“L’alternativa” al governo di Giorgia Meloni c’è ed “è nei fatti che germoglia
l’elaborazione di un programma comune, senza rinunciare alle proprie identità“.
Dall’assemblea del Pd la segretaria Elly Schlein lancia la sfida alla destra. La
leader dem parla quasi in contemporanea all’intervento conclusivo di Meloni dal
palco di Atreju: dalla festa di Fdi la premier non rinuncia a stoccate contro
Schlein puntando il dito sul rifiuto della segretaria Pd a prendere parte alla
kermesse, unica tra i leader del campo progressista ad avere preso questa
scelta.
“La partita delle politiche è apertissima, ci sono le condizioni per mandare a
casa questa destra”, rilancia Elly Schlein ricordando che da quando è segretaria
“solo due regioni si sono spostate, la Sardegna e l’Umbria e le abbiamo vinte
noi”. Per quanto riguarda il Pd “è cresciuto ovunque, dove abbiamo vinto ma
anche dove abbiamo perso”, aggiunge. Gli emendamenti presentati unitariamente
dalle opposizioni alla manovra sono “un’alternativa potente“, sottolinea la
leader dem. “Uniti nella diversità abbiamo indicato al paese una strada
possibile. Confrontiamoci anche aspramente” ma perseguiamo l’obiettivo di
“costruire l’alternativa. È tempo che l’Italia ricominci a sognare e a sperare”,
continua Schlein ricordando che “la somma delle coalizioni è pari“.
La segretaria del Pd punta dritto alle Politiche. “Che sia possibile mandare a
casa questa destra, lo hanno detto loro quando un’ora dopo le regionali hanno
detto che vogliono cambiare la legge elettorale. Non si cambia la legge
elettorale a un anno dal voto per paura di perdere”, replica. Cita la sorella
della premier, Arianna Meloni, che “ieri ci svela le priorità del governo per il
2026: premierato e riforma della legge elettorale. Scusate pensavamo lo fossero
le bollette più care d’Europa, pensavamo lo fossero le persone che prendono 5
euro all’ora, chi con la pensione non arriva alla fine del mese, i 10.000
lavoratori dell’ex Ilva che sono a rischio, i 6 milioni di italiani che non
riescono più a curarsi per le liste d’attesa troppo lunghe. Ma no le priorità
per le sorelle Meloni sono una riforma elettorale e una riforma che indebolisce
i poteri del presidente della Repubblica: giù le mani dalle prerogative del
presidente della Repubblica. Il governo deve risolvere i problemi degli italiani
non i propri attraverso le riforme”, insiste Schlein.
Si rivolge poi direttamente alla premier: “Devo farle una domanda molto
semplice, banale: da quanto tempo non le capita di andare a fare la spesa? Si
immagini per un secondo di prendere un carrello come in un giorno fanno milioni
di madri e di padri in questo Paese e provi a fare i conti scaffale dopo
scaffale di ciò che va rimesso al suo posto perché questa settimana non te lo
puoi più permettere. Esca da Palazzo Chigi – continua Schlein – e faccia un giro
in qualsiasi alimentari di quartiere perché mentre voi ripetete che va tutto
bene, anzi non è mai andato meglio, davanti a questi scaffali le famiglie sono
costrette a scegliere e non più tra le cose superflue ma tra le cose
necessarie”.
Per Schlein nel centrodestra ci sono “divisioni enormi, continuano a litigare
tra di loro tra ricatti e veti incrociati. Davanti a questa destra ossessionata
dal potere che ha aumentato l’austerità e le disuguaglianze”, “l’unità ce la
chiede la gente, non il medico”. Per quanto riguarda il suo stesso partito
“c’era chi scommetteva sulle divisioni nel nostro campo” e invece “non solo ci
siamo ma siamo competitivi e siamo la prima forza di opposizione”, continua la
Segretaria. Parla di un Pd “più unito e compatto che mai” e rivolge un
ringraziamento anche al “presidente Bonaccini perché l’unità non si fa da soli”,
conclude Schlein.
L'articolo Schlein dall’assemblea Pd: “L’alternativa cresce nei fatti”. E sfida
Meloni: “La partita delle politiche è apertissima” proviene da Il Fatto
Quotidiano.
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L’hanno trovata morta nella sua cella. È ancora tutta da chiarire la vicenda
dell’ennesima morte in carcere. Questa volta si tratta di una dona, detenuta
nella sezione femminile del carcere di Rebibbia. La polizia penitenziaria sta
indagando per far luce sulla vicenda, le cui circostanze sono ancora da
chiarire.
In seguito al decesso, sono stati rinviati a data da destinarsi i Giochi della
Speranza, promossi dalla Fondazione Giovanni Paolo II, dal Dipartimento
dell’amministrazione penitenziaria e dalla rete di magistrati ‘Sport e
Legalità‘. Al posto dell’iniziativa sportiva, si terrà un momento di
raccoglimento all’interno del penitenziario assieme ai partecipanti che erano
già stati invitati: tra questi, la deputata Michela Di Biase del Partito
democratico. I Giochi della Speranza erano giunti alla seconda edizione,
chiamati anche la “piccola olimpiade in carcere”. L’iniziativa è stata
organizzata in occasione del Giubileo dei detenuti che va dal 12 al 14 dicembre.
Due giorni fa, la sezione femminile di Rebibbia è stata visitata dal Presidente
della Repubblica Sergio Mattarella per l’inaugurazione di un’istallazione
permanente. Il capo dello Stato aveva sottolineato la “condizione totalmente
inaccettabile” in cui sono costrette a vivere le persone detenute nelle carceri.
Solo 48 ore dopo l’ennesimo caso di morte in un penitenziario italiano.
L'articolo Detenuta trovata morta nel carcere di Rebibbia: indagini in corso.
Rinviati i Giochi della Speranza proviene da Il Fatto Quotidiano.
Si era parlato di violenza politica, un’aggressione squadrista
dall’inconfondibile matrice fascista. C’era stata la condanna da parte della
politica regionale e persino di Elly Shlein. Ora una lettera anonima rischia di
ribaltare la possibile ricostruzione dei danneggiamento al circolo locale di
Chiavari del Partito Democratico: la politica – dice la lettera – non c’entra.
Almeno è quanto si legge nel testo senza firma lasciato nell’androne della sede
de Il Secolo XIX da un ragazzo dal volto coperto. La firma: “Ragazzi del
misfatto“. La lettera è autentica? Gli autori sono davvero coloro che hanno
danneggiato il circolo dem a suon di cori che inneggiavano al Duce? E’ una
burla, l’opera di un mitomane, una giustificazione per nascondere l’impeto di un
momento e gli spiriti nostalgici veri o presunti? La lettera è stata requisita
dalla polizia per gli accertamenti del caso.
Si legge: “Scriviamo per scusarci del pasticcio che abbiamo combinato. Non ci
aspettavamo questo riscontro a livello nazionale e ci dispiace molto anche
perché non ha senso prendere di mira un luogo pacifico come il Pd di Chiavari.
Siamo ragazzi giovani, senza alcun interesse per la politica e speriamo che la
questione si possa risolvere in modo sereno, sperando di non aver lasciato danni
permanenti né al Pd Chiavari né sul suolo pubblico”.
Il movente, semplicemente, non c’è, spiegano gli anonimi: “Avevamo bevuto troppo
e abbiamo causato questi danni, non siamo in alcun modo coinvolti in
organizzazioni filofasciste e non la pensiamo in quel modo, non ci interessa la
politica, il nostro è stato solo un gesto insensato e privo di ragionamento,
dettato da un consumo eccessivo di alcolici”. Il segretario del circolo, Antonio
Bertani, aveva dichiarato di aver udito frasi come “Siamo noi i camerati” e
“Duce, duce!“. La matrice dei cori sarebbe la stessa degli atti vandalici: “I
cori che si possono essere sentiti sono risultato di un eccessivo consumo
alcolico. Però, comunque, non possono essere giustificati e ci scusiamo”. I
“Ragazzi del misfatto” definiscono l’aggressione uno stupido errore e, oltre a
scusarsi, si rendono disponibili a risarcire i danni.
L'articolo Sede del Pd a Chiavari vandalizzata, la lettera anonima dei presunti
autori: “Avevamo bevuto troppo” proviene da Il Fatto Quotidiano.
Anche Elly Schlein il 1º giugno 2017 votò sì quando il Parlamento Europeo
approvò a larga maggioranza una risoluzione sulla “lotta contro l’antisemitismo”
con la quale, al punto 2, si invitavano gli Stati membri ad adottare e ad
applicare la definizione di antisemitismo proposta dall’Ihra (Alleanza
Internazionale per la Memoria dell’Olocausto). La delegazione dem votò a favore,
con il gruppo S&D (contrari Cozzolino e Paolucci, astenuto Panzeri). Si tratta
della stessa definizione che è alla base del ddl di Graziano Delrio, che la
maggioranza del partito – ovvero la stessa segretaria e il capogruppo dem in
Senato, Francesco Boccia – ha chiesto al senatore di ritirare. E a pubblicare le
foto del verbale di quella seduta dell’Eurocamera è stato Stefano Ceccanti,
costituzionalista, tra gli anti-Schlein più convinti. Tanto per chiarire quanto
la questione stia diventando esplosiva nel partito. La definizione di Ihra parla
di “una certa percezione degli ebrei che può essere espressa come odio per gli
ebrei. Le manifestazioni retoriche e fisiche dell’antisemitismo sono dirette
verso persone ebree o non ebree e/o alle loro proprietà, verso le istituzioni
comunitarie ebraiche e i luoghi di culto”. Estendendo il concetto, sono
praticamente proibite tutte le critiche a Israele. La definizione è stata
adottata anche dal governo Conte 2, ma non è mai diventata legge. Da notare,
però, che né nel 2017, né nel 2020 era in corso il genocidio a Gaza per mano di
Netanhyau.
Nel frattempo tocca al senatore Andrea Giorgis, torinese, già professore di
diritto costituzionale all’università di Torino, essere il prossimo frontman
della vicenda, anche se non è certo il tipo da battaglie politiche frontali. Ma
adesso, si trova al centro – suo malgrado – dell’ultimo pastrocchio, in ordine
di tempo, in casa Pd. Se riavvolgiamo il nastro, vengono alla luce le ambiguità
– tutte politiche – di questa vicenda. A settembre, la Commissione Affari
costituzionali del Senato esamina i disegni di legge di contrasto
all’antisemitismo presentati dalla Lega e da Italia viva, con tanto di audizione
di Simone Oggionni, membro del Laboratorio Yitzhak Rabin, di Emanuele Fiano, di
Anna Foa. Poi è arrivato Delrio a chiedere le firme sul suo testo. In molti lo
hanno sottoscritto, alcuni credendo che si trattasse di un’iniziativa del
gruppo. E gli stessi poi hanno tolto la firma (Valeria Valente, Andrea Martella,
persino Nicita che per Delrio aveva strutturato tutta la parte relativa alle
questioni online). E allora lo stesso Boccia ha informato i parlamentari che ci
sarebbe un ddl alternativo, a cui starebbe lavorando Giorgis. Un testo più
ampio, sull’odio in generale. Contorni vaghissimi, come in realtà vaghissima è
la situazione. Perché poi lo stesso Giorgis ha spiegato ai colleghi senatori che
un testo ancora non c’è, che lui ci sta lavorando. E che alla fine lo
presenterà, non prima di una riunione del gruppo dem a Palazzo Madama, in cui si
condividano contenuti e perplessità. Senza fretta, però. Se ne parla dopo la
Befana, perché prima non ci sono riunioni in Commissione Affari costituzionali
sul tema. E poi, è meglio lasciar passare un po’ di tempo.
L'articolo Ddl antisemitismo, caos in casa Pd: la proposta fantasma del senatore
Giorgis per far dimenticare il testo Delrio proviene da Il Fatto Quotidiano.
È stata vandalizzata nella notte la sede del Partito democratico a Chiavari, in
provincia di Genova. Lo scrive su facebook il segretario, Antonio Bertani. “Non
ci faremo intimidire. La scorsa notte un gruppo di persone, non ancora
identificate, ha raggiunto la nostra sede di via Costaguta urlando frasi come
‘noi siamo i camerati’ e ‘duce, duce‘!. Hanno imbrattato le vetrate, scagliato
un cartello stradale contro la porta e rovesciato il contenuto delle grosse
fioriere davanti all’ingresso”, spiega l’esponende dem. “Non è purtroppo la
prima volta: da mesi subiamo imbrattamenti e altri atti vandalici. Ma questa
volta l’episodio è più grave, un vero attacco in stile squadrista, con una
chiara matrice neofascista. Abbiamo denunciato immediatamente tutto alle
autorità competenti, affinché vengano individuati i responsabili. Come Partito
democratico di Chiavari non abbiamo alcuna intenzione di farci intimidire.
Continueremo a lavorare con determinazione, anche se è evidente che il clima
politico sta peggiorando giorno dopo giorno”, aggiunge sempre Bertani.
Sulla vicenda è intervenuta anche la segretaria Elly Schlein. “La mia
solidarietà e di tutta la comunità democratica alle iscritte e agli iscritti del
circolo PD di Chiavari e Tigullio per l’aggressione che ha colpito la nostra
sede. I nostri circoli sono in tutta Italia presidio di democrazia,
partecipazione e antifascismo, principi che evidentemente infastidiscono gli
squadristi colpevoli di questo attacco, che hanno inneggiato a Mussolini mentre
vandalizzavano la nostra sede. Non ci facciamo intimidire, andremo avanti ancora
più uniti e determinati. Questo clima di violenza politica ci preoccupa molto e
lo contrasteremo con tanto impegno e partecipazione, nel solco della nostra
Costituzione. La violenza politica non deve trovare spazio nelle nostre
democrazie e va contrastata da tutte le forze politiche, da qualunque parte
provenga. Per questo ci auguriamo una condanna unanime e trasversale da parte di
tutti e speriamo che i responsabili vengano individuati al più presto”, è la
nota della leader del Pd. Un post sui social del gruppo dem alla Camera sostiene
come non si sia trattato di “una semplice bravata, ma un chiaro attacco alla
democrazia. Troppi campanelli d’allarme stanno suonando: serve una reazione
immediata e compatta a difesa della partecipazione politici”.
L'articolo Vandalizzata la sede del Pd a Chiavari. “Hanno imbrattato le vetrate,
urlavano: duce, duce!” proviene da Il Fatto Quotidiano.
Con una lunga lettera che evoca i trascorsi di sindacalista, il consigliere
comunale di Castellammare di Stabia Nino Di Maio si è dimesso. Travolto dalla
notizia – pubblicata in anteprima su ilfattoquotidiano.it – che il figlio e il
nipote sono indagati per associazione camorristica nell’ambito dell’inchiesta
con 11 arresti sulle infiltrazioni del clan D’Alessandro nel tessuto stabiese.
“Difenderò sempre la mia famiglia” aveva detto Di Maio nei giorni scorsi,
durante il primo consiglio comunale dopo l’esplodere del caso, annunciando che
sarebbe rimasto al suo posto. Ripensamento e dimissioni però non bastano a
mettere pace nella maggioranza del campo largo guidata dal sindaco Luigi
Vicinanza.
Il segretario campano Pd Piero De Luca assicura “piena fiducia nel sindaco e
nell’amministrazione”, ma il presidente del Pd di Napoli Francesco Dinacci –
commissario dei dem stabiesi – chiede “una riflessione seria e profonda sulla
città e contro la camorra” ricordando che “le inchieste in corso svelano
possibili intrecci tra criminalità organizzata e soggetti che si sono candidati
e sono stati eletti in consiglio comunale” e che le dimissioni di Di Maio e
l’allontanamento dalla maggioranza dell’altro consigliere coinvolto – Gennaro
Oscurato, intercettato col cassiere del clan nelle settimane della campagna
elettorale a discutere su “grandi cose da fare insieme” – sono “atti importanti
ma non risolutivi del problema”. Sul fronte della svolta preme sull’acceleratore
un big dei dem, Sandro Ruotolo, che è anche consigliere comunale stabiese.
Nei giorni scorsi il M5s ha fatto filtrare la volontà di chiedere le dimissioni
di Vicinanza, per poi ricomporre una nuova giunta e una nuova maggioranza
durante la finestra dei 20 giorni entro cui revocarle e ripartire. Nel dibattito
in maggioranza emerge la paura del ritorno della commissione prefettizia
d’accesso, dopo lo scioglimento per camorra del 2022 di una giunta di
centrodestra guidata dall’azzurro Gaetano Cimmino. Vicinanza, a lungo
giornalista di punta del gruppo Repubblica-l’Espresso, un professionista di alto
profilo sceso in campo senza esperienze politiche pregresse, fu eletto nel
giugno 2024 sulle macerie di quell’esperienza, e nel segno di una discontinuità
con le ombre dell’amministrazione che lo ha preceduto. Ombre che tornano
prepotentemente per ‘colpa’ di due eletti in liste civiche raccogliticce,
imbarcate nella maxi coalizione di 13 tra liste e partiti che hanno sostenuto il
sindaco. Voler vincere subito e senza rischi aveva un prezzo: il conto è
arrivato adesso, ed è più salato del previsto.
L'articolo Clan e politica a Castellammare di Stabia, si dimette il consigliere
comunale col figlio indagato proviene da Il Fatto Quotidiano.
“È chiaro che bisogna boicottare Israele. Hanno ragione quei ragazzi che lo
dicono, che protestano nelle università e che vengono assurdamente rimproverati.
Loro hanno ragione, perfettamente ragione. Sono l’ultimo baluardo della civiltà
europea“. Con questa affermazione, che nel corso del dibattito torna come un
monito e un discrimine politico, Massimo D’Alema imprime una direzione decisa e
dirimente al convegno “Piano Trump: una tregua senza pace?”, organizzato a Roma
dai deputati del Pd: riportare al centro del discorso pubblico italiano ciò che
gran parte della politica e dell’informazione omettono e che invece definisce la
sostanza tragica della crisi mediorientale.
L’ex presidente del Consiglio, oggi alla guida della Fondazione Italianieuropei,
non indulge a cautele. Parla di un “elemento di inganno verso l’opinione
pubblica“, perché ciò che si dispiega davanti agli occhi del mondo “va molto
oltre la guerra di Gaza”: è l’attuazione progressiva “di un piano della destra
israeliana che punta a una soluzione finale del conflitto”, in aperto contrasto
con l’impianto internazionale che dalla Risoluzione 242 dell’Onu in avanti
ribadisce il principio “due popoli, due Stati”. E mentre quella formula continua
a essere “ripetuta retoricamente”, ciò che avanza è “un programma progressivo di
costruzione della ‘grande Israele’ attraverso una politica di pulizia etnica che
mira in parte a espellere i palestinesi, un piano di sottomissione e
colonizzazione che punta a ridurre i palestinesi alle condizioni dei nativi
americani”.
La descrizione è circolare e implacabile: “Molti palestinesi se ne sono andati
già in questi mesi di guerra. Si calcola che la comunità palestinese emigrata in
Egitto sono circa 100mila persone. E quelli che rimangono devono restare dentro
delle enclavi sotto controllo militare israeliano, una sorta di ‘bantustan’
palestinese dentro i confini dello Stato di Israele”. Una strategia che, a
differenza del fragile paradigma internazionale dei ‘due popoli e dei due
Stati’, “viene concretamente implementata” e procede “di fronte all’impotenza o
alla complicità di tanta parte della comunità internazionale”.
L’ex premier ricorda che la violenza sui civili non appare come aberrazione
episodica, ma come tassello funzionale a un disegno: “La ferocia contro la
popolazione civile fa parte non soltanto dell’esplosione di forme brutali di
razzismo fascista, ma è in qualche modo pianificata dentro questa visione”. Un
fenomeno che, precisa, non può essere rubricato a emanazione diretta del solo
governo: “Non riguarda soltanto Netanyahu, ma riguarda una parte importante
della società israeliana, cioè i soldati che, quando attraversano sui blindati i
villaggi palestinesi, sparano ai bambini e se li colpiscono festeggiano. Non
sono Netanyahu, ma giovani israeliani, e non è neanche detto che gliel’abbiano
ordinato. Certamente sanno che se lo fanno non sono puniti”.
La denuncia si sposta poi sul fronte interno, quello dell’informazione italiana
e della sua capacità – o volontà – di raccontare la materialità della tragedia
di Gaza: “L’informazione italiana è censurata, autocensurata, evita di
raccontare le cose più terribili. Questo avviene in altri paesi meno. Se uno
andasse alla televisione italiana a leggere, e io penso che lo farò, un articolo
di Le Monde o del Guardian, verrebbe chiamato antisemita”. Da qui il primo
compito politico: “Bisogna dire all’opinione pubblica italiana quello che
accade, anche a volte raccontando episodi terribili ma significativi. In altri
paesi c’è una maggiore informazione vera, da noi meno e credo questo sia un
primo problema. Noi non possiamo confidare sui governi“.
La sua analisi segna una distanza abissale tra l’Europa di ieri e quella di
oggi: “Prima l’Unione Europea c’era, oggi non c’è più“. La Ue che negli anni
Novanta consentì all’Italia di giocare un ruolo autonomo nelle conferenze di
pace non esiste più: “I governi europei sono un’immagine penosa. Qualche giorno
fa il governo tedesco, di cui fa parte la socialdemocrazia, ha deciso, dato che
c’è la tregua, di riprendere la fornitura di armi a Israele. È difficile
commentare cose di questo tipo”. L’evocazione di quell’Europa “che ci dette la
forza di fare cose che oggi purtroppo non sono pensabili” è insieme memoria e
atto d’accusa.
Nell’assenza di una politica capace di orientare gli eventi, la responsabilità
spetta ai cittadini. Il boicottaggio assume quindi la statura di una scelta
morale e strategica: l’episodio che l’ex presidente del Consiglio racconta (una
signora al supermercato che rimette sullo scaffale un prodotto israeliano)
diventa immagine di una possibile pedagogia civile: “Mi sono complimentato con
lei. Si fa così”.
Il boicottaggio, tuttavia, non basterebbe senza un impegno politico
istituzionale. D’Alema tocca il nodo dell’accordo di associazione Ue-Israele: “È
illegale, è illegittimo. Mi domando persino se non sia possibile un’azione di
fronte alla Corte Europea perché dice che è applicabile solo se c’è il rispetto
dei diritti umani e neppure la Meloni può sostenere che Netanyahu rispetti i
diritti umani”. Di conseguenza quell’accordo dovrebbe diventare “un grande tema
di mobilitazione popolare e di lotta politica nel Parlamento europeo e nei
Parlamenti nazionali”.
Il conflitto, ribadisce D’Alema, ha ormai oltrepassato la soglia in cui le parti
possano trovare un’intesa autonoma: “Lo spazio perché si trovi una soluzione tra
le parti non c’è più. Il rapporto è troppo asimmetrico ed è avvelenato da una
violenza che ha cancellato gli spazi di collaborazione. Senza una forza militare
internazionale non si arriverà mai a fermare le violenze”. La pressione
internazionale e l’attivazione della società civile assumono quindi un ruolo
decisivo.
Il discorso si concentra infine sul governo Meloni e sull’Italia, tratteggiata
come un paese che ha smarrito la sua tradizione diplomatica: “C’è il problema
del governo italiano, della povertà, della furbizia, del nulla che ha
rappresentato l’Italia in questa vicenda rispetto a una nostra tradizione.
Andreotti e Craxi oggi ci appaiono dei giganti. Non avrei mai pensato di passare
la gioventù a combatterli e di passare la vecchiaia a rimpiangerli”. Figure che,
nel confronto con l’oggi, “appaiono come enormi personalità della difesa del
diritto internazionale, dei diritti dei popoli”.
E suggerisce al centrosinistra: “Il governo andrebbe incalzato di più, in modo
più vigoroso e unitario“.
C’è tuttavia un riconoscimento al Pd: “Ho apprezzato il modo in cui il gruppo
dirigente e la segretaria Schlein, a un certo punto hanno preso in mano questa
bandiera (palestinese, ndr)”. E si apre una riflessione politica più ampia: il
tema di Gaza è ormai anche fattore di consenso presso le nuove generazioni.
“Penso che sia un tema seriamente importante, persino dal punto di vista
elettorale del consenso”.
Lo dimostrerebbe il caso americano: “Una delle ragioni per cui hanno perso le
elezioni è quella di avere sostenuto Netanyahu. Trump non ha vinto perché ha
conquistato voti, ha vinto perché i democratici ne hanno persi 9 milioni, e una
parte di questa perdita è avvenuta in un elettorato giovanile proprio come
reazione alle scelte della politica internazionale americana”.
Il monito finale di D’Alema riguarda il centrosinistra italiano, chiamato a non
eludere la questione: sarà, sostiene, una delle linee di frattura che
orienteranno la partecipazione politica dei giovani.
E chiosa con una frecciata ai riformisti filo-israeliani del Pd: “Questa
mobilitazione per Gaza deve continuare. Forse è anche opportuno che il Pd faccia
una sua discussione interna. Ci sono delle sbavature, alcune delle quali sono
anche dolorose, E secondo me non servono. Non servono neanche all’immagine del
Pd. Però non voglio intromettermi da persona esterna e indipendente di
sinistra”.
L'articolo D’Alema: “Israele va boicottato. I giovani che protestano per Gaza
sono l’ultimo baluardo della civiltà europea” proviene da Il Fatto Quotidiano.
Il deputato del Pd Piero Fassino fa da ponte con i colleghi di maggioranza verso
Israele, Paese che comunque, ha detto oggi pomeriggio collegato in diretta dal
Parlamento di Gerusalemme, per lui “è una società aperta, una società libera,
una società democratica, una società che anche su questi due anni – quelli
dell’invasione della Striscia di Gaza, ndr – e sulle prospettive ha una
dialettica democratica per chi propone certe soluzioni e chi ne propone altre”.
Senza specificare le soluzioni in campo, tra cui al momento avrebbe dovuto
menzionare anche il genocidio in corso. Ilfattoquotidiano.it ha provato a
contattare Fassino per ulteriori chiarimenti, ma al momento risulta
irraggiungibile.
Nonostante la segretaria del Pd Elly Schlein abbia criticato fino a poche
settimane fa i rapporti con il governo di Netanyahu e chiesto a Giorgia Meloni
nello specifico di interrompere quelli militari, il deputato dem ha parlato alla
Knesset col gruppo di collaborazione parlamentare previsto dal protocollo con
Israele con la finalità di rilanciare l’amicizia tra i due popoli a fianco del
leghista Paolo Formentini, presidente del gruppo, e al deputato di Forza Italia,
Andrea Orsini. Il dem non compare nemmeno tra i membri ufficiali sul sito della
Camera: la lista annovera, oltre a Formentini e Orsini, Giuseppe Provenzano
(Partito Democratico), responsabile esteri di Schlein, Stefano Giovanni Maullu
(Fratelli d’Italia) e Alfonso Colucci (M5S). I dem prendono le distanze:
Provenzano, fanno sapere dal partito, non era informato della missione, comunque
Fassino gli era già subentrato nel gruppo e la pagina web non è stata ancora
aggiornata.
L’occasione per il collegamento è stata la conferenza stampa ospitata dalla Lega
presso la sala stampa della Camera e organizzata da Celeste Vichi, presidente
dell’Unione associazioni Italia-Israele, la stessa presidente che ha premiato il
vicepremier Matteo Salvini lo scorso 22 luglio ber i buoni rapporti con Tel
Aviv.
Fassino, in video, attorniato dalle bandierine tricolore e con la stella di
Davide ha fatto uno degli interventi più calorosi: “Naturalmente, nel momento in
cui siamo qui, tutti i nostri colloqui stanno vertendo sulla situazione che da
due anni vive Israele e le sue prospettive – ha specificato – Quindi questo è il
senso anche della nostra visita, ossia riaffermare la necessità di una relazione
forte tra Italia e Israele, ripeto, essendo legittimo in ciascuno l’esprimere
valutazioni diverse sulle scelte che il governo israeliano fa. I governi
passano, gli Stati rimangono e noi siamo interessati a costruire una relazione
tra Italia e Israele che vada al di là dell’orizzonte di un governo che in
questo momento è in carica”.
Per Vichi il collegamento di oggi ha avuto “un altissimo valore politico, la
vicinanza a Israele può veramente essere un valore trasversale”. Dall’Italia
hanno partecipato all’evento Alessandro Bertoldi, direttore dell’Istituto Milton
Friedman, e Lidano Grassucci, vicepresidente dell’Unione delle associazioni.
Grassucci si è lamentato: “C’era gente che mentre passava dalla sala stampa ha
guardato lo schermo e vedendo i parlamentari con le bandierine di Israele ha
detto ‘mamma mia”’. E se l’è presa con “i movimenti per la liberazione della
donna, degli omosessuali, che invocano la libertà, che si trovano a difendere
Stati teocratici”. L’associazione ieri ha ha fatto il suo settimo congresso e ha
richiesto l’adozione di un disegno di legge che recepisca la definizione
operativa di antisemitismo e Grassucci ha fatto l’elenco dei partecipanti in
presenza o in collegamento: oltre all’ambasciatore israeliano, Jonathan Peled,
il capogruppo di Forza Italia, Maurizio Gasparri, la leghista Simonetta Matone,
il deputato del Pd, Graziano Delrio, e di PiùEuropa, Benedetto Della Vedova,
c’era anche Stefano Parisi, presidente dell’associazione Setteottobre.
I parlamentari hanno ricordato che questa mattina è stata vandalizzata la
sinagoga di Monteverde Vecchio, a Roma, e per loro è in corso uno scontro di
civiltà. Per il forzista Orsini “difendere Israele non significa difendere un
Paese liberale e democratico, significa difendere noi stessi. L’ebraismo è una
delle parti costituenti della nostra cultura, della nostra civiltà,
dell’Occidente”. Formentini ha chiuso il collegamento con una promessa: “Vi
salutiamo e continueremo a collaborare quando torneremo in Italia”.
L'articolo Schlein critica il governo per i rapporti con Israele e Fassino parla
alla Knesset: “Paese democratico, anche negli ultimi due anni” proviene da Il
Fatto Quotidiano.
“Autonomi”, sì. Ma non troppo. Con “libertà di iniziativa politica”, purché non
disturbi. Invitati ad essere “un passo avanti al Pd stesso”, salvo poi essere
ricondotti immediatamente nei ranghi. I Giovani Democratici provano a spiccare
il volo, a margine di un evento di Sinistra per Israele si schierano con i
manifestanti pro-Palestina e criticano le posizioni del deputato dem Emanuele
Fiano. Ma vengono respinti sia dagli attivisti anti-sionisti, sia dal loro
stesso partito, che si dissocia e li rimprovera. Appena due settimane fa la
segretaria Elly Schlein, al Congresso GD di Napoli, li aveva invitati a essere
“autonomi”, “un passo avanti a noi”. Peccato che, non appena le nuove leve
l’hanno presa in parola, i big di partito si siano infiammati.
Il casus belli risale a lunedì 24, durante la serata “La pace è possibile?”,
organizzata dall’Associazione Italia-Israele, alla Biblioteca Caversazzi di
Bergamo. Sul palco, oltre a Fiano, ci sono Luciano Belli Paci , anche lui come
il dem di Sinistra per Israele, e il giornalista Gabriele Eschenazi. Una volta
entrati gli ospiti e il pubblico, una quarantina di manifestanti pro-Pal resta
fuori, insieme a dieci giovani dem. Sono proprio questi ultimi a dichiarare che
“la sinistra non può dialogare con ‘sionisti moderati’, ma con antifascisti e
antisionisti”. Una presa di posizione che però non trova sponde: gli altri
attivisti li isolano accusandoli di voler “lavare la coscienza a un partito
imperialista”, il Pd bergamasco interviene subito per prendere le distanze.
A rimproverare la propria giovanile sono la sindaca di Bergamo Elena Carnevali,
i consiglieri regionali Davide Casati e Jacopo Scandella, e Pasquale Gandolfi
della direzione provinciale. In una nota firmata anche dall’europarlamentare
Giorgio Gori, i politici dem esprimono “netta contrarietà” e “viva solidarietà”
a Fiano, già contestato poche settimane fa alla Ca’ Foscari di Venezia. Si può
“dissentire dalle sue posizioni”, scrivono, ma “non è accettabile che la sua
battaglia per ‘due popoli e due Stati’, incentrata sui diritti del popolo
israeliano e di quello palestinese, venga messa all’indice”.
Parole che trovano eco in altri esponenti del partito. Dopo il crescere delle
polemiche, i GD Lombardia rispondono apertamente sui social con un post
Instagram in cui rivendicano la propria “coerenza nel sostegno alla causa
palestinese” e spiegano di aver voluto un confronto “aperto e consapevole”,
attraverso un “presidio pacifico” che esprimesse una “posizione autonoma”.
Esattamente quel “conflitto dialettico e costruttivo” che Schlein auspicava dal
palco di Napoli.
Eppure le posizioni discordanti non riguardano solo il rapporto tra Pd e Giovani
Democratici, ma il Nazareno stesso. Alla Festa de L’Espresso, appena pochi
giorni fa, il consigliere regionale Paolo Romano sosteneva che le posizioni più
nette in difesa di Israele sarebbero “minoritarie nel partito”: “Riguardano una
persona su cento, praticamente l’errore statistico”. Un uno per cento che sembra
però avere un peso specifico non irrilevante: abbastanza da frenare sul nascere
le iniziative delle nuove leve GD, appena uscite da un congresso arrivato dopo
cinque anni di blocco e fresche dell’elezione della segretaria Virginia Libero.
Così, a quindici giorni dal congresso che sembrava aver dato nuovo slancio al
movimento giovanile, e a ottocento chilometri da Napoli, il giovane segretario
provinciale di Bergamo, Lorenzo Lazzaris, si è ritrovato prima respinto dai
coetanei militanti della sinistra, poi duramente rimproverato dalla “vecchia
guardia” istituzionale. E ammainando la bandiera arancione, a margine
dell’evento dedicato alla pace, ha sancito suo malgrado l’ennesima frattura dem.
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li sgridano. Schlein aveva chiesto: “Siate autonomi” proviene da Il Fatto
Quotidiano.
Vice-sindaca di un piccolo paese del Salento, 38 anni e una vita trascorsa in
ambienti culturali. È l’identikit dell’esponente del Pd che prenderà il posto di
Antonio Decaro al Parlamento europeo dopo la sua elezione a presidente della
Regione Puglia. A volare a Bruxelles sarà Georgia Tramacere, vice-sindaca di
Aradeo, paese di 9mila abitanti in provincia di Lecce. Alle scorse Europee,
Tramacere aveva raccolto 35mila voti risultando la prima dei non eletti nel Pd
nella circoscrizione Sud.
Per quanto riguarda le commissioni parlamentari, le assegnazioni non sono
automatiche: Tramacere potrebbe entrare in commissione Ambiente, come il suo
predecessore, oppure il suo gruppo potrebbe decidere di scambiarla con un altro
dei suoi eurodeputati, assegnandole una diversa commissione parlamentare. La sua
formazione, infatti, è legata prevalentemente al mondo della cultura e dello
spettacolo.
Operatrice culturale, la vice-sindaca è figlia di storici imprenditori teatrali,
fondatori del Teatro Koreja di Lecce, e da anni è impegnata nelle politiche
culturali e sociali con un occhio di riguardo per i giovani e le aree interne.
“È una grande opportunità per continuare a lavorare per la mia comunità”, aveva
dichiarato nelle scorse settimane commentando la possibilità di subentrare a
Decaro, la cui vittoria era considerata molto probabile prima del voto.
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posto di Decaro al Parlamento Ue proviene da Il Fatto Quotidiano.