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Migranti, il governo festeggia “la svolta Ue”. I tanti nodi da sciogliere e l’unica certezza: l’Albania non funzionerà
L’8 dicembre il Consiglio Ue Giustizia e Affari Interni ha adottato la posizione che avvia il negoziato col Parlamento europeo sulle proposte della Commissione: dalla lista europea dei Paesi d’origine sicuri al nuovo concetto di Paese terzo sicuro e fino alla questione dei rimpatri, rimasta esclusa dai regolamenti già inseriti nel Patto Ue su migrazione e asilo. “La svolta che il Governo italiano ha chiesto in materia di migrazione c’è stata”, ha detto il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi che ha preso parte al Consiglio a Bruxelles dove, ha detto in una nota “ha prevalso l’approccio italiano”. In particolare, “gli Stati Membri potranno finalmente applicare le procedure accelerate di frontiera, così come previsto dal protocollo Italia-Albania”. Che, assicura il governo, funzionerà a pieno regime sia per le procedure accelerate stoppate dalla Corte di giustizia, sia come Centro di permanenza per il rimpatrio (Cpr). Alla prova dei fatti, però, le affermazioni del ministro sembrano quantomeno avventate. Intanto “la svolta” è per ora una bozza di svolta. In Consiglio la maggioranza è stata raggiunta, ma non sono mancati i voti contrari: Spagna, Grecia, Francia e Portogallo. Posizioni che si riproporranno nei negoziati col Parlamento. Il più fumoso tra i dossier è quello sui rimpatri e quando Piantedosi dice che “ci avviamo a realizzare un sistema europeo per i rimpatri realmente efficace”, dovrebbe aggiungere che il come non è ancora stato chiarito. A partire dai return hubs, i centri in paesi extra Ue che aggirerebbero i rimpatri nel paese d’origine e, secondo Piantedosi, avrebbero nel “modello Albania” il loro precursore. Modello che ad oggi non consente nemmeno di effettuare i rimpatri, che vanno fatti dall’Italia, almeno finché a Bruxelles non si troverà la quadra per abrogare l’attuale direttiva e ammettere l’espulsione da Paesi terzi. C’è poi la questione della extraterritorialità e della pretesa di equiparare il Cpr di Gjader a quelli italiani. Questione tuttora aperta e sollevata dalla Cassazione davanti alla Corte di giustizia. Come quella della legittimità dell’Italia a siglare accordi che intervengono su una materia di competenza dell’Unione come le procedure d’asilo, anch’essa pendente alla Corte Ue. C’è poi l’impossibilità di garantire in Albania le misure alternative al trattenimento che le norme Ue impongono e il protocollo esclude a priori. E così per l’accesso a diritti come quello a una difesa effettiva. Insuperabile sembra poi la questione dei richiedenti asilo. Per esaminare le loro domande, il protocollo prevede solo le procedure accelerate. Ma in base al diritto Ue vanno effettuate nel territorio degli Stati membri. Il Patto tanto atteso da Meloni e soci risolverà la questione? A differenza della precedente normativa, il Patto lo esplicita: “sul proprio territorio“, dice l’articolo 58 del nuovo regolamento procedure. Che si tratti di persone intercettate in mare o di irregolari trasferiti dall’Italia che hanno fatto richiesta di protezione, in Albania le procedure accelerate non si possono fare. E poco importa se “finalmente abbiamo ottenuto una lista europea di Paesi di origine sicuri”, come dice il ministro. Quando sarà definitivamente approvato, l’elenco proposto dalla Commissione sarà comunque soggetto al controllo giurisdizionale. Nonostante la riforma ammetta designazioni che escludono “parti di territorio o categorie di persone”, le garanzie generali non cambiano e il giudice è obbligato a verificarle. Piuttosto, l’eventuale disapplicazione della lista europea andrà affidata alla Corte di giustizia. Che ha tempi lunghi e migliaia di persone potrebbero attendere molti mesi. In territorio Ue, ovviamente. Altro? “La possibilità di effettuare rimpatri anche verso Paesi terzi diversi da quelli di origine”, che, dice Piantedosi, “aumenta la nostra capacità operativa”. La proposta permette di dichiarare inammissibili le domande d’asilo di chi avrebbe potuto o possa fare domanda in un Paese sicuro dal quale è transitato o col quale c’è un accordo. Di conseguenza, i richiedenti potranno essere trasferiti e così le loro domande di protezione. I critici temono si tratti di un illecito trasferimento di responsabilità verso Paesi che non sono in grado di offrire le garanzie necessarie e non hanno sistemi d’asilo stabili come quelli degli Stati Ue che pretendono di liberarsi dei richiedenti. Tanto che ad oggi la modifica rimane potenzialmente in contrasto con la Carta Ue dei diritti fondamentali e la convenzione di Ginevra sui rifugiati, e sembra destinata a un altro, inevitabile scontro nelle aule di tribunale. Insomma, l’elenco dei nodi da sciogliere è ancora lungo e supera l’iter legislativo tuttora in corso. Piuttosto, come ricorda la nota di Piantedosi, l’Italia ha dovuto concordare con la Germania “un azzeramento dei Dublinanti fino all’entrata in vigore del nuovo Patto Asilo e Migrazione”. Si tratta dei migranti il cui Paese di primo ingresso in Europa è l’Italia, e gli Stati dove queste persone si sono trasferite non vedono l’ora di restituircele ora che le norme lo impongono in modo netto. Ricapitolando, mentre l’Albania, ad andar bene, sarà solo un inutile e costosissimo Cpr, e il resto va ancora approvato e testato, abbiamo appena qualche mese prima che gli altri Stati inizino a rimandarci indietro i migranti “scappati” dall’Italia. Questa è una certezza. L'articolo Migranti, il governo festeggia “la svolta Ue”. I tanti nodi da sciogliere e l’unica certezza: l’Albania non funzionerà proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Per Piantedosi l’Università di Bologna ha negato il diritto allo studio a 15 militari: ministro, mi vergogno di Lei
Non volevo credere a quanto riportato dal Fatto Quotidiano, perciò sono andato direttamente alla Sua pagina Facebook, Ministro Piantedosi, per controllare. Ebbene sì, Lei scrive: “Una decisione incomprensibile quella di alcuni professori dell’Università di Bologna che hanno negato a un gruppo selezionato di 15 giovani Ufficiali dell’Esercito dell’Accademia di Modena la possibilità di frequentare un corso di laurea in Filosofia, nel timore di una presunta ‘militarizzazione dell’Ateneo’.” E ancora: “Infine, a questi professori e ai sostenitori di tale scelta voglio ricordare che gli Ufficiali a cui è stato negato il diritto allo studio hanno giurato sulla Costituzione […]”. Ma scherziamo? “Negata la possibilità di frequentare un corso di laurea in Filosofia”? “Negato il diritto allo studio”? Vede, Ministro Piantedosi, la Presidente del Consiglio sta (quasi) sempre molto attenta nel dosare le parole. L’ha fatto anche questa volta, dicendo chiaramente quello che è successo (la mancata istituzione di un Corso di Laurea ad hoc) e commentandolo dal suo punto di vista. Come tutti i politici di destra, sinistra e centro di ogni tempo, l’On. Meloni è un’artista nel dichiarare la parte di verità che torna utile alle sue tesi; come tutti i politici intelligenti, riesce perciò a plasmare la realtà a suo vantaggio, senza dire vere e proprie bugie. Quello che Lei ha scritto, e che ognuno può verificare di persona, è una scandalosa bugia, pura e semplice. Non sono sempre d’accordo con la gestione dell’Ateneo di Bologna, di cui mi onoro ancora di far parte; proprio negli ultimi tempi, certe decisioni mi hanno fortemente contrariato. D’altra parte capisco le remore, da parte del Dipartimento interessato, a istituire un Corso di Laurea su misura per una ristrettissima classe di cittadini. Tutte cose di cui si può discutere. Ma a nessuno viene negata la possibilità di frequentare un corso di laurea, a nessuno è negato il diritto allo studio. Mi auguro fortemente che l’Università di Bologna La quereli per le Sue dichiarazioni false e infamanti. Come Ufficiale di complemento in congedo, fiero di esserlo, e come Professore dell’Alma Mater, fiero di esserlo, mi vergogno di Lei. L'articolo Per Piantedosi l’Università di Bologna ha negato il diritto allo studio a 15 militari: ministro, mi vergogno di Lei proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Affitti brevi, il self check in è sempre vietato: il Consiglio di Stato dà ragione al Ministero
Vincono gli albergatori, vince il ministero dell’Interno che – nel complesso gioco di equilibrismi del governo per evitare di indisporre i gestori di affitti brevi – nel caso specifico aveva deciso di stare con i primi. Il Consiglio di Stato, con sentenza pubblicata il 21 novembre, ha confermato la validità dell’obbligo di identificazione de visu degli alloggiati in qualsiasi struttura ricettiva (compreso l’extralberghiero) previsto dal testo unico sulla pubblica sicurezza (T.U.L.P.S.), articolo 109, e ribadito da una circolare del Viminale del 18 novembre 2024. Circolare che era stata impugnata al Tar del Lazio da Fare-Federazione Associazioni Ricettività Extralberghiera, che a maggio l’aveva annullata, sostenendo che estendesse eccessivamente gli obblighi previsti dall’articolo 109 del Tulps. Il Consiglio di Stato ha ribaltato la sentenza e dato il via libera definitivo all’obbligo di check in in presenza. Si tratta di un tema enorme dal punto di vista politico, prima che giuridico. Come ricordano i giudici nella sentenza di oggi – censurando i rilievi del Tar del Lazio che avevano dato torto al ministero – fin dagli Anni Trenta la normativa vigente “ha mantenuto saldamente costanti una serie di ancoraggi che postulano in via logicamente necessaria l’identificazione de visu degli ospiti delle strutture ricettive” cioè la necessità di verificare che gli ospiti siano muniti di “carta d’identità o di altro documento idoneo ad attestarne l’identità secondo le norme vigenti”, e quindi che gli ospiti debbano poter dimostrare di essere effettivamente loro, quelli nel documento. Un obbligo che però dall’esplosione degli affitti brevi con le piattaforme online era ed è de facto spesso ignorato, tanto che nel novembre 2024, alla vigilia del Giubileo, è stato il ministero dell’Interno – e non quello del Turismo – a ribadirlo, non per motivi legati alla limitazione degli affitti brevi, ma per motivi di pubblica sicurezza: troppo importante insomma che si sappia per certo che i documenti trasmessi al portale “alloggiati web” siano quelli degli ospiti effettivamente presenti nell’albergo, nel B&B o nella locazione privata che sia. Una condizione che non è possibile nel caso di accesso all’alloggio senza che vi sia una persona ad accogliere l’ospite e verificarne il documento. Non un divieto di key box e tastierini tout court, come è stato erroneamente sintetizzato, ma un divieto di usare key box, tastierini e sistemi simili per il primo accesso degli ospiti, che è poi il modo in cui vengono più abitualmente utilizzati. F.A.R.E. nel suo ricorso, accolto dal Tar del Lazio, notava che ormai non è necessario essere in presenza per poter verificare la corrispondenza tra l’ospite e la persona, date le moderne tecnologie. Ma anche su questo il Consiglio di Stato è categorico. Nella sentenza ammette che “a rigor di logica, la identificazione de visu al centro delle contestazioni non si esaurisce giocoforza nella verifica analogica in presenza da parte del titolare” dato che potrebbe essere effettuata mediante moderni dispositivi di videocollegamento predisposti dal gestore all’ingresso della struttura. Ma la circolare del 18 novembre 2024 “non tocca questi aspetti, né per converso li esclude categoricamente, limitandosi a censurare le procedure più estreme di check in remoto con cui i gestori acquisiscono semplicemente i documenti di identità degli ospiti senza alcun controllo visivo e trasmettono agli stessi codici di apertura automatizzata”, vanificando in tal modo la ratio della normativa vigente, che prevede identificazione e poi comunicazione alle autorità di pubblica sicurezza. Esulta Federalberghi, che da tempo si batte contro queste pratiche di check in da remoto, ritenendole anche un vantaggio indebito dell’extralberghiero sull’’alberghiero: “Questa procedura contribuisce a elevare in maniera significativa i livelli di sicurezza, a vantaggio sia degli ospiti delle strutture ricettive sia della cittadinanza- dichiara il presidente Bernabò Bocca – Il riconoscimento de visu degli alloggiati comporta un impegno che gli albergatori (così come i gestori di residence, bed and breakfast, affittacamere e campeggi) assolvono da sempre con grande senso civico”. Si tratta di una sentenza che, se sarà fatta applicare nel pratico, renderà necessario per ciascun locatore o gestore di affitti brevi la presenza al momento dell’ingresso degli ospiti, a meno che (Piantedosi in questi mesi ne ha accennato) non ci sia un’apertura legislativa all’utilizzo di sistemi di videocollegamento che garantiscano l’identificazione dell’ospite sul momento. In ogni caso un aggravio per locatori e host che non sarà facilmente digerito, e una fine del self check in 24 ore su 24, seppur, si ribadisce, la prassi negli ultimi decenni aveva ignorato un regola già vigente. L'articolo Affitti brevi, il self check in è sempre vietato: il Consiglio di Stato dà ragione al Ministero proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Bindi a La7: “Piantedosi paragona i migranti, cioè esseri umani, ad abusi edilizi. È di una gravità inaudita e denota la sua cultura”
Ospite di Tagadà su La7, Rosy Bindi, ex ministra della Salute e già presidente della Commissione Antimafia, interviene sulla campagna elettorale del centrodestra per le regionali e in particolare sulle polemiche scatenate dal nuovo condono edilizio che Fratelli d’Italia ha provato a riaprire con un emendamento alla Manovra 2026. Il partito di Giorgia Meloni propone di riattivare le pratiche del condono del 2003, varato dal governo Berlusconi e poi dichiarato illegittimo dalla Corte costituzionale: una mossa che, pur formalmente valida per tutto il Paese, avrebbe il suo epicentro proprio in Campania. Bindi ironizza sulle scene folkloristiche offerte dal gotha del centrodestra: “Questa campagna elettorale purtroppo mi fa sorridere. Potremmo definirla, anagrammando la loro autonomia differenziata, una campagna differenziata: al nord le pre-intese, al sud il condono, e poi questa sceneggiata. Penso che meriteremmo molto di più”. E aggiunge: “In Veneto ci sono queste pre-intese. Calderoli non ha capito che non solo la Corte Costituzionale ha distrutto la sua legge sull’autonomia differenziata, ma l’ha fatto indicando criteri di interpretazione del Titolo V molto più coerenti con l’Italia una e indivisibile. E molto più coerenti di quanto ne è stata l’applicazione in questi anni anche da parte di regioni del centrosinistra. Quindi, si ostinano ad andare avanti in campagna elettorale con testi che nessuno ha visto. Questa segretezza, cioè la mancanza di trasparenza in democrazia, è una delle cose più gravi. Tra l’altro dovrà comunque passare per il Parlamento. Quindi, quello che annunciano oggi è pura propaganda”. Poi commenta duramente le affermazioni del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, che, nel difendere il condono come “atto di buon senso”, ha attaccato Pd, M5s e Avs, dichiarando: ” “I condoni, le sanatorie, le regolarizzazioni valgono solo se servono a perseguire obiettivi politici? Non capisco perché la parte politica che si contrappone al condono e a quello che il governo vuole fare propone sanatorie in materia di irregolarità della posizione di soggiorno degli immigrati?”. L’ex ministra osserva con sconcerto: “Piantedosi ha messo insieme i migranti e le case. Sarà anche stato un bravissimo prefetto, ma quando assumi un ruolo politico e dici cose del genere, fai affermazioni di una gravità inaudita”. Per Bindi la scelta del governo non è un dettaglio tecnico ma un segnale politico: “Un condono è un modo con il quale tu induci un comportamento illegale in un paese. Lo premi addirittura e lo fai in una delle regioni più devastate come la Campania. I condoni che riguardano gli assetti del territorio non dovremmo permetterceli in questo paese. Piantedosi – continua – ha paragonato un condono edilizio all’accoglienza di esseri umani: Sono persone delle quali, peraltro, abbiamo un estremo bisogno. Questo paese, senza un’immigrazione regolata, corretta e integrata nel nome della dignità delle persone e della sicurezza di tutti, non va più da nessuna parte”. E ancora: “Quella di Piantedosi è una di quelle cose che non si dovrebbero neanche pensare. Il fatto che si pensi questo, avendo un ruolo di governo, dimostra la cultura di Piantedosi. Abbiamo al governo persone che la pensano così: che paragonano gli esseri umani, i bambini, le donne, chi scappa dalla guerra e dalla fame, a chi ha fatto un abuso edilizio. Questo denota che punto di vista hanno nei confronti del mondo”. La chiusura è un giudizio tagliente sul centrodestra: “Per me è già grave che tu pensi questo. Ma lo dici pure? C’è proprio una carenza di classe dirigente”. L'articolo Bindi a La7: “Piantedosi paragona i migranti, cioè esseri umani, ad abusi edilizi. È di una gravità inaudita e denota la sua cultura” proviene da Il Fatto Quotidiano.
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