questa terra.
* Studente di Giurisprudenza presso l’Università Federico II di Napoli e
attivista politico
L'articolo Il problema delle regionali non è chi vincerà, ma quanti non
voteranno proviene da Il Fatto Quotidiano.
“Altro che crisi internazionali, legge di bilancio, sicurezza o sanità. Ogni
giorno c’è un parlamentare di Fratelli d’Italia che scrive del mio gozzo. Noi
rispondiamo con proposte, idee, programmi per la nostra Campania. Anche oggi.
Non guardiamo alle offese ma al futuro. Così dalla splendida Procida, sul gozzo
di cui parla ossessivamente il partito della presidente del Consiglio da una
settimana a questa parte”. Un “comizio originale” dal gozzo oggetto delle
polemiche dei giorni scorsi per il candidato del centrosinistra in Campania
Roberto Fico. Nel video si vede Fico in piedi sulla passerella dell’imbarcazione
ormeggiata a Procida rivolgersi agli elettori: “Siamo una rete e non ci fermano
con le schifezze che vogliono far passare su di me e su tutti noi perché –
spiega ai presenti – offendono non solo me ma tutte le persone con cui facciamo
un lavoro serio e onesto”.
L'articolo Fico fa il comizio sulla barca delle polemiche: “Non ci fermano con
le schifezze” – Video proviene da Il Fatto Quotidiano.
Non si appiana lo scontro sul condono edilizio che Fratelli d’Italia vuole
riaprire in Campania, proprio quando manca una settimana al voto. L’ultima di
una lunga serie di mance elettorali, compresa la proposta che il candidato
presidente Edmondo Cirielli sbandiera da giorni: 100 euro in più al mese per i
pensionati con la minima. Dopo gli attacchi delle opposizioni e la parziale
frenata di Forza Italia, direttamente con Antonio Tajani, c’è un altro ministro
che interviene nel dibattito. Il capo del Viminale, Matteo Piantedosi, irpino,
non ha usato mezzi termini per promuovere l’idea del partito di Giorgia Meloni:
“I condoni, le sanatorie, le regolarizzazioni, valgono solo se servono a
perseguire obiettivi politici? Non capisco perché la parte politica che si
contrappone al condono e a quello che il governo vuole fare propone sanatorie in
materia di irregolarità della posizione di soggiorno degli immigrati?”.
E ha aggiunto: “Condonare significa, a determinate condizioni, mettere in regola
vecchie procedure, resettare e ripartire – aggiunge – Credo che sia
un’operazione di buon senso consentire anche ai cittadini campani di fare
qualcosa che fu consentito ai cittadini di altre 19 regioni italiane”. Per Elly
Schlein è invece una mossa che cristallizza le difficoltà del centrodestra: “È
la vecchia politica, non mi sorprende – ha detto la segretaria del Pd – È la
vecchia politica che sotto elezioni, nella disperazione, a pochi giorni
dall’appuntamento elettorale, rispolvera un condono di Berlusconi” che risale al
2003. Lo sfidante di Cirielli, Roberto Fico, è tornato a criticare pesantemente
le due idee del centrodestra giudicandole un “inganno” di chi è “disperato” a
una settimana dal voto. “Non abbiamo paura di questa destra – ha concluso Fico –
ormai manca polo, lavoriamo fino all’ultimo e andiamo a vincere queste
elezioni”.
Da destra sono anche piovute accuse allo stesso ex presidente della Camera,
rispolverando una vecchia vicenda. A riciclare la vicenda è stata La Verità:
“Mentre si scandalizzano a sinistra e Fico fa dichiarazioni e post contro il
condono, scopro dai giornali che lui stesso ne ha usufruito qualche anno fa per
la sua villetta sul lungomare nel Lazio. Se il criterio di Fico è quello di
impedire ai cittadini di fare quello che ha fatto lui, ci deve spiegare perché
lui si sente più importante rispetto ai cittadini o deve avere dei privilegi
rispetto agli altri cittadini”. Secca la riposta del candidato governatore: “Si
precisa, come già fatto circa dieci anni fa, che la richiesta di sanatoria non è
stata fatta dal presidente Fico né dalla sua famiglia, bensì dal precedente
proprietario della casa di San Felice Circeo negli Anni ottanta. È quindi
semplicemente falso sostenere che abbia richiesto un condono o una sanatoria”.
L'articolo Condono edilizio in Campania: nuovo scontro FdI-opposizioni.
Piantedosi: “La sanatoria è ok solo per i migranti?” proviene da Il Fatto
Quotidiano.