Tag - Poesia

Apollonio Rodio, La lunga notte di Medea (Traduzione di Stella Sacchini)
Le Argonautiche sono un poema epico alessandrino in quattro libri, 6000 versi e tre proemi. Rievocano l’antichissimo mito degli Argonauti e la spedizione: Giasone, per rientrare in possesso del regno del padre usurpato dallo zio, è costretto a recarsi nella lontana Colchide per riportare di là il vello d’oro; dopo aver radunato il fior fiore degli eroi, salpa da Iolco a bordo della famosa nave Argo; arrivato in Colchide, il re Eeta si dichiara pronto a cedergli il vello, a patto che superi una prova difficilissima, quasi impossibile; ma niente è impossibile all’amore – Medea, figlia di Eeta, maga ed esperta erborista, si innamora follemente dell’eroe greco e decide di aiutarlo a superare la prova, tradendo così il padre e la famiglia. La Medea di Apollonio è una Medea molto più giovane rispetto alle altre varianti del mito, un’eroina in formazione che non ha ancora oltrepassato il confine sottile, a senso unico, tra l’adolescenza e la giovinezza, tra il suo mondo d’origine, barbaro, dominato dalla magia e dall’irrazionale, e un mondo nuovo, quello greco, patria del logos. L’amore, come nella migliore tradizione platonica, è spinta, anelito, impulso all’attraversamento. E Giasone, suo malgrado, incarnazione inconsapevole e passiva di questo slancio. Il Giasone di Apollonio appare statico, privo di quella ferocia vitale che contraddistingueva l’eroe omerico, teso all’isolamento più che all’auto-affermazione, senza ambizioni di gloria. S.S. Argonautiche, dal libro III Fitto e denso era il sonno che scioglieva le pene a Medea, stesa sul letto. Ma sogni infausti messaggeri di inganni e morte – sogni di anime in pena – non le davano tregua. Tutta tremante e spaventata saltò dal letto – all’intorno soltanto i muri della sua stanza – a stento riprese fiato, l’anima intanto le tornava nel petto, e poi gridò forte: “Povera me, che sogni terribili mi danno il tormento! Temo che il viaggio degli eroi porterà gravi sciagure. Per lo straniero il cuore nel petto batte come impazzito”. Disse e s’alzò di scatto a spalancare le porte alla stanza, scalza e mezza nuda. Passò la soglia del cortile, davanti casa si fermò a lungo, a fissare il vestibolo, paralizzata dalla vergogna. Apriva un fitto viavai: fuori dalla sua stanza e poi dentro di corsa pentita. Poveri piedi, persi appresso a mille vani andirivieni. Quando partiva, la vergogna la costringeva a fermarsi; stretta dalla vergogna, la rendeva ardita il desiderio. Tre volte andò, altre tre volte indietro tornò. La quarta volta presa da svenimento cadde sul letto, tutta sconvolta. Tenebre sopra la terra portava e spargeva la notte: marinai in mare miravano l’Orsa e le stelle d’Orione, viandanti in viaggio e guardiani sognavano il sonno soave. Come una spessa coltre, il sonno avvolgeva pure la madre orfana dei propri figli. Cessati i latrati dei cani, niente più echi di suoni e frastuoni. A regnare il silenzio: solo avvinghiava la notte, notte nera sempre più nera. Ma la notte non distillava sonno di miele a Medea, presa tra mille pensieri e il desiderio dello straniero, stretta da folle paura dei tori e di un destino crudele che l’avrebbe distrutto, mentre lottava sul campo di Ares. Dentro al suo petto il povero cuore batteva impazzito. Lacrime di compassione sgorgavano a fiotti dagli occhi; dentro una pena la corrodeva senza darle mai tregua, sotto pelle a fuoco lento la consumava, fino ai nervi, quelli sottili, all’osso basso del collo, negli interstizi dove il dolore si insinua pungente quando gli Amori ficcano frecce di patimenti dentro al petto dell’uomo. Ora pensava di consegnargli il filtro che doma i tori; ora pensava di non farlo più, ma di morire anche lei. Subito corse a cercare il cofanetto che custodiva tutti i suoi filtri – filtri che uccidono e filtri che curano. Sulle ginocchia lei l’appoggiava, mentre afflitta versava lacrime a fiotti sui seni – dei fiumi gonfi e senza freni –, stretta da tristi pensieri sulla sua misera sorte. Solo un desiderio: scegliere i filtri mortali e inghiottirli. Povera donna, smaniosa di tirarli fuori, scioglieva già i lacci del cofanetto. Ma tutto d’un tratto la strinse dentro un terrore tremendo dell’odioso regno dei morti. Muta restò a lungo, e piena d’orrore. Davanti ai suoi occhi come visione sfilava la vita, e i suoi dolci piaceri; e ricordava bellezza e gioia, le delizie dei vivi. Quando poi si levò, il sole le apparve più dolce di prima. Apollonio Rodio (Alessandria 290-215 a.C.) fu il più illustre – e infedele – allievo di Callimaco. Fece parte del gruppo di intellettuali alessandrini del Museo, fu direttore della Biblioteca e precettore del futuro Tolomeo III Evergete, terzo sovrano della dinastia tolemaica. L'articolo Apollonio Rodio, La lunga notte di Medea (Traduzione di Stella Sacchini) proviene da Il Fatto Quotidiano.
Blog
Libri e Arte
Poesia
Il destino di Lalleshwari, nuda nel nome di Dio
Quando si cerca Dio bisogna sciogliersi come neve all’acqua. E Lalleshwari voleva provarci davvero, iniziando a fare quello che nessuno fa: invece di migliorare la propria vita, ha messo in discussione l’idea stessa di averne una. Se esiste qualcosa come l’Assoluto, pensava, non può stare accanto al resto, ma deve mangiarselo. Nel linguaggio dei filosofi si parlerebbe di Uno, emanazione, ritorno. Lei non conosceva quelle parole. Aveva però i pozzi del villaggio, il freddo del Kashmir, il corpo che invecchiava, e li faceva passare nella lingua, nella fatica, nel respiro. Così, quando si è tolta i vestiti, si è tolta anche la paura di appartenere a qualcuno, che fosse un marito o una casta. Non ha più accettato che il nome di Dio servisse a tenere in piedi la sua gabbia. Guardava con sospetto il modo in cui si parlava del divino, le formule in sanscrito, le parole alte che dicevano tutto di Dio e molto poco della fame. Lalla aveva capito che quel linguaggio non la riguardava, non perché fosse atea, ma perché la fede, così, era diventata un muro. Ha scelto di tradire quella architettura. Ha preso il nome più grande, Dio, e lo ha portato in strada con la lingua dei campi. I suoi vakh sono nati come sabotaggio Brevi frasi in kashmiro, dette a voce, senza pergamene né autorizzazioni. La comunità l’ha sempre vista come una minaccia. Una donna che prega fuori dal tempio, che parla di Dio senza intermediari, che rifiuta l’ordine dell’obbedienza, era sicuramente un corpo sbagliato. Per questo veniva derisa, ma allo stesso tempo temuta e venerata. Lalla non ha cercato di convincere nessuno, ha semplicemente smesso di collaborare con l’idea che Dio coincida con le regole sociali. Ha cercato di smontare il linguaggio della mistica, le promesse di premio e le minacce del castigo. Ha iniziato un lavoro di disarmo, togliendo al pensiero ogni alibi, ogni tentativo di “capire” Dio diventava sospetto, come una pretesa di possesso. Il potere religioso ha imparato a chiamarla santa, poi poetessa. Ma la sua forza stava nel rifiuto di ogni appartenenza: era una brahmanica che tradiva la casta; una donna che rifiutava il copione femminile; una figura che parlava una lingua amata da induisti e sufi, senza diventare bandiera di nessuno. Lalla era un’infedeltà permanente. Il lascito di Lalleshwari è che la trasformazione spirituale non è un’esperienza consolante ma uno strappo. E non avviene quando troviamo le parole giuste, ma quando smettiamo di usarle per coprire ciò che non vogliamo vedere. Lei ha mostrato che non si può pronunciare il nome di Dio e, nello stesso tempo, continuare a difendere i propri privilegi. Ha dimostrato che una coscienza che ama sul serio il divino non si eleva, ma perde pezzi fino a diventare irricevibile per l’ordine comune. Lalla non è mai riuscita a sistemare Dio in un posto che la lasciasse tranquilla. Ha vissuto senza protezioni tra l’Uno e il fango, senza mai mettersi al sicuro. Bio – Lalleshwari, chiamata Lalla o Lal Ded, nasce nel XIV secolo nel Kashmir in una famiglia brahmanica. Sposa giovanissima, abbandona la vita domestica e intraprende un cammino spirituale legato allo Shaivismo kashmiro, in dialogo sotterraneo con la sensibilità sufi. I suoi vakh, canti brevi in lingua kashmira, circolano oralmente per secoli prima di essere raccolti: frammenti di una ricerca radicale sulla dissoluzione dell’io e sulla presenza del divino nella vita quotidiana. È oggi riconosciuta come una delle voci più potenti della mistica del Kashmir, venerata oltre i confini religiosi. L'articolo Il destino di Lalleshwari, nuda nel nome di Dio proviene da Il Fatto Quotidiano.
Blog
Poesia
Cultura
Oriente
Jan van der Haar e le apocalissi della vita (Traduzione di Patrizia Filia)
Jan van der Haar (Paesi Bassi, 1960) è poeta e traduttore letterario. Ha pubblicato finora tre raccolte di poesie: nel 2012 Vrolijk scheppen (Creare con allegria), nel 2014 Ouderliefde (Amore genitoriale) e nel 2019 Eerst de bries, daarna de bomen (Prima la brezza, poi gli alberi). Nel 2011 vince il premio Poëzie-award per la poesia “De ruil” che apre la raccolta Vrolijk scheppen, nell’ambito del festival Utrecht su Utrecht. Nel 2015 tre sue poesie, tradotte da Gandolfo Cascio, escono in Italia nel terzo numero di «Almanacco dei poeti e della poesia contemporanea». Nel 2022 altre tre sue poesie, sempre tradotte da Gandolfo Cascio, escono nel quarto numero della rivista italiana «Letteratura e Pensiero». Ha tradotto in nederlandese raccolte poetiche di Giorgio Bassani (Epitaffio), Elsa Morante (Alibi) e Eugenio Montale (Altri versi), nonché circa settanta opere in prosa quali, tra altre, Solus ad solam e Notturno di Gabriele d’Annunzio; Kaputt, La Pelle e altre cinque opere di Curzio Malaparte; Il giardino dei Finzi-Contini, Gli occhiali d’oro e Dentro le mura di Giorgio Bassani; Giù la piazza non c’è nessuno di Dolores Prato; Le piccole virtù, Lessico famigliare e Mai devi domandarmi di Natalia Ginzburg; la pentalogia M di Antonio Scurati e Prima di noi di Giorgio Fontana. Prima di conoscerlo personalmente, mai mi sarei immaginata che questo infaticabile traduttore olandese di molti autori italiani di gran peso potesse essere anche poeta, e poeta di tanta leggerezza e ironia, presenti sia quando scrive di sé o del mondo che lo circonda. Si potrebbe dire che è la leggerezza e l’ironia della disperazione, scaturite da una vita intensamente vissuta, a volte tribolata, dall’infanzia fino alla maturità, quest’ultima bellamente immortalata nella foto di Saar Rypkema. Allora, traducendolo non posso fare a meno di sorridere con affetto a quell’adolescente in vacanza in Zelanda, confrontato con la sua incerta identità e con la voglia e il timore di scoprire in cosa consistono davvero le apocalissi. Traducendolo ritrovo l’adolescente che sono stata, altrettanto incerta e in ricerca. P.F. *** Zomer in Zeeland I Streekromans lezen op je buik zoals Een nest vol tuinfluiters op het tapijt in de pronkkamer. Je laten afleiden door minder leeslustigen die je Bloody Mary lieten horen en je plooiden naar de schrik der zee. Het was zomer en dit was je grote logeervakantie. Je leefde want je wist niet beter en de wereld wilde jou doen uitvinden. Misschien lag er wat verborgen in de vette worstenballen bij het ontbijt. Je was al voorgelicht in de wonderen van het Zwarte Woud die scholen in een pengetekende gevarendriehoek. Je snapte er geen bal van vond het allerminst alarmerend er was zoveel wat je niet snapte en je was niet bang. Je verheugde je op de zondagse bolus. * Estate in Zelanda I Leggere romanzi regionali come Un nido pieno di beccafichi disteso prono sul tappeto del soggiorno. Lasciarti distrarre dalla meno voglia di leggere che Mary la Sanguinaria ti suscitava e che ti piegava al dominatore dei sette mari. Era estate ed era la tua grande vacanza da ospite. Vivevi perché non sapevi fare altro e il mondo voleva che tu scoprissi. Forse c’era qualcosa di nascosto negli unti polpettoni a colazione. Eri già informato delle meraviglie Della Foresta Nera figurate in un triangolo di avvertimento disegnato a penna. Non ci capivi un tubo senza trovarlo per niente allarmante e c’era così tanto che non capivi e non avevi paura. Ti rallegravi pensando al dolce domenicale. *** Zomer in Zeeland II Je was op zoek zonder te weten waarnaar. Je sloop hun kamer in deed hun kledingkast op een kier bevoelde lingerie het ondergoed van de heer en vrouw des huizes: Chick was een dame op een man die aan haar vastgeangeld oogde. Je wist het wereldraadsel gestuit maar hoe moest dit nu afgehecht? Je bladerde angst en zucht door in een poedergeel licht van buiten dat je bij je positieven bracht. Tot de dochter des huizes tongde helle- kringen hemelsferen explosieven openden Avondsterren openbaarden apocalyptische tienerhersenspinsels die via de aorta en de kransslagaders je hart bereikten en er een potje van maakten worstelend met de janboel. * Estate in Zelanda II Eri in cerca senza sapere dove. Ti intrufolasti nella loro camera socchiudesti il loro armadio palpasti la biancheria intima del signore e della signora di casa: la rivista con una madama su un uomo come inchiodato a lei. Sapevi di esserti imbattuto nell’enigma del mondo ma cosa dovevi fare per scioglierlo? Sfogliasti angosce e sospiri nella luce di fuori giallognola che ti fecero tornare in te. Finché la figlia di casa non si mise a slinguare aprendo bolge infernali esplosive sfere celesti svelando stelle serali spiattellanti apocalissi adolescenziali che attraverso l’aorta e le arterie coronarie avrebbero raggiunto il tuo cuore provocando un tumulto in lotta con il caos che era il tuo. *** Zomer in Zeeland III Het platenmeubel was een toverdoos op poten die Sophietje ranja liet drinken met een rietje. En zo was alles nieuwer dan je nieuw wist. Boven stond de kaptafel van de gastvrouw met twee zijspiegels die onbekende slinkse kanten boden van je onvermoede profiel. IJzend viel je blik op een wit piepschuimen dameshoofd met een krullentooi: de pruik van je onechte tante voelde je. Hij glansde aubergine en geurde zacht naar sandelhout. Met trillende handen pakte je het wonder op en misschien is daar je zelfspot wel ontstaan. Je greep met een ruk naar een lipstick bracht die naar je mond. Hij maakte fiere felle vegen die je nog meer deden gruwen van je eigen ik en je mijmerde waarom ben ik ook geen vrouw dan kon ik iemand anders wezen iemand die zich van zichzelf zou weten te verlossen. Mocht de ultieme, tomeloze verlossing bestaan. * Estate in Zelanda III Il mobile dei dischi era una scatola magica su gambe che faceva bere a Ninuccia cedrate con la cannuccia. E così tutto era più nuovo di quanto tu trovassi nuovo. Al piano di sopra c’era la toletta della signora con due specchietti laterali che riflettevano lati sconosciuti del tuo inaspettato profilo. Il tuo sguardo cadde aborrito su una testa di donna di polistirolo bianco con sopra un copricapo ricciuto: era la parrucca della tua finta zia. Scintillava color melanzana e odorava leggermente di legno di sandalo. Con mani tremanti prendesti la meraviglia ed è forse proprio allora che nacque la tua autoironia. Con uno scatto afferrasti un rossetto e te lo portasti alle labbra. Impresse fieri sfregi sgargianti che ti fecero ancora più inorridire di te stesso e riflettesti sul perché non eri anche tu una donna nel qual caso avresti potuto essere qualcun altro in grado di liberarsi di se stesso. Fosse mai esistita l’ultima e smodata redenzione. *** Zomer in Zeeland IV De juunlucht zinnenprikkelde je wangen en de zilte kreten van de zwaluwen boven je hielden de verwachtingen laag gestemd. Het eten was telkens een dringende massa om doorheen te werken zonder morren met beschaafde ellebogen zonder smakken. Het Onze Vader van onechte tante was inmiddels uitgejengeld: ‘Uw naam worde hegeiligd…’ en dat hebeurde in de gemelen. O de gebakken eieren met spek sputterden in de pan en knisperden op je tarweboterham. Om de beurt klonk: ‘Here zehen deze spijze.’ De dochter des huizes gaf je goede bekomst: ‘Jananne zumme hen vrieje?’ Je schrok helegans. Het klonk alsof je mee moest naar het stadhuis. De trap op naar de hanenbalken naar het hokje met veel houtbetimmering en daar vlijde je de Zeeuwse Jacoba neer op een paardendeken om kuis en koninklijk over haar heen te buigen. * Estate in Zelanda IV L’aria cipollosa ti pizzicava le guance e le grida saline delle rondini sopra di te tenevano accordate basse le aspettative. Il pasto era ogni volta una massa pressante da ingollare senza brontolare masticando a bocca chiusa e con gomiti ben educati. Il Padre nostro della finta zia cominciava intanto a gragnolare: “Sia santificato il tuo nome…” e quello accadeva nei cieli. Oh le uova fritte in padella con la pancetta e sfrigolanti sulla tua fetta di pane. A turno risuonava: “Signore benedici questo cibo.” La figlia di casa ti dava più che a sufficienza: “Jananne vieni con me?” Da rimanerci stecchito. Come se tu dovessi accompagnarla all’altare. Dalle scale fino alle travi portanti fino al gabbiotto con rivestimenti in legno e lì ti mettevi a coccolare la zelandese Jacoba stesa su una coperta per cavalli chinandoti su di essa casto e solenne. L'articolo Jan van der Haar e le apocalissi della vita (Traduzione di Patrizia Filia) proviene da Il Fatto Quotidiano.
Blog
Poesia
Cultura
Olanda
“Christopher”, di Matteo Bianchi: quando la poesia non si arrende al mercato
Un libro di poesia, nel 2025, è già di per sé un atto politico. Una resistenza, un’affermazione che rifiuta la bulimia del consumo narrativo e la logica del fast-food editoriale. Ma l’ultima fatica di Matteo Bianchi, Christopher (Interlinea), va oltre. È una scommessa giocata sul tavolo verde della malinconia più acuta, quella che affonda le mani nei calcinacci della Storia e nei brandelli delle vite marginali. Non aspettatevi i versi sussurrati, i vezzi lirici da salotto buono. Qui siamo in trincea. Siamo di fronte a un’ibridazione dolente e precisa, dove la parola è un bisturi affilato e non un orpello. Bianchi, giornalista de Il Sole 24 Ore e Left, filologo formatosi su Corrado Govoni e autore di saggi come Il lascito lirico di Corrado Govoni (Mimesis, 2023), ma soprattutto erede – non solo ideale – di Roberto Pazzi, non cerca l’applauso facile. Cerca i margini, i rottami preziosi, le figure che hanno detto no. La struttura è un trittico, quasi un polittico affrescato sul muro di un bar parigino a notte fonda. Un poème en prose a stazioni, suddiviso in quattro “soglie”— del sé, dell’amore, dell’inappartenenza, della memoria —, che non scandiscono un tempo cronologico, ma simbolico. Tre anime apparentemente distanti, tre declinazioni della sconfitta che, lette da Bianchi, diventano le stigmate di un’identica, ostinata, fragilità irriducibile: Christopher Channing, l’artista queer, il notturno, il guitto, l’attore che si muove in bilico tra il nudo esibito e la maschera di cipria, tra la lingua di Manchester e la malinconia parisienne. La sua è la resistenza del corpo che si fa linguaggio, dell’identità che rifiuta l’etichetta borghese. È l’emblema di una vita ai margini. In Channing si annida il desiderio di non omologazione che è proprio di chi, per esistere, deve inventarsi ogni giorno, frantumando il genere biografico per restituirci visioni dense tra carne e mito; Roberto Pazzi, il maestro. L’intellettuale esemplare. La figura che nel panorama culturale attuale è a malapena un fantasma, l’ultimo alfiere di una cultura che rifiuta il consumo e la finzione. Pazzi, di cui Bianchi dirige il Centro Studi, è il punto fermo etico, il peso specifico che misura la distanza siderale tra il Pensiero e il chiacchiericcio da talk-show. È il silenzio eloquente contro il rumore del vuoto. La poesia qui si fa dialogo con un maestro; Napoleone Bonaparte, non il generale di Austerlitz, non la macchina da guerra, ma il vinto dell’Elba, l’esule, il nostalgico rifugiato nella propria disfatta, colto in prose rade, quasi da taccuino. La figura storica viene spogliata del mito per rivelare l’uomo che resiste a scomparire. È l’imperatore detronizzato che ci ricorda che la vera grandezza non è nella vittoria, ma nell’ostinazione a non annullarsi, anche quando si è ridotti a una zolla d’esilio. Bianchi maneggia la materia con una sapienza formale che è tutt’altro che fredda. L’ibrido è la sua cifra: prosa lirica, verso che si spezza, citazione che si fa scheggia. È la lingua di chi ha letto i classici – e non li ha dimenticati –, ma sa che la loro eco deve risuonare nel baccano delle nostre periferie esistenziali. Come il poeta stesso ha sostenuto sulla rivista semestrale che dirige, Laboratori critici, il poeta scrive e dimentica: non costruisce monumenti con le parole e non conserva un’identità fissa. La dimenticanza non è perdita, ma condizione necessaria affinché a parlare sia il mondo, allentando la presa asfissiante dell’io lirico. La poesia non scaturisce dalla memoria che trattiene, ma dalla memoria che si disfa e ritorna sotto forma di frammenti. Un debito evidente con il parigino Michel Deguy, che ha teorizzato la “dérive” del senso, una dislocazione del presente nel movimento del linguaggio. Christopher non è solo un libro sulla poesia, ma è un libro sulla necessità della Poesia come atto di fede nel passato che illumina l’oggi. È un’opera che dovrebbe essere letta da chiunque creda ancora che esista un’altra via, che esista una cultura non vendibile, non consumabile. È la testimonianza che la fragilità, se irriducibile, si trasforma nella forma più potente di protesta. E in tempi di influencer e dittatura del banale, questo libro di Matteo Bianchi — con la prefazione di Giancarlo Pontiggia e la nota finale di Tommaso Di Dio — è una granata in biblioteca. Leggetelo, se avete il coraggio di confrontarvi con la bellezza che nasce dalla sconfitta personale. L'articolo “Christopher”, di Matteo Bianchi: quando la poesia non si arrende al mercato proviene da Il Fatto Quotidiano.
Blog
Poesia
Cultura
Gojko Božović, poeta minimalista (Traduzione di Stevka Šmitran)
Gojko Božović è nato nel 1972 a Pljevlja, in Montenegro, e vive a Belgrado, dove si è laureato alla Facoltà di Filologia. Poeta, saggista, critico letterario, editore e fondatore della casa editrice Arhipelag, possiede una rara proprietà della parola che ha sperimentato il senso dell’esperienza nelle sue pieghe più nascoste, in cui ogni cosa vissuta è potenziale parola poetica. Il contenuto è collegato al titolo stesso delle poesie e chiarisce il concetto della originalità stilistica del verso. Poeta minimalista malinconico, Gojko Božović, con temi che sembrano ovvi, ha creato una riflessione profonda sulle cose e sul nostro sguardo su di esse, per mezzo di una lingua metaforica moderna, sia nella forma che nel contenuto. Ha pubblicato diverse raccolte di poesia tra cui: Cinema sotterraneo (1991), Poesie sulle cose (1996), Arcipelago (2002), Gli dei vicini (2012), Mentre scompariamo nel buio (2021). Tra i saggi pubblicati molti riguardano la storia della poesia serba: I luoghi che amiamo. Saggi sulla letteratura serba (2009), I regni senza confini. Saggi sulla poesia serba del XX e XXI secolo (2019), Nascita della poesia (2023). Tradotto in diverse lingue, ha ricevuto premi nazionali e internazionali tra cui il premio italiano “Europa Giovani International Poetry Prize”. È ideatore e organizzatore del Beogradski festival evropske književnosti (Festival belgradese di letteratura europea). S.Š Odisseo Una volta che me ne sono andato, E non tornerò più. Non tornerò più. Verrà qualcun altro, Con il mio nome e con il mio volto. Parlerà con la mia lingua E avrà la cicatrice Sulla gamba destra. Nessuno mi riconoscerà per questo. Non tornerò più. Musica per le tue orecchie Le cose importanti sono trascorse. Tutto ciò che doveva è già accaduto. I re sono caduti, i miti raccontati, La Repubblica distrutta con l’indifferenza nelle botti. Il vino, instabile, matura nelle botti I fiumi sono incanalati nei tubi E i tubi buttati nella spazzatura. Sono ancora lì, perché la spazzatura Non butta niente, non si Rimette in una posizione di alternativa. Quello che non è accaduto È la vita in cui non siamo entrati, Sono alcune vite Che non sono né nostre, né altrui, Né dei nati, né dei non nati, Né la vita, né la morte. Bisogna rinnovare il racconto, Alla foce soddisfare la sete Sentire la voce del vento Tra i corpi dei palazzi. I giovani, uomini chiassosi Distruggeranno le lettere del canone Nel loro fischio sarà composto Il concerto soltanto per le tue orecchie. Quando tutto sarà passato Una volta, quando tutto sarà passato, E tutto passerà, Tutto quello che dura per giorni E per mille giorni, E anni E per mille anni, Finirà in un giorno, Quando tutti alzano la testa Chinata dalla paura, Di menzogne a poco prezzo E di costosi prestiti, In un primo momento, Non ci sarà nessuno vicino, Ci sarà lo spazio vuoto, Libero spazio dove sarai solo, E tutto ciò che saprai sarà: che sei solo, Ognuno s’incontrerà Solo con se stesso, Un giorno, quando tutto finirà. Il taglio Quando sono nato Avevo Più anni di adesso Prima di questo La mia memoria Era migliore Solo che dopo Perdevo tempo Tra due parole Tra due parole Tra due secoli Giaceva la poesia La parola è troppo carnale Per essere poesia La poesia è bella Quanto lo permettono Le circostanze Come in cielo Così in terra Teoria della discarica Alla discarica incantata Nella patria delle rose È seduta bellezza la bestia La discarica è Tra sogno e realtà Nel vecchio posto Mia cara bellezza Mia amata bestia Parla In una delle sue Lingue mute Parla Mentre da tutte Le parti del mondo Ti saluta Graziosa bruttezza Il cimitero di casamatta Dalla casamatta Arriva l’umanesimo Là è il posto Di lavoro della Bibbia Da lì arrivano Divinità e i giusti con l’agnello Tra i denti Dal cimitero di casamatta Si va soltanto In paradiso Perché altre strade non ci sono E neppure le casematte. Il diluvio Nel baule di Noè È entrato tutto il mondo Tempo e spazio Uno di ciascuno C’era Tutto c’era Perché Le forme si ripetono Il diluvio ha coperto tutto Tranne le anime che sono Nel mondo alluvionato. La scelta Noi non abbiamo scelta, E la nostra scelta è facile. All’alba raccogliere la rugiada. A mezzogiorno entrare nell’ombra. Al crepuscolo sapere che Il mattino è più saggio della sera. E riflettere Mentre aspetti le notizie. Mentre aspetti amici e nemici, Mentre niente dici e ancor di più Mentre parli, Mentre gli altri parlano E soprattutto mentre stanno zitti, E mentre la città in cui vivi È la stella solitaria All’orizzonte lontano. Dietro lo specchio dell’automobile Conosco molto bene le immagini che passano Da ambedue le parti della strada Nella notte buia Dietro lo specchio dell’automobile. Il buio nasconde le immagini Che chiare vedo nel ricordo. Tante volte sono passato da quella parte Che so esattamente dove sono le cose. Sono io quel movimento Tra le immagini nel buio E le immagini nel ricordo. L'articolo Gojko Božović, poeta minimalista (Traduzione di Stevka Šmitran) proviene da Il Fatto Quotidiano.
Blog
Poesia
Cultura
Serbia
Letteratura
“ATTRAVERSO. Parole di benessere per ogni età”, al via il secondo Festival Internazionale di Poesiaterapia
Entra nel vivo la seconda edizione del Festival Internazionale di Poesiaterapia d’Italia che si chiude domenica 30 novembre ed è intitolato Attraverso. Parole di benessere per ogni età, avendo come filo conduttore la Poesiaterapia nelle età evolutive. La manifestazione curata da Mille Gru APS e PoesiaPresente – Scuola di Poesia di Monza, si svolge in collaborazione con ASST Brianza con il contributo di Fondazione della Comunità di Monza e Brianza e Fondazione Cariplo. E si struttura in un convegno internazionale in presenza, quattro tavole rotonde online e via zoom con esperti di Poesiaterapia italiani e stranieri, tre mostre, uno spettacolo di poesia seguito da un reading e due laboratori di formazione. Dopo le anteprime dei giorni scorsi, giovedì 27 novembre è il giorno della partenza ufficiale della manifestazione con quattro tavole rotonde online e su zoom con relatori italiani e internazionali. Dalle 8.30 fino alle 21.30 sono in programma talk dedicati ai diversi periodi della vita. Si comincia con un focus sull’adolescenza a cui sono dedicati i primi due incontri con la campionessa mondiale di Poetry Slam 2024 Lady La Profeta, la scrittrice, poetessa e danzaterapista Valentina Giordano, l’autrice per ragazzi Azzurra D’Agostino, il coordinatore e responsabile pedagogico di Anno Unico, scuola per adolescenti che non vanno a scuola, Davide Fant, il poeta Slammer sudafricano Xabiso Vili, campione mondiale di Poetry Slam 2022, l’autrice Alessandra Racca, la psicologa e poeta-performer Viola Margaglio, la poeta performer siciliana Eleonora Fisco. Il terzo talk (ore 15-17) è, invece, dedicato all’infanzia. Fra i relatori la poetaterapeuta ed educatrice transdisciplinare spagnola María Ortega García, il docente e poeta Giacomo Nucci, la libraia Chiara Basile, l’autrice per ragazzi Giusi Quarenghi, mentre l’ultimo incontro (18.30-21.30) volge lo sguardo all’età adulta che verrà indagata grazie alla voce dell’inglese Jon Sayers, coach psicodinamico e facilitatore di scrittura espressiva, la co-presidente dell’International Academy for Poetry Therapy messicana Alejandra Monroy Sauri, la fondatrice dell’International Barcelona Journaling Festival Marusha Mozolevskaya, la psicofisiologia Sara Della Giovampaola e la psicoterapeuta della Gestalt Leonora Cupane. Venerdì 28 novembre, alle ore 20.30, presso lo spazio di PoesiaPresente di via Donatello 12 a Monza, si terrà lo spettacolo di poesia con testi e poesie di Silvia Vecchini, la drammaturgia di Dome Bulfaro e il Coro DiVerso della scuola di Poesia PoesiaPresente. Segue alle 21.30 un incontro fra Silvia Vecchini e l’editrice Giovanna Zoboli a partire dall’ultimo libro dell’autrice C’è una poesia che ti aspetta (Topipittori). Sabato 29 novembre, invece, è in calendario il convegno internazionale, con ospiti dal vivo presso l’Auditorium dell’Ospedale di Vimercate. La mattina sarà dedicata a interventi su Saperi generali in rapporto alla poesia come cura grazie alle riflessioni dell’epistemologa Barbara Sangiovanni, la poeta Silvia Vecchini, la professoressa della Sigmund Freud University Tamara Trebes, il professore dell’Università di Torino Vincenzo Alastra, la poeta, esperta di poesia e Alzheimer Franca Grisoni. Il pomeriggio, invece, è volto a esplorare gli interventi pratici specifici di Poesiaterapia: Paola Perfetti illustrerà l’esperienza nel primo villaggio Alzheimer in Italia, Il Paese Ritrovato di Monza, mentre il poeta americano Gary Glazner ripercorrerà le pratiche dell’Alzheimer’s Poetry Project da lui diretto. Il ruolo della Biblioterapia nel lutto viene espresso dalla professoressa dell’Università di Ghent Dimitra Didangelou, mentre la poesia orientale sarà ricordata dalla docente dell’Università di Padova Ines Testoni, direttrice del Master CAT (Creative Arts Therapies) insieme alla scrittrice e tanatologa Laura Liberale, coordinatrice del master. I laboratori teatrali e di medicina narrativa per l’umanizzazione delle cure e per il sostegno alla popolazione adolescente saranno infine approfonditi dall’educatore professionale e counselor biosistemico dell’Ospedale Cona di Ferrara Alberto Urro e dal Project Manager per la formazione presso le Aziende AUSL e l’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Ferrara Michele Dalpozzo. Infine, Dome Bulfaro, docente presso l’Università di Verona e fondatore con Simona Cesana di PoesiaPresente – Scuola di Poesiaterapia di Monza, concluderà i lavori con un intervento dedicato alla cura del proprio giardino interiore. Il festival termina domenica 30 novembre, nella sede di PoesiaPresente, con due laboratori di formazione in Poesiaterapia condotti rispettivamente da Dimitra Didangelou e Dome Bulfaro e da Tamara Trebes e Luca Buonaguidi. L'articolo “ATTRAVERSO. Parole di benessere per ogni età”, al via il secondo Festival Internazionale di Poesiaterapia proviene da Il Fatto Quotidiano.
Poesia
Salute
Vinicius de Moraes, che altro? (Traduzione di Massimiliano Damaggio)
Per prima cosa mi sono chiesto se fosse il caso di dire chi fosse Vinicius de Moraes. La risposta è stata “sì”, perché il tempo passa e il Brasile è un posto lontano. Poi mi sono chiesto cosa potessi dire su Vinicius. La risposta è stata “niente, o quasi”. Se non: Vinicius è stato più che un poeta, è stato una “ricetta di poeta”, un uomo che è vissuto “in” poesia, “per” la poesia, “con” la poesia. In modo umanissimo e umile, come solo nella povera quotidianità latino-americana si può ancora fare, lui che povero non era ma brasiliano sì, profondamente, totalmente. Anche in questo, soprattutto, è stata la sua grandezza: l’aver traghettato una poesia gigantesca e indimenticabile, coltissima ma popolare, dal libro alla strada, al bar, alla canzone. Alla vita. M.D. Soneto da fidelidade De tudo ao meu amor serei atento Antes, e com tal zelo, e sempre, e tanto Que mesmo em face do maior encanto Dele se encante mais meu pensamento. Quero vivê-lo em cada vão momento E em seu louvor hei de espalhar meu canto E rir meu riso e derramar meu pranto Ao seu pesar ou seu contentamento. E assim, quando mais tarde me procure Quem sabe a morte, angústia de quem vive Quem sabe a solidão, fim de quem ama Eu possa me dizer do amor (que tive): Que não seja imortal, posto que é chama Mas que seja infinito enquanto dure. * Sonetto della fedeltà Su tutto, al mio amore sarò attento per primo, e con tal zelo, e sempre, e tanto che pure di fronte al più grande incanto di lui sia maggiore l’incantamento. Voglio viverne ogni vano momento ed in suo onore spargere il mio canto ridere il mio riso, versare il pianto alla sua gioia oppure al suo scontento. Così, quando mi cercherà la morte, ansia del vivo, o dalla solitudine, destino di chi ama, io sia inseguito, mi dica (dell’amore avuto in sorte): che non è immortale, poiché è di fiamma, ma fino a quando dura è infinito. *** Soneto de separação De repente do riso fez-se o pranto Silencioso e branco como a bruma E das bocas unidas fez-se a espuma E das mãos espalmadas fez-se o espanto. De repente da calma fez-se o vento Que dos olhos desfez a última chama E da paixão fez-se o pressentimento E do momento imóvel fez-se o drama. De repente, não mais que de repente Fez-se de triste o que se fez amante E de sozinho o que se fez contente. Fez-se do amigo próximo o distante Fez-se da vida uma aventura errante De repente, não mais que de repente. * Sonetto di separazione All’improvviso il riso si fa pianto silenzioso e bianco come la bruma e delle bocche unite si fa schiuma e delle mani aperte disincanto D’improvviso la calma si fa vento che degli occhi disfà l’ultima fiamma la passione si fa presentimento e il momento immoto si fa dramma D’improvviso, non più che in un momento si fa triste colui ch’è stato amante ed è solo chi prima era contento Si fa l’amico prossimo distante si fa la vita un’avventura errante d’improvviso, non più che in un momento *** Poema de Natal Para isso fomos feitos: para lembrar e ser lembrados para chorar e fazer chorar para enterrar os nossos mortos – por isso temos braços longos para os adeuses mãos para colher o que foi dado dedos para cavar a terra. Assim será nossa vida: uma tarde sempre a esquecer uma estrela a se apagar na treva um caminho entre dois túmulos – por isso precisamos velar falar baixo, pisar leve, ver a noite dormir em silêncio. Não há muito o que dizer: uma canção sobre um berço um verso, talvez de amor uma prece por quem se vai – mas que essa hora não esqueça e por ela os nossos corações se deixem, graves e simples. Pois para isso fomos feitos: para a esperança no milagre para a participação da poesia para ver a face da morte – de repente nunca mais esperaremos… Hoje a noite é jovem; da morte, apenas nascemos, imensamente. * Poesia di Natale Per questo siamo fatti: per ricordare ed esser ricordati per piangere e far piangere per interrare i nostri morti – per questo abbiamo braccia lunghe per gli addii mani per cogliere ciò che è dato dita per scavare la terra. Così sarà la nostra vita: una sera sempre a scordare una stella a spegnersi nella tenebra un sentiero fra due tumuli – per questo dobbiamo vegliare parlar basso, camminare piano, guardare la notte dormire in silenzio. Non c’è molto da dire: una canzone sopra una culla un verso, a volte di amore una preghiera per chi se ne va – ma quell’ora non si scorda ed è lì che i nostri cuori si abbandonano, gravi e semplici. Perché per questo siamo fatti: per la speranza nel miracolo per la partecipazione della poesia per vedere la faccia della morte – d’improvviso non attenderemo più… Oggi la notte è giovane; dalla morte appena siamo nati, immensamente. Vinicius de Moraes (1913-1980) è stato un poeta, paroliere e diplomatico brasiliano. È noto per aver contribuito alla nascita della Bossa nova, collaborando con Tom Jobim. Tra le sue canzoni più celebri: Garota de Ipanema e Chega de Saudade. La sua poesia fonde lirismo, passione e spiritualità. Ha lasciato un segno profondo nella cultura brasiliana del XX secolo. L'articolo Vinicius de Moraes, che altro? (Traduzione di Massimiliano Damaggio) proviene da Il Fatto Quotidiano.
Blog
Poesia
Cultura
Brasile
Cemal Süreya, Maestro dell’avanguardia modernista turca (Traduzione di Nicola Verderame)
Cemal Süreya (1931-1990) è stato uno dei maestri del “Secondo Nuovo”, l’avanguardia modernista che ha segnato la poesia turca negli anni Cinquanta e Sessanta. Nato nell’Est della Turchia, ha pubblicato sei raccolte di poesia (la prima nel 1958, le ultime due nel 1988), cinque raccolte di saggi, traduzioni, vignette e ha diretto la rivista chiave della letteratura turca degli anni Sessanta, Papirüs. I suoi versi sono carichi di sensualità, erotismo, ironia, hanno trame sonore molto ricche eppure sono immediati, restano incisi nella memoria. Questi elementi fanno sì che in Turchia Süreya sia conosciuto da un pubblico molto vasto, anche di giovani; le sue poesie sono riprodotte su gadget di ogni tipo e spesso gli sono attribuite poesie che non ha mai scritto. Insomma, un vero e proprio classico moderno. Una raccolta di novantanove sue poesie è stata pubblicata in italiano da Bompiani nel 2025 con il titolo Tutte le canzoni di Istanbul, a cura di Nicola Verderame. Da questa raccolta sono tratte le poesie qui riprodotte per gentile concessione delle case editrici Bompiani e Can Yayınları. N. V. Adam Adam şapkasına rastladı sokakta Kimbilir kimin şapkası Adam ne yapıp yapıp hatırladı Bir kadın hatırladı sonuna kadar beyaz Bir kadın açtı pencereyi sonuna kadar Bir kadın kimbilir kimin karısı Adam ne yapıp yapıp hatırladı. Yıldızlar kıyamet gibiydi kaldırımlarda Çünkü biraz evvel yağmur yağmıştı Adam bulut gibiydi, hatırladı Adamın ayaklarının altında Yıldızların yıldız olduğu vardı Adam yıldızlara basa basa yürüdü Çünkü biraz önce yağmur yağmıştı. (1953) * Adam L’uomo trovò il suo cappello per la via Chissà di chi era quel cappello L’uomo tanto fece che ricordò Ricordò una donna bianca fino in fondo Una donna aprì la finestra fino in fondo Una donna, moglie di chissà chi L’uomo tanto fece che lo ricordò. Le stelle erano un finimondo sui marciapiedi Perché poco prima era piovuto L’uomo era come una stella, ricordò Sotto i suoi piedi le stelle Erano stelle vere L’uomo camminò pestandole Perché poco prima aveva piovuto. (1953) *** Güzelleme Bak bunlar ellerin senin bunlar ayakların Bunlar o kadar güzel ki artık o kadar olur Bunlar da saçların işte akşamdan çözülü Bak bu sensin çocuğum enine boyuna Bu da yatak olduğuna göre altımızdaki Sabahlara kadar koynumda yatmışsın Bak bende yalan yok vallahi billahi Sen o kadar güzelsin ki artık o kadar olur İşe bak sen gözlerin de burda Gözlerinin ucu da burda yaşamaya alışık İyi ki burda yoksa ben ne yapardım Bak çocuğum kolların işte çıplak işte Bak gizlisi saklısı kalmadı günümüzün Gözlerin sabahın sekizinde bana açık Ne günah işlediysek yarı yarıya Sen asıl bunlara bak bunlar dudakların Bunların konuşması olur öpülmesi olur Seni usulcu öpmüştüm ilk öptüğümde Vapurdaydık vapur kıyıdan gidiyordu Üç kulaç öteden İstanbul gidiyordu Uzanmış seni usulca öpmüştüm Hemen yanımızdan balıklar gidiyordu (1954) * Elogio Guarda queste sono le tue mani questi i tuoi piedi Sono belli che più non si può E questa la tua chioma disfatta da ieri sera Guarda, piccola, sei tu tale e quale E visto che questo sotto di noi è un letto Hai dormito fino al mattino tra le mie braccia Guarda che non mento lo giuro Sei così bella che più non si può Ecco anche i tuoi occhi sono qui La tua coda dell’occhio è abituata a vivere qui E meno male ch’è qui sennò cosa farei Guarda piccola le tue braccia sono nude ecco Guarda il nostro giorno non ha più segreti Le otto di mattina i tuoi occhi sono aperti per me Ogni peccato tra noi è da spartire a metà Tu guardale sono le tue labbra Sanno parlare si fanno baciare Teneramente le ho baciate la prima volta Eravamo sul traghetto, viaggiava sotto costa Tre braccia più in là scorreva Istanbul Mi sono chinato a baciarti dolcemente I pesci scorrevano via accanto a noi (1954) *** Cıgarayı Attım Denize Şimdi bir güvercinin uçuşunu bölüşüyoruz Gökyüzünün o meşhur maviliğinde Uzun saçlı iri memeli kadınlarıyla Bir Akdeniz şehri çıkabilir içinden Alıp yaracak olsak yüreğini Şimdi bir güvercinin Şimdi sen tam çağındasın yanma varılacak Önünde durulacak tam elinden tutulacak Hangi bir elinden güzelim hangi bir Bir elinde kızlığın duruyor garip huysuz Öbür elinde yetişkin bir günışığı Daha öbür elinde de kilometrelerce hürlük Çalışan insanlar için akşamlara kadar Toz duman içinde Bir elinle de boyuna ekmek kesiyorsun Biz eskiden de en aşağı böyleydik şenlen Bir bulut geçiyorsa onu görürdük Bir minarenin keyfine diyecek yoksa onu Bir adam boyuna yoksulluk ediyorsa onu Ne zaman hürlüğün barışın sevginin aşkına Bir cıgara atmışsak denize Sabaha kadar yandı durdu (1954) * Ho gettato in mare il mozzicone Ora condividiamo un volo di colombo In quel famoso azzurro del cielo Con donne dai lunghi capelli e grandi seni Una città mediterranea può spuntare Se adesso fendiamo il cuore Di una colomba Adesso hai l’età perfetta perché mi avvicini Mi pianti di fronte a te, ti prenda la mano Ma quale mano, mia bella, quale In una tieni una verginità strana e irrequieta Nell’altra una matura luce del giorno Nell’una chilometri di libertà Con l’altra tagli fette di pane Per chi lavora da mattina a sera Tra la polvere e il fumo Un tempo almeno anche noi eravamo così Se passava una nuvola la vedevamo Se un minareto gioiva, nulla da dire Se un uomo era misero fino in fondo Se gettavamo in mare un mozzicone In nome d’amore pace affetto libertà Continuava a bruciare fino al mattino (1954) *** İşte Tam Bu Saatlerde İşte tam bu saatlerde bir yara gibidir su Yeni deşilmiş uçlarında sokakların, küçük uçlarında. Senin güneş sarnıcı gözlerin Ölüm yası içindeki bir evde Olmaması gereken bir şey gibi, kırılan bir ayna gibi. Bu saatlerde. Çarmıhını yanından eksik etmeyen bir İsa gibi Merdiven taşıyan bir adam görüyoruz Sırtında on iki basamak taşıyan bir adam görüyoruz Bu adamı ne kadar çok seviyorum, bu kuşu ne kadar Sen ne seviyorsun sen zaten sevince Alnınla ayıklarsın yeryüzünü, Çardaklar binaların ağızlarında Aşar gider kendi sınırlarını, Köpekler gizli bir dağı havlar. Bunlar iyidir diyorum bunlar senden haberli, Yoksa nerden bilecekler Karbon sınırında yaşayan balıklar Kovadan sızan hicret gününü, Peygamberin parmaklarına asıp paltolarını Nasıl girecekler tanrıevine Mucizesever müslümanlar, Ve On Binlerin Dönüşü sırasında Greklerin keçilerle çiftleştiği Dağ yolları neyle donanacak? Yine de yine de sevişirken Kullandığımız her kelime Hırsızın devirdiği eşya. Minibüslerle morarmış sokaklar Buğdayın parayla değişildiği Paranın ekmekle değişildiği Ekmeğin tütünle değişildiği Tütünün acıyla değişildiği Ve artık hiçbir şeyle değişilmediği acının. O sokaklarda. Saatler yağmuru gösteriyor, Bugün bu küçük salı günü Her şeyi eksik İstanbul’un, tepelerinden başka, Yalnız Galata Galata Gecenin bodrumlarında beslediği O tükenmez paslanma tutkusunu Bir ağız mızıkası halinde Denize yediriyor yavaş yavaş (1965) * Ecco proprio in queste ore Ecco proprio in queste ore è come una piaga l’acqua Negli anfratti nei minuscoli anfratti appena crivellati delle vie. I tuoi occhi cisterne di sole Dentro una casa in lutto sono un qualcosa Che non dovrebbe esistere, uno specchio rotto. In queste ore. Come un Cristo che non si separa mai dalla croce Vediamo un uomo portare una scala Una scala di dodici pioli sulle spalle Quanto amo quest’uomo, quanto amo quest’uccello Cos’è che ami tu? Quando ami tu Mondi la terra con la fronte, Le pergole davanti ai fabbricati Oltrepassano i loro limiti, I cani abbaiano a caccia di un monte segreto. Bene tutto questo dico io tutti sanno tutto di te Se no come farebbero I pesci al limite del monossido di carbonio A conoscere il giorno dell’esodo che cola dalla bacinella, Come potrebbero entrare nella casa di Dio Appendendo i paltò alle dita del Profeta I musulmani amanti dei miracoli, E al rientro dei Diecimila dell’Anabasi Con cosa si adornerebbero i sentieri sui monti Dove i greci si accoppiavano con le capre? E ancora e ancora mentre facciamo l’amore Ogni parola che pronunciamo È un oggetto rovesciato dal ladro. Strade tinte di violetto dai minibus Dove il frumento si scambia con denaro Il denaro si scambia con il pane Il pane si scambia col tabacco Il tabacco col dolore E il dolore non si scambia più con nulla. In quelle strade. Gli orologi segnano pioggia Oggi in questo piccolo martedì Manca tutto a Istanbul, tranne le colline Soltanto Galata Galata Quella sua inesauribile voglia d’arrugginire Che coltiva negli scantinati della notte Sotto forma d’armonica a bocca Lentamente la dà in pasto al mare (1965) L'articolo Cemal Süreya, Maestro dell’avanguardia modernista turca (Traduzione di Nicola Verderame) proviene da Il Fatto Quotidiano.
Blog
Libri e Arte
Poesia
Turchia