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“Sono stato assolto dall’accusa di evasione fiscale. I brand e le persone mi hanno abbandonato. Vi ho odiati”: lo streamer St3pny si sfoga su YouTube
St3pny è stato assolto dall’accusa di evasione fiscale. La notizia arriva direttamente dallo youtuber che ha raccontato la storia con un video sulla piattaforma: “Non sapete quante volte in questi anni ho sperato di registrare questo contenuto”. Stefano Lepri, il nome dello streamer all’anagrafe, ha parlato delle difficoltà vissute dal 2021, quando in tribunale fu condannato a 8 mesi di reclusione per non aver dichiarato allo Stato 75 mila euro di Iva. “Ieri era l’ultima data disponibile, poi il caso sarebbe caduto in prescrizione e avrei lottato alla ricerca della verità invano”, ha detto il ragazzo, in passato uno degli streamer con più visualizzazioni su YouTube. “VI HO ODIATI” St3pny si è sfogato, raccontando brevemente l’inizio della vicenda: “La notizia è arrivata dai giornali prima che la ricevessi io, è stata disgustosa”. Il 31enne ha detto di essere stato “distrutto” e ha svelato che “i brand e le persone mi hanno abbandonato“. Una storia non semplice, appesantita dalle battute delle persone sul web. Stefano Lepri, senza filtri, ha messo in chiaro che non perdonerà chi lo ha denigrato: “Voi che avete fatto i meme a riguardo, vi ho odiati. Mi avete portato al minimo della sopportazione umana. Non sono Dio, non vi perdono”. La vicenda si è conclusa con un lieto fine: “Ieri c’è stato il processo e mi hanno assolto. Sono ufficialmente innocente. Quando mi ha chiamato l’avvocato sono rinato” ha dichiarato St3pny ai suoi followers. L'articolo “Sono stato assolto dall’accusa di evasione fiscale. I brand e le persone mi hanno abbandonato. Vi ho odiati”: lo streamer St3pny si sfoga su YouTube proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Ecco il primo report sull’evasione nei 27 Paesi Ue: Italia nel mirino per il nero degli autonomi e la riscossione che fa acqua
L’Italia continua a distinguersi in Europea per il livello di evasione fiscale concentrato sul lavoro autonomo e una riscossione che fatica a trasformare gli accertamenti in incassi. Sono alcune delle evidenze che emergono dal nuovo rapporto Mind the Gap della Commissione europea, primo tentativo di offrire una fotografia comparabile dei “buchi” fiscali nei 27 Stati membri. Il documento, che distingue tra mancati introiti dovuti all’infedeltà dei contribuenti e gap determinati da scelte politiche come agevolazioni, esenzioni e sgravi di vario tipo, non consente però di creare una classifica europea dell’evasione: solo per l’Iva, che è un’imposta comunitaria, esistono infatti stime armonizzate per tutti i 27 Paesi. I dati sulle imposte dirette restano invece scarsamente comparabili, perché solo pochi Paesi pubblicano stime disaggregate per categoria di reddito. IL PRIMATO ITALIANO L’Italia almeno da questo punto di vista è virtuosa perché è tra i pochi Stati che stimano ogni anno sia il tax gap (differenza tra le imposte dovute e quelle effettivamente versate) relativo alla tassazione del reddito di impresa sia quello che riguarda l’Irpef, la tassazione personale. E rende pubbliche le previsioni nella Relazione sull’economia non osservata e sull’evasione fiscale e contributiva. Ma le buone notizie finiscono qui. La scheda Paese ricorda che nel 2022 l’evasione complessiva è tornata a superare i 100 miliardi di cui 37 (dai 35 dell’anno prima) non versati dai lavoratori autonomi e piccole imprese, la cui propensione al nero è poco sotto il 60% (59,8%). Un confronto con gli altri Paesi Ue come detto è impossibile per mancanza di dati comparabili. Ma per esempio la Svezia, che pubblica (non tutti gli anni) stime dettagliate sul tax gap dell’imposta personale, stando a controlli causali ha registrato tra 2014 e 2018 per i redditi da “business activities” un gap del 21%. Non minuscolo, comunque lontano anni luce dai livelli italiani. In aumento anche il gap sull’Ires, cioè l’imposta sugli utili delle imprese: è salita al 19,5% per un valore assoluto di 10,3 miliardi, dai 7,6 del 2021. Stando al rapporto, la media sulla base delle stime disponibili per 23 Paesi Ue è del 10,9%. Al contrario, l’evasione è residuale tra i lavoratori dipendenti: il gap si ferma al 2,1% per i lavoratori irregolari e al 5,7% se si considerano le addizionali regionali. Non sorprende che il peso sul pil dell’economia sommersa – attività non dichiarate, sottostimate o illegali, lavoro nero – sia soffocante: uno studio del Parlamento europeo nel 2022 l’aveva quantificato nel 20,2% del Pil, quasi tre punti percentuali sopra la media Ue (17,5%). Secondo le ultime stime Istat, nel 2023 l’economia non osservata valeva circa 198 miliardi di euro, pari al 10,2% del Pil, in aumento di oltre 15 miliardi rispetto all’anno precedente. Lo scarto tra le due quantificazioni dipende da differenze metodologiche. LA RISCOSSIONE CHE ARRANCA La Commissione riconosce che l’Italia ha fatto progressi importanti sul fronte della digitalizzazione grazie a fatturazione elettronica, interoperabilità delle banche dati e utilizzo di strumenti di analisi avanzata, che nel medio periodo hanno ridotto il tax gap complessivo dal 19,6% del 2018 al 17% circa. Ma la dimensione resta elevata e il recupero effettivo delle imposte accertate è limitato. Nel 2024, a fronte di 72,3 miliardi di evasione fiscale accertata, il recupero effettivo si è fermato a 12,8 miliardi, pari al 17,7%. La riscossione coattiva arranca ancora di più, con incassi fermi al 3,1% a fronte di 40,7 miliardi di euro di somme accertate. Un dato che fotografa una debolezza strutturale della fase finale del sistema di contrasto all’evasione: quella che va dall’accertamento all’effettivo incasso. Nel 2023, le cartelle pendenti a fine anno ammontavano al 180,8% delle entrate nette complessive, a fronte di una media Ue del 30,7%. La gran parte di questi crediti è considerata di fatto non riscuotibile. Da vedere se la riforma messa in campo nell’ambito della delega fiscale sarà sufficiente per invertire la rotta. Non aiuta che la legge di Bilancio 2026 prevede una nuova rottamazione delle cartelle. Il rapporto richiama a questo proposito le valutazioni della Corte dei conti, secondo cui l’aspettativa diffusa di future sanatorie e condoni fiscali può indurre i contribuenti a rinviare il pagamento confidando di farla franca o al massimo salire sul carro della prossima definizione agevolata. L’EVASIONE IVA AUMENTATA NEL 2023 A livello europeo, l’evasione Iva nel 2023 è stimata in 128 miliardi di euro, pari a circa il 9,5% della base imponibile teorica. L’Italia si colloca ancora sopra la media Ue. Negli anni 2021-2022 la Penisola aveva registrato un forte calo del gap dal 19 al 15%, in parte legato al boom dell’edilizia e al Superbonus 110%, che ha incentivato l’emersione delle transazioni nel settore delle costruzioni. Ma nel 2023 si è registrato – così come in diversi altri Paesi membri – un nuovo aumento a circa 25 miliardi. Il peggioramento potrebbe essere stato determinato in parte dalla progressiva abolizione della maxi detrazione e in parte dalla normalizzazione della domanda dopo il rimbalzo post-pandemico: in particolare il buon andamento di turismo, servizi ricreativi e ristorazione, caratterizzati da livelli di compliance fiscale sotto la media, potrebbe spiegare perché la riduzione dell’evasione ha conosciuto una battuta d’arresto. In aggiunta, anche il gap dovuto a misure introdotte dalla politica (riduzioni ed esenzioni) è sopra la media Ue: nel 2023 era pari al 55% del gettito potenziale, contro una media del 51%. IL BUCO NERO DELLE TAX EXPENDITURE E per restare ai “buchi” creati da chi è al governo, il rapporto ricorda che in Italia le agevolazioni fiscali o tax expenditure introdotte anno dopo anno e mai cancellate si tradurranno nel 2025 in mancate entrate per ben 119 miliardi di euro. Vale a dire circa l’11,4% del gettito fiscale totale riscosso dallo Stato, il 5,8% del pil. Vengono monitorate in un rapporto ad hoc e da anni si parla della necessità di “disboscarle”, ma nessuno ha avuto il coraggio di metterci mano pesantemente visto che dietro ogni agevolazione ci sono gli interessi di piccole o grandi platee di contribuenti. L'articolo Ecco il primo report sull’evasione nei 27 Paesi Ue: Italia nel mirino per il nero degli autonomi e la riscossione che fa acqua proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Si rafforza la stretta sui compensi pubblici ai professionisti che hanno irregolarità fiscali
Giro di vite per la norma della legge di Bilancio, all’esame del Senato, che vincola il saldo delle parcelle dei liberi professionisti che lavorano per la pubblica amministrazione alla loro regolarità fiscale e contributiva. La riformulazione del testo siglata dal ministero dell’Economia, arrivata giovedì sera, estende infatti lo stop al pagamento a tutti gli emolumenti, inclusi quelli dovuti da soggetti diversi dalla Pa per incarichi con compensi “a carico dello Stato”. Il presidente dell’Istituto nazionale tributaristi, Riccardo Alemanno, è favorevole: “Avevo dichiarato già sulla norma originaria che ero assolutamente d’accordo sul fatto che un professionista, come tutti i contribuenti, debba pagare regolarmente imposte, tasse e contributi, che poi questa regolarità sia anche condizione per ricevere i giusti compensi da parte della Pa”. Ma nelle settimane passate, quando la disposizione meno restrittiva di quella governativa era stata inserita nella manovra, le categorie ordinistiche avevano protestato. Il presidente del Consiglio nazionale forense (Cnf) Francesco Greco in una nota del 28 ottobre scorso aveva parlato di una norma “vessatoria e discriminatoria nei confronti dei liberi professionisti”. Questo perché i lavoratori dipendenti, “se inadempienti ai propri obblighi fiscali, anche di importo rilevante, mantengono il diritto, ovvio e corretto, alla retribuzione”. Ma è ben noto che la tendenza a evadere degli autonomi è ben superiore rispetto a quella di chi è soggetto a sostituto di imposta. Nei giorni scorsi, diversi esponenti parlamentari della maggioranza di centrodestra avevano però sostenuto che la disposizione sarebbe stata modificata, lasciando intendere che si sarebbe andati verso un ammorbidimento. Ora le associazioni di categoria sono sul piede di guerra. “Abbiamo chiesto la soppressione della norma contenuta in Legge di Bilancio e, invece, sembrerebbe che sia ancora più stringente”, commenta la presidente di Confcommercio professioni Anna Rita Fioroni, perché impone “di produrre la documentazione comprovante la regolarità fiscale contestualmente alla presentazione della fattura per le prestazioni rese alla Pubblica amministrazione”, “una condizione vessatoria”. “Ci domandiamo il perché di questa prova ‘diabolica’ a carico dei professionisti, quando a nessun altro viene chiesta. Peraltro già oggi c’è una previsione vigente che inibisce il pagamento di somme superiori a 5.000 euro, se ci sono importi iscritti a ruolo a carico del professionista”. “La meritoria e improcrastinabile attenzione alla regolarità fiscale e contributiva non credo debba porre discriminazioni in termini di diritto tra lavoratori autonomi e subordinati”, aggiunge il presidente dell’Adepp, l’Associazione delle Casse previdenziali private, e dell’Enpam (l’Ente pensionistico dei medici e degli odontoiatri) Alberto Oliveti. La “lotta all’evasione va portata avanti, ma ciò deve avvenire nei confronti di tutti”. L'articolo Si rafforza la stretta sui compensi pubblici ai professionisti che hanno irregolarità fiscali proviene da Il Fatto Quotidiano.
Speciale legge di bilancio
Manovra
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Irene Pivetti condannata anche in appello per evasione e autoriciclaggio a 4 anni, l’ex presidente della Camera: “Sono innocente”
Quattro anni per evasione fiscale e auto riciclaggio. La Corte d’Appello di Milano ha confermato integralmente la condanna di primo grado nei confronti di Irene Pivetti, ex presidente della Camera ed ex esponente della Lega. La decisione della IV sezione penale, composta dai giudici Fagnoni, Centonze e Marchiondelli, accoglie le richieste della sostituta procuratrice generale Franca Macchia e del pm Giovanni Tarzia, quest’ultimo applicato al processo di secondo grado. Il verdetto ribadisce in toto quanto stabilito dal Tribunale il 26 settembre 2024. Il procedimento riguarda una serie di operazioni commerciali del 2016 per un valore complessivo di circa 10 milioni di euro. Secondo le indagini del pm Tarzia e del Nucleo di polizia economico-finanziaria della Guardia di Finanza, tali operazioni avevano al centro la compravendita di tre Ferrari Granturismo e sarebbero state strumentali al riciclaggio di proventi di illeciti fiscali. Oltre alla condanna inflitta a Pivetti, la Corte ha confermato anche le pene a due anni — con sospensione condizionale e non menzione — per il pilota di rally ed ex campione di Granturismo Leonardo “Leò” Isolani e per la moglie Manuela Mascoli. I giudici hanno inoltre confermato la confisca di oltre 3,4 milioni di euro, importo già congelato durante le indagini a carico dell’ex parlamentare. Cuore dell’inchiesta vi è il ruolo di intermediazione svolto da Only Italia, società riconducibile a Pivetti, nelle operazioni del Team Racing di Isolani. Quest’ultimo, gravato da un debito fiscale di 5 milioni di euro, avrebbe tentato di occultare al fisco alcuni beni, tra cui le tre Ferrari, attraverso una finta vendita al gruppo cinese Daohe, finalizzata al trasferimento delle vetture in Spagna. Tuttavia, secondo l’imputazione, l’unico bene realmente “ceduto” ai cinesi sarebbe stato il logo della Scuderia Isolani abbinato a quello Ferrari. Gli inquirenti contestano che, mentre Isolani e Mascoli miravano a dissimulare la proprietà dei beni per sottrarli al fisco, l’obiettivo dell’ex leghista sarebbe stato acquistare il marchio Isolani-Ferrari per rivenderlo al gruppo cinese a un prezzo dieci volte superiore, senza comparire direttamente nelle operazioni. La Procura sostiene infatti che l’ex presidente della Camera avrebbe acquisito il logo per 1,2 milioni di euro, per poi tentare di cederlo a Daohe a 10 milioni. Nella sentenza di primo grado si affermava che Pivetti, “dopo aver realizzato un meccanismo particolarmente capzioso, pur di scongiurare il rischio che le somme conseguenti alla realizzazione delle operazioni commerciali con il contraente cinese fossero soggette a tassazione, ha portato avanti il suo proposito criminoso per lungo tempo”. Inoltre i magistrati avevano sottolineato che l’imputato non si era mai ravveduta. “La verità verrà fuori, sono tranquilla, la verità è che io sono innocente” ha commentato l’imputata. L’ex presidente della Camera ha dichiarato di essersi aspettata “un esito diverso” e di attendere ora “con curiosità” le motivazioni della sentenza, precisando di non essere preoccupata: “La verità è che io sono innocente, come ho sempre detto e anche dimostrato nelle carte di questo processo. Non so come mai è stata confermata la sentenza, ce lo spiegheranno le motivazioni”. La vicenda giudiziaria ha registrato un passaggio rilevante già nel settembre 2022, quando la Cassazione confermò il sequestro di quasi 3,5 milioni di euro a carico di Pivetti. L’ex parlamentare, difesa dall’avvocato Filippo Cocco, ha più volte ribadito di aver sempre adempiuto ai propri obblighi fiscali. Il suo legale aveva chiesto l’assoluzione, respinta sia dal Tribunale sia ora dalla Corte d’Appello. La difesa dovrà attendere il deposito delle motivazioni per valutare un eventuale ricorso in Cassazione. L'articolo Irene Pivetti condannata anche in appello per evasione e autoriciclaggio a 4 anni, l’ex presidente della Camera: “Sono innocente” proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Voli privati, evasione record: compagnie estere non versano la tassa ambientale per oltre 2 milioni
Un’evasione fiscale da oltre due milioni di euro nel settore dei voli privati è stata scoperta dai militari della Guardia di finanza di Bologna e Milano, grazie a un’indagine che ha messo sotto la lente il traffico degli aerotaxi operati da compagnie straniere. Si tratta della mancata applicazione dell’imposta ambientale dovuta per ogni passeggero imbarcato su voli privati on demand, una tassa introdotta nel 2011 per compensare l’impatto ecologico degli aerei di lusso e destinare fondi alla tutela ambientale. L’inchiesta è partita dal monitoraggio dei movimenti all’aeroporto Marconi di Bologna tra il 2021 e il 2024. I finanzieri hanno analizzato i voli di 200 compagnie estere, incrociando i dati sugli atterraggi e decolli con le informazioni fiscali disponibili nelle banche dati del Corpo. Ne è emerso un quadro chiaro: oltre 12.700 passeggeri su 2.600 voli avrebbero versato l’imposta alle società, che però non l’hanno poi trasferita allo Stato. L’importo varia da 10 a 200 euro a persona, a seconda della lunghezza della tratta. Un’analisi parallela, condotta dal Gruppo di Linate (Milano), ha rilevato un fenomeno identico anche sui voli monitorati nell’area milanese. Qui i controlli si sono concentrati su circa 100 compagnie straniere e su più di 5.150 voli utilizzati da oltre 16 mila viaggiatori solo nel 2025. Anche in questo caso l’imposta, pur incassata dai passeggeri, non è stata versata all’erario. Dai riscontri delle Fiamme Gialle emerge che molte delle società coinvolte hanno sede nei Balcani, in particolare in Croazia, ma compaiono anche compagnie registrate in Austria, Germania e Malta. Proprio una società maltese risulta tra le più attive: avrebbe effettuato oltre 170 voli nel solo triennio analizzato e accumulato le sanzioni più alte. Per garantirsi il recupero del credito fiscale, l’Agenzia delle Entrate ha avviato il sequestro di uno dei suoi velivoli. In totale, tra imposta evasa e sanzioni, il conto supera i due milioni di euro. L’indagine prosegue per verificare eventuali responsabilità penali e per estendere i controlli ad altri aeroporti italiani. Foto di archivio L'articolo Voli privati, evasione record: compagnie estere non versano la tassa ambientale per oltre 2 milioni proviene da Il Fatto Quotidiano.
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