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“Le agenzie di viaggio Usa sono una minaccia per i parlamentari Ue”: la lettera dell’eurodeputato a Metsola
La distanza tra Europa e Stati Uniti, nell’era di Donald Trump, è sempre più siderale. Al punto che le agenzie di viaggio americane, nel Parlamento Ue, sono percepite come una minaccia. In una lettera alla presidente Roberta Metsola, l’eurodeputato austriaco Helmut Brandstätter chiede di revocare il mandato alla ditta Carlson Wagonlit Travel (CWT), della multinazionale a stelle e strisce American Express. Da quando si è aggiudicata l’appalto, la ditta organizza i viaggi degli ospiti, degli eletti e dello staff del Parlamento europeo. Ma dopo il caso di Francesca Albanese a novembre – denunciato dal M5s e raccontato da ilfattoquotidiano.it – il clima è cambiato attorno all’agenzia. Cosa era accaduto? Pochi giorni prima di un convegno organizzato dall’Aula di Bruxelles, Cwt ha disdetto la prenotazione della relatrice Onu, ospite dell’evento. La motivazione ufficiale non è mai arrivata, ma per gli addetti è chiaro: l’agenzia è tenuta ad applicare le sanzioni Usa contro Albanese, anche in Europa. Il problema fu risolto in fretta: l’esperta di Medio Oriente partecipò alla conferenza grazie al nuovo alloggio prenotato direttamente dagli uffici del Parlamento Ue. Ma un’ombra è rimasta sulla ditta Cwt. Ora per i viaggi delle persone sanzionate dagli Stati Uniti – scrive la testata brussellese Politico – l’Ue intende cambiare agenzia affidandosi a una ditta belga. Ma ad alcuni europarlamentari non basta e invocano la revoca dell’appalto alla società americana. LA LETTERA A METSOLA: “L’AGENZIA AMERICANA UN RISCHIO PER I DEPUTATI” Secondo la lettera firmata da Helmut Brandstätter – iscritto al gruppo centrista di Renew – gli eletti del Vecchio continente sono esposti al “rischio di azioni esecutive arbitrarie ed extraterritoriali da parte delle autorità americane”. Poiché American Express ha sede negli Usa, “CWT – e per estensione, il Parlamento europeo e i suoi deputati – è sottoposta alle leggi statunitensi in materia di sanzioni”, scrive Brandstätter. Dunque continuare ad affidarsi all’agenzia a stelle e strisce, “espone i deputati e il personale del Parlamento al pericolo reale e attuale delle sanzioni statunitensi, che sono già state utilizzate come arma contro funzionari europei in passato. Basti pensare ai recenti casi in cui individui ed entità europee sono stati minacciati o sanzionati dagli Stati Uniti, con conseguente esclusione dai servizi digitali, dai sistemi finanziari e persino dai viaggi”. Ecco perché “l’Unione Europea non deve permettere che la sua sovranità, né l’indipendenza dei suoi rappresentante, siano compromesse dalla portata giuridica e politica di un paese terzo”. Si parla degli Usa, ma i toni suggeriscono inimicizia come fosse il Cremlino: da alleati a “Paese terzo”. Se il messaggio non fosse chiaro, l’eletto austriaco ribadisce: “Utilizzare un’agenzia di viaggi controllata dagli Stati Uniti mette a rischio ogni deputato europeo e compromette la nostra capacità di adempiere al nostro mandato democratico senza timore di coercizioni esterne”. Insomma, gli Usa come una minaccia per le istituzioni elettive del Vecchio continente. In conclusione, l’austriaco esorta la presidente del Parlamento Ue a “rescindere immediatamente il contratto con Cwt”, “sospendere con effetto immediato qualsiasi utilizzo” della ditta, infine selezionare un’agenzia europea. Le preoccupazioni investono la privacy e i dati sensibili di eletti e funzionari: “Cwt ha accesso alle informazioni più sensibili sui deputati e sul personale parlamentare, inclusi i dati del passaporto, i dati delle carte di credito, le modalità di viaggio e la loro esatta ubicazione in qualsiasi momento”. IL DEPUTATO DI RENEW: “AZIENDE STRANIERE PROFONDAMENTE RADICATE NEL PARLAMENTO UE” L’appello da inviare a Roberta Metsola, firmato Brandstätter, sta circolando tra gli europarlamentari ma è già giunto all’orecchio della multinazionale americana. Che non ha gradito. “Ho ricevuto telefonate infastidite da American Express perché qualcuno ha fatto trapelare la lettera”, ha scritto l’esponente di Renew in una mail – letta dal Fatto – destinata a tutti gli europarlamentari. “Questo dimostra quanto profondamente le aziende straniere siano radicate in quest’Aula. È un motivo in più per lottare per la sovranità del Parlamento”, chiosa Brandstätter. Il M5s ha espresso sostegno a Brandstätter firmando l’appello destinato a Metsola. Tra i motivi, anche “le nuove regole di accesso negli Stati Uniti che prevedono uno screening dei social per rilasciare un visto d’ingresso”, si legge in una nota dell’eurodeputato Danilo Della Valle. “La gestione dei viaggi e degli spostamenti dei parlamentari europei sono dati sensibili che riguardano anche la sicurezza interna e andrebbero affidate a società europee”, conclude l’esponente pentastellato. L'articolo “Le agenzie di viaggio Usa sono una minaccia per i parlamentari Ue”: la lettera dell’eurodeputato a Metsola proviene da Il Fatto Quotidiano.
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L’audizione al Parlamento Ue: “Le vecchie patrimoniali hanno fallito. Ma tassare i super ricchi si deve e si può: ecco come”
Mentre Pier Silvio Berlusconi puntualizza, per chi avesse dei dubbi, che l’idea di una patrimoniale non gli piace, la proposta di un’imposta minima europea sui super-ricchi prova a rientrare nell’agenda politica di Bruxelles. La commissione Fisco del Parlamento europeo ha ospitato giovedì un’audizione dedicata all’imposizione sulla grande ricchezza: ospite d’onore l’economista Gabriel Zucman, che ha promosso la proposta di una tassa minima sui miliardari presentata lo scorso anno ai leader del G20. Il suo Osservatorio fiscale europeo ha presentato per l’occasione una nuova analisi commissionata dalla fondazione Friedrich Ebert, che smonta molti luoghi comuni sulle patrimoniali tradizionali e propone un modello diverso, costruito per colpire la ricchezza estrema. Il punto di partenza del report – “Wealth taxes and high-net-worth individuals in Europe”, firmato da Zucman con Giulia Varaschin e Quentin Parrinello – sono i dati: negli ultimi quarant’anni, la quota di ricchezza detenuta dallo 0,1% più ricco in Europa è salita dall’8,5 all’11%, quasi quattro volte quella del 50% più povero. Questo mentre, secondo le stime di Zucman e altri accademici, le aliquote effettive pagate dai miliardari sono inferiori a quelle della classe media. Da qui la questione politica: come costruire un’imposta che colpisca la ricchezza estrema imparando dagli errori delle vecchie patrimoniali europee? Il brief presentato all’organismo guidato da Pasquale Tridico ricostruisce la parabola delle wealth tax adottate in passato da Francia, Svezia, Danimarca e Finlandia spiegando perché hanno raccolto poco e generato molta opposizione. Le soglie erano troppo basse: fino a 150-250mila euro nei casi di Svezia e Finlandia, ben sotto i livelli di reddito a partire dai quali i sistemi fiscali di molti Paesi avanzati diventano regressivi. Di conseguenza quelle tasse andavano spesso a colpire famiglie la cui ricchezza era immobilizzata in case o piccole imprese, creando problemi di liquidità. Per attenuarli, i governi hanno introdotto esenzioni e sconti sulle valutazioni, soprattutto riguardo agli asset d’impresa. Correttivi che hanno finito per aprire varchi di cui il top 0,1% ha approfittato per riorganizzare i propri patrimoni ed eludere il prelievo. Con il risultato di ridurre moltissimo il gettito e l’efficacia delle misure. La narrativa della “fuga dei ricchi”, sottolinea il documento, è invece largamente infondata. Gli studi su Francia, Danimarca, Svezia e Regno Unito mostrano che gli effetti della tassazione della grande ricchezza sulla mobilità dei contribuenti più facoltosi sono marginali, con impatti quasi nulli su investimenti e occupazione. Il vero limite dei vecchi modelli sta insomma nel modo in cui erano stati disegnati. Zucman e l’EU Tax Observatory propongono una rivoluzione copernicana: soglie altissime (a partire da 100 milioni di patrimonio netto), nessuna esenzione e un meccanismo di tassazione minima che integra l’imposta nel sistema esistente. La logica è semplice: se l’insieme delle tasse già pagate da un ultra-ricco non raggiunge una certa percentuale del patrimonio, scatta un conguaglio. Non si tratta quindi di un’imposta aggiuntiva, ma di un livello minimo sotto il quale non sarebbe consentito scendere. Il modello si regge su due pilastri politici cruciali. Il primo è l’applicazione rigorosa delle exit tax e delle regole di “trailing residence”, meccanismi che consentono a uno Stato di continuare a tassare una persona – per un periodo limitato e su specifiche base imponibili – anche dopo che ha cambiato residenza. Il secondo è l’infrastruttura di scambio automatico di informazioni oggi in vigore tra oltre cento giurisdizioni, che negli ultimi anni ha ridotto drasticamente l’evasione offshore e rende più credibile qualunque tentativo di tassare la ricchezza finanziaria. Una tassa minima europea anche con aliquote molto basse (1-2%), come calcolato più volte da Zucman, sarebbe in grado di produrre un gettito importante con cui finanziare investimenti in istruzione, sanità e transizione verde. Oltre a rappresentare un segnale politico forte in vista della correzione di un sistema che oggi è regressivo proprio al vertice della distribuzione dei redditi. “Lo studio fa chiarezza una volta per tutte sulle problematiche fiscali e sulle forti diseguaglianze che oggi l’Ue affronta”, commenta Pasquale Tridico, capodelegazione del Movimento 5 Stelle e presidente della Commissione. “La ricchezza estrema in Europa è cresciuta molto negli ultimi decenni: lo 0,1% degli ultraricchi possiede oggi circa l’11% della ricchezza totale, più di quattro volte quella detenuta dal 50% più povero. La cosiddetta proposta Zucman prevede un meccanismo top-up che porta al 3% la tassazione minima sul patrimonio superiore ai 100 milioni di euro. Questa aliquota verrebbe applicata ad appena 600 persone in tutta l’Unione europea per un gettito fiscale di 121 miliardi di euro. Questa proposta non tassa le case o i risparmi dei cittadini e quindi non comporta effetti indesiderati che possano spaventare il ceto medio”. L'articolo L’audizione al Parlamento Ue: “Le vecchie patrimoniali hanno fallito. Ma tassare i super ricchi si deve e si può: ecco come” proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Ue, sui migranti il Ppe vota con l’ultradestra. Strada: “Totalmente allineati, sui Paesi sicuri norme tremende”
Via libera degli eurodeputati in commissione LIBE (Giustizia, Libertà Civili e Affari Interni) alla bozza sulla prima lista Ue dei Paesi di origine sicuri. Via libera anche al mandato negoziale sull’applicazione delle norme relative ai Paesi terzi sicuri. I due testi allegati al Patto su migrazione e asilo sono passati grazie ad una maggioranza tra il Ppe e le destre, sterzando nuovamente dalla “maggioranza Ursula”, la sempre più fragile base parlamentare che sostiene la Commissione europea della presidente tedesca von der Leyen. In minoranza sono rimasti i Socialisti, che hanno votato contro. “Oggi abbiamo approvato in Commissione LIBE il dossier sulla lista Ue dei Paesi di origine sicura, di cui sono relatore, confermando il lavoro che abbiamo svolto nelle ultime settimane e segnando il primo passo concreto del percorso parlamentare su un file di grande rilevanza politica”. Lo dichiara Alessandro Ciriani, eurodeputato di FdI-Ecr relatore della Modifica del regolamento Ue 2024/1348 per l’istituzione di un elenco di paesi di origine sicuri a livello dell’Unione. Ancora, sul dato politico: “Il voto odierno in LIBE certifica che il Parlamento è pronto a mettere in campo una posizione organica e responsabile. Confido che in plenaria si procederà con lo stesso senso di responsabilità, affinchè l’Europa possa dotarsi di un impianto normativo solido e credibile nella gestione dei flussi migratori”. “Grazie al sì di popolari ed estrema destra son passati dei testi che fanno a pezzi il sistema d’asilo in Europa. Stiamo validando la possibilità di spedire le persone in Paesi Terzi con cui non hanno alcun legame”, dichiara Cecilia Strada, eurodeputata Pd e relatrice ombra di entrambi i dossier, confermando quanto raccontato al Fatto alla vigilia del voto. “Tutto ciò è sbagliato e insostenibile, come lo è ritenere sicuri Paesi di origine tipo la Tunisia, dove la situazione dei diritti umani è drammatica come dimostra l’ok del Parlamento, la settimana scorsa, a una risoluzione d’urgenza, passata anche coi voti dei popolari. La Lega ha provato a inserire ulteriori Paesi di origine sicuri alla lista, cosa che siamo riusciti a impedire. Siamo davanti a un gioco profondamente cinico e incoerente, che si consuma sulla pelle dei più vulnerabili e in nome di un’urgenza che non è tale: stando ai più aggiornati dati Frontex e Eurostat, i flussi degli arrivi e le richieste di protezione continuano a diminuire. Stiamo solo facendo un regalo ai governi che con le loro cosiddette ‘soluzioni innovative’ erodono i diritti fondamentali”. L'articolo Ue, sui migranti il Ppe vota con l’ultradestra. Strada: “Totalmente allineati, sui Paesi sicuri norme tremende” proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Paesi sicuri, Strada: “Disastro del Ppe, è la fine del diritto d’asilo. Ma la sanatoria sull’Albania non c’è”
L’europarlamentare del Pd Cecilia Strada, relatrice ombra per i Socialisti e Democratici sui dossier “paesi terzi sicuri” e “paesi sicuri d’origine” in esame alla Commissione LIBE del Parlamento Ue, esprime profonda preoccupazione in vista del voto di mercoledì 3 dicembre. Definisce la situazione un “disastro politico” in cui i parlamentari del Partito popolare europeo (Ppe) si allineano all’estrema destra su testi che rappresentano “la fine del diritto d’asilo in Europa”. Un approccio che sta portando l’Unione Europea a “violare lo spirito della Convenzione di Ginevra sui rifugiati”. Strada, qual è il punto politico sui dossier al voto alla Commissione LIBE? Il punto in cui siamo è un disastro. Il Ppe sta lavorando totalmente insieme all’estrema destra su questi temi. Gli stessi popolari che teoricamente dovrebbero stare con il campo progressista e invece, sulla questione migratoria, guardano solo ed esclusivamente da quella parte. La negoziazione com’è andata? Nessuno dei tentativi di negoziare da parte del campo progressista è stato accettato. I relatori hanno ripreso sostanzialmente invariata la proposta della Commissione e hanno rifiutato qualunque tentativo di mediare con noi per cambiare il testo e renderlo vagamente più umano. Andiamo a votare testi che sono tremendi. La vera novità sta nel nuovo concetto di “paese terzo sicuro”. Mentre il concetto di Paese d’origine sicuro ha a che fare con l’esame della richiesta di protezione, col concetto di Paese terzo sicuro l’Ue non entra nemmeno nel merito della tua domanda d’asilo. Ti dice che potresti anche aver diritto alla protezione, essere un rifugiato, ma non qui. E se l’Europa decide che avresti potuto fare domanda altrove, anche dove sei semplicemente transitato, o che potresti presentarla in un Paese col quale ha preso accordi, verrai trasferito, punto. E’ la rinuncia al nostro obbligo di protezione, delegato a paesi terzi coi quali ci si mette d’accordo. E’ di fatto la fine del diritto d’asilo in Europa, e ci prendiamo anche dei rischi. Quali? Perché Paesi che hanno più problemi di noi dovrebbero accettare i richiedenti asilo che noi non vogliamo gestire, se non per soldi o altri vantaggi? Sicuramente non per spirito di fratellanza. Dunque? Dunque l‘Europa diventa ricattabile, tra l’altro senza prevedere alcuna specifica sul tipo di accordi, che possono essere i soliti memorandum informali e non vincolanti. Cosa succederà quando questi paesi terzi vorranno di più, vorranno rinegoziare, vorranno più soldi o più vantaggi? Situazioni già viste in Turchia ma anche in Tunisia. Oltre al fatto che in sostanza ci apprestiamo a spostare persone attraverso i confini in cambio di soldi, come sul confine tra la stessa Tunisia e la Libia, dove le persone vengono vendute e spostate. Non è ciò che che condanniamo come traffico di esseri umani? Le nuove norme risolveranno i problemi del Protocollo Italia-Albania come dice il governo? Né il testo sui Paesi d’origine, né quello sui Paesi terzi sicuri sanerà quell’accordo. Il governo è arrivato a considerare quelli in Albania come trasferimenti da un Cpr all’altro, come fossimo in Italia. Ma nonostante la giurisdizione italiana, l’extraterritorialità non ha permesso di garantire le tutele previste dalla normativa dell’Unione: le alternative al trattenimento, ma anche l’eccesso effettivo a diritti come quello alla salute, all’unità familiare, a una difesa effettiva. In Europa i flussi migratori non stanno aumentando, come mai resiste l’urgenza normativa? Non c’è nessuna urgenza, è la stessa agenzia europea Frontex che ci fa vedere come i flussi stanno diminuendo. Ma da almeno dieci anni le persone migranti sono lo strumento sul quale si è fatto propaganda per vincere le elezioni a qualunque costo, e distrarre le persone dalle garanzie sui propri diritti, da una sanità degna di questo nome al fatto che stiamo indebitando i nostri figli e i nostri nipoti per comprare armi. Le opposizioni sono pronte per proporre soluzioni alternative sui migranti? Secondo me siamo abbastanza pronti se smettiamo di aver paura di perdere le elezioni su questo tema e quindi se smettiamo di inseguire la destra. Non è mai una buona idea inseguire la destra sulla propria agenda: tra la copia e l’originale la gente vota l’originale o se ne sta a casa. L'articolo Paesi sicuri, Strada: “Disastro del Ppe, è la fine del diritto d’asilo. Ma la sanatoria sull’Albania non c’è” proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Giorgia Meloni
Migranti
Migranti, l’Ue vota sui Paesi terzi sicuri. Ma la “fortezza” immaginata da von der Leyen finirà nei tribunali, ecco perché
Altro che sanare il Protocollo Italia-Albania: la proposta della Commissione Ue – sostenuta da popolari ed estrema destra – ha ben altri piani. Cambiando la definizione di “Paese terzo sicuro”, punta a rendere inammissibili le domande d’asilo e a trasferire i richiedenti, mettendo a rischio i diritti fondamentali e la stessa convenzione di Ginevra del 1951 sui rifugiati. Una deriva “palesemente illegittima”, secondo l’esperto di migrazioni internazionali Gianfranco Schiavone, che mira a liberare l’Unione dai suoi obblighi giuridici violando le norme sul funzionamento dell’Ue, e destinata quindi a un inevitabile scontro nelle aule di tribunale e fino alla Corte di giustizia. L’esperimento italiano in Albania ha già mostrato i suoi limiti ai partner europei. Con la giurisdizione italiana resta in vigore il diritto Ue, ma il patto con Tirana non consente di garantire le tutele che, almeno sulla carta, si possono rivendicare in Italia. Nemmeno l’atteso Patto europeo sull’asilo, operativo da giugno, supera l’ostacolo. Per questo la proposta della Commissione guidata da Ursula von der Leyen vuole affidare i richiedenti direttamente a Paesi terzi. Basterà che, nel viaggio verso l’Europa, siano passati da un Paese considerato sicuro per dichiarare inammissibili le loro domande di asilo e trasferirli altrove, anche senza un reale legame con quello Stato. E se il transito non è dimostrabile, basterà un accordo – anche informale – con un Paese terzo. Al voto mercoledì 3 dicembre in Commissione Libertà civili, Giustizia e Affari interni (LIBE), la proposta ha i voti del Partito popolare europeo, dei conservatori di ECR, ma anche dei Patrioti e dei sovranisti dell’ESN. Difficile che le cose cambino in plenaria a Strasburgo. Lo scontro, prevedibilmente, si sposterà nei tribunali. Ma su quali basi? La convenzione del 1951 prevede la possibilità di collaborazione tra Stati quando si tratta di alleggerire un Paese da un onere che non può ragionevolmente sostenere in modo adeguato. Ma se lo scopo è liberarsi degli obblighi di protezione, si tratta di esternalizzazione ed è illecito. Col 73% dei rifugiati in Paesi a medio o basso reddito, il Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa, Michael O’Flaherty, ricorda che gli Stati europei sono spesso tra i Paesi col più alto Pil pro capite, hanno sistemi di asilo più solidi e un numero relativamente basso di rifugiati e richiedenti: “Difficile capire come il trasferimento dagli Stati europei in altri Paesi – soprattutto se questi non hanno le capacità di accoglienza e i mezzi di protezione necessari – non equivalga a un trasferimento di responsabilità”. Certo, i Paesi terzi riceveranno ingenti finanziamenti. Ma pagare non basta, come ha dimostrato la Corte Suprema britannica bocciando il memorandum tra Regno Unito e Ruanda. “Anche con investimenti pesanti nel sistema di asilo del Paese terzo, si tratterebbe di un’impresa complessa che richiederebbe molto tempo per produrre risultati sufficienti”, avverte il Commissario O’Flaherty. Anche l’Unhcr, l’Agenzia Onu custode della convenzione di Ginevra, ammette che, in condizioni specifiche, un trasferimento può essere legale, ma ribadisce che servono garanzie concrete e standard elevati. Senza tali garanzie – ha sempre precisato – “l’Unhcr rimane fermamente contrario agli accordi che mirano a trasferire rifugiati e richiedenti asilo”. Peggio ancora se si tratta di accordi informali: “Gli accordi di trasferimento dovrebbero essere accessibili al pubblico e incorporati nell’ordinamento giuridico degli Stati partecipanti”, ha scritto l’Unhcr ad agosto nella guida ‘Accordi internazionali per il trasferimento di rifugiati e richiedenti asilo’. Quanto a garanzie, il nuovo regolamento Ue sembra adottare una nozione piuttosto debole di “protezione effettiva“, considerandola valida anche in Stati che non hanno ratificato la convenzione o che non garantiscono uno status giuridico di protezione e l’accesso ai diritti, “ma solo la possibilità di essere temporaneamente tollerati”, spiega Schiavone. “Senza la garanzia di uno status giuridico le persone rischiano di finire in un limbo senza limiti di tempo”. Pericolo tanto più concreto se gli accordi non sono giuridicamente vincolanti e le persone vengono trasferite in Paesi coi quali non hanno alcun legame. Nel commentare la proposta della Commissione, l’Unhcr ha chiesto accordi vincolanti, procedure rigorose, tutele legali come la sospensione automatica del trasferimento in caso di ricorso giuridico e protezioni specifiche per i soggetti vulnerabili, tutte condizioni oggi assenti. Ma le destre non hanno sentito ragioni e il testo è rimasto praticamente invariato. Inascoltata in Parlamento, che ruolo potrà avere l’Agenzia quando si tratterà di controllare? Se Donald Trump le ha tagliato i fondi, l’Ue finanzia l’Unhcr solo per progetti coerenti con le proprie politiche migratorie, per lo più in Nord Africa. E mentre la capacità dell’Agenzia di vigilare si riduce, i governi la usano spesso come una foglia di fico. Così non resta che il controllo giurisdizionale. Senza modifiche, avverte Schiavone, “le nuove norme non potranno non essere impugnate davanti ai tribunali nazionali”. I possibili rilievi vanno dalla violazione della Carta dei diritti fondamentali dell’Ue che garantisce, tra gli altri, il diritto d’asilo “nel rispetto delle norme stabilite dalla convenzione di Ginevra”, al contrasto col Trattato sul funzionamento dell’Unione, che impone piena conformità alla convenzione. Toccherà ai giudici, ancora una volta, decidere se fermare i trasferimenti e rinviare tutto alla Corte di giustizia europea. 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Ucraina, l’Ue si oppone al piano di pace di Trump: “Preoccupante. No al riconoscimento dei territori in mano ai russi”
“Preoccupazioni” in merito al piano di pace proposto dagli Stati Uniti per possibili conflitti con “il diritto internazionale e la sicurezza dell’Europa e dell’Ucraina” e nessun futuro riconoscimento dei territori sotto il controllo russo. L’Unione europea ribadisce la propria contrarietà a una pace in Ucraina sulla base dei colloqui iniziati a Ginevra e ancora in corso tra le parti. E lo fa con l’ennesima risoluzione del Parlamento europeo, approvata a larghissima maggioranza (401 voti a favore, 70 contrari e 90 astenuti), che chiede una “pace giusta e duratura, che si fondi sul diritto internazionale e che rispetti pienamente l’integrità territoriale, l’indipendenza e la sovranità dell’Ucraina”. Nel testo che ha ottenuto il via libera della Plenaria di Strasburgo si legge che “la Russia dimostra costantemente di non avere alcun interesse a conseguire la pace e continua ad attaccare i civili e le infrastrutture in Ucraina”. Per questo, la posizione assunta dall’amministrazione Trump, per i gruppi che rappresentano l’emiciclo, non è né efficace né rispettosa del diritto internazionale. E ribadiscono invece che “una strategia europea per la pace in Ucraina deve fondarsi sul diritto internazionale, rafforzare la sicurezza europea, preservare e ripristinare la sovranità e l’integrità territoriale ucraina ed essere accettabile per l’Ucraina e il suo popolo, nonché fungere da base per qualsiasi altro negoziato diplomatico. La pace non può essere raggiunta cedendo all’aggressore, bensì fornendo un sostegno risoluto e costante all’Ucraina e dissuadendo in maniera adeguata la Russia dal ripetere tale aggressione in futuro”. Dopo aver ribadito le proprie posizioni su garanzie di sicurezza per Ucraina ed Europa, ricorso all’articolo 5 della Nato, risarcimenti e processi per stabilire le responsabilità per i crimini di guerra e contro l’umanità commessi nel corso del conflitto, Bruxelles tocca poi un altro punto controverso, sul quale la discussione a Ginevra rimane aperta: l’uso dei beni russi congelati per sostenere Kiev. L’Ue, continua la risoluzione, “invita gli Stati membri ad adottare e attuare, senza ulteriori indugi, un ‘prestito di riparazione‘ giuridicamente e finanziariamente solido a favore dell’Ucraina, finanziato con i beni russi congelati e sottolinea che il destino e le condizioni d’investimento di tali beni non possono essere oggetto di trattative senza l’Ue“. Passaggio, quest’ultimo, che vuole essere un messaggio indirizzato a Mosca, che non riconosce l’autorità dell’Unione nelle trattative, e a Washington, che ha tenuto poco conto dei messaggi inviati dal Vecchio Continente. Nella prima bozza circolata sembra, sembra che i piani statunitensi su questo aspetto fossero diversi: “100 miliardi di dollari dei fondi russi congelati saranno investiti in uno sforzo guidato dagli Stati Uniti per ricostruire e investire in Ucraina. Gli Stati Uniti riceveranno il 50% dei profitti da questa impresa. L’Europa corrisponderà questo contributo di 100 miliardi di dollari per aumentare gli investimenti disponibili per ricostruire l’Ucraina. I fondi europei congelati saranno sbloccati. Il resto dei fondi russi congelati sarà investito in un veicolo di investimento separato Usa-Russia che perseguirà progetti congiunti Stati Uniti-Russia in aree da definire. Questo fondo mirerà a rafforzare la relazione e aumentare gli interessi comuni per costruire una forte motivazione a non tornare al conflitto”. Un altro punto particolarmente delicato è quello che riguarda la futura spartizione dei territori. Nelle varie versioni del piano americano circolate, si legge a grandi linee che Crimea, Luhansk e Donetsk saranno riconosciute de facto come russe, Kherson e Zaporizhzhia saranno congelate sulla linea di contatto, la Russia rinuncerà ad altri territori concordati che controlla al di fuori delle cinque regioni, le forze ucraine si ritireranno dalla parte della regione di Donetsk che attualmente controllano e quest’area di ritiro sarà considerata una zona cuscinetto neutrale smilitarizzata. Ben diversa, invece, la posizione dell’Europa: “Il territorio ucraino temporaneamente occupato non sarà legalmente riconosciuto dall’Ue e dagli Stati membri come territorio russo e dovrebbe essere inviata su entrambi i lati della linea di contatto una solida missione internazionale di osservazione e mantenimento della pace”. X: @GianniRosini L'articolo Ucraina, l’Ue si oppone al piano di pace di Trump: “Preoccupante. No al riconoscimento dei territori in mano ai russi” proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Riarmo Ue, ok alla proposta della Commissione di non escludere le “armi controverse”: Ppe vota con l’estrema destra
La maggioranza Giorgia batte di nuovo la maggioranza Ursula. Il Parlamento europeo, poco prima delle 13 del 26 novembre, ha respinto le tre obiezioni di The Left, Socialisti e Verdi al regolamento che modifica la definizione di armi vietate. Nel testo presentato da Palazzo Berlaymont nell’ambito del Libro Bianco sulla difesa europea Readiness 2030, si è deciso di sostituire il termine “armi controverse” con il termine “armi vietate”. Non un cambiamento da poco, secondo i partiti progressisti dell’emiciclo, dato che, spiegano, questo “limita l’ambito di applicazione dei tipi di armi esclusi a sole quattro categorie, nello specifico le mine antipersona, le munizioni a grappolo, le armi biologiche e le armi chimiche”, nonostante queste siano “vietate dalle convenzioni internazionali sulle armi di cui la maggior parte degli Stati membri è parte e sono elencate nel pertinente allegato”. Un problema che, però, non sembra sussistere per il Partito Popolare Europeo che cerca, e trova, di nuovo la sponda dell’estrema destra per respingere le tre risoluzioni e mantenere invariata la proposta della Commissione von der Leyen. Articolo in aggiornamento L'articolo Riarmo Ue, ok alla proposta della Commissione di non escludere le “armi controverse”: Ppe vota con l’estrema destra proviene da Il Fatto Quotidiano.
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“Caracas compia un atto di umanità e liberi Alberto Trentini”: l’appello di 39 eurodeputati per il rilascio del cooperante
Un appello trasversale per la liberazione di Alberto Trentini, il cooperante italiano detenuto a Caracas da oltre un anno senza che nei suoi confronti siano state formalizzate accuse. Gli unici benefici: tre chiamate brevi e una visita consolare, concesse anche ad altri detenuti. A firmarlo 39 europarlamentari italiani di Pd, M5S, Avs e Fdi, affinché si apra ogni canale disponibile nel rispetto dei diritti umani, del diritto internazionale e dell’articolo 11 della Costituzione italiana. “Con uno spirito che guarda alla pace come orizzonte comune – si legge nel testo – rivolgiamo un appello alle autorità della Repubblica Bolivariana del Venezuela. Con rispetto per la sovranità del Paese, ma con altrettanta fermezza nel richiamare i valori universali dei diritti umani, chiediamo un atto di umanità: la liberazione di Alberto Trentini. Un gesto di clemenza e di apertura, in questo momento segnato da tensioni regionali e da minacce di escalation militare nelle aree vicine alle coste venezuelane, avrebbe un significato profondo. Sarebbe percepito – prosegue l’appello – come un segnale di volontà dialogante, un contributo alla costruzione di un clima più sereno e cooperativo, un passo che risponde a un appello di pace con un gesto concreto di pace. Come europarlamentari, esprimiamo inoltre apprezzamento per l’attenzione recentemente mostrata dalle istituzioni europee nei confronti del caso Trentini. Sostenere una soluzione positiva è responsabilità condivisa tra Roma, Bruxelles e tutti coloro che credono nella diplomazia come strumento per superare anche le situazioni più delicate. Rivolgiamo pertanto un appello affinché si apra ogni canale disponibile nel rispetto dei diritti umani, del diritto internazionale e dell’articolo 11 della costituzione italiana. Che possa tornare alla sua famiglia. Che la sua storia trovi un epilogo di giustizia e umanità. Che un gesto di apertura possa diventare un ponte di comprensione in un momento in cui il mondo ha bisogno, più che mai, di segnali di pace”. Nei giorni scorsi la famiglia di Alberto, in conferenza stampa, ha denunciato l’immobilismo del governo italiano, sollecitando ancora una volta le autorità a chiamare Caracas per dare impulso a un dialogo e alla trattativa finalizzata alla liberazione del cooperante. Un’occasione di speranza, e di apertura di uno spiraglio era stata la distensione dell’ultimo mese, con la stretta di mano tra il capo di Stato Sergio Mattarella e la ministra dell’Istruzione venezuelana durante la canonizzazione dei santi José Gregorio Hernández e María Carmen Rendiles, ma Alberto non è ancora tornato. Una situazione che non si interseca ai venti di guerra che da settimane soffiano al largo del Venezuela, vista la recente liberazione di decine di prigionieri colombiani (che hanno riferito di aver visto Alberto). Su questo punto il ministro degli Esteri Antonio Tajani era intervenuto il 14 novembre, ribadendo lo sforzo italiano per “sollecitare la liberazione” dei connazionali detenuti in Venezuela, facendo però riferimento a “una tensione crescente” che coinvolge Caracas, “anche a livello internazionale”. L'articolo “Caracas compia un atto di umanità e liberi Alberto Trentini”: l’appello di 39 eurodeputati per il rilascio del cooperante proviene da Il Fatto Quotidiano.
Diritti
Parlamento Europeo
Alberto Trentini
Chi è Georgia Tramacere, la vice-sindaca salentina che prenderà il posto di Decaro al Parlamento Ue
Vice-sindaca di un piccolo paese del Salento, 38 anni e una vita trascorsa in ambienti culturali. È l’identikit dell’esponente del Pd che prenderà il posto di Antonio Decaro al Parlamento europeo dopo la sua elezione a presidente della Regione Puglia. A volare a Bruxelles sarà Georgia Tramacere, vice-sindaca di Aradeo, paese di 9mila abitanti in provincia di Lecce. Alle scorse Europee, Tramacere aveva raccolto 35mila voti risultando la prima dei non eletti nel Pd nella circoscrizione Sud. Per quanto riguarda le commissioni parlamentari, le assegnazioni non sono automatiche: Tramacere potrebbe entrare in commissione Ambiente, come il suo predecessore, oppure il suo gruppo potrebbe decidere di scambiarla con un altro dei suoi eurodeputati, assegnandole una diversa commissione parlamentare. La sua formazione, infatti, è legata prevalentemente al mondo della cultura e dello spettacolo. Operatrice culturale, la vice-sindaca è figlia di storici imprenditori teatrali, fondatori del Teatro Koreja di Lecce, e da anni è impegnata nelle politiche culturali e sociali con un occhio di riguardo per i giovani e le aree interne. “È una grande opportunità per continuare a lavorare per la mia comunità”, aveva dichiarato nelle scorse settimane commentando la possibilità di subentrare a Decaro, la cui vittoria era considerata molto probabile prima del voto. L'articolo Chi è Georgia Tramacere, la vice-sindaca salentina che prenderà il posto di Decaro al Parlamento Ue proviene da Il Fatto Quotidiano.
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“Cancellata la prenotazione dell’hotel a Francesca Albanese prima di un evento all’Eurocamera”: la lettera del M5S a Metsola
Le sanzioni americane ostacolano la partecipazione di Francesca Albanese anche a eventi organizzati dal Parlamento europeo. La denuncia arriva dal Movimento 5 Stelle con l’europarlamentare Danilo della Valle che ha inviato una missiva di protesta direttamente alla presidente dell’Eurocamera, Roberta Metsola, parlando di incidente “deplorevole”, manifestando “profonda indignazione” e chiedendo che vengano presi provvedimenti affinché episodi del genere non si ripetano in futuro. Il caso riguarda l’evento Palestina, diritto internazionale e il ruolo dell’Europa che si è tenuto al Parlamento il 18 novembre scorso. “Il 17 novembre, il giorno prima della sua presentazione – si legge nella lettera che Ilfattoquotidiano.it ha potuto visionare -, l’agenzia di viaggi CWT, contraente del Parlamento europeo, ha cancellato la prenotazione dell’hotel per lei”. Secondo la ricostruzione fornita da Della Valle, da parte di Carlson Wagonlit Travel, multinazionale americana che opera nel settore dei business events e che ha ottenuto un contratto da alcune istituzioni europee per l’organizzazione di viaggi professionali, non è mai arrivata una giustificazione scritta ed esplicita alla decisione di cancellare la prenotazione a nome di Albanese, con le comunicazioni che si sono tenute solo tramite telefono. “La ragione implicitamente dichiarata era l’esposizione di CWT all’Ordine Esecutivo degli Stati Uniti 14203, emesso il 6 febbraio 2025, che ha inserito la signora Albanese nella Lista delle Persone Specialmente Designate dell’OFAC il 9 luglio 2025 – continua l’europarlamentare nella sua missiva – In pratica, hanno cancellato la prenotazione per paura delle sanzioni statunitensi. Sebbene le comunicazioni iniziali siano state condotte per telefono senza una giustificazione scritta formale, la ragione della cancellazione diventa evidente dopo che CWT ha normalmente processato e confermato la prenotazione dell’alloggio per la sua assistente, mentre ha cancellato quella della signora Albanese. Questo rifiuto selettivo costituisce prova innegabile di discriminazione basata sulla designazione delle sanzioni statunitensi”. La Relatrice speciale delle Nazioni Unite per la Palestina e i Territori Occupati, che in diverse occasioni ha raccontato le difficoltà di vivere normalmente e svolgere il proprio incarico con le limitazioni dovute all’imposizione delle sanzioni americane, ha comunque potuto prendere parte all’evento del 18 novembre, ma “solo dopo che il segretario generale della direzione delle Finanze del parlamento Ue ha consigliato agli uffici coinvolti nell’organizzazione di pagare l’alloggio tramite bonifico bancario diretto, aggirando di fatto il fornitore contrattuale”. Ciò che preoccupa maggiormente il Movimento è che episodi del genere rivelano “una vulnerabilità strutturale poiché un’azienda privata al servizio delle istituzioni europee ha rispettato un regime sanzionatorio di un governo straniero, non riconosciuto dal diritto europeo e che di fatto subordina l’autonomia operativa del Parlamento alla giurisdizione di un Paese terzo”. Non si tratta di un caso isolato, rivelano, dato che già nel gennaio 2022 sempre la CWT si era rifiutata di prenotare il viaggio per una delegazione del Parlamento europeo a Cuba per lo stesso motivo. “Come ha potuto il Parlamento europeo scegliere un’agenzia le cui attività sono limitate dalla legislazione straniera? Quando CWT ha rifiutato di prenotare l’hotel della signora Albanese, non si è semplicemente rifiutata una transazione commerciale. Si è dichiarato che gli appaltatori del Parlamento europeo non possono nemmeno garantire autonomia funzionale ai funzionari Onu che hanno criticato la politica israeliana o che sono sfavoriti dagli Stati Uniti. Questo precedente dovrebbe allarmare ogni membro di questa Istituzione. Se il Parlamento europeo non può garantire che i fornitori di servizi contrattuali operino secondo il diritto europeo piuttosto che quello statunitense, allora il Parlamento ha rinunciato alla propria sovranità e autonomia nel condurre le proprie politiche senza interferenze legali e concrete straniere”, ha concluso Della Valle. Ilfattoquotidiano.it ha provato a contattare sia telefonicamente che tramite mail la sede di CWT a Bruxelles, ma nel momento in cui si scrive non ha ancora ricevuto risposta. X: @GianniRosini L'articolo “Cancellata la prenotazione dell’hotel a Francesca Albanese prima di un evento all’Eurocamera”: la lettera del M5S a Metsola proviene da Il Fatto Quotidiano.
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