In Italia il numero delle nascite non è mai stato così basso, mettendo a rischio
il debito pubblico e la coesione sociale. E’ l’allarme lanciato giovedì dal
presidente della Repubblica Sergio Mattarella, durante l’apertura degli Stati
generali della natalità per l’auditorium della conciliazione di Roma. La ricetta
del Quirinale per invertire la rotta è chiara: più servizi pubblici per
sostenere le famiglie e aiutare i genitori, ma anche stipendi più alti.
L’evento, organizzato dalla Fondazione per la Natalità presieduta da Gigi de
Palo, si concluderà venerdì. Il capo dello Stato ha aperto il convegno mettendo
tutti in guardia: il calo della natalità “inciderà sulla sostenibilità dei conti
pubblici, oltre che sulla coesione intergenerazionale”.
PERCHÉ SI FANNO MENO FIGLI? PRECARIATO, STIPENDI, POCHI SERVIZI, CASA
INACCESSIBILE
La premessa sono i dati Istat, con le nascite al minimo storico: nel 2024 il
numero medio di figli si attesta a 1,18, in flessione sul 2023 (1,20). L’anno
scorso le nascite sono state 369.944, in calo del 2,6% sul 2023 (una contrazione
di quasi 10mila unità). Ma nel 2025 l’Italia arretra ancora: in base ai dati
provvisori, da gennaio luglio le nascite sono circa 13mila in meno rispetto allo
stesso periodo del 2024 (-6,3%). Se si fanno meno figli, non è perché le nuove
leve sono più egoiste e meno inclini ai sacrifici della genitorialità: lo disse
il presidente del Censis Giuseppe De Rita (padre di 8 figli) in un’intervista
del 2020. Secondo Mattarella, “condizioni adeguate di retribuzione e sviluppo
dei servizi sociali consentono orizzonti di vita nei quali è possibile orientare
le proprie scelte verso la gioia di avere figli e non verso la rinuncia ad
averne”. Ovvero, si fanno meno figli anche perché gli stipendi sono bassi e
scarseggia l’assistenza dello Stato, mentre latitano asili nidi e aiuti per i
genitori. Neppure i contratti di lavoro flessibili e a tempo sono un incentivo a
fare figli. “Parliamo delle difficoltà della precarietà e dei bassi redditi,
dell’ardua impresa di accesso a una abitazione nelle aree urbane, dalle carenze
dei servizi che rendono difficile conciliare i tempi del lavoro con quelli della
vita familiare e con la cura di familiari in età avanzata”, ha ricordato il
presidente. Che sottolinea un altro aspetto decisivo: la difficoltà delle
giovani coppie per acquistare casa, un tassello fondamentale per costruire una
famiglia.
COSA DICE LA COSTITUZIONE
Il Quirinale ha ricordato alla platea l’articolo 31 della Costituzione. “Vale la
pena rileggerlo”, ha ammonito Mattarella: “La Repubblica agevola con misure
economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l’adempimento dei
compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose. Protegge la
maternità, l’infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale
scopo”. Secondo il presidente non è mai un problema individuale o generazionale,
bensì collettivo: “È la società nel suo insieme che deve comporre un ambiente
favorevole e assicurare piena libertà”. I giovani dunque non sono il problema,
bensì le vittime. “In una società centrata sulla velocità i giovani – e non per
loro responsabilità – vengono messi in condizione di rischiare di essere in
costante ritardo”, ha detto Mattarella. Ritardo nel trovare un lavoro stabile,
nel diventare autonomi, nel comprare casa e mettere su famigli, in ritardo
nell’avere figli.
MIGRANTI PER SOPPERIRE AL CALO DEL NUMERO DEI LAVORATORI
Il Presidente ha messo in guardia anche sulla retorica contro i migranti, per la
quale lo straniero ruberebbe il lavoro ai figli d’Italia: “Affrontare i temi
della natalità nel nostro Paese non è in contrapposizione con l’integrazione dei
migranti”. Anzi, “l’integrazione dei migranti e delle loro famiglie, che con il
loro lavoro contribuiscono, spesso, è un lavoro di cura, contribuiscono al
benessere della nostra comunità”. Del resto, tra 10 anni ci saranno 6,1 milioni
di lavoratori in meno e non basteranno le nuove leve italiche a sostituirli. E’
lo scenario dipinto dal presidente Inapp (Istituto nazionale per l’analisi delle
politiche pubbliche) Natale Forlani, durante l’audizione alla Commissione
parlamentare d’inchiesta sugli effetti economici e sociali derivanti dalla
transizione demografica. I lavoro della Commissione ha ricevuto l’elogio del
Presidente, nella speranza di “trasformare in azioni la consapevolezza del
problema”. Un monito anche per il governo, sempre pronto a sbandierare il
vessillo della “battaglia demografica”. La ricetta di Giorgia Meloni si basa sui
bonus, ma dagli Stati generali della Natalità è giunto l’alt del presidente
Luigi De Palo: “Servono misure strutturali e non semplici bonus: lavoro stabile,
accesso alla casa e una fiscalità equa sono le tre leve fondamentali”.
Mattarella è d’accordo. Non è detto lo sia il braccio destro di Meloni a palazzo
Chigi, il sottosegretario Alfredo Mantovano. In un convegno di qualche mesa fa
additò la cannabis e le sollecitazioni erotiche tra le cause del calo delle
nascite. Altro che salari e diritti sociali.
L'articolo Mattarella: “Il calo delle nascite minaccia conti pubblici e coesione
sociale. Servono servizi e stipendi adeguati” proviene da Il Fatto Quotidiano.
Tag - Stipendi
I nuovi dati Eurostat sul calo dei redditi reali delle famiglie italiane
nell’ultimo ventennio hanno riacceso l’attenzione su un’emergenza che il governo
Meloni non pare interessato ad affrontare, se non con misure fiscali dal fiato
corto e senza alcun impatto sul nodo delle basse retribuzioni. Del resto le
tabelle dell’Ufficio statistico dell’Unione europea mal si conciliano con i
contenuti delle slide prodotte da Fratelli d’Italia per i tre anni
dall’insediamento della premier a Palazzo Chigi. La narrazione di un Paese “più
solido e prospero”, con più occupati stabili e più soldi nelle tasche dei
cittadini si infrange davanti ai numeri che mostrano la distanza tra gli
stipendi italiani e quelli del resto d’Europa. E il suo allargamento nell’ultimo
decennio.
Per comprendere come sono andate le cose Ilfattoquotidiano.it ha consultato i
dataset Eurostat sui redditi netti. Prendendo in considerazione una coppia senza
figli in cui entrambi lavorano e guadagnano un salario nella media, si scopre
che in Italia nel 2024 il totale a loro disposizione si è fermato a 49.600 euro,
che salgono a 50.700 se si esprime il valore a parità di potere d’acquisto con
gli altri Paesi. In base a quest’ultimo indicatore, in Francia una famiglia con
le stesse caratteristiche può contare su quasi 58mila euro equivalenti e in
Germania su quasi 73mila, poco meno del reddito di una famiglia Usa. Anche la
Spagna, in termini di potere d’acquisto comparabile, distanzia l’Italia con
quasi 54mila euro equivalenti. Nei Paesi Bassi si arriva a 81.900. Sotto quelli
della Penisola si piazzano solo i nuclei dell’est europeo (37.400 euro
equivalenti in Bulgaria, 39mila nella Repubblica ceca, 37mila in Croazia) e del
Portogallo (39mila euro equivalenti). Il reddito medio annuo per persona, per
questa tipologia di famiglia, in Italia è di soli 25mila euro equivalenti,
inferiore del 12% rispetto ai 28,9mila euro che sono la media europea.
Va peraltro considerato che si parla di un caso-tipo privilegiato: due
percettori di reddito, entrambi lavoratori full time. Una realtà non standard in
Italia, dove le donne sono costrette più degli uomini ad accettare part time
involontari e – come i giovani – sono più esposte al precariato. Non solo: il
dato è espresso in termini di potere d’acquisto comparabile (PPS, in gergo
tecnico) e quindi non coglie direttamente l’erosione prodotta dall’ondata
inflazionistica seguita all’invasione russa dell’Ucraina, che nell’Eurozona ha
superato il 25% cumulato nell’ultimo decennio.
Tenendo presenti questi caveat, è interessante osservare l’evoluzione dei
redditi famigliari nell’ultimo decennio (vedi il grafico sopra per tutti i
dati). L’Italia, con una crescita del 29% per la coppia senza figli di cui
sopra, si colloca in una posizione intermedia: fa meglio di Francia (+20%) e
Grecia (+21%), ma è molto distante dalla media europea (+38%) e dalle economie
più dinamiche del Centro-Nord. In Germania il progresso è stato del 39%, nei
Paesi Bassi del 38%, in Irlanda del 36%, in Austria del 46%. Ancora più ampio il
divario rispetto alle nazioni dell’Est Europa, che continuano a convergere
rapidamente verso gli standard occidentali: in Polonia la stessa coppia tipo ha
visto crescere i propri redditi annuali del 74%, in Ungheria dell‘81%, in
Lituania del 99%. Anche in Lettonia si è registrato un raddoppio (+108%). Tra il
2014 e il 2024 la distanza tra il reddito netto della coppia-tipo italiana e la
media Ue è più che raddoppiata, passando da meno di 3mila a oltre 7mila euro
equivalenti, segno che l’Italia ha corso sensibilmente meno del resto
dell’Unione.
Se si analizza la situazione di un single con reddito netto pari al 67% di
quello medio, ovvero il prototipo del lavoratore giovane, con meno tutele e
ancora lontano da una retribuzione piena, il confronto europeo è ancora più
significativo. In Italia una persona con quelle caratteristiche nel 2014 portava
a casa 14.618 euro equivalenti: dieci anni dopo arriva a 19.870. Una crescita
vivace, del 36%, che però – al netto delle precedenti considerazioni
sull’inflazione – basta appena a tenere la Penisola a metà classifica. Meglio
della Francia, ferma a un +17% che fa arrivare il totale finale a 20.400 euro
equivalenti, e della Svezia (+21%), ma ancora una volta lontanissima dai Paesi
che dopo la crisi finanziaria hanno conosciuto un potente aumento dei salari. In
Germania lo stesso lavoratore è passato da 19.014 a 26.319 euro (+38%), nei
Paesi Bassi da 21.466 a 30.944 euro (+44%), in Austria da 18.683 a 27.150
(+45%). Sul podio dei maggiori incrementi ancora l’Est Europa: +58% in Estonia,
+76% in Polonia, +129% in Bulgaria, fino al +144% della Romania. E, fuori dalla
Ue, allo stellare +232% della Turchia. In termini assoluti, il single tedesco
guadagna 6.400 euro in più dell’italiano, quello olandese oltre 11mila,
l’austriaco 7.300. E il divario continua ad allargarsi.
L'articolo Come sono cambiati gli stipendi italiani negli ultimi dieci anni?
Famiglie sempre più povere rispetto al resto dell’Ue – I grafici proviene da Il
Fatto Quotidiano.
A dicembre arriva la tredicesima, anche se il momento nel quale viene pagata può
variare da caso a caso. Le tempistiche della sua ricezione, infatti, non sono
uguali per tutti gli aventi diritto: i primi a riceverla saranno i pensionati,
che ottengono la mensilità aggiuntiva con il cedolino di dicembre.
Benché non sia prevista una data unica per il versamento, generalmente viene
erogata a ridosso delle festività natalizie: proprio in questo periodo la
maggior parte dei datori lavori procede con l’accredito.
TREDICESIMA 2025, QUANDO VIENE PAGATA
La tredicesima è una sorta di gratifica natalizia: motivo per cui viene messa in
pagamento entro il 25 dicembre di ogni anno. Nel settore privato, da un punto di
vista strettamente normativo, i contratti di lavoro collettivi di categoria non
prevedono una data entro la quale debba essere erogata: l’unico riferimento
ufficiale è che debba essere pagata in prossimità delle feste natalizie.
Il discorso cambia leggermente per i dipendenti pubblici, per i quali la data di
pagamento della tredicesima è fissa: le regole, infatti, sono state disciplinate
dall’Allegato 1 del Decreto Legge n. 350/2001. Il provvedimento recita che
stipendio e tredicesima “possono essere corrisposti a decorrere dal 7 dicembre
sulla base degli scaglionamenti stabiliti in apposito calendario predisposto dal
Ministero dell’economia e delle finanze”. Per il personale della pubblica
amministrazione l’erogazione avviene in tre differenti date: per gli insegnanti
delle scuole materne ed elementari il 14 dicembre, per il personale amministrato
dalle direzioni provinciali del Tesoro con ruoli di spesa fissa il 15 dicembre e
per il personale insegnante supplente temporaneo e per gli altri dipendenti
pubblici il 16 dicembre. Alle regole fissate genericamente, almeno per
quest’anno, c’è un’eccezione, che riguarda la prima categoria di dipendenti:
dato che il 14 dicembre cade di domenica, la tredicesima verrà anticipata al 12
dicembre. La normativa, infatti, prevede che quando le scadenze dovessero cadere
in un giorno festivo vengano anticipate al primo giorno utile precedente. Non
sono previste delle variazioni per le altre giornate.
Cronologicamente parlando, a ricevere la tredicesima per primi sono i pensionati
Inps, che se la vedranno accreditare con il cedolino di dicembre il 1° dicembre
2025. In questo caso il primo giorno bancabile del mese è un lunedì: questo è il
motivo per il quale non ci sono delle differenze tra chi riceve l’accredito
presso Poste italiane e chi ha un conto presso un’altra banca. Chi, invece, va a
ritirare la pensione in contanti presso gli uffici postale deve rispettare il
calendario previsto.
COME DEVE ESSERE CALCOLATA LA PENSIONE
La gratifica natalizia altro non è che la tredicesima parte dell’intera
retribuzione annua. I lavoratori dipendenti hanno diritto a riceverla anche
quando si sono assentati per malattia, infortuni sul lavoro o maternità.
L’ammontare dell’importo che verrà erogato può essere calcolato come segue:
Retribuzione mensile * Mesi lavorati / 12 = importo tredicesima.
Non riceveranno la tredicesima i lavoratori straordinari discontinui e nei
conteggi non rientra il lavoro notturno e festivo. Dal calcolo rimangono fuori
anche le indennità ricevute per le ferie non godute, le somme una tantum e i
rimborsi spese che sono stati erogati nel corso del mese. Altro motivo di
esclusione è l’aspettativa.
CHI HA DIRITTO A RICEVERE LA GRATIFICA NATALIZIA
La tredicesima spetta anche ai lavoratori part time: l’importo non si calcola
esclusivamente sulla retribuzione fissa mensile, ma anche sull’importo
determinato dalla paga oraria, che deve essere moltiplicata per il divisore
orario mensile previsto dal contratto. Discorso simile vale per colf e badanti:
le ore lavorative possono essere suddivise su più luoghi di lavoro e su più
datori di lavoro: viene, quindi, applicato il metodo di calcolo orario.
La situazione è leggermente diversa per i docenti, che hanno diritto a ricevere
la gratifica natalizia anche in malattia e maternità. Ed è sufficiente un
periodo lavorativo superiore a 15 giorni per avviare il conteggio.
L'articolo Tredicesima, ecco quando viene pagata ai lavoratori pubblici e
privati. E cosa deve aspettarsi chi ha un part-time proviene da Il Fatto
Quotidiano.