Sul poster dietro al lettino dello studio c’è scritto che l’idrocolonterapia è
“indolore, efficace e senza rischi”. Un’ambientazione quasi da film horror,
scoperta stamattina dai poliziotti della Squadra mobile. A Prato, un uomo di 53
anni è finito agli arresti domiciliari per il presunto servizio abusivo di
idrocolonterapia nello studio della moglie, medico endoscopista. Secondo le
indagini, poi, tre pazienti donne sarebbero state vittime di violenze sessuali
durante le sedute dell’uomo. Due di loro hanno trovato il coraggio di denunciare
gli abusi.
Sull’arrestato, ex guardia giurata, le ipotesi di reato sono esercizio abusivo
della professione medica e violenza sessuale. Anche sulla moglie, la titolare
dello studio, c’è l’ipotesi di esercizio abusivo della professione medica, per
aver indirizzato i pazienti alle sedute del marito. Gli arresti domiciliari del
50enne sono stati disposti dal gip su richiesta della Procura di Prato. Con un
comunicato, il procuratore Lusca Tescaroli invita chiunque abbia subìto degli
abusi o condotte prevaricatorie a esporre denuncia.
Lo studio è dall’altra parte di una tenda scura. Decorazioni e oggetti
orientaleggianti sulle pareti. Sempre sul poster si legge: “idricolonterapia,
l’acqua che depura, rivitalizza e dona benessere”. Accanto, il macchinario per
le sedute, che dai filmati sembrerebbe essere un’apparecchiatura prodotta da una
azienda tedesca. Le sonde utilizzate per i trattamenti erano conservate in
prossimità di bidoni della spazzatura, delle condizioni igienico-sanitarie
pericolose per i pazienti dello studio medico.
La titolare dello studio pubblicizzava l’idroncolonterapia sui social come una
pratica medica. L’idrocolonterapia consiste nel lavaggio dell’intestino
attraverso l’introduzione nel retto di acqua dolce filtrata. Secondo l’Iss,
questa pratica invasiva non ha nessuna utilità, ma può invece procurare danni
anche molto gravi come la perforazione del colon.
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per abusi sessuali proviene da Il Fatto Quotidiano.
Tag - Sanità Privata
Ieri ho seguito in streaming l’iniziativa promossa da Rosy Bindi nella sede del
Senato a palazzo Giustiniani dal titolo “Legge di bilancio, ancora un colpo alla
sanità pubblica”. Questa conferenza, molto simile alle parate, ha – quasi – un
copione standard: da una parte Bindi e i suoi generali cioè i suoi relatori e
dall’altra almeno 140 associazioni per lo più riconducibili al privato sociale,
ai movimenti cattolici, a laboratori sociali, a diversi forum, tutti schierati,
come se fossero un esercito. Che cosa voglia fare la Bindi di questo esercito è
chiaro solo a lei. Mio nonno Primo mi diceva che neanche il cane muove la coda
per niente. Immagino che Bindi abbia i suoi bravi propositi e le sue brave
ambizioni che peraltro non sono neanche tanto difficili da comprendere. Niente
di male sia chiaro. Tempo fa qualcuno l’ha persino candidata alla presidenza
della Repubblica.
Da tempo, come sanno tutti, sostengo nei miei libri e nei mei articoli che Bindi
si comporti da “imbrogliona”: una ex ministro della Sanità che al governo di
destra chiede più soldi per la sanità pubblica ma nello stesso tempo non è in
nessun modo disponibile a modificare le terribili politiche neoliberiste da lei
fatte con la sua devastante controriforma. In cosa consiste l’imbroglio?
Chiedere più soldi per la sanità pubblica oggi, senza toccare di un euro la
batteria di incentivi fiscali per mezzo della quale grazie alla riforma Bindi
cresce senza soste la privatizzazione, è materialmente impossibile. Lo
stanziamento per finanziare le due sanità – quella pubblica e quella privata –
dovrebbe essere complessivamente raddoppiato e tutti sanno che oggi le
condizioni economiche per farlo non ci sono per non tacere del vincolo che il
governo ha preso con l’Europa di assegnare il 6% del Pil alle spese militari.
Ma l’imbroglio della Bindi si vede anche per un altro fatto del quale essa non
sembra per nulla turbata: come mai la destra per appaltare al privato i servizi
sanitari pubblici ritiene che basti applicare fino in fondo proprio la
controriforma Bindi?
Infine un’altra ragione. Ormai il sistema pubblico sta sbandando, come dicono
tutti i dati, verso il privato: ormai la gente per potersi curare è obbligata a
pagare. Se è così, è ovvio che per rimettere in carreggiata la sanità pubblica
bisogna ridimensionare la sanità privata, come è altrettanto ovvio che per
ridimensionare la sanità privata bisogna cancellare – ripeto cancellare – la
controriforma della Bindi e fare un’altra legge. E’ impossibile ridurre la
privatizzazione senza cambiare quella norma.
Io credo che, con la destra al governo, imbrogliare sulla sanità oggi sia molto
pericoloso per la sinistra. La maggior parte di questa sinistra – proprio perché
bisogna combattere la destra – preferisce far finta di niente, negando anche di
fronte all’evidenza l’imbroglio. Ma questo implica un altro imbroglio: la
manipolazione dell’informazione.
Per questo vorrei rendere noti due episodi concreti che riguardano i miei
rapporti con due giornali con i quali ho avuto lunghe collaborazioni: con
entrambi ci sono stati scambi diretti e interlocuzioni che non hanno avuto alcun
esito. Il primo è relativo al Manifesto, giornale storico della sinistra
italiana, per il quale – fin dalla sua nascita (1971) – ho scritto pro bono, a
difesa sia della sanità pubblica che dell’articolo 32. Il secondo è relativo a
Quotidiano sanità, giornale on line di proprietà di “Consulcesi group”, sul
quale ho scritto – sempre pro bono – per 25 anni quindi fin dalla sua nascita.
La coincidenza vuole che entrambi i giornali abbiano cambiato nello stesso anno
(2023) la gerenza e che – anche se per ragioni molto diverse – siano arrivati ad
adottare comportamenti censori contro di me che gli imbrogli vorrei denunciarli.
Il Manifesto – forse considerando Bindi come Rosa Luxemburg – è arrivato a
vietare a me che non la considero tale la libertà di esprimere un’opinione
quindi censurando le mie critiche. Quotidiano sanità idem, con in più
l’intolleranza del giornale padronale verso coloro che, oltre a denunciare gli
imbrogli, denunciano la destra che mette a regime le riforme della Bindi. Non ho
potuto nemmeno pubblicare una lettera d’addio ai lettori.
Se la censura la intendessimo come severa riprensione di certi valori, allora
due cose sarebbero chiare: che la critica alla privatizzazione della sanità e
dei suoi responsabili in nome della difesa dei diritti è la prima causa della
censura di cui mio malgrado ritengo di essere vittima; che le censure che mi
sono state imposte servono a imbrogliare di più e meglio perché sono tutte
finalizzate a nascondere le verità sui responsabili della privatizzazione.
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