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Il video-patacca di Regione Lombardia sui costi dei Giochi dimentica 330 milioni che saranno pagati dai contribuenti
Una bugia grande come una casa corre sul web, con il timbro del sito ufficiale di Regione Lombardia, la regione più popolosa e ricca d’Italia. Si tratta di un’abile dissimulazione propagandistica a favore delle Olimpiadi Milano Cortina 2026, per dimostrare che organizzarle non costa nulla ai contribuenti italiani, visto che le spese sarebbero coperte completamente grazie a finanziamenti privati. Stando all’Enciclopedia Treccani, disinformazione è la “diffusione intenzionale di notizie o informazioni inesatte o distorte allo scopo di influenzare le azioni e le scelte di qualcuno”. Ma c’è anche una seconda versione – “mancanza o scarsità d’informazioni attendibili su un determinato argomento – che rimanda alla colpa (frutto di ignoranza) e non al dolo. In uno o nell’altro significato, che cosa si dovrebbe pensare di fronte al post inserito dalla Lombardia sul proprio canale Facebook (404.000 followers) che fornisce un dato platealmente sbagliato su quanto costa a Fondazione Milano Cortina 2026 organizzare i Giochi invernali che cominciano il 6 febbraio? “Le Olimpiadi 2026 sono un costo o un investimento?” si chiede Lombardia Notizie Online, l’Agenzia di Stampa e Informazione della Giunta regionale lombarda, che si avvale per dare una risposta del contributo di “Ingegneri in Borsa”, un sito specializzato in servizi per le aziende (214.643 followers). Si tratta, quindi, di esperti, per i quali un difetto di conoscenza non è contemplabile. La risposta assume le sembianze di un’informazione falsata. Il video della durata di 97 secondi recita: “L’obiettivo è quello di abbattere i macro-costi di spesa pubblica… L’area più importante di spesa è quella per l’organizzazione dei mega eventi e delle gare: 1,7 miliardi di euro che però saranno ammortizzati dal contributo economico del Comitato Olimpico Internazionale, dagli sponsor, dalla vendita dei biglietti e dai diritti televisivi”. Ecco la grande bugia: il costo non è di 1,7 miliardi, ma di due miliardi di euro, circa 500 milioni di euro più di quanto previsto dal dossier di candidatura italiana (1,5 miliardi). La cifra di due miliardi è indicata nella relazione accompagnatoria con cui a giugno la Presidenza del Consiglio dei ministri ha approvato un decreto che ha finanziato 330 milioni di euro per le Paralimpiadi, così da ripianare anticipatamente i bisogni (debiti) delle Olimpiadi, indissolubilmente legate ai Giochi paralimpici. La dissimulazione di quei 330 milioni di euro pubblici da parte della Regione Lombardia serve a dimostrare che il costo dell’organizzazione non è a carico dei contribuenti italiani, ma viene coperto completamente da introiti privati. Intanto non sappiamo nemmeno se sponsor e biglietti riusciranno a raggiungere la cifra di 1,7 miliardi, in ogni caso mancheranno più di 300 milioni che dovranno essere sborsati dallo Stato italiano. Non è una bugia innocente, perché tocca il cuore del problema se Fondazione Milano Cortina 2026 presieduta da Giovanni Malagò sia di natura pubblica, come sostiene la Procura di Milano che ha aperto un’indagine per turbativa d’asta, o se sia un ente privato, come ha assicurato nel giugno 2024 il governo Meloni con un decreto interpretativo sulla cui legittimità si dovrà esprimere la Corte Costituzionale. La verità è che per preparare il Circo Bianco e costruire le infrastrutture connesse (impianti, strade, ferrovie) si spenderanno circa 7 miliardi di euro, come ho ricostruito nel libro Una montagna di soldi edito da Paper First, che fa una radiografia impietosa dei quarti Giochi italiani in preparazione, dopo Cortina 1956, Roma 1960 e Torino 2006. Fortunatamente i cittadini non sembrano lasciarsi abbindolare, e questo è già un buon segno. Leggere per credere gli 88 commenti dei lettori al post autocelebrativo di Regione Lombardia: 79 persone, pari all’89,7 per cento, contestano costi e progetti, con osservazioni molto critiche, condivise da 360 like. Solo 5 i commenti favorevoli (e zero like) pari al 5,7 per cento, 4 quelli neutri. Anche la disinformazione, a volte, non riesce a convincere. L'articolo Il video-patacca di Regione Lombardia sui costi dei Giochi dimentica 330 milioni che saranno pagati dai contribuenti proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Bracconaggio in crescita, l’allarme arriva dalla Lombardia: “Incentivato dalla politica, la legge del centrodestra aggrava il fenomeno”
Specie protette uccise a fucilate, pulli rubati dal nido sugli alberi perché vengano venduti come richiami vivi, e poi il business criminale del traffico illecito di fauna selvatica. Benvenuti in uno dei peggiori hotspot del bracconaggio a livello europeo, benvenuti nell’area delle Prealpi che attraversano la Lombardia e vanno a finire in Veneto. Dove succede tutto questo e molto di più. Per esempio soltanto pochi giorni due rarissimi ibis eremita (vi abbiamo raccontato la loro storia straordinaria qui) hanno scavalcato le Alpi, dall’Austria, per svernare nel nostro Paese. Il tempo di pochi chilometri e sono stati ammazzati a fucilate a Dubino, in provincia di Sondrio. Erano muniti di Gps e sappiamo tutto della loro tragica fine. Ma che il bracconaggio sia in crescita ce lo raccontano i dati. Mentre, allargando lo sguardo, la politica – nazionale e regionale – nella migliore delle ipotesi si nasconde. E, coi fatti, lo incentiva. DOPING AI VOLATILI E FUCILATE IN AUMENTO – Valpredina, Oasi del Wwf. Ci troviamo a Cenate Sopra, in provincia di Bergamo. Qui c’è uno dei principali Cras (Centro recupero animali selvatici) del Nord Italia. La ragione? Riceve gli animali feriti e/o sequestrati ai bracconieri, li cura e, se riesce, li libera di nuovo in natura. Matteo Mauri, il responsabile, ha raccontato al Pirellone che cosa sta accadendo quest’anno. Un fenomeno mai visto, almeno con queste proporzioni. Con la stagione venatoria ancora in corso, gli animali protetti uccisi rispetto al 2024 segnano un +52%, e stupisce fino a un certo punto che il 91% delle morti certificate si verifichi proprio durante i mesi in cui è possibile cacciare. Eppure, negli ultimi dieci anni la legge regionale è stata modificata ben 28 volte con l’obiettivo di liberalizzare il più possibile l’attività venatoria e, in alcuni casi, per rendere più difficili i controlli. Alcuni esempi? L’obbligo per le guardie venatorie di indossare “capi ad alta visibilità” o la grande sanatoria sui richiami vivi. A questi numeri si aggiungono le migliaia di uccelli sequestrati dalle forze di polizia perché detenute illegalmente, spesso per essere usate come richiami vivi. Ogni anno è l’Operazione Pettirosso dei carabinieri forestali (Sezione operativa antibracconaggio, SOARDA) a confermarlo: in poche settimana nelle province di Brescia, Bergamo, Mantova, Padova, Venezia, Verona e Vicenza sono state denunciate 135 persone, sono stati sequestrati 2.467 uccelli (tra vivi e morti) appartenenti a specie cacciabili, protette e particolarmente protette, 1.110 dispositivi illegali di caccia, 135 armi da fuoco, 13.330 munizioni e 73 confezioni di farmaci dopanti, utilizzati per “migliorare” la prestazione canora dei richiami vivi. Sono dati impressionanti, sì, ma che mettono in luce soltanto la punta dell’iceberg di un fenomeno difficilmente misurabile. I DANNI ALL’AMBIENTE E LA POLITICA CHE RESTA A GUARDARE – “Dietro il bracconaggio non ci sono più solo singoli individui, ma vere e proprie organizzazioni criminali che hanno capito che investire in questo settore significa fare affari d’oro rischiando pochissimo”, ha dichiarato in conferenza stampa, al Pirellone, Domenico Aiello, responsabile Tutela giuridica della natura del Wwf Italia e componente della cabina di regia MASE per il contrasto dei crimini contro gli uccelli selvatici. “La sottovalutazione della gravità del fenomeno – che danneggia la biodiversità, la salute umana e l’economia legale – rende inefficaci gli strumenti di prevenzione e repressione: controlli sul territorio, indagini, processi e sanzioni. In questo senso il ruolo della politica è fondamentale: deve tradurre la sensibilità dell’opinione pubblica e le evidenze di un crimine in crescita, non cedere alle pressioni di chi chiede di ridurre i controlli e favorire concessioni alle lobby venatorie, ma dimostrare senso di responsabilità nella tutela degli interessi comuni e dei principi sanciti dall’articolo 9 della Costituzione. Al contrario molte regioni hanno via via demolito la tutela della fauna selvatica”. A livello nazionale è il disegno di legge Malan, vale a dire la riforma voluta da Lollobrigida per stravolgere la legge sulla protezione della fauna selvatica e il prelievo venatorio (157/92), a preoccupare. E lo fa innanzitutto perché non prevede nulla per il contrasto al bracconaggio. Molti emendamenti del centrodestra, poi, non fanno altro che peggiorare la situazione: dalla caccia a specie protette o in cattivo stato di conservazione, all’obbligo per le guardie venatorie di monitorare campagne e boschi solo in presenza di agenti delle forze dell’ordine (cosa, ovviamente, infattibile), alla potenziale apertura della caccia dodici mesi all’anno. “Il ddl Malan toglie protezione alla fauna selvatica e si profila come un intervento pericoloso e gravissimo” ha detto la deputata del Pd, Eleonora Evi, molto vicina al mondo ambientalista e animalista. “E per la lotta al bracconaggio non prevede nulla, generando un forte allarme da parte della società”. Evi ha sottolineato come spesso la politica lombarda anticipi ciò che accade a livello nazionale. Un esempio? Il caso dei valichi montani, deflagrato proprio in Lombardia – grazie alla Lac – e “risolto” con la legge sulla montagna di Roberto Calderoli. “I dati confermano l’aumento del bracconaggio” ha detto la consigliera del M5s, Paola Pollini. “Siamo di fronte a un fenomeno radicato e organizzato, che devasta ecosistemi e mina l’immagine del nostro Paese. Eppure, invece che contrastarlo, le politiche regionali – avallate dal governo – indeboliscono i presidi di tutela ambientale e allargano le maglie normative. Il costo del bracconaggio, in termini ambientali, non può più essere sostenuto dalla collettività a favore dell’interesse di pochi. Serve un cambio di rotta immediato: leggi, investimenti e tutela di chi opera per i controlli sul territorio. Ci vuole la volontà politica di non barattare la tutela ambientale. Il bracconaggio non cala perché non lo si contrasta adeguatamente“. Per Michela Palestra di Patto Civico “si sposta sempre un po’ più in là l’asticella dell’impunità, il non rispetto delle leggi diventa così centrale. Ormai lo possiamo dire: c’è una precisa intenzione nel voler attaccare l’ambiente e la biodiversità e, nel caso specifico, ciò che la legge definisce patrimonio indisponibile dello Stato”. Video: vigilanza venatoria Wwf Italia in Lombardia Mail: a.marzocchi@ilfattoquotidiano.it Instagram L'articolo Bracconaggio in crescita, l’allarme arriva dalla Lombardia: “Incentivato dalla politica, la legge del centrodestra aggrava il fenomeno” proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Lombardia, stretta sui precari ma non sui vitalizi degli eletti. Che hanno provato ad aumentarsi lo stipendio
La Regione in cui gli eletti provano a aumentarsi gli stipendi (dopo aver reintrodotto il vitalizio) fa cassa sui collaboratori precari. Succede in Lombardia, e il concetto, pur brutalizzato, fa riferimento a una comunicazione mandata la scorsa settimana dagli uffici tecnici del Consiglio regionale ai vari partiti rappresentati in aula. La richiesta è semplice: i contratti dei collaboratori in scadenza il 31 dicembre 2025 (giornalisti, esperti di comunicazione, staff legislativo che lavorano coi gruppi) siano rinnovati “senza previsione del trattamento accessorio” o “con trattamento accessorio ridotto”. Insomma, un taglio ai compensi di chi lavora coi consiglieri, e che ora, a poco più di un mese dalla scadenza, tratta il rinnovo con questa pesante variabile chiesta dal Consiglio. L’amarezza degli staff diventa una beffa se il pensiero va ai numerosi tentativi (alcuni riusciti) di ritoccare – ma all’insù – il trattamento economico degli eletti, nonostante tra indennità e rimborsi portino già a casa più di 10 mila euro al mese. In questa legislatura il Consiglio ha ripristinato il vitalizio, seppure in maniera light rispetto al carrozzone del passato (si parte da poco più di 600 euro, poi però si sale a seconda di vari criteri), e soprattutto in estate i consiglieri hanno provato a alzarsi lo stipendio di circa 500 euro al mese, fallendo una volta che il blitz era divenuto pubblico. L’argomentazione tecnica con cui il Consiglio chiede un sacrificio agli staff fa riferimento al giudizio di parificazione che ogni anno la Corte dei Conti esprime sul bilancio della Regione. In effetti, tra le varie anomalie segnalate dai giudici contabili, c’è anche quella di un eccesso di spesa per i collaboratori. Ma è altrettanto vero che da tempo la Corte rileva sprechi per miliardi di euro, dalla Pedemontana al call center caro ai La Russa. Tutte denunce rimaste lettera morta, senza che la Lombardia abbia rimediato in alcun modo. Sui collaboratori, evidentemente, è più facile intervenire. L'articolo Lombardia, stretta sui precari ma non sui vitalizi degli eletti. Che hanno provato ad aumentarsi lo stipendio proviene da Il Fatto Quotidiano.
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