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Il Messico è da anni la capitale mondiale delle spie russe. Gli Usa protestano, ma dal governo centramericano ancora nessuna espulsione
Glen David VanHerck, generale dell’Aeronautica Militare americana, responsabile del Comando Nord e del Comando di Difesa Aerospaziale (2020-2024), il 24 marzo 2022 durante una audizione aveva dichiarato: “La maggior parte dell’intelligence russa dislocata nel mondo, in questo momento si trova in Messico”. Le spie dietro la porta di casa, insomma. E le cose negli ultimi tre anni non sono migliorate tanto che il New York Times è tornato a sottolineare, citando cinque fonti, che i funzionari al servizio del Cremlino sono sempre lì a mangiare tacos e tendere l’orecchio, nonostante la Cia abbia individuato almeno 24 nomi. Il governo messicano – questa è la recriminazione degli Usa – non ha fatto nulla per evitare questa situazione; pur avendo una lista fornita da Washington, non ha provveduto alle espulsioni. Prima del quotidiano della Grande Mela, ad occuparsi della questione nel 2022 era stato il Wall Street Journal, indicando che in seguito agli allontanamenti avvenuti in Europa – dopo l’invasione russa in Ucraina – almeno 85 funzionari erano arrivati all’ambasciata russa di Città del Messico con la qualifica di “diplomatici”. A quanto risulta al New York Times, all’epoca il presidente Obrador era stato informato direttamente delle attività di spionaggio, senza prendere provvedimenti. E nessuna espulsione è avvenuta con la presidente Claudia Sheinbaum: i timori di Washington sono stati liquidati come “paranoie”. Al Times Juan González, direttore degli Affari dell’Emisfero Occidentale presso il Consiglio di Sicurezza Nazionale durante l’amministrazione Biden, ha dichiarato: “Abbiamo fornito i nomi di spie russe che si spacciavano per diplomatici nell’ambasciata di Città del Messico. Si trattava di spie esperte che avevano partecipato a operazioni sofisticate in tutta Europa”. Il compito dei funzionari dell’intelligence russa sarebbe anche quello di sostenere una contro informazione per spingere l’opinione pubblica messicana ad allontanarsi sia dagli Stati Uniti che dall’Europa. Un allarme preso sul serio dalla Francia che per la prima volta ha nominato un esperto a capo di un ufficio specifico per valutare il processo di disinformazione avviato nella capitale messicana. Uno degli esempi concreti per raccontare questa storia di spie è la vicenda di Héctor Alejandro Cabrera Fuentes, biologo molecolare considerato tra le “menti” messicane più in vista all’estero. Nel 2020 fu arrestato e accusato di aver svolto attività di spionaggio per la Russia. Secondo l’atto d’accusa del Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti, un funzionario di Mosca, la cui identità non è stata rivelata, ha reclutato Cabrera Fuentes nel 2019: il suo compito era quello recuperare notizie su un “collaborazionista” che passava agli americani informazioni sul governo russo. Il biologo diventato agente segreto è stato poi condannato a quattro anni di reclusione. Dalle serie di successo come The Americans, alla realtà di una guerra di spie tra Mosca e Washington giocata su diversi scenari. Città del Messico del resto non è nuova ad essere teatro di intrighi: nel 1940 Lev Trotsky fu ucciso da un agente segreto dell’Nkvd per essersi schierato contro la “dittatura burocratica di Stalin”. E nel 1963, sei settimane prima dell’omicidio del presidente Kennedy a Dallas, la visita di Lee Harvey Oswald alle ambasciate di Cuba e della Russia alimentò una delle tante piste cospirative sull’assassinio di JFK. L'articolo Il Messico è da anni la capitale mondiale delle spie russe. Gli Usa protestano, ma dal governo centramericano ancora nessuna espulsione proviene da Il Fatto Quotidiano.
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“Trovati oltre 400 sacchi con resti umani vicino a uno stadio dei Mondiali”: la rivelazione dal Messico
Sono stati ritrovati dei sacchi con resti umani vicino allo stadio Akron di Guadalajara, nello stato messicano di Jalisco, dove si svolgeranno alcune partite dei gironi e della fase a eliminazione diretta dei Mondiali 2026 che si disputeranno tra Usa, Canada e Messico. Saranno infatti tre le città messicane che ospiteranno i Mondiali di calcio 2026: Città del Messico (con l’Estadio Azteca), Guadalajara (Estadio Akron) e Monterrey (Estadio BBVA). Stadi in cui si giocheranno tredici partite, tra fase a gironi e a eliminazione diretta. Negli ultimi giorni si è però parlato tanto di Guadalajara, dopo che gruppi di ricerca nello stato di Jalisco hanno ritrovato centinaia di sacchi con resti umani proprio vicino allo stadio Akron, sede del Chivas de Guadalajara, una delle squadre di calcio più note nel Paese. A meno di 200 giorni da un evento internazionale, seguito in tutto il mondo e che farà anche arrivare migliaia di tifosi in Messico, è lecito farsi qualche domanda sulla sicurezza dei luoghi dove si giocherà, in un contesto di criminalità dilagante. Ma per comprendere meglio la vicenda, bisogna contestualizzare con ciò che accade da diverso tempo in quei posti. I Guerreros Buscadores de Jalisco sono un insieme di famiglie e volontari messicani, creato nel gennaio del 2024 nello stato di Jalisco, che si dedica periodicamente alla ricerca di persone scomparse a causa delle violenze subite dalla criminalità organizzata. Il gruppo è stato ideato e creato da Indira Navarro Lugo, che continua a cercare suo fratello scomparso nel 2015, e conta oltre cento famiglie. L’organizzazione si occupa di trovare delle possibili fosse comuni clandestine, recuperare resti, raccogliere evidenze (vestiti, oggetti personali) e diffondere le fichas de búsqueda, schede con varie info utili sulle persone sparite. Recentemente un componente del gruppo ha dichiarato che dal 2022 almeno 456 sacchi contenenti resti umani sono stati recuperati nelle vicinanze dello stadio Akron, che ospiterà quattro partite della fase a gironi dei Mondiali. L’ultimo è avvenuto a settembre, durante i lavori di costruzione di un complesso di case che hanno dato alle famiglie l’opportunità di cercare i loro parenti dispersi. “Siamo ora a circa 456 sacchi, più o meno, e tutto questo si trova vicino all’Estadio Akron, un impianto che ospiterà le partite dei Mondiali. Purtroppo è doloroso che la Coppa del Mondo si svolga qui mentre c’è così tanta cattiveria”, ha spiegato José Raúl Servín, membro del gruppo, in alcune dichiarazioni rilasciate all’agenzia di stampa Aristegui Noticias. L'articolo “Trovati oltre 400 sacchi con resti umani vicino a uno stadio dei Mondiali”: la rivelazione dal Messico proviene da Il Fatto Quotidiano.
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“Era come in una lavatrice, veniva sbattuta continuamente”: nonna travolta delle onde e trascinata in mare mentre camminava su una spiaggia in Messico
Doveva essere una tranquilla passeggiata in spiaggia e, invece, si è rivelata una catastrofe. Una nonna del Kansas si è recata in Messico per partecipare a un matrimonio e prima di prepararsi per il lieto evento, ha deciso di fare una incursione vicino al mare. Barb Prier e la sua famiglia si sono recati a Cabo San Lucas per le nozze a giugno, secondo KCTV. La mattina del giorno delle nozze, il 12 giugno, lei e sua sorella hanno lasciato il gruppo in piscina e sono andate a fare una passeggiata lungo la spiaggia. Le due hanno fatto attenzione a rimanere sulla sabbia, lontano dall’acqua. “Le onde non sembravano molto forti”, ha ricordato Barb. Ma le cose hanno preso una brutta piega. “Stavo camminando verso mia sorella. All’improvviso, un paio di onde si sono riversate, una sopra l’altra”, ha raccontato Barb. Le due sono state travolte e Barb è stata trascinata in mare. Erano state colpite dal “moto ondoso anomalo”, ossia onde che spuntano dal nulla, particolarmente forti e innescate dal clima tropicale. Il figlio di Barb, Tim Prier, ha ricordato l’incidente: “Era nella lavatrice, per così dire, o nell’onda, che veniva colpita e sbattuta ripetutamente”. Tre dipendenti del resort che stavano organizzando il matrimonio sulla spiaggia sono intervenuti e hanno formato una catena umana per salvare Barb. Quattro ospiti medici hanno praticato la rianimazione cardiopolmonare sulla nonna. Il figlio Tim ha poi raccontato: “Ho guardato in basso e ho afferrato le mani delle persone intorno a me, e abbiamo iniziato tutti a pregare”. Barb è stata trasportata in ospedale con i polmoni pieni di sabbia e frammenti di conchiglie. I medici hanno accertato un polmone perforato, un trauma cranico, una frattura alla colonna vertebrale, delle gambe rotte e altre lesioni. Dopo cinque giorni di stabilizzazione all’ospedale di Mexico, la donna è stata trasportata in elisoccorso all’ospedale dell’Università del Kansas. Un medico ha dato alla sua famiglia una prognosi infausta: ‘Tua madre non camminerà mai più. Non parlerà mai più. Non sarà in grado di nutrirsi da sola. Non sarà in grado di vestirsi. Sarà in una casa di cura’”. Nonostante queste probabilità, Barb alla fine si è ripresa e ora è di nuovo in grado di camminare e parlare. “È davvero un miracolo che sia qui con noi. Dio era lì con lei”, ha concluso Tim. L'articolo “Era come in una lavatrice, veniva sbattuta continuamente”: nonna travolta delle onde e trascinata in mare mentre camminava su una spiaggia in Messico proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Gli Stati Uniti stanno costruendo un muro secondario al confine col Messico: il video dei lavori
Le squadre di costruzione lavorano su un muro secondario al confine tra Messico e Stati Uniti che si erge dietro la vecchia recinzione che divide la comunità di Santa Teresa, nello stato del New Mexico, da Ciudad Jua’rez, nello Stato di Chihuahua. L'articolo Gli Stati Uniti stanno costruendo un muro secondario al confine col Messico: il video dei lavori proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Trump: “Raid sul Messico per fermare il narcotraffico? Per me va bene”. E sul Venezuela: “Parlerò con Maduro”
Non solo il Venezuela, davanti alle cui coste staziona una portaerei nucleare statunitense. Donald Trump, con l’alibi della lotta al traffico di droga, apre alla possibilità di colpire anche il Messico e la Colombia. Dallo Studio Ovale, parlando con i giornalisti, il presidente ha moltiplicato le minacce di intervento, lasciando intendere che ogni opzione è sul tavolo pur di mostrare fermezza sul fronte della sicurezza. Interpellato sull’ipotesi di raid oltreconfine per fermare i cartelli, ha risposto senza esitazioni: “Per me va bene. Qualunque cosa sia necessaria per fermare il traffico di droga. Non sono affatto contento con il Messico”. E sulla Colombia ha aggiunto che sarebbe “orgoglioso di distruggere le fabbriche dove viene prodotta la cocaina“, anche se, ha precisato, nulla è ancora deciso. Quanto al Venezuela, alla domanda se escludesse un intervento militare di terra il tycoon ha replicato: “Non escludo nulla. Dobbiamo solo occuparci del Venezuela: hanno riversato nel nostro paese centinaia di migliaia di persone provenienti dalle prigioni”. Ogni scenario è aperto, insomma. Ha poi accennato alla possibilità di un colloquio con Nicolás Maduro: “Ad certo momento parlerò con lui”, ha detto, aggiungendo però che Maduro “non è stato buono con gli Stati Uniti”. Sul fronte mediorientale, il presidente ha confermato la volontà di vendere gli F-35 all’Arabia Saudita, nonostante la contrarietà di Israele, che vorrebbe subordinare l’accordo all’adesione di Riad agli Accordi di Abramo. Infine, Trump ha rivendicato le prospettive economiche dei Mondiali di calcio del 2026 negli Stati Uniti. Ricevendo Gianni Infantino e la task force della Fifa, ha affermato che la competizione “dovrebbe generare 30 miliardi di dollari”. Infantino ha riferito che sono già stati venduti 6-7 milioni di biglietti e sono attesi tra i 5 e i 10 milioni di spettatori. Nel mondo, i telespettatori potrebbero raggiungere quota sei miliardi. Il segretario di Stato Marco Rubio ha invitato i tifosi a fare domanda per il visto “il prima possibile”. Poco sul fronte interno. Il presidente ha confermato la sua nuova posizione sulla pubblicazione dei file ancora secretati riguardanti l’ex finanziere pedofilo Jeffrey Epstein: “Possono fare quello che vogliono, che li guardino tutti”, ha detto. La vicenda è una “bufala” e un “problema dei Democratici”. Quindi “non deve distrarre dai grandi successi del Partito repubblicano” e dal fatto che “i Democratici sono responsabili dello shutdown”. L'articolo Trump: “Raid sul Messico per fermare il narcotraffico? Per me va bene”. E sul Venezuela: “Parlerò con Maduro” proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Città del Messico, scontri alla manifestazione della Generazione Z contro la presidente Sheinbaum
Migliaia di persone hanno protestato a Città del Messico contro la violenza legata al narcotraffico e contro le politiche di sicurezza del governo della presidente Claudia Sheinbaum. I manifestanti si sono scontrati con la polizia fuori dal Palazzo Nazionale, dove Sheinbaum vive e lavora. Almeno 120 persone, per lo più agenti di polizia, sono rimaste ferite. “Tutto ciò che vogliamo è giustizia e nessuna impunità in questo governo”, ha detto uno studente manifestante. L'articolo Città del Messico, scontri alla manifestazione della Generazione Z contro la presidente Sheinbaum proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Dall’altra parte
C hi è Heriberto Yépez? Siamo davanti a un genio o a un grandissimo imbroglione della letteratura? Questa domanda mi è frullata in testa tutto il tempo mentre leggevo L’impero della neomemoria (2025). All’apparenza una biografia di Charles Olson, ma nella pratica qualcosa di completamente diverso. Una specie di saggio-mondo (se vogliamo ritorcere la deplorevole espressione “romanzo-mondo”, tanto in voga negli ultimi anni) nel quale la storia di Charles Olson è solo la colonna vertebrale, o l’albero maestro, il tronco ma di un albero tutto storto, con infinite ramificazioni: digressioni, capitoli di storia e geografia, critica letteraria, filosofia. E solo alla fine della lettura ho capito cos’è effettivamente questo libro. Non un “dispositivo”, come si usa tanto dire, ma un ordigno. Un ordigno esplosivo per far saltare tutto in aria. Un capolavoro letterario di poetica, in senso aristotelico, ma di antipoetica o di contropoetica. La scrittura di Yépez è una scrittura tormentata (ci confesserà in quest’intervista). Tormentata come forse dovremmo essere tutti noi e come ci fanno sentire le parole di Heriberto Yépez, autore di oltre trenta libri in spagnolo e in inglese: saggi, romanzi, poesie, ibridi inclassificabili. Di tutto e di più. Uno scrittore di Tijuana che ha studiato i classici del pensiero e la letteratura nordamericana per poterli demolire, in un rapporto di odio e amore che restituisce lo splendore letterario dell’ambiguità, della contraddizione, del dubbio. Un miscuglio di Bolaño e geopolitica, Aristotele e Žižek, la cultura dei Maya e la poesia di Ezra Pound. Una letteratura sincretica, quella di Yépez, fatta di generi che si mischiano, frammenti, digressioni, tradizioni contaminate e riutilizzate, riciclate e rielaborate per smascherare le credenze di questi tempi incerti e tormentarci, tormentarci senza tregua. L’impero della neomemoria, tradotto da Daniel Di Schüler per Timeo è il suo primo libro pubblicato in lingua italiana, al quale seguiranno: La colonización de la voz. La literatura moderna, Nueva España, el náhuatl (Axolotl Ediciones 2018) ed Exofilosofia. Scopriamo insieme l’universo letterario di Heriberto Yépez e la sua origine caotica e misteriosa. BASTA UNO SGUARDO ANCHE SUPERFICIALE PER RENDERSI CONTO CHE LA TUA LETTERATURA È UN ORGANISMO MATURO E PLURIFORME, MOLTO ETEROGENEO, E IN PARTE LEGATO ANCHE ALLA TUA ATTIVITÀ ACCADEMICA. L’EDITORE TIMEO HA SCELTO DI PRESENTARTI IN ITALIA CON QUESTO LIBRO INCREDIBILE: L’IMPERO DELLA NEOMEMORIA. NON CERTO IL PRIMO E NEMMENO L’ULTIMO. COME TI FA SENTIRE QUESTA SCELTA? PUÒ IL LETTORE ITALIANO FARSI UN’IDEA, SEPPUR PARZIALE, DEL TUO LINGUAGGIO E DELLA TUA OPERA O QUESTO LIBRO È UN UNICUM, UNA PERLA DIVERSA DALLE ALTRE? Ho sempre cercato di fare in modo che ogni mio libro avesse un suo spazio, che fosse diverso da tutti gli altri. Ma in realtà L’impero della neomemoria è molto legato a tre libri di poesia e poetica che ho scritto in inglese negli anni Duemila. Forse è anche per questo che è stato tradotto in inglese. E, una volta uscito in inglese, L’impero della neomemoria ha provocato una polemica molto interessante negli Stati Uniti, forse unica. Non ricordo un altro caso in cui un libro scritto originariamente in spagnolo abbia sollevato così tanto scandalo nella letteratura postmoderna nordamericana contemporanea. Lo vedo anche molto vicino ai miei libri sulla mescolanza di culture, sul tema del confine, un’idea che ho esplorato in romanzi, poesia e saggistica. Penso che il lettore italiano avrà una lettura molto diversa. Capirà che sto interpretando cos’è l’avanguardia letteraria nordamericana in relazione alla geopolitica, ma da una prospettiva diversa da quella che hanno avuto i lettori negli Stati Uniti e in Messico. Sono molto curioso di scoprire l’interpretazione della letteratura italiana. UNO DEI TUOI TEMI PRINCIPALI È QUELLO POLITICO, O MEGLIO: ANTI-STORICO. FORSE POTREMMO DIRE MEGLIO CHE LA TUA POSTURA IN GENERALE SIA SEMPRE “ANTI/CONTRO”, NEL SENSO DI ANTI-COLONIALISTA, CONTRO IL POSTMODERNO E IL MODELLO IMPERIALE AMERICANO. L’IMPERO DELLA NEOMEMORIA È UN’ODE AL DECOSTRUTTIVISMO, ALLA NEGAZIONE, FINO AD ARRIVARE A NEGARE PERSINO L’ESISTENZA DELL’UNIVERSO. INOLTRE, IN QUESTO LIBRO E IN ALTRI TUOI TESTI, TI CONCENTRI SULLA CRITICA DELLA LETTERATURA STATUNITENSE (A PARTIRE DA CHARLES OLSON MA COINVOLGENDO TUTTI I GRANDI MAESTRI DELLA LETTERATURA A STELLE E STRISCE: DA MELVILLE A WHITMAN). COME NASCE QUESTA OSSESSIONE DISTRUTTIVA E FIN DOVE SI ESTENDE? È il mio amore-odio per gli Stati Uniti. E il mio amore-odio per il Messico. Questi due amori-odi definiscono chi sono come persona. È Catullo: “Odi et amo” portato nella geopolitica. Vengo da una famiglia messicana che poi quasi tutta è emigrata negli Stati Uniti. Solo mia madre rimase in Messico. Mia nonna è morta negli Stati Uniti. Vivo in una città di confine, Tijuana, che il resto del Paese considera una città traditrice verso la cultura nazionale, perché innamorata del nordamericano. Il mio rapporto di amore-odio con gli Stati Uniti mi ha dato un’identità. L’altro amore-odio della mia vita sono la letteratura e la filosofia. Dunque, scrivere di poesia nordamericana è uno dei due grandi amori-odi della mia vita. La mia scrittura è molto tormentata. Vengo da una famiglia di criminali, carcerati e lavoratrici notturne. Sono stato formato, a livello intellettuale, dal mio patrigno che era membro della mafia di confine. Anche questo mi ha definito. Sono il teorico della famiglia; il primo (da secoli) ad arrivare all’università, per qualche accidente del destino. Così quando scrivo teoria faccio una teoria-da-poeta, poet’s theory, per così dire. L’impero della neomemoria è il libro di un anarchico, in cui cerco di mostrare che la poetica postmoderna, sperimentale, nordamericana (incarnata da Charles Olson) ha un forte legame con l’imperialismo. Mostrare questo legame ha causato scandalo tra i poeti sperimentali statunitensi. Si credevano l’Alternativa, la Controcultura; e io ho mostrato che erano il lato oscuro del nucleo dell’Egemonia. Non se lo aspettavano. Credevano di essere l’opposizione all’imperialismo. Non gli è piaciuto che, dall’altra parte del confine, uno scrittore dimostrasse che anche loro ne erano parte. Mi piace divertirmi. NELLA QUARTA DI COPERTINA DI L’IMPERO DELLA NEOMEMORIA SI ANTICIPANO ALCUNE DELLE PROSSIME PUBBLICAZIONI, TRA CUI LA COLONIZACIÓN DE LA VOZ. LA LITERATURA MODERNA, NUEVA ESPAÑA, EL NÁHUATL (AXOLOTL EDICIONES 2018). UN TITOLO CHE MI SEMBRA MOLTO IN LINEA CON IL DISCORSO CHE STIAMO FACENDO. PUR DANDO LA SENSAZIONE DI CONTENERE UN DISCORSO PIÙ ACCADEMICO E FORSE “ORDINATO” DE L’IMPERO DELLA NEOMEMORIA. COSA POSSIAMO ASPETTARCI? E QUALI ALTRI TESTI HAI SCRITTO CHE SI LEGANO A QUESTO DISCORSO PIÙ LETTERARIO IN SENSO STRETTO? Dopo L’impero della neomemoria e i miei libri di poesia in inglese ho deciso di studiare a fondo la lingua degli Aztechi: il nahuatl. Ho imparato a leggerlo e tradurlo. Mi ci sono voluti due anni. Mi sono reso conto che l’invasione spagnola del 1521, la cosiddetta “scoperta dell’America”, dell’italiano Cristoforo Colombo, è stata un altro laboratorio di mescolanza culturale, un altro laboratorio di confine, simile a quello che abbiamo oggi, un altro momento in cui imperialismo e forma sperimentale avvenivano insieme. Un’altra ibridazione, una prima modernità, come hanno ben detto Tzvetan Todorov e Serge Gruzinski. Da questa fase sono nati alcuni testi in cui ho esplorato come la poesia indigena nata da quell’incontro tra Europa e America abbia creato forme che uniscono tradizione e innovazione, distruzione di ogni tradizione e invenzione di nuove forme poetiche. Mi sono talmente immerso nella ricerca che ho persino trovato un poeta indigeno gay protoavanguardista, messicano, dell’Ottocento, e ho pubblicato le sue poesie, insieme a uno studio biografico e critico. Si trattava del poeta che diventò maestro di nahuatl dell’imperatore Massimiliano d’Asburgo. Studiare il Sedicesimo e il Diciannovesimo secolo mi ha permesso di capire davvero il Ventesimo e il Ventunesimo. Sono secoli in cui la mondializzazione ha prodotto forme incredibili. Ma devo confessarti qualcosa, che mi pare tu abbia intuito: scoprire quel poeta indigeno-gay-messicano dell’Ottocento è stato talmente delirante che ho cercato di raccontare la sua storia con un po’ di lucidità. È stato come mediare tra un poeta dionisiaco e una prosa apollinea. In ogni caso, l’allucinazione è totale. SEI NATO E CRESCIUTO A TIJUANA, LA CITTÀ CHE È DIVENTATA FAMOSA IN TUTTO IL MONDO PER EL BORDO. GRAZIE A UN MURO. UNA CITTÀ DI FRONTIERA, UN AVAMPOSTO, UN LUOGO DI CONFINE. CHE RUOLO HA QUESTA CITTÀ, E PIÙ IN GENERALE LA MESSICANITÀ, NELLA TUA LETTERATURA? PENSI CHE AVRESTI POTUTO SCRIVERE I TUOI LIBRI SE FOSSI VISSUTO ALTROVE? Scrivo praticamente tutti i generi, in due lingue, su molti argomenti, ma vivere a Tijuana, il confine con più attraversamenti giornalieri al mondo, la capitale del narcotraffico, mi ha sicuramente segnato come scrittore. Sento di essere in grado di dialogare con molte altre letterature e contesti, offrendo ciò che questo confine permette di vedere sul mondo, allo stesso modo in cui uno scrittore di New York, Roma, Buenos Aires, Barcellona, Dublino, Pechino, ha una prospettiva unica, che gli permette di dire qualcosa che solo da lì si può dire sulla nostra esperienza globale. Tijuana è una città radicale. Molto crimine, molti attraversamenti, molta povertà, molta ricchezza. È la città più mafiosa e postnazionale d’America. Ringrazio Dio per avermi fatto nascere qui. Ma appena lo penso, credo che dovrei ringraziare anche il Diavolo. Ma a Satana si deve dire grazie o vomitargli addosso? L’ALTRO LIBRO DI PROSSIMA PUBBLICAZIONE PER TIMEO CHE LA BANDELLA DI L’IMPERO DELLA NEOMEMORIA VUOLE SVELARE AL LETTORE S’INTITOLA EXOFILOSOFÍA (“ESOFILOSOFIA”), UN CONCETTO AL QUALE ACCENNI ANCHE NELLA POSTFAZIONE ALL’EDIZIONE ITALIANA DI L’IMPERO DELLA NEOMEMORIA (CHE CONSIGLIAMO DI LEGGERE PRIMA DI AFFRONTARE IL LIBRO, AL LETTORE ANCORA POCO CONVINTO). ESSENDO UN CONCETTO FONDAMENTALE PER COMPRENDERE LA TUA OPERA, PROVEREI A FARE UN PO’ DI CHIAREZZA E, SE TI VA, A SINTETIZZARE UNA PICCOLA MAPPA NEOLOGISTICA DELLE IDEE COLLEGATE ALL’ESOFILOSOFIA. Sono anni che penso a ciò che ho chiamato “esofilosofia”. È uno dei libri che sto finendo di scrivere. Mi mette ansia che Timeo lo abbia già annunciato come prossimo libro. In realtà ho troppe pagine e devo ancora condensarle per un primo libro di “esofilosofia”. In qualche modo è la nuova fase della mia opera. Per esofilosofia intendo un problema, più che una definizione univoca. Ad esempio, la poetica fu in Aristotele un ramo della filosofia. Ma quel ramo presto migrò: si separò dalla filosofia. Secoli dopo, divenne una parte della letteratura, quasi un genere a metà tra letterario e accademico oggi. La poetica è diventata esofilosofica: è uscita dalla filosofia. Ma per esofilosofia intendo anche questo: cosa succede se reincorporiamo la poetica (e altri rami morti) nella filosofia? L’esofilosofia è un problema, una domanda e un esperimento. Siccome sono anche psicoterapeuta, mi pongo la stessa domanda rispetto alla psicologia, per esempio. Ad Alain Badiou interessavano gli antifilosofi (come Wittgenstein o Lacan); a François Laruelle la non-filosofia. Ma sono convinto che dobbiamo ancora riflettere su cosa significa esofilosofia. La filosofia che è uscita dalla filosofia. Una parte dell’esofilosofia non tornerà più. Un’altra parte minaccia di tornare nella filosofia. Sono convinto che questo secolo sarà il secolo dell’esofilosofia. PER UN LETTORE ISPANOFONO CHE SI VOLESSE APPROCCIARE ALLA TUA OPERA, AVENDOLA PERCIÒ TUTTA DISPONIBILE IN LINGUA, SAPRESTI SUGGERIRE UN PERCORSO DI LIBRI DA SEGUIRE? SAPRESTI DIRE DA QUALE COMINCIARE E COME PROSEGUIRE, OPPURE IN QUALI “FILONI” DIVIDERLI (QUELLI DI CRITICA LETTERARIA, I ROMANZI, LE POESIE)? Ho quasi trenta libri già pubblicati. Sono un autore prolifico, piuttosto inclassificabile. Dal punto di vista del mercato, questo mi ha penalizzato. Né critici né agenti letterari sanno come classificarmi o definirmi. È un grosso problema, oggi. Ma mi piace stare fuori da quei circuiti. E sono convinto che il mio agente letterario sia Dio. Anche se probabilmente Dio non esiste. Per un lettore interessato a conoscere la mia opera penso che L’impero della neomemoria sia un buon inizio. Da lì consiglierei di proseguire con i miei libri di poesia in inglese e i romanzi in spagnolo. Ora, se chiedi a uno scrittore quali libri suggerisce per conoscerlo ti diremo sempre che sono i libri più nuovi. Vorrei che i miei prossimi libri di esofilosofia e il mio nuovo romanzo fossero i prossimi a essere pubblicati in altre lingue. Ovviamente vorrei che i lettori mi conoscessero da questo momento attuale e poi scoprissero tutto quello che ho fatto nelle due decadi precedenti. Vorrei che mi invitassero a leggere poesia esofilosofica. Vorrei che leggessero i miei prossimi romanzi. Vorrei che mi invitassero a tenere conferenze. Vorrei che ascoltassero ciò che la Tijuana più radicale può raccontare a qualsiasi altra città. Se chiedi a uno scrittore cosa vuole che leggano, ti risponderà sempre che vuole che leggano ciò che sta scrivendo in questo momento. QUALI SONO LE AUTRICI E GLI AUTORI CHE SENTI PIÙ AFFINI ALLA TUA LETTERATURA E/O AL TUO PROGETTO CRITICO E POLITICO, OPPURE ANCORA ALLA POETICA CHE PROPONE L’ESOFILOSOFIA? Mi interessano il realismo speculativo e Roberto Bolaño. Ho seguito delle lezioni di Judith Butler ma mi interessano molto anche i libri recenti di Catherine Malabou. Mi interessano la Kabbalah (riletta oggi) e l’arte contemporanea. Penso che dobbiamo ancora leggere bene Borges e Kenneth Goldsmith. Ad oggi mi interessano anche la postcritica e una critica al decolonialismo. Credo che questo sia il momento migliore per scrivere letteratura e filosofia fuori da qualsiasi cornice nazionale. E penso che il contesto globale, il mercato mondiale delle idee, sia il maggiore rischio. È affascinante essere scrittore e filosofo oggi. Una poesia di Heriberto Yépez (tratta da Transnational Battle Field, 2017) About me: in English I am possessed by the most powerful Revolutionary force in the world today: The Anti-American spirit. But I am written and I write in English I too sing America’s shit. I am inhabited by imperial feelings Which arise in my mind as images Of pre-industrial rivers Or take some technocratic screen-form. My hopes are these wounds Are also weapons. But they may be undead Scholarly jargon. I am colonized. I dream of decolonizing Myself and others. The images of the dream Do not match up. I am the body And the archive. A bomb is ticking in my old soul. And the life of the bomb Trembles in the hands of my new voice. I am a professor in the Third World. What do I know? Libraries in the North Do not open their doors. I laugh at myself Imagining what the newer books state. Writing is counter -insurgent. But the counter -insurgency Leaders want our body Believing writing is freedom. This is as far as my English goes. L'articolo Dall’altra parte proviene da Il Tascabile.
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Il treno verde meno sostenibile al mondo
L e monumentali rovine del sito maya di Calakmul sono completamente immerse nella giungla, che le ha nascoste e protette fino a pochi decenni fa. Salendo in cima all’Estructura II, il più alto edificio maya conosciuto, lo sguardo spazia sopra il mare verde delle chiome degli alberi. Calakmul è stata un tempo la capitale del regno di Kaan, il regno della testa di serpente. Città inespugnabile, dominava un territorio sconfinato che arrivava fino all’attuale Guatemala, dove era situata Tikal, la città-Stato che contendeva a Calakmul il predominio sull’area. Il destino, beffardo, ha voluto che proprio a Calakmul, la capitale del regno della testa di serpente, sorgesse una delle 34 stazioni del Tren Maya, il “grande serpente metallico” che attraverserà la penisola dello Yucatán. 1554 chilometri, 34 stazioni, 42 treni, collegamento con 7 aeroporti e 26 aree archeologiche, per un costo stimato che sfiora i 30 miliardi di dollari. Questi sono i numeri essenziali che raccontano il progetto nato dalla fantasia dell’ormai ex presidente, Andrés Manuel López Obrador, all’indomani della sua elezione, nel 2018. Ripetutamente dipinto dal presidente come un grande progetto di speranza e sviluppo, una volta completato, il Tren Maya rappresenterà l’imperitura testimonianza del passaggio di López Obrador nella storia del Paese centroamericano. Ma non si tratta solo di aspirare all’immortalità. Un megaprogetto è soprattutto un formidabile generatore di consenso politico, a livello centrale e locale. Il paradigma che emerge dalla vicenda del Tren Maya è universale. Che si tratti di una linea ferroviaria o di un ponte, che avvenga in Messico o in Italia. Quando le grandi opere nate “in alto”, nelle stanze del potere centrale, vengono calate “in basso”, su territori spesso impreparati o inadeguati, in nome del progresso e dello sviluppo, i costi ambientali, sociali e culturali rischiano di diventare enormi. Il Tren Maya inizia il suo viaggio con una promessa: trasportare i turisti attraverso la Regione Maya e, così facendo, offrire opportunità economiche e benessere ad alcune delle comunità più povere del Paese, che non hanno case in muratura né un sistema fognario, guadagnano meno del salario minimo e spesso non proseguono gli studi oltre le scuole elementari. > Il Tren Maya è molto di più di una linea ferroviaria: è un vero progetto di > riordinamento territoriale e di trasformazione strutturale della regione, che > porta con sé resort, lotti residenziali, centri commerciali e impianti di > produzione energetica. È il presidente stesso a esporsi in prima persona promettendo che il treno porterà posti di lavoro e sviluppo per pagare il “debito morale” dello Stato messicano nei confronti del suo Sud-Est, storicamente trascurato. “Il Tren Maya è un atto di giustizia”, ha detto López Obrador, originario del vicino Stato di Tabasco, nel corso di un incontro con le comunità locali. Un progetto di trasformazione strutturale In realtà il Tren Maya è molto di più di una linea ferroviaria: è un vero progetto di riordinamento territoriale e di trasformazione strutturale della regione. La ferrovia porta con sé resort, lotti residenziali, centri commerciali, impianti di produzione energetica. In corrispondenza delle 20 stazioni principali è prevista la costruzione dei cosiddetti “poli di sviluppo”, destinati a ospitare ognuno 50.000 persone, con allevamenti di maiali e polli per soddisfare le necessità dei turisti. Ma c’è di più. Il progetto del Tren Maya prevede il collegamento diretto con un altro megaprogetto fortemente voluto da López Obrador e in gran parte già realizzato: il Corredor interoceánico, una ferrovia che mette in collegamento il Pacifico e l’Atlantico nel punto più stretto del Messico, offrendo un’alternativa terrestre più economica e più veloce al Canale di Panama. Nell’intenzione del presidente anche questo progetto, con i suoi parchi industriali, raffinerie e porti, contribuirà allo sviluppo della regione e darà una spinta a tutta l’economia messicana. Il tracciato del Tren Maya si snoda attraverso tutti e cinque gli Stati che costituiscono la penisola dello Yucatán: Chiapas, Tabasco, Campeche, Yucatán e Quintana Roo. Il percorso del treno, più volte modificato, a partire da quello originario lungo 900 chilometri, ha il suo cuore nell’anello ferroviario che, toccando i maggiori siti archeologici, le città coloniali e le località balneari della costa caraibica, parte e torna a Cancún, la capitale turistica della penisola. Cancún è una città artificiale, letteralmente costruita a tavolino dal governo messicano per favorire la nascita di un polo turistico alternativo ad Acapulco. Quando il 23 gennaio 1970 fu avviato il progetto di sviluppo, l’area contava solo tre residenti, i custodi della locale piantagione di cocco. Oggi, dopo 50 anni, Cancún ha quasi 900.000 abitanti e ogni anno viene visitata da oltre 20 milioni di turisti. Un vero eldorado, soprattutto per i tour operator stranieri, le catene alberghiere internazionali e i gestori messicani di discoteche e parchi dei divertimenti. Ad attirare i turisti nello Yucatán non sono solo la sabbia bianca e l’acqua turchese delle spiagge caraibiche, ma anche gli spettacolari siti archeologici della civiltà Maya e l’immenso patrimonio di biodiversità delle sue sconfinate foreste e della seconda più grande barriera corallina al mondo. Gran parte degli abitanti della penisola dello Yucatán sono di origine indigena, per lo più discendenti dai Maya. Le popolazioni indigene, con la loro cultura e il loro modo di rapportarsi all’ambiente, sostengono e preservano la biodiversità dello Yucatán ma spesso non traggono benefici dallo sviluppo turistico. Al massimo, hanno accesso ai lavori più umili, come quelli da personale delle pulizie negli hotel. È così che si comprende perché, nonostante lo sfruttamento turistico, lo Yucatán rimane un’area depressa nel quadro nazionale. In quattro dei cinque Stati che lo compongono, le famiglie, in particolare quelle indigene, hanno un reddito medio di gran lunga inferiore a quello nazionale, oltre 7 milioni di persone vivono sotto la soglia di povertà e più di 2 milioni in condizioni di indigenza. > Un gruppo di accademici ha firmato un appello per chiedere al governo di > fermare i piani di costruzione: il treno è considerato una minaccia ambientale > “su scala planetaria” con effetti potenzialmente devastanti. La costruzione del Tren Maya è avvenuta con tempi da record e ad opera di imprese quasi esclusivamente messicane: un vanto per la nazione. I primi 500 chilometri del tratto Campeche-Cancún sono stati inaugurati il 15 dicembre 2023, poco più di mille giorni dopo l’inizio dei lavori. Il completamento effettivo della linea, inizialmente previsto per la fine del 2024, dovrebbe avvenire entro la fine del 2025. Un’opera ad alto impatto ambientale Appena dopo la presentazione del progetto, sono cominciate le critiche. Nel 2018 l’organizzazione ambientalista tedesca Salviamo la foresta ha lanciato una petizione per sensibilizzare l’opinione pubblica sugli impatti ambientali che avrebbe avuto il Tren Maya, ottenendo una buona risonanza sia in Messico sia a livello internazionale con quasi 300.000 firme raccolte. Nel 2020 attraverso la voce del subcomandante Moises si sono duramente espressi anche gli zapatisti, definendo il Tren Maya “l’ennesima grande opera con la quale il Governo voleva distruggere il territorio”. Da quel momento le voci contrarie si sono moltiplicate. Tra queste quelle degli archeologi, preoccupati che la ricchezza, in gran parte ancora inesplorata, di resti di antiche civiltà presente lungo il tracciato venga irrimediabilmente distrutta o resa inaccessibile. Ma la maggior parte delle critiche si è concentrata sugli impatti ambientali dell’opera. A luglio del 2020, un gruppo di 85 accademici, molti dei quali messicani, ha firmato un appello per chiedere al governo di fermare i piani di costruzione, individuando nel treno una minaccia ambientale “su scala planetaria” e avvertendo degli effetti potenzialmente devastanti sulla falda acquifera, già sottoposta a una forte pressione a causa dell’urbanizzazione. Va considerato che geologicamente lo Yucatán è un’immensa distesa calcarea, praticamente priva di acqua in superficie, ma caratterizzata dal più grande sistema di fiumi sotterranei al mondo. Una vasta rete interconnessa che forma la Grande falda acquifera Maya, fonte di acqua potabile per circa cinque milioni di messicani. Gli speleologi locali hanno ripetutamente denunciato gli effetti del passaggio della linea ferroviaria sopra il sistema di gallerie carsiche e i danni ai cenotes, formazioni geologiche uniche al mondo, costituite da piscine di acqua cristallina scoperte dal crollo della volta rocciosa sovrastante, considerate dai Maya luoghi sacri di accesso al mondo degli inferi. A dare un’idea concreta di quello che sta avvenendo sono gli speleologi di Cenotes urbanos, un gruppo locale impegnato nel mappare il maggior numero di queste formazioni calcaree, nel tentativo di impedirne la distruzione: “Le grotte non sono solo dei tubi, vuoti, brutti e bui. Sono ecosistemi pieni di vita che lavorano in squadra con gli ecosistemi della giungla. La rotta ferroviaria attraversa almeno un centinaio di cenotes. Qui il terreno calcareo si sbriciola, perciò i binari non poggiano direttamente a terra ma vengono sopraelevati a 17 metri d’altezza, su centinaia di pali del diametro di oltre un metro conficcati a 25 metri di profondità; è come costruire su gusci d’uovo. Gli scavi distruggono alghe e batteri essenziali per la sopravvivenza dell’ecosistema e inquinano l’acqua. A volte, per procedere più in fretta, le ruspe tappano i cenotes con la terra. È un danno incalcolabile, irreversibile”. > Secondo il Tribunale internazionale per i diritti della natura, il Tren Maya > rappresenta una violazione dei diritti della Natura e dei diritti bioculturali > del popolo maya, il che costituirebbe un crimine di ecocidio ed etnocidio. Un’altra fonte di preoccupazione è l’impronta che il passaggio del Tren Maya e le opere complementari lasceranno sulla foresta e la fauna che la abita. All’atto della presentazione del progetto il presidente López Obrador si era lasciato un po’ andare all’entusiasmo assicurando nei comizi che non sarebbe stato abbattuto un solo albero. Nella realtà, l’apertura di un corridoio, che a volte raggiunge i 60 metri di larghezza, all’interno della foresta pluviale, ha richiesto l’abbattimento di molti alberi, difficilmente compensabili con le piantumazioni e le risemine previste dal progetto. Le stime più accreditate parlano di una superficie deforestata compresa tra 6.000 e 10.000 ettari. Tutto sommato, però, questa cifra impallidisce al confronto con i 100.000 ettari di foresta persi solo nel 2023 nella regione, a causa di pratiche agricole non sostenibili, dell’espansione degli allevamenti e dell’urbanizzazione della costa. Più della deforestazione è la frammentazione degli habitat naturali il vero rischio per la seconda più grande foresta pluviale dell’America Latina. Specie animali che si muovono su grandi estensioni di territorio, in particolare grandi carnivori come il giaguaro, o specie a rischio di estinzione, come il tapiro di Baird, potrebbero subire forti limitazioni alle possibilità di movimento per effetto di barriere artificiali come la ferrovia. Per mitigare questi impatti, il governo ha previsto la costruzione di attraversamenti per la fauna selvatica, ma purtroppo la maggior parte di essi è costituita da sottopassi, anziché da cavalcavia aperti, più costosi ma molto più funzionali. I costi e le minacce sociali Anche il Tribunale internazionale per i diritti della natura si è occupato del Tren Maya. Il tribunale, formato da cittadini e istituito nel 2014 per rappresentare i “diritti soggettivi della natura”, ha deciso di occuparsi del caso dopo che l’Assemblea del territorio Maya dello Yucatán ha richiesto il suo intervento il 5 giugno 2022. A marzo del 2023, i cinque giudici del tribunale hanno raccolto le testimonianze di 23 diverse comunità indigene. La sentenza emessa non lascia posto a fraintendimenti: “Il Tren Maya – si legge nel testo ‒ rappresenta in modo inconfutabile una violazione dei diritti della Natura e dei diritti bioculturali del Popolo Maya, il che costituisce un crimine di ecocidio ed etnocidio”. Al Tren Maya non sono mancate anche le critiche di chi lamenta che i costi sociali per la realizzazione del progetto saranno principalmente a carico delle comunità locali, mentre i benefici economici andranno per lo più ai grandi operatori internazionali del settore turistico. L’ONG messicana Prodesc, inoltre, ha denunciato ripetuti episodi di esproprio illegale degli ejidos, le terre comunitarie istituite dopo la Rivoluzione messicana, nonostante le affermazioni iniziali del governo che il progetto avrebbe interessato solo territori di proprietà federale. “Il cosiddetto Tren Maya non è un treno e non è maya, perché non è pensato per la popolazione ma per gli interessi del governo e delle imprese che sfruttano le risorse locali” ripetono gli esponenti del Congresso nazionale indigeno, organismo che riunisce le comunità indigene del Messico. > Tra espropri, gentrificazione e impatti ecologici, i costi sociali per la > realizzazione del progetto saranno principalmente a carico delle comunità > locali, mentre i benefici economici andranno per lo più ai grandi operatori > internazionali del settore turistico. E intanto, nelle zone di passaggio del treno, si è già innescato un processo di gentrificazione (vale a dire di trasformazione di un’area abitativa popolare in una più esclusiva), che ha fatto lievitare i prezzi dei beni essenziali e delle case. Anche il processo di consultazione delle popolazioni locali è stato ritenuto, da più parti, insufficiente e poco trasparente. Il presidente López Obrador e i suoi emissari sono stati apertamente accusati di manipolare le comunità indigene facendo leva sulla loro condizione di povertà e utilizzando metodi scorretti per ottenere il loro assenso al progetto. Alle accuse di mancato coinvolgimento delle popolazioni indigene nella decisione il presidente ha risposto con l’esito del referendum indetto per approvare il Tren Maya, stravinto con il 90% dei consensi. Un referendum, però, votato da meno dell’1% degli aventi diritto e dichiarato non conforme agli standard internazionali dagli osservatori dell’Alto commissariato delle Nazioni unite per i diritti umani. López Obrador ha sistematicamente ignorato o denigrato, attraverso i media governativi, tutte le critiche al progetto, riuscendo nell’intento di depotenziarle. Gli ambientalisti sono stati ripetutamente tacciati di essere “radical chic, corrotti e pagati dagli Stati Uniti”, e il mondo accademico scientifico di essere formato da “intellettuali borghesi che non conoscono la realtà”. > Molti albergatori, tassisti, guide turistiche sembrano consapevoli del prezzo > che il territorio pagherà con l’arrivo del Tren Maya, ma tra loro prevale > l’opinione che si tratti di un sacrificio necessario sull’altare dello > sviluppo economico. Le cause intentate dagli ambientalisti e dai gruppi indigeni e le sentenze dei tribunali messicani hanno inizialmente bloccato i lavori e introdotto modifiche al percorso originale. La minaccia di ulteriori rallentamenti ha indotto López Obrador nel 2021 a conferire, per decreto, lo status di “progetto di sicurezza nazionale” al Tren Maya e ad affidarne la realizzazione all’esercito, un’istituzione con una lunga storia di violazioni dei diritti umani. Con questo sistema sono state scavalcate tutte le autorizzazioni e le valutazioni di impatto ambientale e sociale, molte delle quali ancora in corso. All’esercito è passata anche la gestione diretta di diversi cantieri e la supervisione del funzionamento del Tren Maya, testimoniata in modo evidente dalla massiccia presenza di uomini in mimetica con armi di grosso calibro in tutte le stazioni e nei maggiori cantieri. Il viejito Ma cosa pensano i messicani del Tren Maya? Molti reporter europei hanno cercato di cogliere il pensiero dei locali parlando con loro mentre percorrevano, come semplici passeggeri, le prime tratte aperte. Tutti più o meno hanno raccontato una realtà simile. Salendo a bordo è evidente lo stato di eccitazione dei messicani che per la prima volta prendono il treno. Un selfie dietro l’altro e video a raffica dal finestrino anche quando fuori non c’è nulla da vedere. Alla richiesta di un parere sugli impatti ambientali del progetto, la maggior parte delle opinioni si assomigliano: “Non è un problema, ma quale deforestazione?, non sono impatti così gravi come dicono, qualche impatto è inevitabile se vogliamo lo sviluppo”. Nessuno sembra essere particolarmente interessato agli aspetti economici e sociali o ai diritti degli indigeni. D’altronde, basta entrare in una delle 34 stazioni per capire lo sforzo che il governo sta facendo affinché i messicani si approprino del treno e lo sentano come parte dell’identità nazionale. “Todas y todos somos Tren Maya”, recita il messaggio che compare ovunque, sui video, sui social, sulle riviste, sui gadget per i viaggiatori. Tra le popolazioni locali, i consensi maggiori al progetto arrivano dalle classi basse e medie, attratte dalla prospettiva di nuovi posti di lavoro. Qualcuno, perfettamente allineato col governo, parla addirittura di interessi economici che manipolano la gente per contrastare il treno. Molti albergatori, tassisti, guide turistiche sembrano consapevoli del prezzo che il territorio pagherà con l’arrivo del Tren Maya, ma tra loro prevale l’opinione che si tratti di un sacrificio necessario sull’altare dello sviluppo economico. Eletto con il consenso più alto della storia messicana recente, López Obrador è un politico di sinistra incline al tradizionale populismo messicano, che ha sempre coltivato un’immagine da “uomo del popolo”. Il subcomandante Marcos, all’epoca della sua prima elezione, lo definì “l’uovo del serpente”, per indicare la sua indole liberista sotto il guscio progressista. Sospinto dal consenso popolare, il presidente si è permesso di usare il pugno di ferro con i detrattori del progetto a cui, nel 2019 durante un comizio nello Stato del Campeche, ha inviato un messaggio esplicito: “Con la pioggia, i tuoni o i lampi, che lo vogliate o meno, il Tren Maya lo faremo”. Il rapporto tra il presidente le classi popolari è stato efficacemente descritto dal reporter cubano Dario Alemán: “I poveri, indubbiamente, vedono in lui un paladino contro l’oligarchia. Potremmo azzardare che gli vogliano addirittura bene, lo chiamano affettuosamente viejito (“nonnetto”) […]. Difficile biasimarli. Mai nessun altro politico ha portato avanti un programma sociale come quello di López Obrador, che ha aumentato le pensioni minime degli anziani, ha garantito sussidi bimestrali agli handicappati. E sebbene non si stia parlando di cifre astronomiche, nelle zone più arretrate del Messico fanno la differenza”. La nuova presidente E la neopresidente Claudia Sheinbaum? Cosa pensa del Tren Maya la donna, prima nella storia messicana, che il 1° ottobre del 2024 ha preso il posto di López Obrador? Considerata da tutti gli osservatori una “delfina” del vecchio presidente, Sheinbaum ha iniziato il mandato in piena continuità con il suo predecessore, continuando a inaugurare nuove tratte del Tren Maya senza perdere l’occasione di ribadire le prodigiose ricadute economiche e di sviluppo che l’opera porterà con sé. La neopresidente, scienziata del clima, ha anche continuato a sminuire le preoccupazioni ambientali legate al treno e ha contrattaccato chiedendosi dove fossero gli stessi ambientalisti che oggi contrastano il Tren Maya quando, nei decenni passati, lo sviluppo turistico ha trasformato la Riviera Maya causando enormi impatti ambientali. > Quella del Tren Maya è una vicenda esemplare dell’affermazione di un modello > “estrattivista” di trasformazione del territorio, in cui gli interessi > commerciali e finanziari sono predominanti rispetto a quelli collettivi. Ora però il suo governo sembra aver cambiato posizione. All’inizio di aprile di quest’anno, durante un incontro con i media, Alicia Bárcena, capo del ministero dell’Ambiente e delle Risorse naturali, ha riconosciuto pubblicamente i danni causati dal Tren Maya agli ecosistemi della regione del Quintana Roo e comunicato che il suo ministero sta effettuando sopralluoghi nell’area colpita con l’obiettivo di sviluppare misure di compensazione per i danni alle infrastrutture ed eventuali cambi di destinazione d’uso del territorio, per rispondere alle esigenze e alle preoccupazioni delle comunità locali. Bárcena ha preannunciato l’avvio di un piano di ripristino ambientale che dovrebbe riguardare l’intero tracciato del treno e i cui costi, a detta del sottosegretario alla Biodiversità e al Ripristino ambientale del governo, Marina Robles García, dovranno essere assunti da “chi ha eseguito i lavori”. Tra le azioni più importanti del piano annunciate da Bárcena si prevede l’eliminazione delle recinzioni metalliche che ostacolano il libero transito della fauna, la protezione di caverne e cenotes e il divieto di costruire strade secondarie nella giungla per le attività turistiche: “Possono essere le comunità stesse ad aiutarci a ripristinare l’ecosistema forestale, invece di appaltare ai consorzi che sono coinvolti nel Treno Maya, aziende che vengono, piantano un albero e il giorno dopo muore”. Una vicenda esemplare In attesa che questa nuova sensibilità del governo messicano nei confronti dell’ambiente e delle comunità locali diventi realtà, il sogno del populista López Obrador prosegue spedito. Il prossimo obiettivo è l’estensione del tracciato del treno per raggiungere la città maya di Tikal, in Guatemala, e il 15 agosto scorso i leader di Messico, Guatemala e Belize si sono incontrati a Calakmul proprio per discutere dell’ampliamento della linea ferroviaria. Nell’occasione hanno anche annunciato la creazione di un’area protetta sovranazionale per proteggere l’intera foresta pluviale Maya. Con gli impatti del megaprogetto in Messico davanti agli occhi e il greenwashing in agguato, la cautela è d’obbligo. Quella del Tren Maya è una vicenda esemplare, che assomiglia a tante altre che in America Latina e nel resto del mondo raccontano l’affermazione di un modello “estrattivista” di trasformazione del territorio, in cui gli interessi commerciali e finanziari, quasi sempre di pochi, sono predominanti rispetto ai diritti collettivi di natura ambientale, sociale e culturale. Un modello che ha i suoi esempi anche in Europa, dallo sfruttamento minerario dei territori Sami in Lapponia al ponte sullo stretto di Messina, e che afferma una visione produttivistica in cui il patrimonio culturale e naturale è usato come merce, come prodotto e in cui la sostenibilità dei megaprogetti viene valutata in termini quasi esclusivamente economici. Un modello di sviluppo che nega o nasconde qualsiasi discussione sulle conseguenze, in cui le grandi opere sono imposte senza un reale consenso, senza una coprogettazione con le comunità locali, generando forti divisioni al loro interno e una spirale di criminalizzazione e repressione di chi vi si oppone. Un modello che irrompe nei territori promettendo condizioni di vita migliori e finisce per alterarne profondamente gli equilibri, producendo enormi impatti sociali e ambientali che spesso si manifestano pienamente nel medio e lungo termine, quando ormai è impossibile porvi rimedio. L'articolo Il treno verde meno sostenibile al mondo proviene da Il Tascabile.
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