L’europarlamentare del Pd Cecilia Strada, relatrice ombra per i Socialisti e
Democratici sui dossier “paesi terzi sicuri” e “paesi sicuri d’origine” in esame
alla Commissione LIBE del Parlamento Ue, esprime profonda preoccupazione in
vista del voto di mercoledì 3 dicembre. Definisce la situazione un “disastro
politico” in cui i parlamentari del Partito popolare europeo (Ppe) si allineano
all’estrema destra su testi che rappresentano “la fine del diritto d’asilo in
Europa”. Un approccio che sta portando l’Unione Europea a “violare lo spirito
della Convenzione di Ginevra sui rifugiati”.
Strada, qual è il punto politico sui dossier al voto alla Commissione LIBE?
Il punto in cui siamo è un disastro. Il Ppe sta lavorando totalmente insieme
all’estrema destra su questi temi. Gli stessi popolari che teoricamente
dovrebbero stare con il campo progressista e invece, sulla questione migratoria,
guardano solo ed esclusivamente da quella parte.
La negoziazione com’è andata?
Nessuno dei tentativi di negoziare da parte del campo progressista è stato
accettato. I relatori hanno ripreso sostanzialmente invariata la proposta della
Commissione e hanno rifiutato qualunque tentativo di mediare con noi per
cambiare il testo e renderlo vagamente più umano. Andiamo a votare testi che
sono tremendi.
La vera novità sta nel nuovo concetto di “paese terzo sicuro”.
Mentre il concetto di Paese d’origine sicuro ha a che fare con l’esame della
richiesta di protezione, col concetto di Paese terzo sicuro l’Ue non entra
nemmeno nel merito della tua domanda d’asilo. Ti dice che potresti anche aver
diritto alla protezione, essere un rifugiato, ma non qui. E se l’Europa decide
che avresti potuto fare domanda altrove, anche dove sei semplicemente
transitato, o che potresti presentarla in un Paese col quale ha preso accordi,
verrai trasferito, punto. E’ la rinuncia al nostro obbligo di protezione,
delegato a paesi terzi coi quali ci si mette d’accordo. E’ di fatto la fine del
diritto d’asilo in Europa, e ci prendiamo anche dei rischi.
Quali?
Perché Paesi che hanno più problemi di noi dovrebbero accettare i richiedenti
asilo che noi non vogliamo gestire, se non per soldi o altri vantaggi?
Sicuramente non per spirito di fratellanza.
Dunque?
Dunque l‘Europa diventa ricattabile, tra l’altro senza prevedere alcuna
specifica sul tipo di accordi, che possono essere i soliti memorandum informali
e non vincolanti. Cosa succederà quando questi paesi terzi vorranno di più,
vorranno rinegoziare, vorranno più soldi o più vantaggi? Situazioni già viste in
Turchia ma anche in Tunisia. Oltre al fatto che in sostanza ci apprestiamo a
spostare persone attraverso i confini in cambio di soldi, come sul confine tra
la stessa Tunisia e la Libia, dove le persone vengono vendute e spostate. Non è
ciò che che condanniamo come traffico di esseri umani?
Le nuove norme risolveranno i problemi del Protocollo Italia-Albania come dice
il governo?
Né il testo sui Paesi d’origine, né quello sui Paesi terzi sicuri sanerà
quell’accordo. Il governo è arrivato a considerare quelli in Albania come
trasferimenti da un Cpr all’altro, come fossimo in Italia. Ma nonostante la
giurisdizione italiana, l’extraterritorialità non ha permesso di garantire le
tutele previste dalla normativa dell’Unione: le alternative al trattenimento, ma
anche l’eccesso effettivo a diritti come quello alla salute, all’unità
familiare, a una difesa effettiva.
In Europa i flussi migratori non stanno aumentando, come mai resiste l’urgenza
normativa?
Non c’è nessuna urgenza, è la stessa agenzia europea Frontex che ci fa vedere
come i flussi stanno diminuendo. Ma da almeno dieci anni le persone migranti
sono lo strumento sul quale si è fatto propaganda per vincere le elezioni a
qualunque costo, e distrarre le persone dalle garanzie sui propri diritti, da
una sanità degna di questo nome al fatto che stiamo indebitando i nostri figli e
i nostri nipoti per comprare armi.
Le opposizioni sono pronte per proporre soluzioni alternative sui migranti?
Secondo me siamo abbastanza pronti se smettiamo di aver paura di perdere le
elezioni su questo tema e quindi se smettiamo di inseguire la destra. Non è mai
una buona idea inseguire la destra sulla propria agenda: tra la copia e
l’originale la gente vota l’originale o se ne sta a casa.
L'articolo Paesi sicuri, Strada: “Disastro del Ppe, è la fine del diritto
d’asilo. Ma la sanatoria sull’Albania non c’è” proviene da Il Fatto Quotidiano.
Tag - Albania
Il flop dei centri in Albania si è trasformato in un potenziale danno erariale
al vaglio dei magistrati contabili. ActionAid ha consegnato alla Corte dei Conti
un esposto di sessanta pagine indirizzato alla procura regionale del Lazio, per
denunciare quello che definisce “uno sperpero ingiustificabile di denaro
pubblico” e che, dati alla mano, si sarebbe potuto limitare se non addirittura
prevedere. L’obiettivo è far accertare se esistano i presupposti per un’azione
erariale rispetto alle violazioni contestate nella gestione dei centri.
Parallelamente, un’altra segnalazione è stata inviata all’Autorità Nazionale
Anticorruzione (ANAC) per presunte irregolarità nell’affidamento dell’appalto di
gestione. La richiesta di intervento alla Corte dei Conti e all’ANAC è ritenuta
“cruciale nel caso di persone formalmente in custodia dello Stato, ma
concretamente in mano a società private e cooperative”.
I dati inediti sono pubblicati in un focus all’interno del progetto “Trattenuti”
di ActionAid e Università di Bari. Che denuncino un quadro di spese fuori scala
e organizzazione caotica fin dall’iniziale allestimento dei centri, partito con
uno stanziamento di 39,2 milioni di euro, poi lievitati rapidamente a 65 milioni
con il “Decreto PNRR 2”, trasferendo la competenza dai ministeri dell’Interno e
della Giustizia alla Difesa. Per un impegno complessivo che è così salito a
73,48 milioni di euro. A fronte degli stanziamenti, la Farnesina ha pubblicato
bandi per 82 milioni, firmato contratti per oltre 74 milioni – quasi tutti
tramite affidamenti diretti – ed erogato più di 61 milioni per i soli
allestimenti. Con una capienza reale di 400 posti a fine marzo 2025, il costo
per singolo posto supera i 153.000 euro. Costo che ActionAid giudica del tutto
ingiustificabile: “Oltre undici volte” il costo dell’allestimento di un posto
nel Ctra di Modica (inaugurato nel 2023) a pieno regime, dove la spesa superava
di poco ai 6.400 euro.
Il quadro peggiora guardando poi ai costi giornalieri. Nel Cpr di Gjader la
spesa per detenuto è quasi tripla rispetto a un Cpr in Italia. Se a Macomer, in
Sardegna, vitto e alloggio per il personale di polizia costano 5.884,80 euro al
giorno, in Albania – per appena 120 ore di effettiva operatività tra ottobre e
dicembre 2024 – la spesa è stata di 105.616 euro al giorno, quasi diciotto volte
di più. Tutto questo mentre, alla fine del 2024, un quinto dei posti disponibili
nei Cpr italiani risultava comunque vuoto. Non solo. Le stesse procedure che si
voleva trasferire in Albania avevano già evidenziato ostacoli giuridici
nazionali ed europei e risultati operativi fallimentari nei centri italiani:
nessuna convalida per i trattenuti a Modica nel 2023, e appena 5 rimpatri su 166
persone transitate tra Modica e Porto Empedocle nel 2024, circa il 3%. Insomma,
come sarebbe finita era ampiamente prevedibile.
Come non bastasse, le risorse risultano sottratte ad altri capitoli
fondamentali: 15,8 milioni arrivano dal Fondo per esigenze indifferibili,
previsto per le emergenze; 10 milioni dal Fondo straordinario della Difesa; 47,7
milioni da tagli ai bilanci di dodici ministeri. L’avvocato Antonello Ciervo,
coordinatore del team legale di ActionAid, parla di “soldi pubblici sottratti
alla salute, alla giustizia, al welfare e ai servizi, ma anche ai fondi per la
gestione delle emergenze”, sottolineando come la distorsione nell’uso delle
risorse sia aggravata dall’illegittimità del modello dei centri albanesi.
Fabrizio Coresi, esperto di migrazioni per ActionAid, aggiunge che
“l’ostinazione nel tenere in vita un progetto inumano, inefficace e
giuridicamente inconsistente”, attraverso continui nuovi stanziamenti,
spostamenti di competenze e cambi di regole, ha prodotto una perdita per
l’erario che non può essere liquidata come un semplice errore tecnico. A
confermare l’impatto del “passaggio aggiuntivo” rappresentato dalla detenzione
off-shore è il dettaglio delle spese accessorie: il ministero della Difesa ha
sostenuto oltre 2,6 milioni di euro tra manutenzione della nave Libra, trasferte
e indennità di missione per Carabinieri e personale della Marina. Il ministero
della Giustizia ha firmato contratti per quasi 2 milioni ed erogato 1,2 milioni,
fino a maggio 2025, per il penitenziario di Gjader, una struttura mai utilizzata
e mai completata. Anche il ministero della Salute ha autorizzato spese per quasi
4,8 milioni ed effettuato pagamenti per 1,2 milioni, nonostante gli uffici
dell’Usmaf in Albania siano vuoti da marzo.
C’è poi la questione della trasparenza. “Scarsa”, secondo ActionAid, quella per
l’affidamento dell’appalto di gestione da 133 milioni di euro. La cooperativa
Medihospes si è aggiudicata la procedura – negoziata senza bando – dopo una
manifestazione di interesse, risultando l’unica tra le tre cooperative
selezionate dalla Prefettura di Roma a presentare un’offerta. La segnalazione ad
ANAC rileva che non sarebbe stata neppure verificata la rilevanza internazionale
dell’appalto, che al contrario avrebbe imposto una procedura più aperta. A oltre
un anno e mezzo dall’aggiudicazione, poi, non è stato ancora stipulato alcun
contratto, e gli unici documenti emessi per consentire la partenza dei lavori
sono i due verbali di esecuzione anticipata in urgenza. Il report “Trattenuti”
avverte anche del rischio di “cattura istituzionale”, “cioè che le scelte
pubbliche finiscano per dipendere troppo da un solo operatore, che risulta
quindi necessario coinvolgere”, si legge. Secondo il rapporto, la Prefettura di
Roma ha finito per dipendere in modo strutturale da Medihospes, che ha
concentrato quote altissime della gestione dei centri di accoglienza
straordinaria (Cas) di Roma e mantenuto la posizione dominante “nonostante
sanzioni e infrazioni documentate” e continuando a ottenere incarichi e ad
ampliarsi, fino a risultare l’unica partecipante alla gara per l’operazione
albanese. Dinamica che, si legge, ha ridotto quasi a zero la concorrenza,
espellendo di fatto le piccole cooperative sociali incapaci di reggere i volumi
e i ribassi economici richiesti.
L'articolo Migranti, centri in Albania denunciati alla Corte dei conti per danno
erariale: “Fino a 18 volte i costi sostenuti in Italia” proviene da Il Fatto
Quotidiano.
Mondo della musica in lutto. Il cantante libanese Shpat Kasapi è morto a soli 40
anni per un arresto cardiaco mentre si trovava a Bologna. A riferirlo è
l’agenzia kosovara Gazeta Express. Pare che l’artista non avesse patologie e che
non soffrisse di cuore.
Tra i primi messaggi arrivati all’interprete di hit come “A më do?”, “Valle
Kosovare” e “Dashni pa limit”, quello dell’ex moglie e madre di suo figlio Roel,
Selvije Jao: “Sei morto tra le mie braccia, vita. Quanto eravamo felici che i
documenti di Roel fossero finalmente stati fatti in Italia, così da poterlo
portare dai migliori logopedisti. Nel momento in cui aveva più bisogno di te,
quando le tue mani erano più necessarie che mai. Come spiego a Roel che papà non
c’è più?”.
Shpat Kasapi è nato l’1 maggio 1985 a Tetovo. La sua carriera è iniziata molto
presto, partecipando a diversi Festival per bambini. Il suo primo grande
successo è arrivato quando ha vinto il primo premio al Festival “Bletëzat ’98”
di Tetovo all’età di 13 anni.
Nel corso degli anni, ha iniziato a partecipare a concorsi più importanti. Ha
partecipato al Festival “Këngët e Stînës 2002” di Tirana, dove ha vinto un
premio. Ha ricevuto anche altri riconoscimenti come il “Nota Fest 2003″ e
l'”Albafest 2003” di Skopje. Kasapi è diventato uno dei nomi più noti della
scena albanese. Per molti anni è rimasto una figura di riferimento nel mercato
musicale albanese, non solo in Macedonia e Kosovo, ma anche oltre.
Shpat ha perso il padre quando aveva solo 13 anni. In un’intervista, ha parlato
dei momenti difficili e della depressione che lo hanno colpito dopo la perdita e
ha affermato che la musica gli ha dato la forza di andare avanti. Sebbene la sua
vita privata sia stata a volte al centro dell’attenzione, per molti fan è
rimasto soprattutto la “voce” che portava energia sul palco. Qualche mese fa, il
defunto si era separato dalla moglie Selvije Jao, dalla quale aveva avuto un
figlio.
L'articolo È morto Shpat Kasapi, il cantante albanese ha avuto un infarto e si
trovava in Italia. L’ex moglie disperata: “Come spiego a nostro figlio che non
ci sei più?” proviene da Il Fatto Quotidiano.
“Lei mi domanda se mi sono pentito, ma se non si è pentito lei che fa da due
anni la stessa domanda, come mi posso pentire io che intanto ho fatto cento
altre cose con il suo presidente del Consiglio”. Ha risposto così il primo
ministro albanese Edi Rama al giornalista del Tg3 Rai Jacopo Matano che gli
domandava se si fosse pentito del Protocollo sulla gestione dei i migranti
siglato due anni fa con l’Italia. “Lo sa, non so dire cosa capiranno quelli che
seguiranno la sua cronaca – ha continuato Rama, rivolgendosi a Matano – Perché
qui si è parlato di tantissimi progetti comuni, che non vanno semplicemente bene
all’Albania, ma che vanno bene agli italiani. Va benissimo sapere che il
progetto per l’interconnessione marina va avanti e che questo vorrà dire che in
un tempo ragionevole gli italiani potranno vedere i risultati nella loro
bolletta. Va benissimo agli italiani il fatto che noi lavoriamo per far sì che
le imprese italiane investano di più e che abbiano di più per redistribuire ai
loro impiegati. Va benissimo all’Italia di collaborare con noi in materia di
difesa, perché intanto non potete evitare di dire come dobbiamo comprare gli
armamenti dagli americani, ma bisogna anche dire come l’Italia agisce in questo
campo con i suoi prodotti di eccellenza, aiutando l’Albania e altri e facendo
economia per se stessa. Sono tante le cose fatte intanto che lei fa la stessa
domanda, mi capisce?”. Parole che hanno scatenato le critiche e le proteste del
Comitato di redazione, intervenuto in difesa del collega. “Le giornaliste e i
giornalisti del Tg3 sono totalmente solidali con il collega Matano che in
presenza della premier Meloni ha chiesto al primo ministro albanese Rama se si
sia pentito del protocollo con l’Italia sui migranti e se lo riproporrebbe con
altri Paesi. La domanda è più che mai attuale e interessante. In un Paese
democratico – si legge in una nota – si risponde o magari non si risponde, ma
non è accettabile che si attacchi frontalmente l’intervistatore facendo del
sarcasmo prolungato e fuori luogo e pretendendo, come è successo oggi a Villa
Pamphili, di dettare al giornalista cosa dovrebbe scrivere. Crediamo che le
domande siano il prerequisito indispensabile di uno Stato libero e democratico.
Per questo noi certamente non ci vergogniamo, anzi, siamo orgogliosi di
continuare a farne”.
L'articolo Migrati, Edi Rama risponde infastidito all’inviato del Tg3: “Lei fa
sempre la stessa domanda”. Cdr: “Inaccettabile attacco al collega” proviene da
Il Fatto Quotidiano.
La Corte d’Appello di Roma ha chiesto di nuovo alla Corte di giustizia
dell’Unione europea di esprimersi sul protocollo tra Italia e Albania. Stavolta
chiede di sapere se l’Italia avesse davvero il diritto di firmare quell’accordo
e creare i centri di trattenimento a Shëngjin e Gjader, visto che le regole
sull’asilo sono decise soprattutto a livello europeo. Un’altra tegola che si
abbatte sul fallimentare progetto del governo, che tuttavia Giorgia Meloni ha
rilanciato ieri durante il vertice intergovernativo Italia-Albania a Villa
Pamphilj, accanto al presidente albanese Edi Rama. Un “funzionerà bis” che si
aggrappa al Patto su migrazione e asilo, la riforma Ue operativa dal prossimo
giugno che rivedrà le norme sulla designazione dei Paesi sicuri, primo inciampo
dell’accordo con Tirana. Ma il nuovo rinvio alla Corte Ue mina proprio questa
certezza, l’ultima che rimane a Meloni.
“Certamente il protocollo funzionerà quando entrerà in campo il nuovo patto su
migrazione e asilo” ma “devo chiedere una riflessione: perché sono stati
bloccati dei trasferimenti di migranti ritenendo che paesi come Bangladesh e
Tunisia non fossero paesi sicuri, nel momento in cui la proposta della
Commissione europea di una lista di paesi sicuri annovera al suo interno
Bangladesh e Tunisia? Dove sta la ragione?” ha domandato Meloni. Ripetere aiuta:
la Corte Ue ha definitivamente chiarito che la normativa europea non ammette la
designazione di Paesi sicuri con eccezioni per categorie di persone, come nella
lista italiana alla base dei trasferimenti in Albania. Dunque non si possono
applicare procedure d’esame “accelerate” delle domande di protezione, sommarie e
con meno garanzie. La procedura applicabile è quella ordinaria e non prevede
trattenimento, né in Italia né in Albania. Non solo. Indipendentemente dalle
ragioni della designazione, ad agosto la Corte Ue ha ribadito che l’ultima
parola spetta al giudice. Non ai governi degli Stati Ue, né alla Commissione
europea, che è liberissima di proporre la sua lista dei Paesi sicuri ma questo
non solleva il giudice dall’obbligo di controllo giurisdizionale che la legge
gli impone. Recente, a proposito di Paesi sicuri, il riconoscimento della
protezione sussidiaria a una donna tunisina perché, ha scritto il Tribunale di
Messina, la Tunisia non è in grado o non voleva garantire una protezione
effettiva nei suoi confronti, dopo aver subito violenza sessuale, sfratto
forzato e minacce.
Ma i principi stabiliti ad agosto, la Corte di giustizia li aveva già scritti in
buona parte nella precedente sentenza dell’ottobre 2024, che il governo aveva
praticamente ignorato tirando dritto verso l’apertura dei centri in Albania, poi
puntualmente schiantati sulla normativa Ue. Ora Meloni punta tutto sul Patto
migrazione e asilo, certa che tra sette mesi si risolverà tutto. Invece non è
detto. Anzi, stavolta la posta è ancora più alta perché il 5 novembre 2025 la
giudice Antonella Marrone della Corte d’Appello di Roma ha firmato un’ordinanza
di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia Ue ai sensi del Trattato
dell’Unione europea (TUE) e del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea
(TFUE). Il caso riguarda la convalida del trattenimento di un cittadino
marocchino richiedente asilo, inizialmente detenuto in Italia e poi trasferito a
Gjader. La Corte d’Appello esprime dubbi sulla competenza dell’Italia a
stipulare il Protocollo, chiedendo ai giudici di Lussemburgo se la materia
dell’accordo non ricada invece nella competenza esclusiva dell’Unione Europea,
“tenuto conto di quanto disposto dagli articoli 4, par. 3 TUE, 3 par. 2 TFUE e
216 par. 1 TFUE, secondo cui l’Unione ha competenza esclusiva per la conclusione
di accordi internazionali allorché tale conclusione può incidere su norme comuni
o modificarne la portata”, si legge nell’ordinanza che solleva il rinvio.
Secondo la Corte d’Appello, che non dimentica di citare precedenti sentenze Ue,
la materia è disciplinata in gran parte dalle norme europee: “Il sistema europeo
comune di asilo (CEAS, ndr), secondo quanto voluto dall’art. 78 TFUE come
riscritto con il Trattato di Lisbona, non detta più soltanto norme minime
cogenti per gli Stati ma costituisce una vera e propria politica comune in
materia di asilo”. Quando il diritto dell’Unione disciplina in modo così ampio
una materia, argomenta la Corte d’Appello, si pone il problema della competenza
esclusiva dell’Unione a concludere accordi internazionali ai sensi dell’art. 3,
par. 2, TFUE. “E’ opinione di questo giudicante – si legge nell’ordinanza – che
l’accordo stipulato dall’Italia con l’Albania sia idoneo a pregiudicare
l’applicazione uniforme e coerente delle norme dell’Unione e il buon
funzionamento del sistema che esse istituiscono sotto molteplici aspetti”. Col
“rischio che l’accordo incida su norme comuni dell’Unione o ne modifichi la
portata”, condizione che, ai sensi del TFUE, attribuirebbe competenza esclusiva
all’Unione per l’eventuale stipula di trattati.
“Tale ipotizzata illegittimità radicale non potrebbe essere superata in alcun
modo dall’attuazione delle nuove misure normative del Patto europeo sull’asilo
previste per giugno 2026″, ha spiegato sull’Unità Gianfranco Schiavone, esperto
di migrazioni internazionali e socio Asgi. Perché la questione non riguarda solo
l’eventuale contrasto con alcune norme europee, che pure viene sollevato anche
in questo rinvio, ma l’architettura stessa delle istituzioni europee. Tanto che
“la decisione della CGUE avrà incidenza anche su qualsiasi altro accordo
presente o futuro che segua l’impostazione del Protocollo tra Italia ed Albania
di esternalizzare la procedura di asilo”, ha spiegato Schiavone. Con buona pace
di governi e commissari europei e dell’interesse più volte espresso, pur senza
superare le tante ambiguità, per l’iniziativa italiana definitiva innovativa. Di
sicuro inedita, e infatti andava valutata prudentemente alla luce dell’impianto
normativo che regge l’Unione. Cosa che Meloni e soci si sono ben guardati dal
fare prima di mettere in moto un progetto da oltre 700 milioni di euro che ha
interessato poche decine di migranti, tutti portati in Italia. E così la
presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen, che non ha mai voluto
entrare nel merito di un simile accordo. Lo faranno, ancora una volta, i giudici
di Lussemburgo.
L'articolo Migranti in Albania, Meloni rilancia: “Il protocollo funzionerà”. Ma
c’è un nuovo rinvio alla Corte Ue: “Non poteva firmarlo” proviene da Il Fatto
Quotidiano.
A Roma, durante un vertice a Villa Pamphilj si rinnova il rapporto tra Italia e
Albania costruito dalla premier Giorgia Meloni con l’omologo Edi Rama. Attorno a
un tavolo una ventina tra ministri e sottosegretari dei due Paesi per la firma
di sedici accordi che riguardano i temi più svariati, dal comparto difesa a
quello dell’energia e della sanità. Ma c’è un convitato di pietra, ed è,
simbolicamente, la questione dei centri per i migranti avviati in Albania, senza
successo, almeno fino a ora.
“La responsabilità non è la mia – mette le mani avanti la presidente del
consiglio – sono passati due anni e noi arriveremo due anni dopo a fare
esattamente quello che avremmo potuto fare due anni prima e penso che ciascuno
si assumerà le proprie responsabilità”. La premier, insomma, non arretra: “Il
protocollo funzionerà quando entrerà in campo il nuovo patto su migrazione e
asilo”. E prosegue: “So bene che l’opposizione considera questa iniziativa come
inefficace, perché conosciamo le posizioni dell’opposizione sulla gestione dei
flussi migratori. Quello che dico è che, benché in Italia faccia molto
discutere, in Europa esiste un gruppo che ormai annovera la maggioranza degli
Stati membri dell’Unione Europea, che si riunisce per parlare di migrazione
prima di ogni Consiglio europeo e che partiva proprio dalla volontà di costruire
soluzioni innovative sul fenomeno dei flussi migratori. Un gruppo che è nato per
replicare modelli come quello del protocollo Italia-Albania”. E poi conclude:
“Il primo ministro Rama mi è testimone del fatto che ci sono alcune nazioni
europee che da tempo cercano di inserirsi nella stessa iniziativa, nello stesso
protocollo. Perché? Perché tutti comprendono che un’iniziativa di questo tipo è
potenzialmente rivoluzionaria nella gestione dei flussi migratori”.
Le opposizioni attaccano la premier. Il leader dei 5 Stelle, Giuseppe Conte:
“Per la prima volta Meloni ammette che abbiamo perso due anni in Albania mentre
diceva che avrebbero funzionato. No, questi centri non stanno funzionando, si è
sprecato un miliardo di euro e più, dovrebbe guardarsi allo specchio perché la
colpa è la sua. Occorre riprendere quei soldi e metterli nelle nostre strade per
renderle sicure. Strade dove mancano 25mila tra carabinieri e poliziotti e,
soprattutto, bisogna dedicarsi alla redistribuzione europea perché, nel
frattempo, con questi fallimenti abbiamo avuto 300mila migranti sbarcati in
Italia e che rimangono qui”. Nella stessa direzione muovono le critiche di Elly
Schlein, segretaria del Pd: “Albania non è colpa mia, dice Meloni. Dice che
ognuno si assumerà le proprie responsabilità. Ma ognuno se le assumerà tranne
lei. Perché la colpa del fatto che hanno fallito e hanno costruito dei centri
inumani, illegali e peraltro rimasti vuoti è colpa della presidente del
Consiglio che ogni tanto, dopo tre anni che governa, potrebbe prendersi mezza
responsabilità. Aveva detto ‘funzionerannò e la realtà è che ancora adesso non
funzionano. Anzi, hanno buttato 800 milioni degli italiani per fare delle
prigioni vuote, hanno impegnato lì esponenti delle forze dell’ordine quando in
tutta Italia le forze dell’ordine hanno problemi di organico, a proposito di
sicurezza. Per cosa? Per fare propaganda inutile e inefficace sulla pelle delle
persone più fragili”.
L'articolo Meloni vede Rama: “I centri in Albania? Se non funzionano non è colpa
mia”. Conte e Schlein: “Ha sprecato un miliardo” proviene da Il Fatto
Quotidiano.
“‘Non è colpa mia’, dice Meloni. Lei non si assume responsabilità. Ma la colpa
del fallimento dei centri inumani e illegali in Albania è di Meloni che, dopo
tre anni di governo, dovrebbe assumersi almeno una mezza responsabilità. Aveva
detto ‘funzioneranno’, ma ancora non funzionano. Hanno buttato 800 milioni,
hanno impegnato membri delle Forze dell’Ordine lì quando servirebbero in Italia.
Non serviva un genio per leggere le norme europee e italiane. Una sentenza
europea aveva già chiarito che non si può fare”. Lo ha detto la segretaria del
Pd Elly Schlein, a margine del convegno di presentazione della rivista
Italianieuropei.
L'articolo Schlein attacca Meloni: “Si assuma almeno mezza responsabilità, i
centri in Albania sono un fallimento” – Video proviene da Il Fatto Quotidiano.