Un altro sondaggio incoraggia il fronte dei contrari alla riforma Nordio. Una
rilevazione di YouTrend per SkyTg24, pubblicata martedì 10 dicembre, conferma
che in vista del referendum di primavera la distanza tra il Sì e il No si è
ridotta a circa sei punti: attualmente il 53% di chi ha già deciso il proprio
orientamento voterebbe per confermare la modifica costituzionale voluta dal
ministro della Giustizia, il 47% per bocciarla. Il sondaggio non fornisce il
dato degli indecisi, ma stima un’affluenza alle urne pari al 56% (i referendum
costituzionali, ricordiamo, non prevedono il quorum del 50% +1).
Il commento sottolinea che il vantaggio del Sì è in calo rispetto al 56% contro
44% stimato a inizio novembre, ma “i dati restano ancora molto fluidi“. Gli
elettori di centrodestra sono compatti per il Sì, che registra il 96% delle
intenzioni di voto, mentre nel centrosinistra la prevalenza del No è di 87%
contro un 13% di Sì: particolarmente spaccato l’elettorato centrista, al 43% per
il Sì e al 57% per il No, con un 41% ancora indeciso sull’andare a votare o
meno. In Parlamento Azione di Carlo Calenda ha votato favorevolmente alla
riforma, mentre Italia viva di Matteo Renzi si è schierata contro.
Già a fine novembre un sondaggio di Ixé aveva restituito una forbice simile tra
il Sì e il No, con i favorevoli alla riforma stimati al 53,2% e i contrari al
46,8% (con un 41% di indecisi). Martedì 9 dicembre sul tema è stata pubblicata
un’altra rilevazione dell’istituto Emg, che dà il Sì al 47,3% e il No al 29, con
un 23,7% di indecisi e l’affluenza stimata al 47%. Del 4 dicembre invece il
sondaggio di Eumetra per Piazzapulita su La7, che stima il 27,4% di Sì, il 21,8%
di No e il 10% di astenuti, col 40,2% degli elettori ancora indecisi. In ogni
caso, la distanza si è ridotta rispetto alle rilevazioni pubblicate nei giorni
precedenti da altri istituti: per Swg, ad esempio, i favorevoli alla riforma
sono il 46%, i contrari il 28 e gli indecisi il 26, per Ipsos rispettivamente il
31, il 24 e il 45.
L'articolo Referendum, i sondaggi confermano: il vantaggio del Sì ridotto a
circa sei punti. E gli indecisi sono ancora il 40% proviene da Il Fatto
Quotidiano.
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E’ presto, molto presto, per dire che qualcosa è cambiato: la strada verso le
elezioni politiche è ancora molto lunga, il consenso personale per la presidente
del Consiglio Giorgia Meloni è sempre alto e ha un effetto trainante per la
coalizione. Eppure l’ultimo sondaggio di YouTrend per SkyTg24 lascia intravedere
una situazione quasi inedita dal 2022, anno del trionfo elettorale del
centrodestra: al momento, se ci limitiamo all’aritmetica, il “campo
progressista” sarebbe in vantaggio sull’alleanza di governo, anche con un
margine di sicurezza rispettabile (quasi il 4 per cento). La premessa che
funziona da clausola imprescindibile è che una cosa è la somma delle percentuali
dei diversi partiti e una cosa la corsa elettorale con le sue regole e i suoi
meccanismi che non sempre rispecchiano le proporzioni. Ma è una tendenza che,
per così dire, “parla” anche perché si incrocia con il gradimento per il governo
Meloni che ha un progressivo degradamento.
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GIUDIZIO GOVERNO
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PARTITI
Fratelli d’Italia resta saldamente il primo partito ma secondo YouTrend i punti
di distacco rispetto al secondo, il Pd, si riducono a poco meno di 6, parecchi
ma non incolmabili. Questo avvicinamento è il frutto dell’andamento dei due
partiti nel corso dell’ultimo mese: quello della premier ha perso lo 0,7 per
cento, quello guidato da Elly Schlein ne ha guadagnato uno intero. La terza
forza è il M5s, sostanzialmente stabile. Perdono terreno gli inseguitori che
fino a qui sono stati Lega e Forza Italia. Il Carroccio è ancora quarto, ma
registra mezzo punto di flessione che lo fa atterrare sotto la soglia dell’8 per
cento. La sorpresa è il sorpasso di Alleanza Verdi-Sinistra su Forza Italia: il
margine è dello 0,1 (che in sondaggi come questi vale niente) ma il trend resta
significativo se confermato nelle prossime rilevazioni. La sfida tra i piccoli è
vinta da Azione, poco sotto al 4. Seguono poi +Europa (che per YouTrend punta
addirittura al 3), Italia Viva (intorno al 2), Noi Moderati di Maurizio Lupi
(che arranca come sempre dalle parti dell’1 per cento).
La somma dei 4 partiti del centrodestra fa 44 per cento. Quella delle forze
politiche che sembrano orientate a coalizzarsi nel centrosinistra sfiora il 48.
Da questi calcoli è esclusa Azione per il motivo che il leader Carlo Calenda
esclude qualsiasi alleanza.
L'articolo Sondaggi, sorprese dai dati YouTrend: il campo progressista sorpassa
la destra. E Verdi-Sinistra supera (di poco) Fi proviene da Il Fatto Quotidiano.
Un sondaggio, una tendenza che non emerge netta, un titolo che ne dà una lettura
univoca, l’articolo che inizia dicendo l’esatto contrario. E’ quello realizzato
da Izi Spa sul servizio militare presentato il 5 dicembre durante l’Aria che
tira, su La7. Lo stesso giorno La Stampa lo riprende con un articolo sul proprio
sito web su quale campeggia questo titolo: “Un italiano su due vuole la leva
obbligatoria. E il 65% la chiede anche per le donne“. Tutto chiaro, sembrerebbe.
Invece no, perché andando a guardare i dati le cose non stanno esattamente così.
Secondo l’istituto che ha condotto la rilevazione gli italiani favorevoli sono
il 47%, quindi meno di uno su due come riferisce il quotidiano torinese. Tanto
che l’inizio dell’articolo racconta il contrario di quello che dice il titolo:
“La maggioranza degli italiani resta contraria alla proposta di reintroduzione
della leva militare obbligatoria”. Se poi si va a guardare un po’ più in
profondità nei dati emerge un’altra contraddizione e si scopre che la realtà è
molto più variegata perché, prosegue il pezzo, “il servizio di leva per un
periodo di 12 mesi convince il 26,2% di coloro che sono a favore” (in realtà, a
guardare il grafico, sarebbe il 26,2% del totale, ndr). Ma tant’è, il titolo
comanda, è quello che colpisce la volatile attenzione che il lettore riesce a
garantire a un articolo sul web, è ciò che resta impresso nella sua memoria e
che sul medio-lungo periodo crea narrazioni capaci di plasmare il sentire
dell’opinione pubblica.
Ma qual è la composizione del campione di italiani che hanno risposto al
sondaggio? Quanti sono? Che età hanno? Come è stata condotta la rilevazione? Non
è dato sapere, perché La Stampa non pubblica la nota metodologica, obbligatoria
per legge, che descrive i criteri usati per effettuarla. Inutile cercarla anche
sul sito di Izi Spa. In soccorso del lettore curioso ma disorientato arriva
Orizzontescuola.it, che riprende il sondaggio aggiungendo un particolare: “La
rilevazione è stata condotta su un campione rappresentativo di 800 cittadini
italiani“. E dà una lettura diametralmente opposta dei dati, titolando: “Il 53%
degli italiani contrario alla reintroduzione della leva militare obbligatoria”.
A dimostrazione della duttilità dello strumento, che per natura si presta a
essere adattato e piegato a una molteplicità di narrazioni.
Eppure conoscere la composizione del campione sarebbe importante per leggere in
maniera corretta i risultati: con l’età media della popolazione che secondo
l’Istat è di 46,8 anni sarebbe interessante capire chi ha risposto alle domande.
Quanti anni hanno coloro che si sono detti favorevoli alla leva militare? Sono i
50-60-70enni di oggi che ricordano con tenerezza il periodo fatato della loro
gioventù e che una caserma nei panni di commilitoni non la rivedranno mai mai? O
sono i più giovani, che sarebbero direttamente interessati dalla riforma? Non è
dato sapere.
Lo stesso 5 dicembre anche il Sole24Ore ha pubblicato un articolo sul tema.
Titolo: “Sondaggio: la maggioranza degli italiani è favorevole alla leva
obbligatoria“. La rilevazione è sviluppata, riferisce il quotidiano milanese,
“attraverso interviste telefoniche a mille persone, effettuate dal 3 al 6
novembre”. In questo caso, si penserà, le note metodologiche sono a malapena
accennate ma almeno ci dicono di quante persone è composto il campione. Invece
procedendo con la lettura la questione si fa più nebulosa: “Domanda – prosegue
l’articolo -: (…) ‘Il servizio militare obbligatorio dava un senso civico e
della nazione ai cittadini che oggi non c’è più’. Su cento risposte, in 28 hanno
risposto “molto”; in 34 “abbastanza”. Non sono “per nulla” d’accordo in 19,
mentre 14 sono “poco d’accordo”. Perché “cento risposte”? I sondaggiati non
erano mille? Ci si intendeva probabilmente riferire ai valori percentuali, ma
allora perché non utilizzare il simbolo “%” in modo da non generare dubbi nel
lettore?
La confusione aumenta con il passare delle righe: “Lei è d’accordo o non
d’accordo per ripristinare una leva obbligatoria di tipo protezione civile, in
Italia, con solo una piccola quota volontaria di giovani che fa il servizio
armato?”, è la domanda. “Su cento risposte, si sono detti d’accordo in 59 (24
‘molto’ e 35 ‘abbastanza’)”. Se ne evince che il servizio al quale i 59 italiani
sarebbero favorevoli sarebbe di protezione civile, quando l’espressione “leva
obbligatoria” nel titolo fa pensare a un servizio militare vero e proprio.
L’autore del rilevamento è un non meglio precisato “istituto di ricerca Remtene”
e i suoi risultati “sono stati pubblicati il 28 novembre, nel sito della
Presidenza del Consiglio dedicato a questo tipo di indagini”. Qual è questo
sito? Forse si tratta di sondaggipoliticoelettorali.it dove per legge devono
obbligatoriamente essere resi disponibili tutte le rilevazioni che abbiano
valenza politica ed elettorale? Il Sole non lo dice. Di certo si tratta di
quella stessa Presidenza del Consiglio guidata da Giorgia Meloni al cui partito
Fratelli d’Italia appartiene il ministro della Difesa Guido Crosetto che non più
tardi del 27 novembre – il giorno prima della pubblicazione del sondaggio – ha
annunciato un ddl che prevede un servizio di leva su base volontaria: “Il
documento non parlerà soltanto di numero di militari ma proprio di
organizzazione e di regole”, ha specificato il ministro. E la narrazione è
servita.
L'articolo Gli italiani e il ritorno della leva: la giungla dei sondaggi e i
titoli “furbi” che parlano di maggioranza a favore del servizio militare (a
dispetto dei dati) proviene da Il Fatto Quotidiano.
Le elezioni regionali avranno forse pure trasmesso qualche scossa di insicurezza
alla maggioranza e in particolare a Fratelli d’Italia tanto da farli correre a
mettere mano alla legge elettorale “per avere governi stabili”, eterna
giustificazione quando c’è da cambiare le regole del gioco. La situazione del
consenso per i vari partiti, tuttavia, resta grossomodo invariata, almeno stando
al sondaggio mensile che Ipsos pubblica sul Corriere della Sera. Ci sono però
diversi spunti di riflessione.
Fratelli d’Italia non si smuove dal 28 per cento, secondo i dati dell’istituto
diretto da Nando Pagnoncelli. Da quelle parti sì che c’è stabilità: è lo stesso
valore registrato a ottobre, ancora prima a luglio e – decimale più decimale
meno – è la cifra che il partito della presidente del Consiglio ha ottenuto alle
Europee di oltre un anno fa. Qui si può aprire una parentesi: se il partito
regge il colpo dopo 3 anni di governo, maggiori oscillazioni ce l’ha il consenso
personale della premier Giorgia Meloni. A novembre, secondo Ipsos, è aumentata
la percentuale di voti negativi (dal 50 al 52 per cento in un mese) e diminuita
la quota di quelli positivi (dal 40 al 37 per cento nello stesso periodo).
L’indice di gradimento, per Ipsos, si attesta al 42 per cento contro il 43 di
luglio e il 44 di ottobre.
Tornando ai partiti continua la sua altalena il Pd, seconda forza nel panorama
politico, con un incremento dello 0,7 per cento che lo porta al 21,6. Sembra
distante il 24 per cento delle Europee, ma è una linea di ripresa rispetto a
ottobre quando i dem erano scesi sotto il 21. C’entra forse il bagno elettorale
del partito alle Regionali, campo da gioco in cui tradizionalmente si trova a
suo agio. Questo dà una spinta anche al consenso personale di Elly Schlein: è
l’unica ad avere una variazione significativa (+2 per cento, dal 23 al 25). Al
terzo posto tra le forze politiche resta stabile il M5s (13,5), il quale non
pare essere penalizzato dai risultati così così ottenuti alle Regionali, sia
pure con l’elezione di un esponente di spicco come l’ex presidente della Camera
Roberto Fico.
L’unica vera novità in questo schema un po’ ingessato accade – secondo Ipsos – a
destra: la Lega mette giù l’aumento più significativo dell’ultimo mese (+0,9) e
sfiora il 9 per cento mettendo in atto un sorpasso nei confronti di Forza Italia
che secondo tutti gli altri istituti di sondaggio sembrava salda come seconda
forza della coalizione. Al contrario per Ipsos gli azzurri pagano una flessione
dell’ultimo mese dello 0,4 e si attestano all’b, a tre decimali dai leghisti.
Qui si può aprire la seconda parentesi, che riguarda il consenso dell’intero
governo. Anche in questo caso il gradimento è in discesa per questo mese: al 40
per cento contro il 42 di ottobre. Diminuiscono di due punti percentuali i voti
positivi, salgono di un punto quelli negativi. “Non si tratta di grandi
cambiamenti – sottolinea Pagnoncelli nel testo che accompagna il sondaggio sul
Corriere – tuttavia questi piccoli cali potrebbero essere messi in relazione da
un lato alla polemica, già richiamata, con il Quirinale (anche se per interposta
persona) e dall’altro anche alla manovra finanziaria che sembra sostanzialmente
orientata alla tenuta dei conti, senza benefici particolari per nessuna
componente sociale”.
Infine l’unica altra lista che supererebbe una ragionevole soglia di sbarramento
– con o senza nuova legge elettorale – è l’Alleanza Verdi-Sinistra che resta
come l’altro mese un po’ sopra il 6 per cento (6,3).
Quanto valgono gli altri mini-partiti i cui leader spesso riempiono i talk show
e le pagine dei giornali? Poco. Azione si ferma al 3, tra l’altro con una
flessione dello 0,3 nell’ultimo mese. Italia Viva è ancora più indietro, al 2,5
(-0,1), +Europa fa fatica a superare il 2 (è all’1,6, -0,2), Noi Moderati
arranca sotto l’uno per cento.
Dette tutte queste cose e con la consapevolezza che la somma di questi numeri
non è il reale valore degli schieramenti resta significativo vedere che il
centrodestra sarebbe in vantaggio sul campo progressista (senza Azione che non
ne vuole fare parte) di un solo punto percentuale: 46,4 contro 45,4. Da qui si
capiscono le fregole di Palazzo Chigi per arrivare a un nuovo sistema
elettorale.
Resta da capire se l’assottigliamento dell’area del non voto (che comprende sia
gli astenuti convinti sia gli indecisi) sia un trend solido o volatile: quello
che si vede è che è al terzo ribasso dalla scorsa estate, con una flessione dei
non votanti dell’1 per cento in tre mesi. Forse l’accensione di una battaglia
politica che sembrava un po’ sotto sonnifero – le partite regionali, il
referendum che può assumere contorni più politici – ha risvegliato qualche
istinto anche nel cittadino-elettore.
L'articolo Sondaggi, cosa cambia dopo le Regionali? Perché la sfida tra destra e
campo largo diventa sempre più aperta proviene da Il Fatto Quotidiano.
Il Sì in vantaggio sul No di poco più di sei punti percentuali, con il 41% di
indecisi e il 23% dell’elettorato che addirittura non sa ancora del referendum.
Sono i risultati di un sondaggio sul voto sulla riforma costituzionale della
giustizia, effettuato nell’ambito dell'”Osservatorio politico nazionale”
realizzato ogni settimana dall’istituto Ixé. A quattro mesi circa dalla
consultazione – che si dovrebbe tenere entro fine marzo – solo il 39% degli
intervistati afferma di averne sentito parlare e di “sapere di cosa si tratta“.
Un altro 37,2% dice di sapere del referendum ma di “non conoscere bene i
contenuti“, mentre il 23% si dichiara totalmente all’oscuro. Tra chi è a
conoscenza dell’appuntamento, solo il 56,6% sa che si tratta di un referendum
confermativo, per cui non è previsto il quorum.
Per quanto riguarda la partecipazione al voto, il 41,1% dichiara che si recherà
quasi sicuramente alle urne (tra il 91 e il 100% di probabilità), mentre un
altro 18% circa afferma che lo farà molto probabilmente (tra il 71 e il 90%).
Gli indecisi sono al 41%, mentre tra chi sa già cosa votare il 46,8% si dichiara
orientato per il No, il 53,2% per il Sì. La distanza, insomma, si riduce
rispetto alle rilevazioni pubblicate nei giorni scorsi da altri istituti: per
Swg, ad esempio, i favorevoli alla riforma sono il 46%, i contrari il 28 e gli
indecisi il 26, per Ipsos rispettivamente il 31, il 24 e il 45. Ancora prima, un
sondaggio di OnlyNumbers dava il No in svantaggio di dieci punti (38,9 contro
28,9%) contro il 17,2% di indecisi.
L'articolo Referendum, il No guadagna terreno: è a sei punti dal Sì (col 41% di
indecisi). E un elettore su quattro non sa ancora del voto proviene da Il Fatto
Quotidiano.