di Andrea Boraschi*
Martedì l’Ue deciderà il futuro del settore auto europeo. La revisione della
normativa sulle emissioni di CO₂ delle auto, dunque la decisione di confermare o
meno l’obiettivo di vendere solo veicoli a zero emissioni dal 2035, ci dirà se
l’Europa è davvero intenzionata a competere con Cina e Stati Uniti o se, di
fatto, accetterà una prospettiva in cui il futuro dell’auto non è europeo.
L’industria automobilistica del continente e i suoi alleati politici, nonché le
lobby dell’oil&gas, hanno impegnato tutte le loro forze in questa battaglia. Ciò
che realmente vogliono – oltre il paravento fumoso della “neutralità
tecnologica” – è la possibilità di continuare a vendere auto endotermiche anche
dopo il 2035. E di lasciare maggiore spazio, da qui ad allora, a tecnologie e
carburanti assai lontani – per capacità di riduzione delle emissioni, per
efficienza, maturità tecnologica e sostenibilità – dalle prestazioni dell’auto
elettrica (BEV). Che sarà invece – per stessa ammissione dei carmaker – la
tecnologia dominante nei prossimi anni.
L’industria è molto abile, quando si tratta di addossare la responsabilità della
sua crisi sui regolatori e sulle politiche climatiche. La realtà, però, è che la
crisi dell’auto non ha nulla a che fare col 2035. Le vendite di auto in Europa
sono calate di tre milioni, rispetto al 2019, perché le case automobilistiche
hanno privilegiato margini di profitto più alti a scapito dei volumi. Tra il
2018 e il 2024 il prezzo medio di un’auto di massa è salito del 40%, passando da
22.000 a 30.700 euro. E sono stati anni in cui molti produttori hanno registrato
profitti record.
Queste decisioni stanno ora producendo effetti concreti. La maggior parte degli
europei non può più permettersi un’auto nuova, mentre in Cina i marchi europei
stanno cedendo mercato sotto la pressione della concorrenza locale sui veicoli
elettrici. Come se ne esce? La “soluzione magica” dei carmaker sarebbe di aprire
le porte ai biocarburanti e agli ibridi plug-in (PHEV) dopo il 2035. Un rimedio
effimero, volto a massimizzare nel breve termine la componente endotermica; e un
grave errore strategico nel medio-lungo termine, che rischia di condurre
l’industria europea in un vicolo cieco. Ecco perché.
La prospettiva industriale – Una prospettiva di decarbonizzazione chiara, dunque
obiettivi trasparenti e stabili, rappresenta la bussola degli investimenti e
della fiducia nel mercato. Indebolire il target del 2035 significherebbe mettere
a rischio centinaia di miliardi già impegnati nella filiera dell’elettrico:
batterie, reti di ricarica, elettronica di potenza e componenti. Non a caso,
oltre 200 CEO e leader del settore hanno scritto alla Commissione europea
esortandola a non toccare questi obiettivi.
La sostenibilità economica – Dietro lo slogan della “neutralità tecnologica” si
nascondono soluzioni costose per i consumatori. Le auto elettriche sono già le
più economiche, nell’intero ciclo di possesso e utilizzo, e presto saranno anche
le più convenienti da acquistare. Al contrario, gli ibridi plug-in costano in
media 15.000 euro in più delle elettriche; se ai costi di acquisto si sommano
quelli di utilizzo, le PHEV possono arrivare a costare fino al 18% in più per
veicoli nuovi, percentuali che salgono ulteriormente (fino al 29%) per l’usato.
Gli e-fuel – altra soluzione propugnata dall’industria – arriverebbero a costare
fino a 6-8 euro al litro. E anche i biocarburanti avanzati, tanto cari
all’Italia, sarebbero un’alternativa costosa a causa della loro scarsa
disponibilità.
L’avanzata dell’elettrico – La corsa globale verso l’elettrico, per contro, è in
atto e non da segni di inversione. Le vendite di veicoli elettrici crescono non
solo in Cina, ma anche in mercati emergenti come Thailandia e Vietnam. E anche
in Europa la transizione sta accelerando.
Lo scorso novembre, i veicoli elettrici hanno raggiunto un nuovo massimo
storico, con 160.000 unità vendute in sette mercati del continente europeo.
Dall’inizio dell’anno si registra una solida crescita del 30%: oggi in Francia
le BEV valgono il 26% del mercato, in Portogallo il 32%; nel Regno Unito
sfiorano il 26,5% e in Germania sono al 22%, massimo storico dopo la fine degli
incentivi nel 2023. In Italia, lo scorso novembre le elettriche hanno
rappresentato il 12% del mercato. Un risultato frutto degli incentivi, certo; ma
anche la dimostrazione ultima che i consumatori non disprezzano affatto l’auto
elettrica, hanno semmai bisogno di politiche di sostegno alla transizione.
Il declino inesorabile dei motori tradizionali – Sul fronte opposto, i motori
tradizionali sono in costante declino. Le vendite di auto a combustione interna
(ICE) non si sono mai riprese dal picco del 2019; da allora a oggi, ICE e ibride
(non plug in), sommate, hanno perso il 10% del mercato (mentre le elettriche ne
hanno conquistato il 15%).
La domanda complessiva di auto è diminuita – tra le altre cose – a causa di
stagnazione economica, inflazione e tassi d’interesse elevati. Ma quando i
clienti torneranno, troveranno un mercato dominato dalle elettriche, non dai
motori tradizionali. Chi scommette ancora sul ritorno dei veicoli a combustione
— biofuel costosi, e-fuel o veicoli ibridi, che fanno ancora in gran parte leva
sulla tecnologia endotermica — semplicemente si illude.
L’Europa è a un bivio – Solo mantenendo fermi gli obiettivi attuali il settore
auto europeo ha una reale possibilità di competere nel mercato globale dei
veicoli elettrici. Indebolirli significherebbe aggrapparsi a rendite di
posizione sempre più esili, e rimanere ancora più indietro in termini di
innovazione. In altre parole: rallentare la transizione non aiuta. Peggiora la
nostra posizione competitiva.
L’industria automobilistica europea si è resa conto tardi di essere indietro
rispetto alla Cina. Ma ogni esitazione, oggi, è un vantaggio ulteriore per
Pechino, che non rallenterà la corsa verso l’elettrico solo perché noi
prolunghiamo la vita dei motori endotermici. Mentre i consumatori europei, nel
frattempo, smetteranno di acquistare una tecnologia di qualità inferiore e già
oggi, in molti Paesi, più costosa. Se l’Ue fa marcia indietro ora, rischia di
perdere il più grande cambiamento industriale di questa generazione,
abbandonando l’ambizione di padroneggiare una delle tecnologie più importanti
del XXI secolo e i vantaggi industriali, economici e sociali che ne derivano.
Ora è il momento di mantenere la rotta e, per i decisori, di mostrare leadership
e visione. Puntare su e-fuel e biofuel, su ibridi e su veicoli a combustione
“efficienti” è la direzione certa per trasformare l’Europa in un museo
dell’auto.
*direttore T&E Italia
L'articolo Auto inquinanti dopo il 2035? Se l’Europa torna indietro
sull’elettrico, se ne avvantaggerà la Cina proviene da Il Fatto Quotidiano.
Tag - Emissioni co2
Donald Trump allenta gli standard per le emissioni delle auto volute da Joe
Biden. “Mettiamo definitivamente fine agli orribili e ridicoli standard alle
emissioni di auto che hanno causato problemi alle cause automobilistiche”. Lo ha
annunciato il presidente Ue, durante una cerimonia alla Casa Bianca, a cui hanno
partecipato anche vertici dell’industria automobilistica americana. Presenti
anche gli amministratori delegati di Ford e Stellantis, Jim Farley e Antonio
Filosa, insieme ai vertici di General Motors. E le case automobilistiche
festeggiano. “È la vittoria del buon senso. Apprezziamo la leadership del
presidente Trump nell’allineare gli standard di efficienza alla realtà del
mercato” ha detto l’amministratore delegato di Ford. “È un grande giorno per
Stellantis perché riteniamo che sia il giorno in cui le regole si riconciliano
con la domanda reale” ha aggiunto il ceo di Stellantis, Antonio Filosa.
L’ANNUNCIO DI TRUMP
Con l’allentamento degli standard si passerebbe a 55,5 chilometri ogni 3,8 litri
di benzina rispetto agli 81,1 chilometri che Biden aveva imposto (entro il 2031)
per le auto e mezzi leggeri. “Stiamo riportando la produzione di auto negli
Stati Uniti” ha aggiunto Trump, sottolineando di voler autorizzare la produzione
negli Stati Uniti di auto ultra-compatte. “La mia amministrazione sta
intraprendendo un’azione storica per abbassare i costi per i consumatori
americani, proteggere i posti di lavoro nel settore auto e rendere l’acquisto di
un’auto molto più alla portata per un enorme numero di famiglie americane” ha
detto Trump, definendo le regole adottate dall’amministrazione Biden “un peso
ridicolo”. “Hanno messo una pressione enorme per far salire i prezzi delle auto,
insieme al folle mandato per le auto elettriche” ha aggiunto. Secondo le stime
della Casa Bianca i nuovi standard sulle emissioni delle auto faranno calare i
prezzi delle vetture “schizzati in media a 50mila dollari” e “risparmiare agli
americani 109 miliardi”. E d’altronde, già a gennaio 2025 Trump aveva
dichiarato: “I cittadini americani potranno finalmente comprare l’auto che
vogliono”, tagliando le gambe all’auto elettrica.
FESTEGGIANO LE CASE AUTOMOBILISTICHE
“Apprezziamo la leadership del presidente Trump nell’allineare gli standard di
efficienza alla realtà del mercato” ha commentato l’ad di Ford, Jim Farley. “Da
tempo sosteniamo un unico standard nazionale che garantisca la libertà di scelta
del cliente e la stabilità a lungo termine al settore automobilistico” ha
aggiunto General Motors. “Noi crediamo nella crescita e siamo pronti a investire
di più” ha aggiunto Filosa ricordando che Stellantis ha deciso di investire in
Jeep, Ram, Dodge e Chrysler 13 miliardi di dollari nei prossimi quattro anni,
aumentando produzione e occupazione. Un investimento che, secondo la società, è
positivo per tutti i paesi dove è presente il gruppo ed è stato deciso alla luce
delle regole chiare presenti sul mercato americano. “Collaboreremo con la Nhtsa
(l’agenzia americane per la sicurezza del traffico, ndr) – ha detto – su
politiche ecologicamente responsabili che ci consentano anche di offrire ai
nostri clienti la libertà di scegliere i veicoli che desiderano a prezzi
accessibili”.
LA STOCCATA DELL’AD FILOSA ALL’UNIONE EUROPEA
Una chiara stoccata all’Unione europea. Di fatto, Filosa ha più volte paragonato
gli Usa all’Ue, dove “le regole sono ancora restrittive e devono essere cambiate
urgentissimamente” in modo che “riflettano la realtà del mercato e restituiscano
ai clienti europei la libertà di scegliere la macchina che vogliono” ha detto in
una recente intervista a Bruno Vespa nel corso della trasmissione Cinque Minuti.
Già prima dell’incontro, complici le voci che si rincorrevano sul possibile
annuncio di Trump, le azioni di Stellantis erano volate in borsa chiudendo, il 3
dicembre, in rialzo del 7,7% a 9,832 euro, spinta anche dalla promozione di Ubs.
Una crescita proseguita anche dopo l’incontro con Trump (+0,62%).
L'articolo Trump allenta gli standard su emissioni delle auto: “Le regole di
Biden un peso ridicolo”. E i costruttori festeggiano proviene da Il Fatto
Quotidiano.
Nel tentativo di alleggerire il peso regolamentare sul mercato automobilistico,
Donald Trump ha annunciato un drastico allentamento dei limiti di efficienza
energetica e di emissioni per le nuove auto negli Stati Uniti, definendo
«ridicoli» gli standard introdotti dall’amministrazione Biden. Le nuove soglie
prevedono che i veicoli debbano percorrere circa 55,5 chilometri ogni 3,8 litri
di benzina, contro gli 81,1 chilometri precedentemente fissati. Un cambio di
rotta che, nelle intenzioni della Casa Bianca, dovrebbe favorire la produzione,
abbassare i costi per i consumatori e rilanciare la domanda di auto nuove.
Fra i primi a commentare il nuovo quadro normativo c’è Antonio Filosa, ceo di
Stellantis, che ha definito la decisione un “grande giorno” per la sua azienda.
Secondo Filosa, le nuove regole “si riconciliano con la domanda reale” e danno
maggiore stabilità a un settore che negli ultimi anni ha sofferto limiti troppo
rigidi. Il manager ha ricordato anche il piano di investimenti del gruppo, pari
a 13 miliardi di dollari in quattro anni negli Stati Uniti, spiegando che la
maggiore flessibilità normativa permetterà alle aziende di programmare con più
sicurezza.
Le reazioni favorevoli arrivano anche da altre case automobilistiche. Il ceo di
Ford, John Farley, ha definito il provvedimento “una vittoria del buon senso“,
sostenendo che gli standard precedenti avessero contribuito all’aumento del
prezzo medio delle auto nuove, oggi oltre i 50.000 dollari. L’amministrazione
Trump insiste sul fatto che regole troppo severe abbiano frenato gli acquisti,
spingendo molti consumatori verso il mercato dell’usato o alla rinuncia di
cambiare veicolo.
Il nuovo orientamento, però, non piace agli ambientalisti né a molti esperti del
settore, che denunciano un passo indietro significativo nella lotta al
cambiamento climatico. L’allentamento degli standard, sostengono, comporterà
consumi più elevati e un aumento delle emissioni in un momento in cui molti
Paesi stanno accelerando sulla transizione verso la mobilità sostenibile. Alcune
organizzazioni scientifiche ricordano che l’efficienza energetica dei veicoli è
tra gli strumenti più efficaci per ridurre l’impatto del trasporto privato.
La svolta americana attira attenzione anche in Europa, dove il quadro normativo
resta molto più severo. La posizione espressa da Filosa riflette una richiesta
crescente da parte di molte case automobilistiche (e da parte di stati chiave,
come la Germania), che vedono nella mossa degli Stati Uniti un possibile
precedente per chiedere regole più flessibili anche nel Vecchio Continente.
Sebbene l’Europa difficilmente seguirà un percorso così netto, il dibattito tra
esigenze ambientali, competitività industriale e accessibilità economica sembra
destinato a riaprirsi, mentre si resta in attesa della decisione della
Commissione Ue sulla revisione del percorso di transizione, originariamente in
agenda per il 10 dicembre ma slittata probabilmente all’anno nuovo.
L'articolo Trump: “Ridicoli gli standard auto voluti da Biden”. E la Casa Bianca
alleggerisce i vincoli sulle emissioni proviene da Il Fatto Quotidiano.
“Stiamo conducendo una revisione nell’ambito del più ampio pacchetto per il
comparto automotive che rispetterà il principio di neutralità tecnologica”.
Parole pronunciate dal commissario UE ai Trasporti, Apostolos Tzitzikostas, che
confermano la volontà della Commissione di aprire alle richieste del mondo
automotive, prima fra tutte l’abbandono della politica del “solo elettrico”, che
sta creando parecchi problemi sotto il profilo strategico e quello industriale.
Sicché, entro dicembre, si dovrebbe assistere all’avvio della revisione del
percorso di decarbonizzazione dell’automotive in tema di regolamentazioni sulle
emissioni CO2 e tecnologie ammesse per raggiungere i target preposti.
La data da cerchiare sul calendario sarebbe quella del 10 dicembre, giorno in
cui l’Associazione dei costruttori europei (Acea) spera che Bruxelles possa
avviare quell’iter che porti all’abolizione del bando alla vendita delle nuove
auto a benzina e diesel nel 2035, ammettendo la commercializzazione delle ibride
ricaricabili, dei modelli con range extender (ovvero di modelli a trazione
elettrica ma dotati di motore termico che fa da generatore di corrente per la
ricarica delle batterie) e delle vetture a idrogeno.
I car makers chiedono pure incentivi strutturali per sostenere la domanda di
mercato, specie per le vetture elettriche e dove il potere di acquisto risulti
essere inferiore. Ma in ballo c’è pure la definizione di quelle che saranno le
norme che circoscriveranno la categoria delle “E-Car“, automobili di piccole
dimensioni, a basso impatto ambientale e di impostazione simile alle kei car
giapponesi.
Si discuterà anche di carburanti sintetici, promossi dalla Germania, e di
biocarburanti, fortemente richiesti dall’Italia e dalla filiera dell’automobile:
sono trenta le associazioni dell’automotive, tra cui le italiane Anfia e Unem,
che hanno sottoscritto una dichiarazione congiunta per reclamare alle
istituzioni comunitarie di inserire questi carburanti nella normativa sulle
emissioni di CO2. In questo senso, per le associazioni, i carburanti rinnovabili
potranno “svolgere un ruolo indispensabile nel raggiungimento degli obiettivi
climatici”.
Le associazioni chiedono, in primis, che i veicoli alimentati esclusivamente con
carburanti rinnovabili siano riconosciuti “come veicoli a zero emissioni”, come
quelli elettrici; e che sia introdotta una “definizione giuridica unitaria dei
carburanti rinnovabili”, in linea con le disposizioni della Direttiva sulle
Energie Rinnovabili (RED). Infine, le suddette associazioni firmatarie invitano
la Commissione Europea “a integrare rapidamente e formalmente i carburanti
rinnovabili nella normativa per la riduzione delle emissioni di CO2 degli
autoveicoli leggeri in vista della prossima revisione. Solo allora l’Europa
potrà raggiungere i suoi obiettivi climatici con efficienza, sostenibilità
economica e responsabilità sociale”.
L'articolo Auto, UE verso una svolta. Possibile revisione del percorso di
decarbonizzazione proviene da Il Fatto Quotidiano.
Il Parlamento europeo vota la sua posizione negoziale su due dossier chiave per
il Green Deal: la modifica alla Legge Clima per stabilire l’obiettivo di
decarbonizzazione al 2040 e il pacchetto di semplificazione legislativa sulla
finanza sostenibile (Omnibus I). E decide di indebolire molte delle misure che
obbligano le aziende a rispondere delle violazioni dei diritti umani e
ambientali nelle loro catene di approvvigionamento. Proprio in questi momenti,
tra emendamenti votati a scrutinio segreto, espressioni di voto, astensioni e
dichiarazioni a caldo si palesano i tentativi di ridurre l’ambizione delle
politiche climatiche dell’Unione europea.
In seduta plenaria, l’Eurocamera ha adottato con 379 voti favorevoli, 248
contrari e 10 astensioni la sua posizione sulla proposta della Commissione di
modifica della legge europea sul clima: si segue la strada tracciata dal
Consiglio europeo (Leggi l’approfondimento), che prevede un nuovo obiettivo
intermedio e vincolante di riduzione netta delle emissioni di gas a effetto
serra del 90% entro il 2040 rispetto ai livelli del 1990 con più flessibilità,
tra cui la possibilità di utilizzare crediti internazionali per coprire 5%
dell’obiettivo. Nel corso del voto, però, sono stati respinti una serie di
emendamenti che chiedevano di abbassare il target all’83% e un rinvio del
sistema Ets 2 al 2030. Ma se in questo caso c’è stato uno sgambetto fallito a un
testo già di compromesso, il vero risultato le destre l’hanno portato a casa
sulla riduzione, nel pacchetto Omnibus I, degli obblighi di rendicontazione di
sostenibilità e di dovere di diligenza per le imprese previsti dalle direttive
su Corporate Sustainability Reporting e Corporate Sustainability Due Diligence.
Il testo è stato approvato con una maggioranza composta dal Ppe insieme a Ecr e
ai gruppi delle destre Patrioti per l’Europa e Europa delle Nazioni sovrane.
Spaccata nuovamente, dunque, la cosiddetta maggioranza Ursula composta da Ppe,
Socialisti, Liberali e Verdi.
REPORTISTICA AMBIENTALE E DUE DILIGENCE: IL PPE FA ASSE CON LE DESTRE
Con 382 voti favorevoli, 249 contrari e 13 astensioni, i deputati hanno adottato
la loro posizione su una proposta legislativa che punta ad alleggerire gli oneri
amministrativi per le aziende. I negoziati con i governi dell’Ue, che hanno già
adottato la loro posizione, inizieranno il 18 novembre con l’obiettivo di
trovare un accordo finale sulla legislazione entro il 2025. Per quanto riguarda
la direttiva sulla rendicontazione ambientale, il mandato dell’Eurocamera alza
la soglia del campo di applicazione, limitandola alle aziende con oltre 1.750
dipendenti e un fatturato netto annuo superiore a 450 milioni di euro che
dovranno redigere relazioni sociali e ambientali. Solo le imprese che rientrano
in questo ambito saranno inoltre tenute a fornire relazioni sulla sostenibilità
in linea con la tassonomia, ovvero la classificazione degli investimenti
sostenibili dell’Ue. La proposta originaria di Bruxelles includeva aziende con
mille dipendenti e un fatturato superiore a 50 milioni di euro o un totale di
bilancio superiore a 25 milioni di euro. I deputati europei chiedono inoltre
alla Commissione di creare un portale digitale per le imprese con accesso
gratuito a modelli, linee guida e informazioni su tutti i requisiti di
rendicontazione dell’Ue. Gli obblighi di due diligence, poi, dovrebbero
applicarsi a grandi società con più di 5mila dipendenti e un fatturato annuo
superiore a 1,5 miliardi di euro, riprendendo in larga parte le soglie della
proposta della Commissione, ma eliminando l’obbligo del piano di transizione per
rendere il modello di business in linea con gli obiettivi dell’accordo sul clima
Parigi. Le aziende potranno essere soggette a sanzioni pecuniarie per il mancato
rispetto dei requisiti di sostenibilità ambientale e sociale lungo la loro
intera catena di approvvigionamento.
LE REAZIONI DOPO IL VOTO CHE SVELANO FORTI TENSIONI
“Dopo settimane di ostruzionismo e ricatti – commenta la co-presidente dei Verdi
europei, Terry Reintke – il Ppe ha interrotto i negoziati con i tre gruppi
centristi e ha deciso di rompere il cordone sanitario. Ha scelto di allearsi con
Orbán e Le Pen per affossare le leggi in materia di ambiente e diritti umani che
rendono le grandi aziende responsabili del loro processo produttivo”. Attacca
anche il gruppo The Left: “Il Partito popolare europeo trova nuovi amici
nell’estrema destra. Si forma un’alleanza fascista-conservatrice per assolvere
le aziende dalle violazioni dei diritti umani e dalla distruzione ambientale”. E
d’altronde ciò che è accaduto lo raccontano i diretti interessati.
“Il gruppo Patrioti per l’Europa ha ottenuto un successo significativo,
ribaltando la vecchia maggioranza di coalizione e aprendo la strada alla
sostituzione del Green Deal con un programma orientato alla competitività”
afferma in una nota il gruppo dei Patrioti per l’Europa al Parlamento europeo. E
ancora: “Per la prima volta, il cosiddetto cordone sanitario è stato rotto in
una votazione legislativa. Una nuova maggioranza, che unisce Patrioti per
l’Europa, Ecr (Conservatori e Riformisti), Esn (Europa delle nazioni sovrane) e
Partito popolare europeo, ha prevalso a favore di un approccio più proporzionato
e orientato alla crescita, che libera le aziende europee da vincoli costosi e
inutili”. Tra gli europarlamentari italiani, Mario Furore (M5S), definisce “la
deregolamentazione selvaggia” prevista dalle nuove norme sulla due diligence
approvate dal Parlamento europeo” come un “regalo alle grandi compagnie che già
oggi soffocano le piccole imprese e gli artigiani”. E aggiunge: “La destra
ancora una volta tradisce le piccole e medie imprese favorendo quelle grandi che
sono poi, guarda caso, quelle che eludono il fisco in Europa o sfruttano i
lavoratori nei Paesi più poveri del mondo facendo un inaccettabile dumping alle
imprese italiane ed europee”.
VOTATO PURE L’ACCORDO SUL TAGLIO DELLE EMISSIONI. E POTEVA ANDARE ANCHE PEGGIO
Il Parlamento europeo ha approvato anche la sua posizione sulla proposta della
Commissione di modifica della legge europea sul clima per un target vincolante
di riduzione netta delle emissioni del 90% entro il 2040 rispetto ai livelli del
1990. Con alcune flessibilità, come il discusso ricorso fino al 5% di crediti
internazionali di carbonio “di alta qualità” nel raggiungimento del target a
partire dal 2036, con una fase pilota dal 2031 al 2035. La Commissione aveva
proposto un massino di 3 punti percentuali ma, la settimana scorsa proprio il
ministro dell’Ambiente italiano, Gilberto Pichetto Fratin aveva molto insistito
su questo punto. Il testo – frutto di un compromesso tra i gruppi Ppe,
Socialisti Ue, Renew e Verdi – sarà il mandato politico dell’Eurocamera per
avviare il negoziato con i Paesi Ue.
La posizione negoziale adottata in plenaria conferma il mandato adottato dalla
Commissione Ambiente (Envi) a inizio settimana e riprende molti degli elementi
inclusi nel mandato dei Paesi Ue, adottato a fatica la scorsa settimana. Tra le
altre flessibilità, gli eurodeputati sostengono l’idea di una valutazione su
base biennale da parte della Commissione europea sui progressi compiuti verso
gli obiettivi intermedi che tenga “conto dei dati scientifici più recenti, degli
sviluppi tecnologici e della competitività internazionale dell’Ue”, con la
possibilità di presentare una proposta legislativa, se necessario, per rivedere
l’intero target. Gli eurodeputati confermano, inoltre, un riferimento al ruolo
dei biocarburanti nella decarbonizzazione dei trasporti, ottenuto dall’Italia
nel mandato negoziale del Consiglio Ue. Nonché la possibilità di ricorrere a un
“freno di emergenza” per rivedere il target qualora gli assorbimenti attraverso
i pozzi naturali di carbonio, come le foreste, siano inferiori alle attese. Il
compromesso sostiene, infine, il rinvio di un anno, dal 2027 al 2028, del nuovo
mercato del carbonio (Ets2) per trasporti ed edifici. E poteva essere anche più
pesante il pacchetto di flessibilità. Nel corso del voto sono stati respinti una
serie di emendamenti presentati da alcuni eurodeputati del Ppe votati a
scrutinio segreto – su richiesta del gruppo Ecr – che chiedevano di abbassare il
target all’83% e un rinvio al 2030 del sistema Ets 2, molto osteggiato da
diversi Paesi europei.
L'articolo Due diligence per diritti umani e ambiente: il Ppe fa asse con le
destre per ridurre gli obblighi proviene da Il Fatto Quotidiano.