Sta per concludersi un 2025 vero annus horribilis. Il primo anno della seconda
presidenza Trump, il quarto della guerra in Ucraina, il terzo del genocidio
palestinese a Gaza, perpetrato dagli israeliani di Netanyahu dopo la strage del
7 ottobre ad opera di Hamas. Vecchie guerre proseguono e nuove “fioriscono” in
Sudan, in Congo, in Myanmar, tra India e Pakistan, e da poco in Venezuela
(mascherata da caccia ai narcotrafficanti) e perfino tra Thailandia e Cambogia
(di cui non è nemmeno chiara l’origine).
Altre annunciate sono in procinto di scoppiare, perfino nel bel suolo d’Europa a
sentire i proclami delle varie triadi nostrane, i volenterosi, i baltici, e
soprattutto gli alemanni, delle cui ultime gesta, insieme alle nostre camicie
nere, portiamo gli indelebili segni della memoria. Non si fa altro che parlare
(e fabbricare) di armamenti, leve obbligatorie, lezioni di strategia militare
nelle scuole, gite nelle caserme e giochi nei carrarmati, mentre l’opinione
pubblica è sempre più disorientata dalla voce greve e biforcuta della bionda
premier che giura “mai un soldato italiano andrà in guerra” dimenticando però di
motivare la cosa con il nostro fondamentale art. 11 della Costituzione che
esplicitamente la ripudia. Il mondo sembra correre cieco sull’orlo dell’abisso e
nel frattempo per spendere in armi si tagliano welfare, servizi pubblici, si
negano aumenti, tranne agli evasori fiscali a cui si condona di tutto.
Perché sta andando così male? Chi lo poteva pensare anche solo cinque anni fa
che la situazione internazionale sarebbe così radicalmente e pericolosamente
precipitata? Solo papa Francesco – inascoltato – ammoniva che si stava
prefigurando una “terza guerra mondiale a pezzi”, pezzi che ora si stanno
tragicamente ricomponendo.
Il presidente Usa si fa protagonista di piani di pace per Gaza e per l’Ucraina,
ma questi piani stentano a produrre risultati e comunque l’assetto che in quelle
martoriate aree di guerra sembra prefigurarsi certamente non appare all’insegna
del riconoscimento di pari diritti tra aggressori e aggrediti, tra potenza
coloniali e popolo colonizzato ed espropriato di tutto. E non è un caso che
ritorni il terrorismo in diverse latitudini, a riprova che se le tensioni non si
risolvono, la stabilità e la pace restano chimere.
In questo quadro a tinte molto fosche, anche gli assetti politici alle
latitudini occidentali sono attraversati da una fase di forte instabilità e di
vera e propria regressione democratica. Populismi, sovranismi, nuove forme di
autoritarismo, squilibri nei rapporti tra poteri istituzionali degli Stati
democratici, pulsioni reazionarie, intolleranza razziale e sessuale, attacco ai
diritti civili e sociali, perfino alla magistratura, smantellamento di
fondamentali conquiste del welfare del secolo scorso, stanno segnando un tempo
in cui le lancette dell’orologio politico cominciano a girare drammaticamente
all’indietro.
Da dove sorge tutto ciò? Oggi il centro motore dell’ideologia della nuova destra
al potere è a Washington, accomodato nello studio ovale, mentre si sparge in
tutt’Europa e altrove, ma Trump è solo l’ultimo prodotto scaturito da una lunga
gestazione che assume le sue origini in un progetto politico che affonda le
radici nel tempo, perché il conservatorismo Usa ha assunto in un lungo periodo,
trasformazioni di dimensioni inusitate. Se arriva a far scrivere in un documento
ufficiale di strategia nazionale di sicurezza nientemeno che gli Usa puntano su
quattro paesi europei, Austria, Italia, Polonia e Ungheria, per scardinare il
già faticoso processo di unificazione europeo, cos’altro occorre attendersi?
C’è un testo che contribuisce con un’analisi documentata, raffinata, completa
del fenomeno che ha condotto all’affermazione dell’ideologia reazionaria negli
Usa e che è riuscito a diventare riferimento per tanti altri paesi che
sembravano immuni da simili tendenze. Il libro s’intitola Dominio, la guerra
invisibile dei potenti contro i sudditi (Feltrinelli), scritto alcuni anni fa da
Marco D’Eramo, laureato in fisica, giornalista e scrittore, americanista, già
penna di punta del quotidiano il manifesto e di molte altre testate. D’Eramo si
confronterà su queste tematiche della crisi internazionale con Nadia Urbinati,
politologa della Columbia University e testa pensante della sinistra tra le due
sponde dell’oceano, nell’incontro intitolato “Libertà di non essere liberi?”.
L’appuntamento, promosso dal Manifesto in rete insieme alla Fondazione Ivano
Barberini, si terrà mercoledì 17 dicembre alle ore 17.30 a Bologna in via
Mentana 2, ma potrà essere seguito anche in streaming a questo link.
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il punto sulla crisi internazionale proviene da Il Fatto Quotidiano.
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“Le luci della città” è il titolo di uno dei film più belli e noti di Charlie
Chaplin. Film muto del 1931, scritto, prodotto, diretto e interpretato da
Chaplin. Le luci della città raccontano con struggente dolcezza la storia di una
giovane fioraia cieca che, grazie all’aiuto finanziario del protagonista,
ritrova la vista. Il film termina con l’episodio della fioraia che riconosce il
suo benefattore tramite una stretta di mano. La mano che, da cieca, aveva avuto
modo di sentire e apprezzare come strumento di bontà nei suoi confronti.
A causa del pretesto commerciale del Natale prossimo le nostre città sono
inondate di luci. Luci artificiali che si vorrebbero festive, gioiose e
spensierate. Si propongono di compensare così le innumerevoli tenebre che
sembrano invece prosperare poco lontano. Le luci delle nostre città appaiono
false e poco credibili perché, invece di illuminare, accecano gli occhi, le
parole e financo una festa così innocente come quella natalizia. Si tratta di
luminarie che, in realtà, tradiscono la luce.
Fanno parte dello spettacolo che, come su un palcoscenico, accendono e attirano
l’attenzione su ciò che si vuole sottolineare. Le cose vere e autentiche
occorrono però altrove, all’ombra, al buio, nelle trincee che da troppe parti si
stanno scavando tra un cimitero e l’altro. Sono, invece di assordanti luci,
silenzi gravidi di sofferenze, umiliazioni, paure e file interminabili di
sfollati che, protetti dalle tenebre, tentano di scavalcare i fili spinati delle
frontiere. Le luci delle città nascondono, complici, le tenebre.
Chi, come chi scrive, ha avuto il privilegio di vivere per alcuni anni in Africa
Occidentale, ricorderà i tagli all’elettricità o i black out improvvisi specie
nella stagione calda dell’anno. Nel buio delle capitali e delle città si sentiva
con nitidezza la musica prodotta dai generatori di corrente. Di varie dimensioni
e per tutte le borse creavano un’atmosfera quasi magica e fatalmente interrotta
dal grido di gioia dei bambini quando la corrente era ripristinata. Da quelle
parti le luci della città erano povere e vere.
Luci di città beffarde, ingannatrici, eccessive, arroganti e fuorvianti rispetto
al mondo e alla verità dell’avvenimento che le luci vorrebbero mistificare. In
città sarebbe meglio instaurare l’oscurità, la penombra, il coprifuoco non
appena tramonta il sole e fino all’aurora del primo giorno della settimana.
Affinché si possa meglio udire il grido …’sentinella quanto resta della notte’,
perché poi ‘arriva il mattino e poi ancora la notte’, risponderebbe la
sentinella. Il buio sarebbe più sincero.
Con che diritto e come osare mettere le illuminazioni più sfrontate nelle città
quando si fa la propaganda delle guerre e muoiono, lontano dalle luci, i
migliori tra loro. Cercatori di utopie, fabbricatori di sogni, disegnatori di
nuovi sentieri, funamboli di frontiere inventate, minatori di parole libere e
poeti dalle nude mani fioriscono solo nella notte. Bisognerà spegnere le luci
superflue e lasciar brillare le stelle per quanti nasceranno quella notte. Tutti
sentiranno allora il canto del mattino.
Casarza, 7 dicembre 2025
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“Non voglio dire che ci ha molto sorpresi, però sicuramente siamo usciti
clamorosamente soddisfatti perché erano 165 i Paesi presenti – tra cui la Russia
– e hanno tutti accettato la risoluzione”. Lo ha detto a Rtl 102.5 il presidente
della Fondazione Milano-Cortina, Giovanni Malagò, a proposito della tregua
olimpica in vista dei giochi invernali in Italia, tema sottolineato anche dal
presidente della Repubblica Sergio Mattarella durante l’accensione del braciere
olimpico.
“Siamo andati due settimane fa al Palazzo delle Nazioni Unite come delegazione
del Comitato Olimpico Internazionale con la Presidente Kirsty Coventry, un’ex
atleta molto importante, bi-medagliata olimpica”, ha spiegato Malagò che ha poi
proseguito: “Abbiamo portato avanti quello che è un elemento cardine del nostro
mondo, la nostra carta statutaria, che poi è la carta olimpica, su cui partendo
da quello che è la tradizione 780 a.C. dall’antica Grecia, da una settimana
prima della cerimonia inaugurale a una settimana dopo la chiusura delle
Paralimpiadi, quindi un lasso di tempo complessivamente di quasi due mesi, si
devono fermare qualsiasi attività legate a conflitti bellici e la Russia ha
votato a favore”.
Non c’è ancora una decisione definitiva sulla tregua olimpica, ma dopo i voti,
Malagò ha dichiarato che “oggi ci sono delle premesse per cui questo magari
avvenga”. Il presidente della Fondazione Milano-Cortina ha proseguito: “Io non
posso sbilanciarmi, certo è che se non ci fosse stato neanche il voto a favore,
direi che la speranza già sarebbe stata molto più affievolita. Poi c’è tutta la
dinamica sul fatto che gli atleti vengono comunque in forma individuale anche
senza l’inno alla bandiera. Sarebbe un segnale fortissimo che durante le
competizioni olimpiche nel nostro paese si potesse rispettare questo momento di
pace e di tregua, che magari si parte così e si va avanti così”.
Poi Malagò ha però precisato: “Però questo non fa parte del mio mestiere di
dirigente sportivo, ma fa parte di chi si occupa di politica”. Il presidente
della Fondazione Milano-Cortina 2026 ha infine parlato anche del discorso legato
ai biglietti: “Come al solito c’è un pizzico di verità ma c’è tanta
disinformazione e poi c’è qualcuno che si diverte probabilmente a raccontare la
favola solo da un punto di vista. C’è una quantità molto importante di
biglietti, quasi il 50% che è sotto i 40 euro di tutte le manifestazioni,
qualche una addirittura sotto i 20 euro”, ha concluso facendo riferimento sia ai
giochi olimpici (dove i prezzi salgono notevolmente) e paralimpici.
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siamo soddisfatti. Anche la Russia ha votato a favore” proviene da Il Fatto
Quotidiano.