“Meloni non dovrebbe permettersi, perché va a toccare un tasto: l’Università di
Bologna è la prima università europea e la più antica, quindi cerchiamo di stare
attenti a quel che si dice”. Così l’ex ministro Pier Luigi Bersani, ospite di
Otto e mezzo (La7), inizia il suo commento sulla polemica relativa al mancato
avvio di un corso di laurea triennale in Filosofia riservato agli allievi
ufficiali dell’Accademia Militare di Modena. Dopo gli attacchi del governo
all’Università di Bologna, l’ex segretario del Pd sposta il baricentro della
controversia: non una questione accademica, ma l’ennesimo tassello di un clima
politico “ideologico e fazioso”.
L’Accademia di Modena aveva proposto all’Alma Mater l’attivazione di un corso di
laurea triennale in Filosofia dedicato a circa quindici cadetti, un percorso
esclusivo e distinto dalle normali iscrizioni aperte a tutti. Il Dipartimento di
Filosofia ha respinto la richiesta, motivando la decisione con ragioni
organizzative: mancanza di risorse, di docenti disponibili e difficoltà di
integrazione con i programmi esistenti.
A intervenire a gamba tesa è stata la presidente del Consiglio Giorgia Meloni,
che ha definito la decisione dell’Alma Mater un “atto incomprensibile e
gravemente sbagliato”, accusando l’ateneo di violare “i doveri costituzionali
che fondano l’autonomia universitaria”, di frapporre “barriere ideologiche”
contro le Forze Armate e di ignorare il valore strategico della formazione
umanistica per gli ufficiali. Alle sue critiche si sono uniti i ministri
Piantedosi e Crosetto.
Bersani contesta duramente le parole della presidente del Consiglio, difendendo
l’autonomia e la storia dell’Alma Mater e ricordando che si tratta di un corso
decentrato dell’Università di Bologna per gli ufficiali: “Ma sarà padrona
l’Università di Bologna di fare due conti e di dire che non è sostenibile e non
può?”.
E spiega: “Allora vi spiego perché la Meloni ha detto quelle cose: non c’entra
l’università, c’entra Bologna, perché in questo ideologismo sfrenato di questi
qui, Bologna, che è una città civile e normale, è ‘la cittadella dei rossi’“.
Bersani lega l’attacco all’università a una serie di episodi che, a suo dire,
mostrano un atteggiamento del governo orientato allo scontro ideologico:
“Bologna è la stessa città dove lasci andare quelli di Casapound a 150 metri
dalla stazione della strage, dove se c’è da fare uno scontro muscolare con
l’autonomia da parte del ministero dell’Interno, con tutti i posti che ci sono
in Italia, lo fai al centro di Bologna come dieci giorni fa”.
E avverte: “Adesso la Meloni se la prende con l’università: stiano attenti, non
tocchino quei tasti ideologici lì. Questi qui sono fatti in questo modo: dove
gli sembra che ci siano i rossi, che sia uno sciopero di lavoratori, che siano
le toghe rosse, che siano i consultori o i centri antiviolenza, perché li stanno
sottofinanziando…oh! Fatevi curare da uno bravo. Dovete pensare al paese, non
potete smontare i centri antiviolenza, va bene? Perché qui c’è una faziosità in
giro, che fa paura.”
Bersani chiude puntando l’attenzione su un altro episodio recente: “Perché la
Meloni non dà un’occhiata all’Università di Palermo che l’altro giorno ha
concesso crediti formativi agli studenti che seguissero il dibattito fra Carlo
Calenda e l’onorevole Carolina Varchi di Fratelli d’Italia? Sarà meglio che dia
un’occhiata lì, no?”.
L'articolo Bersani a La7: “Meloni contro l’Università di Bologna? Non si
permetta. Basta faziosità, fatevi curare da uno bravo” proviene da Il Fatto
Quotidiano.
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Non volevo credere a quanto riportato dal Fatto Quotidiano, perciò sono andato
direttamente alla Sua pagina Facebook, Ministro Piantedosi, per controllare.
Ebbene sì, Lei scrive: “Una decisione incomprensibile quella di alcuni
professori dell’Università di Bologna che hanno negato a un gruppo selezionato
di 15 giovani Ufficiali dell’Esercito dell’Accademia di Modena la possibilità di
frequentare un corso di laurea in Filosofia, nel timore di una presunta
‘militarizzazione dell’Ateneo’.”
E ancora: “Infine, a questi professori e ai sostenitori di tale scelta voglio
ricordare che gli Ufficiali a cui è stato negato il diritto allo studio hanno
giurato sulla Costituzione […]”.
Ma scherziamo? “Negata la possibilità di frequentare un corso di laurea in
Filosofia”? “Negato il diritto allo studio”? Vede, Ministro Piantedosi, la
Presidente del Consiglio sta (quasi) sempre molto attenta nel dosare le parole.
L’ha fatto anche questa volta, dicendo chiaramente quello che è successo (la
mancata istituzione di un Corso di Laurea ad hoc) e commentandolo dal suo punto
di vista.
Come tutti i politici di destra, sinistra e centro di ogni tempo, l’On. Meloni è
un’artista nel dichiarare la parte di verità che torna utile alle sue tesi; come
tutti i politici intelligenti, riesce perciò a plasmare la realtà a suo
vantaggio, senza dire vere e proprie bugie.
Quello che Lei ha scritto, e che ognuno può verificare di persona, è una
scandalosa bugia, pura e semplice. Non sono sempre d’accordo con la gestione
dell’Ateneo di Bologna, di cui mi onoro ancora di far parte; proprio negli
ultimi tempi, certe decisioni mi hanno fortemente contrariato. D’altra parte
capisco le remore, da parte del Dipartimento interessato, a istituire un Corso
di Laurea su misura per una ristrettissima classe di cittadini. Tutte cose di
cui si può discutere. Ma a nessuno viene negata la possibilità di frequentare un
corso di laurea, a nessuno è negato il diritto allo studio.
Mi auguro fortemente che l’Università di Bologna La quereli per le Sue
dichiarazioni false e infamanti. Come Ufficiale di complemento in congedo, fiero
di esserlo, e come Professore dell’Alma Mater, fiero di esserlo, mi vergogno di
Lei.
L'articolo Per Piantedosi l’Università di Bologna ha negato il diritto allo
studio a 15 militari: ministro, mi vergogno di Lei proviene da Il Fatto
Quotidiano.
C’è un filo che lega gli attacchi alla magistratura, i più recenti di nuovo a
Federico Cafiero De Raho e a Roberto Scarpinato, quelli alla Università di
Bologna col pubblicizzato potenziamento della scorta a Sigfrido Ranucci: il
“nuovo” patto sociale promosso dalla destra di potere, ovvero il pieno controllo
nelle mani del Governo in cambio della sicurezza prodotta dalla sorveglianza.
Sono lontani i tempi del Papeete: Matteo Salvini nell’estate del 2019, in groppa
alla sua “bestia” da milioni di contatti, sbagliò tempi, modi, sponsor e finì
disarcionato. Ma fu precursore e gli andò senz’altro meglio che al Battista.
Oggi la situazione è più matura, resa convincente e vincente (per ora) da un
contesto internazionale che spinge per la liquidazione dello stato di diritto,
per il collasso della Unione Europea, malfermo presidio di democrazia ma pur
sempre presidio, per l’annichilimento delle Nazioni Unite basate sui diritti
umani fondamentali: tutti attrezzi mai digeriti da una parte importante di
umanità e corrosi dall’ipocrita sostegno di altra parte.
Oggi viviamo uno di quei tornanti in cui la storia accelera improvvisamente,
quando in un solo momento i freni saltano, le titubanze diventano appuntamenti
imperdibili col destino, le parole sussurrate in segreto vengono gridate sui
tetti e diventano osceni manifesti (“omicidi extragiudiziali” si può dire e
fare, “genocidio” invece si può fare ma non dire).
Così tutto si tiene nel cortile di casa nostra che non è mai stato soltanto
“nostro”: il “riequilibrio tra i poteri” invocato dalla presidente Meloni passa
per la subalternità della magistratura all’esecutivo, il premierato forte, una
legge elettorale funzionale alla “stabilità” mantra buono per ogni scorribanda
istituzionale e la mortificazione della scuola in ogni ordine e grado, dagli
accorpamenti degradanti alla umiliazione della autonomia didattica.
Il primo tassello deve essere fissato attraverso il referendum di primavera che
dovrà confermare, nelle intenzioni del Governo, la “riforma Nordio” ed ecco che
allora il circo grande delle reti unificate spara senza sosta contro i
magistrati trasformati in mostri dell’arbitrio giudiziario: c’è quello che
sabota le politiche del Governo in tema di immigrazione, quello che “ruba” i
figli dalle case nei boschi, quello che si vende la funzione anche davanti ad un
terribile femminicidio, fino ad arrivare ai “mostri” preferiti perché
ingabbiarli serve a più di un prestigio e cioè Federico Cafiero De Raho,
accusato di aver coperto l’immondo mercato delle informazioni riservate nella
Procura nazionale antimafia da lui diretta e Roberto Scarpinato, accusato di
aver perseguitato una giovane ed intrepida magistrata rea di aver indagato nella
direzione “sbagliata” (Scarpinato ha già annunciato querela).
Un altro tassello poi è stato piantato negli scorsi giorni con la iperbolica
polemica contro l’Università di Bologna che avrebbe addirittura “tradito”,
secondo le reazioni da manuale dei primi della classe Meloni-Crosetto-Bernini,
coloro che sacrificando le proprie vite difendono anche quegli imbelli di
docenti, che hanno negato un corso ad hoc in filosofia per una pattuglia di
ufficiali. Ingrati!
Sono attacchi mirati che offendono la democrazia tanto quanto quelli ai
giornalisti, colpiti nell’esercizio della professione in maniera più pericolosa
di quanto abbiano fatto gli sciagurati assaltatori della sede de La Stampa a
Torino: chi ha illegalmente spiato Francesco Cancellato e Ciro Pellegrino con
strumenti di natura militare in dotazione al Governo italiano? Chi e perché ha
pedinato Sigfrido Ranucci e altri suoi collaboratori di Report?
E mentre chili di “carte riservate” passano nelle cucine della Commissione
parlamentare antimafia e del Comitato parlamentare per i servizi di informazione
e sicurezza, pronti a diventare relazioni e veline, il Viminale annuncia
l’innalzamento del livello di sicurezza per Sigfrido Ranucci, che passa da una a
due macchine blindate. Con un messaggio chiaro: state alla larga da Ranucci!
(Fonti comprese, vien da pensare).
Qualche giorno fa a Bologna si sono dati appuntamento per un convegno molti
famigliari di vittime delle stragi di mafia e di terrorismo, pare che non
abbiano nemmeno più distinto tra coloro che sono caduti per colpa della
“strategia della tensione” e coloro che invece sono caduti per colpa delle bombe
“mafiose” degli anni ‘90 (che della “strategia della tensione” hanno
rappresentato una sorta di tragico Tfr: trattamento di fine rapporto). Lo hanno
fatto per ribadire l’universale diritto alla verità.
Mi associo, convinto che la sicurezza alla quale ognuno di noi giustamente
ambisce dipenda assai di più dalla “verità” cioè dalla lotta alla impunità,
piuttosto che dalla sorveglianza occhiuta di chi, proteggendo, controlla e
inibisce.
L'articolo Il filo che collega attacchi alla magistratura e più scorta a
Ranucci: controllo in cambio di sicurezza proviene da Il Fatto Quotidiano.
Meno Clausewitz e più Spinoza. O anche più Clausewitz e più Spinoza. La
richiesta del Capo di Stato Maggiore dell’Esercito Carmine Masiello (nella foto
con Giorgia Meloni) di avviare un corso di laurea in filosofia per i giovani
ufficiali (una quindicina) è destinata a far discutere. Non perché ci sia niente
di male nel tentare di allargare la propria visione e nutrire il pensiero
critico, e la filosofia in questo è maestra, ma perché offre il fianco al
quotidiano dibattito: è una richiesta genuina o è un altro modo di militarizzare
l’università?
Nel suo intervento agli Stati Generali della Ripartenza tenutisi in questi
giorni a Bologna, Masiello ha raccontato di aver chiesto senza successo all’Alma
Mater l’avvio di un CdL in filosofia apposito per i suoi pochi ufficiali. Il
Capo dell’Esercito, pur non volendo “giudicare scelte che competono ad altre
istituzioni”, legge il rifiuto dell’Ateneo come una specie di discriminazione.
“Rappresento che un’istituzione come l’esercito non è stata ammessa
all’Università”, dice il generale. “Non è una polemica ma una cosa che mi ha
sorpreso e deluso. Questo è sintomatico dei tempi che viviamo e di quanta strada
ancora c’è da percorrere, perché la nostra opinione pubblica, in generale, e i
giovani, in particolare, capiscano qual è la funzione delle forze armate nel
mondo che stiamo vivendo”.
Rimbalzo di responsabilità per Giovanni Molari, rettore dell’Università di
Bologna, che ha chiarito all’Ansa che è stata una “scelta autonoma di un
Dipartimento, che ha preferito soprassedere e astenersi dal deliberare sul tema.
Ricordo che le scelte didattiche, in questo caso l’attivazione di un curriculum
dedicato, sono materia su cui l’iniziativa compete ai Dipartimenti” – ha
aggiunto l’accademico – “Questo non esclude affatto ulteriori interlocuzioni e
sviluppi. Siamo costantemente aperti al dialogo con tutte le realtà che
riconoscono l’eccellenza formativa e scientifica del nostro ateneo”.
Tra i primi a intervenire sulla questione gli studenti del collettivo
universitario bolognese Cua, il Collettivo Universitario Autonomo, che insiste
sulla militarizzazione delle università fortemente denunciata in questi mesi: “È
l’ennesima riprova del fatto che i nostri atenei si stanno piegando sempre più
alle logiche della guerra e del riarmo. Con un genocidio ancora in corso, non ci
è possibile ignorare il fatto che le retoriche belliciste e gli accordi per la
produzione di armi si sviluppano anche all’interno delle nostre università”.
L'articolo L’esercito vuole studiare filosofia a Bologna. Ma l’ateneo dice no al
corso per i giovani ufficiali, ecco perché proviene da Il Fatto Quotidiano.