I primi sintomi della crisi che ha portato all’apertura dell’indagine dell’Ats
sull’ospedale San Raffaele di Milano si erano manifestati già settimane fa. Gli
errori, i problemi comunicativi, le difficoltà nella gestione dei farmaci e la
mancanza di conoscenza delle procedure cliniche, denunciati nelle ultime ore,
sono frutto di scelte dirigenziali precise, compiute dai vertici del colosso
della sanità privata che opera in convenzione con il Servizio sanitario. Negli
ultimi tre mesi, stando a quanto riferito dal sindacato Nursind a
ilfattoquotidiano.it, 16 infermieri che lavoravano nel reparto interessato dai
disservizi del 5, 6 e 7 dicembre si sono dimessi, compresa la loro
coordinatrice. Un’emorragia rapidissima (e un allarme lanciato dai dipendenti
riguardo le loro condizioni lavorative) che l’ormai ex amministratore unico,
Francesco Galli, non ha saputo gestire. Le corsie sono rimaste sguarnite, ma
serviva una soluzione per continuare ad erogare i servizi – nonché a mandare
avanti il business del gruppo San Donato, di cui fa parte il San Raffaele, che
nel 2024 ha fatturato 2,57 miliardi di euro con un aumento del 30% sul 2023 e
del 49% sul 2019. La soluzione pensata dalla dirigenza è stata quella di
appaltare completamente i servizi a una cooperativa esterna, risparmiando sul
costo del lavoro e tagliando sulla qualità delle cure offerte ai pazienti.
Mettendo in mano un reparto complesso a infermieri in gran parte neolaureati,
che si sono trovati a fronteggiare emergenze senza alcun affiancamento. Giovani
professionisti catapultati in un ospedale che non conoscono, senza alcun
riferimento.
“Si è puntato subito il dito sulle competenze di questi infermieri, senza
sottolineare la crisi di gestione delle risorse che da lungo tempo sta vivendo
il San Raffaele”, commenta a ilfattoquotidiano.it Romina Iannuzzi, responsabile
sanità privata del sindacato di categoria Nursind. “L’esodo dei professionisti è
stato ignorato. Il reparto si è dissolto in poco tempo e non sono state messe in
campo strategie per incentivare e trattenere i professionisti – prosegue -.
Invece di investire sul personale, si è preferito appaltare a una cooperativa.
Si tratta di scelte politiche scellerate”. Come scritto da il Fatto quotidiano,
la cooperativa in questione è la Auxilium Care Scarl, collegata alla Auxilium
Scarl fondata e diretta da Angelo Chiorazzo, considerato il re delle cooperative
bianche. Da tempo il San Raffaele appalta loro alcuni servizi, tra cui quelli
del reparto finito ora sotto indagine. “Gli infermieri di questa cooperativa
sono sottoposti a condizioni contrattuali molto peggiori rispetto a quelle dei
loro colleghi assunti direttamente dal San Raffaele. Ci sono almeno 500 euro di
differenza di paga base tra i due contratti, nonostante le due ore lavorate in
più ogni settimana”, spiega Iannuzzi. Di fatto, con l’esternalizzazione,
l’azienda risparmia. E ai pazienti – che in questo reparto accedono tramite
convenzione, e non in regime di privato puro – viene offerto uno standard di
cura non adeguato.
Secondo quanto riportato dal sindacato, nel pieno dell’emergenza degli scorsi
giorni, la cooperativa, rendendosi conto dei potenziali danni che i suoi
lavoratori stavano causando in ospedale, ha provato a correre in extremis ai
ripari. Viste le lamentele e le preoccupazioni dei sanitari del San Raffaele,
che osservavano i limiti dei neoassunti, Auxilium ha offerto agli infermieri
dipendenti di fare formazione ai lavoratori della cooperativa: 600 euro per il
turno di affiancamento diurno, mille per quello notturno. Ricchi gettoni a
carico della cooperativa, per provare a salvare la situazione, prima che il caso
deflagrasse. “A un nuovo infermiere ci vogliono sei mesi di affiancamento per
avere piena padronanza in un reparto ad alta intensità di cura come quello in
questione. Il turnover è complicato – prosegue Iannuzzi -. È gravissimo che nel
primo gruppo della sanità privata italiana, visti anche gli enormi ricavi che
fa, questo non venga preso in considerazione. E tutto solo per tagliare sui
costi e massimizzare ancora i profitti”, conclude.
L'articolo “Nel reparto del San Raffaele si erano dimessi 16 inferieri in tre
mesi. Esodo ignorato, scelta scellerata affidare tutto a una cooperativa”
proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Ci risiamo. In due giorni due scandali enormi nella sanità a distanza di 600
chilometri. Un comune denominatore: la mancanza di controlli adeguati sulle
prestazioni sanitarie, pubbliche e private. Un sistema senza fine in cui il
paziente non è l’unico beffato, per l’assistenza medica confusa con il guadagno,
ma anche il Sistema Sanitario Nazionale viene utilizzato per “deviare” verso il
privato ed il cittadino, se paziente, ci casca due volte nella stessa falla.
Partiamo da Milano e dal fiore all’occhiello del gruppo San Donato, il privato
accreditato più grande ed influente d’Italia con capitali anche arabi. Al San
Raffaele è stata usata una cooperativa di infermieri al terzo piano nella zona
della medicina di cure intensive senza esperienza clinica con conseguenti
elevati rischi per il paziente. La scelta è stata del nuovo, ma già allontanato,
amministratore delegato posto solo a maggio ai vertici della struttura. Come si
può far scegliere professioni mediche ad una persona che conosce, forse, solo
ruoli amministrativi e di guadagno per l’azienda?
Ora parliamo di Roma e di un caso forse ancora peggiore. Un primario di un
ospedale pubblico è stato arrestato in flagranza di reato mentre riceve da un
imprenditore 3.000 euro in contanti ma gliene vengono contestati 700.000 fra
soldi, auto di lusso, affitti, vacanze da sogno e contratti di lavoro per la sua
compagna, medico specializzanda.
In questo caso venivano “sfruttati” pazienti nefropatici convogliati, dopo il
ricovero ospedaliero, verso dialisi in strutture private con cui – secondo le
accuse – il primario aveva instaurato un vero e proprio do ut des, ben sapendo
che le nuove linee guida consigliano per il paziente di organizzare a domicilio
questo importante tempo da dedicare alla pulizia del sangue fonte di vita. In
Europa circa il 35% dei dializzati esegue la dialisi a domicilio confronto a
circa il 9% italiano con evidente risparmio del Sistema Sanitario nazionale e
degli infermieri che possono essere destinati ad altro.
Ma finché medici che si devono vergognare di esserlo continueranno a rimanere
impuniti, fra lunghezze burocratiche della magistratura e deficienze degli
ordini dei medici, non abbiamo possibilità. Passerà del tempo, si dimenticherà,
nessuna punizione adeguata verrà inflitta per il mercimonio dei pazienti che
diventono oggetti, non soggetti, tutto fino alla prossima volta. Senza fine.
L'articolo In pochi giorni due scandali sanitari: finirà mai il mercimonio dei
pazienti? proviene da Il Fatto Quotidiano.
Un’indagine dell’Ats su richiesta della Regione Lombardia. E’ scattata,
riferisce il Corriere della Sera, sull’ospedale San Raffaele di Milano – che fa
parte del Gruppo San Donato ed è un istituto privato che opera in convenzione
con il Servizio sanitario regionale – dopo i gravi disservizi che avrebbero
interessato il terzo piano del padiglione “Iceberg” tra la notte del 5 e il 6 e
domenica 7 dicembre. Sotto esame sono finite le modalità con cui è stata gestita
l’assistenza infermieristica in reparti ad altissima complessità, come la
Medicina ad alta intensità, la Medicina di cure intensive e l’Admission room,
affidata a una cooperativa esterna accusata di essere priva delle competenze
necessarie.
La scelta sarebbe stata presa dall’amministratore unico Francesco Galli, che ha
rassegnato le dimissioni, nonostante le riserve espresse dal personale interno
che aveva sconsigliato il ricorso a operatori esterni vista la delicatezza delle
condizioni dei pazienti. Secondo quanto emerge da mail interne circolate tra
sabato e domenica, gli infermieri della cooperativa avrebbero commesso errori
tali da determinare “situazioni ad elevatissimo rischio per i pazienti”.
Tra gli episodi segnalati, il medico di guardia riferisce di un’operatrice che
non conosceva adeguatamente la lingua italiana né i nomi dei farmaci, tanto da
confondere l’Amiodarone 150 mg con un inesistente “modarone” da 500 mg,
arrivando a somministrare una dose dieci volte superiore a quella prescritta.
Un’altra infermiera, riferisce ancora il quotidiano di via Solferino, non
sarebbe stata in grado di gestire correttamente la ventilazione non invasiva di
un paziente. “È una situazione troppo pericolosa. Errori irrecuperabili sono
dietro l’angolo ed è solo una questione di tempo”, scrive uno dei medici
coinvolti.
Di fronte alle difficoltà operative, la direzione sanitaria ha istituito
un’unità di crisi. Sono stati temporaneamente bloccati i nuovi accessi ai
reparti interessati dal pronto soccorso e i pazienti più critici sono stati
trasferiti in altre strutture o reparti. Al terzo piano del padiglione “Iceberg”
sono stati inseriti in turno infermieri già assunti dall’ospedale. Fonti
sindacali riferiscono che, per fronteggiare l’emergenza, sarebbero stati offerti
compensi straordinari: 600 euro per il turno diurno e fino a 1.000 euro per
quello notturno agli operatori disponibili. La situazione sarebbe tornata sotto
controllo nella giornata di domenica.
L’assessore al Welfare Guido Bertolaso ha espresso «massima attenzione e
preoccupazione» per l’episodio, annunciando l’avvio immediato dell’indagine da
parte dell’Ats. Il caso ha acceso anche lo scontro politico in Consiglio
regionale. L’opposizione va all’attacco: Pierfrancesco Majorino, capogruppo del
Pd, definisce quanto accaduto “inaccettabile” e lo indica come l’ennesima prova
dello squilibrio, nella Lombardia governata dal centrodestra, tra sanità
pubblica e privata, chiedendo spiegazioni al presidente Attilio Fontana.
L'articolo San Raffaele, farmaci sbagliati e dosi 10 volte superiori a quelle
prescritte. Regione Lombardia: “Indagine dell’Ats” proviene da Il Fatto
Quotidiano.