Poco più di tre anni fa la storia della spia russa — sparita da Napoli dopo aver
“infiltrato” gli ambienti militari della Nato e dell’esercito americano — aveva
fatto il giro del mondo. Oggi gli stessi giornalisti investigativi, che avevano
scoperto il caso, sono riusciti a risalire al suo vero nome. A raccontarlo è
Christo Grozev, giornalista investigativo di The Insider ed ex capo
investigatore russo di Bellingcat, che in un video sul suo canale YouTube l’ha
soprannominata “Cat Lady”. Non per vezzo narrativo, ma perché è proprio un gatto
ad aver svelato la vera identità della spia.
Maria Adela Kuhfeldt Rivera – che si presentava come una gioielliera peruviana –
in realtà si chiama Olga Kolobova. Indagando sulla donna, Grozev ha scoperto che
tutti gli amici italiani di Maria Adela ricordavano un dettaglio preciso: il suo
amore viscerale per la gatta Luisa. Parte così la caccia al felino della spia. I
gatti hanno un microchip e ogni microchip possiede un numero unico a livello
mondiale. Trovato quel codice, gli investigatori iniziano a scandagliare i
database veterinari russi. Il colpo di scena arriva quando Luisa risulta
registrata presso una clinica veterinaria in Russia.
Da lì il passo è breve. Su VK, il Facebook russo, compare una donna che segue
quella clinica veterinaria, mette “Mi piace” ai suoi post e pubblica foto di un
gatto identico. Il puzzle si ricompone in poche ore. Dopo anni di addestramento,
documenti falsi e identità costruite con cura maniacale, a smascherare una spia
russa non è stato un hacker, un satellite o un traditore, ma una gatta.
L'articolo La spia russa che sparì da Napoli smascherata a causa dell’amore per
la sua gatta proviene da Il Fatto Quotidiano.
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“Il mio messaggio alla Russia e a Putin è questo: vi vediamo, sappiamo cosa
state facendo e se la Yantar si dirigerà verso sud questa settimana, saremo
pronti“. È questo il monito del ministro della Difesa del Regno Unito John
Healey. Il riferimento è alla nave russa che si trova al confine marittimo delle
acque britanniche a nord della Scozia. Una “nave spia” sottolinea il ministro a
Downing Street: “Si tratta di un’imbarcazione progettata per raccogliere
informazioni e mappare i nostri cavi sottomarini“. Per il Regno Unito quella di
Mosca è un’azione “molto pericolosa“, portata avanti per la seconda volta
quest’anno.
SCHIERATA LA ROYAL NAVY E AEREI DELLA RAF
La risposta britannica è stata immeditata: una fregata della Royal Navy e aerei
della Raf sono stati schierati per “monitorare e tracciare ogni spostamento”
della nave Yantar. Il ministro ha detto anche che dalla nave sono stati puntati
laser contro i piloti britannici. E sono state anche modificate le regole
d’ingaggio delle forze britanniche per controllare più da vicino la rotta della
nave spia: le navi britanniche così potranno seguire la nave russa a una
distanza equivalente alla lunghezza di un campo da calcio. Ci sono ulteriori
“opzioni militari pronte“, ha sottolineato Healey. L’ultima volta che la Yantar
ha compiuto un’azione simile, ha ricordato il ministro, Londra ha fatto emergere
un suo sottomarino nucleare in funzione dissuasiva.
HEALEY: “AVANTI CON IL RIARMO CONTRO LE MINACCE”
Parlando del caso della nave Yantar, Healey ha ribadito l’impegno del governo
laburista di Keir Starmer nell’andare avanti col riarmo e l’incremento delle
spese militari proprio per affrontare questa e altre minacce insieme agli
alleati della Nato. Intervento che è arrivato dopo il rapporto della Commissione
Difesa della Camera dei Comuni che ha rilevato gravi lacune nella preparazione
delle forze armate di sua maestà e l’incapacità di difendersi nel caso di una
potenziale invasione del Regno. Il ministro ha sottolineato quanto fatto sino a
oggi dall’esecutivo laburista nell’ambito della Difesa e assicurato che sta
andando avanti il piano annunciato lo scorso giugno, con lo stanziamento di 1,5
miliardi di sterline, per la costruzione di nuovi stabilimenti per la produzione
di munizioni.
LE CARATTERISTICHE DELLA NAVE YANTAR
Battente bandiera russa, la Yantar è lunga circa 34 metri ed è dotata di varie
antenne e apparecchiature di rilevamento a bordo. Per il Cremlino è una nave da
ricerca, anche se gestita da un ramo segreto delle Forze armate russe, la
Direzione principale per la ricerca in acque profonde. Sky News riferisce che
sarebbe stata progettata come nave madre per mini-sottomarini, che possono
quindi esaminare gli ambienti nelle profondità sotto la superficie dell’Oceano.
Si ritiene che due sommergibili ospitati sulla Yantar possano raggiungere
profondità di 20mila piedi, oltre seimila metri, ovvero quasi il doppio della
profondità dove si trova il relitto del Titanic. Molti osservatori, nota Sky
news, affermano da tempo che la nave venga utilizzata per scopi diversi dalla
ricerca marittima. Esperti citati dal canale televisivo ritengono che la Russia
negli ultimi anni abbia mappato segretamente i cavi sottomarini in Occidente,
alcuni dei quali sono militari e la cui ubicazione non è di dominio pubblico. A
settembre i parlamentari britannici e i membri della Commissione per la
strategia di sicurezza nazionale hanno concluso che il governo di Londra è
“troppo timido” nel difendere i cavi sottomarini del Regno Unito.
L'articolo Nave spia russa vicino alla Scozia, il Regno Unito schiera un fregata
e aerei della Raf: “Vi vediamo e siamo pronti” proviene da Il Fatto Quotidiano.
Per Enrico Pazzali è semplicemente questione di semantica, per la Procura e per
il co-indagato Samuele Calamucci invece alcune frasi intercettate o tratte dalle
analisi delle chat indicano una chiara consapevolezza dell’ex presidente della
Fondazione Fiera Milano dell’utilizzo dei dati riservati del Viminale da parte
della squadretta di Equalize. Del resto sono tanti e diversi i buchi o le
spiegazioni ritenute inverosimili dai pm che l’ex manager pubblico mette a
verbale durante dieci ore di confronto serrato con Calamucci. Entrambi sono
indagati per associazione a delinquere finalizzata all’accesso abusivo a sistemi
informatici. Dai “report impropri” alle “fonti chiuse” e “informazioni
manipolate”, dalle decine di dossier “alla cortese attenzione del dottor
Pazzali” fino al tracciamento dei cellulari, l’esfiltrazione delle chat e la
volontà di Pazzali non solo di ricevere i report cartacei ma anche di “ripulire
i telefoni”. Li vedremo.
Sopra tutto però resta un dato inedito: Pazzali non è certo il solo destinatario
finale di quei report ritenuti illeciti. Perché se Calamucci e l’ex poliziotto
Carmine Gallo in fondo giocavano a centrocampo recuperando dati e istruendo
report, Pazzali spesso faceva da cerniera tra il team di via Pattari e il
destinatario di quei dossier. Uno scenario ancora tutto da esplorare, ma dal
quale, al netto di un risiko impressionante di studi legali tra i più noti al
mondo, salta fuori ad esempio il nome di Attilio Fontana, il quale,
evidentemente ben consapevole dell’attività di dossieraggio dell’amico come
metterà a verbale l’ex ad di Trenord Giuseppe Biesuz, chiede un accertamento su
un soggetto che ha incontrato. Come il governatore, ad oggi non indagato, bussa
alla porta di Pazzali anche Fiorenzo Tagliabue, esponente di rilievo di
Comunione e liberazione, nonché lobbista di punta con la sua società di
comunicazione. Chi chiede di dossierare? Il manager Fabrizio Candoni, tra i
fondatori di Confindustria Russia il quale nel 2019 in una intervista al
Corriere spiegò che al famoso incontro all’hotel Metropol di Mosca per gestire
la presunta maxi tangente da girare alla Lega doveva andare anche Matteo
Salvini, lui sconsigliò il leader del Carroccio di presentarsi al tavolo con il
fedelissimo Gianluca Savoini e l’avvocato Gianluca Meranda. Tre anni dopo, nel
2022, Tagliabue scrive a Pazzali: “Enrico avrei bisogno di info su questo
signore, a chi mi rivolgo dei tuoi?”. Quindi gira il link dell’intervista di
Candoni. Poche ore dopo, Carmine Gallo già invia il report a Pazzali che lo
inoltra all’amico Tagliabue scrivendo: “Riservato non divulgabile”. Anche perché
su Candoni furono fatti accessi al database del Viminale. E in fondo si torna
sempre lì: all’accesso abusivo al database riservato del ministero dell’Interno.
Attività illegale di cui Pazzali nega di aver mai saputo.
DOSSIER IMPROPRI
Partiamo allora dai “report impropri”. Durante il confronto del 28 ottobre
inizia Calamucci citando una intercettazione in cui l’hacker, facendo
riferimento ai dati riservati, spiega che bisogna fare “pulizia nell’ufficio”. E
Pazzali dice rivolgendosi a Gallo: “Pulire? Anche l’aggiornamento dei telefoni,
secondo me bisogna fare (…). Un sacco di suoi messaggi, di suoi report che sono
impropri e anche quelli che ti chiedo, secondo me, me li devi dare cartacei”.
Calamucci poi davanti ai pm Francesco De Tommasi e Antonello Ardituro spiega:
“Qua stavi dicendo a Carmine che tutti i report impropri che tu hai chiesto e
che Carmine a volte ti mandava via WhatsApp, a volte ti consegnava, a volte te
li leggeva, forse qualche volta anche via mail, non li volevi più nel telefono e
li volevi stampati. Per quale motivo, ti dico io, per quale motivo?”. Poi
aggiunge: “I tuoi report non sono mai stati segnati da nessuna parte (…) i tuoi
devono sparire da tutti gli archivi, per quale motivo? Perché tu li reputi
impropri, impropri perché sai benissimo che ci sono informazioni di Sdi. Enrico,
tu gli Sdi ce li chiedevi, sapevi che cazzo combinavamo in Equalize”. A questo
punto interviene il pm della Direzione nazionale antimafia Ardituro: “Se i
report fossero su fonti aperte eccetera, non ci sarebbe bisogno di avere questa
preoccupazione”. Pazzali però dà un’altra lettura giocando, come detto, sul
termine improprio: “Perché erano lì da troppo tempo. Io avevo dei report di
Gallo dal 2019. In quella intercettazione stavamo parlando della conservazione
dei dati, i dati rilevati dai report che si facevano per analisi difensiva,
potevano essere tenuti fino a due anni, quindi il problema che io ponevo era
‘ragazzi, allora dobbiamo cancellarli’”. Interviene Ardituro: “Però impropri,
diciamo da un punto di vista lessicale non è da troppo tempo…”. Pazzali:
“Impropri può avere tante come si dice aggettivazioni. Se vogliamo essere
maliziosi, può essere quello che dite voi, che improprio vuol dire che non è un
report corretto, ma può essere il fatto che non rispetta delle regole, e le
regole anche temporali”. Insomma la lettura che danno i pm per Pazzali è
“maliziosa”, mentre per Ardituro “il report improprio, l’affermazione per cui
lui diciamo dice che stavano da parte e il senso complessivo sembra andare nella
direzione di una consapevolezza”.
FONTI CHIUSE
Dopo i “report impropri”, Enrico Pazzali parla in chat con il generale della
Guardia di Finanza Cosimo Di Gesù e a proposito del dossier Eni, consegnato a Di
Gesù che lo visionerà, fa riferimento a “fonti chiuse”. Ora per inciso, quel
report, che si rivelerà avere anche informazioni Sdi, Pazzali lo consegna a Di
Gesù con una chiavetta. Il finanziere lo legge e lo ritiene scarno di novità e
anzi appiattito sull’audit di Eni. Il 24 settembre 2021 Di Gesù scrive a
Pazzali: “Finito quel lavoretto?”. L’ex manager pubblico: “Lo consegno a inizio
ottobre, ma qualcosa sta emergendo, mi devi assumere!”. Il 5 novembre, poi, dopo
aver ricevuto la chiavetta, Di Gesù scrive: “Ho appena iniziato a leggere”. Più
tardi: “Secondo me è una semplice rilettura di notizie note e reperibili. La
parte più ponderosa è tratta da un audit di Eni”. E qui Pazzali risponde: “Beh
non abbiamo fonti chiuse se non per interposta persona, vedi poi le analisi sui
conti please”. Di Gesù: “Nella chiavetta non c’è traccia dei conti”. Questo il
quadro. Torniamo allora al verbale di confronto. Pazzali dice la sua: “Per me le
fonti chiuse comunque accessibili erano quelle che noi andavamo a pagamento,
come Camera di Commercio, Cerved (…). Tra l’altro parlavo con un Generale della
Guardia di Finanza non è che gli vado a dire ‘guarda che vado a fare lo Sdi’”.
Calamucci: “Sono fonti aperte quelle. Sono liberamente accessibili alla Camera
di Commercio”. Essendo poi la frase “interposta persona” abbastanza scivolosa,
Pazzali la ritraduce in “intermediari”. L’hacker ribatte: “Le fonti chiuse
innanzitutto sapevamo benissimo che erano l’accesso allo Sdi”. Poi, torna su un
punto, e cioè quando Pazzali dice a Di Gesù di guardare i conti correnti:
“Quando tu hai visto i fermi della Guardia di Finanza che c’erano tutti i nomi,
Carmine t’ha fatto la lezione che erano tutti nomi di ‘ndranghetisti, quelle
informazioni lì non è che le abbiamo prese coi conti correnti senza fare
l’accesso abusivo, lo sapevi. Gli hai fatto capire che se andava nella parte dei
conti, dove c’era il riferimento alle informazioni che tu chiami ‘enquiry’ e che
sono riconducibili allo Sdi, avrebbe capito che il report aveva un altro valore.
Se noi copiavamo l’internal audit e ridavamo l’internal audit ad Eni non
c’avrebbe mai pagato quel popò di parcella”. Di più: la Procura ha trovato
decine di report nei vari telefoni sequestrati. Conferma Ardituro: “Noi abbiamo
trovato tantissimi di questi report che sono indirizzati cioè, c’è una scritta:
‘Alla cortese attenzione di Enrico Pazzali’. Ce ne sono tanti, tanti, tanti,
tanti”.
NOTIZIE MANIPOLATE
E così dopo “i report impropri”, “le fonti chiuse”, ecco le “informazioni
manipolate” che si legano all’idea di Pazzali di creare una società editoriale o
un centro di ricerca per poter stoccare e conservare i report. Un’idea che l’ex
presidente di Fondazione Fiera riconduce alla solita e legale “conservazione dei
dati” per un certo numero di anni, mentre per Calamucci “era un sistema che
stavamo mettendo in piedi per tenere in custodia tutti i dati che recuperavamo
attraverso le interrogazioni illecite dello Sdi”. Per Pazzali è tutto lecito,
per Calamucci no. E poi c’è Carmine Gallo che intercettato avverte Pazzali sul
fare una società editoriale, perché “guarda che è inutile che tu pensi a questa
possibilità perché poi si fa presto a fare due più due e si vede che queste
informazioni in realtà non provengono da fonti anonime di un giornalista, non
sono il frutto di un’attività di ricerca, di studio, eccetera, ma provengono
dalla società di cui sei il proprietario”. Per Gallo, poi, “l’importante è che
non riconducano il fatto che manipolate le informazioni (…). Capito? Così non ci
possono (…) perché può essere che manipoliamo un po’ di quelle informazioni, hai
capito? Quindi diventa un problema”. Pazzali sembra d’accordo: “No, è un tema, è
un tema, però dobbiamo pensare, oppure costituiamo un centro di ricerca, il
tempo ce l’abbiamo”. Sempre dal verbale del 28 ottobre il pm De Tommasi chiede:
“Quindi lei dice era solo una questione legata alla necessità di conservare
questi dati in maniera legale? Allora, se questo è vero, perché Gallo a un certo
punto la mette sull’avviso e si preoccupa di quelle che possono essere le
conseguenze di un’operazione di questo tipo? Cioè, se un’operazione di questo
tipo, come dice lei, doveva andare in una direzione di liceità, per quale motivo
Gallo si preoccupa?”. E ancora: “Con queste informazioni manipolate, cosa voleva
dire Gallo?”. Pazzali risponde piccato: “Ma lo chieda a Gallo!”. L’ex
poliziotto, come è noto, è morto il 9 marzo scorso per un infarto fulminante.
Non è finita. Le traballanti spiegazioni di Pazzali vengono puntualizzate dal pm
Ardituro: “Pazzali, mi scusi, state parlando voi, quando Gallo, quando uno dice
‘manipoliamo’, lei diciamo continua nella conversazione come se fosse una cosa
normale parlare di queste cose”.
IL TRACCIAMENTO DEI CELLULARI
Il pm della Dna sembra poi perdere la pazienza quando viene toccato l’argomento,
emerso dagli atti, sulla richiesta di Pazzali di tracciare alcuni cellulari. Il
dato è confermato dallo stesso Pazzali che però pur di ammettere il reato, dice
di non sapere che quello fosse un reato. Al ché Ardituro interviene: “Mi dica
una cosa, ma si può fare questa cosa?”. Pazzali: “Lui (Calamucci, ndr) l’ha
fatta, io non lo so. Prendo atto che (…) cioè, lui è un esperto”. Ardituro: “No,
Pazzali, lei non mi sta a sentire. È lecita? È lecito individuare la posizione
del cellulare di una terza persona? Secondo lei si può fare, è lecito cercare la
posizione del telefono?”. Pazzali come sempre si trincera dietro al “credevo che
quello che faceva Calamucci fosse lecito”. E qui il magistrato un po’ si
arrabbia: “Gliel’ho detto durante l’interrogatorio e glielo sto ripetendo,
faccio veramente fatica a ritenere che lei possa immaginare che io più tardi
possa chiedere a una qualsiasi persona di localizzare il suo cellulare, per
sapere se sta a casa, se sta in albergo, se sta in vacanza, se sta in Italia.
Cioè, lei davvero pensava che questa cosa fosse lecita? Nessuno si può
permettere, senza un provvedimento dell’Autorità, di andare a cercare la mia
posizione sul cellulare (…). Veramente mi meraviglia davvero che lei mi affermi
che ritiene lecito provare ad individuare la posizione del cellulare di una
persona estranea. Guardi, è talmente banale la cosa, che se io lo faccio con mia
moglie, con la mia compagna, una delle cose più comuni che ti vengono in mente
nella vita, non lo faccio, perché è un reato”. E che Pazzali fosse consapevole
della capacità del team di Equalize di esfiltrare le chat dai cellulari, secondo
la Procura, è dimostrato dal caso di Gabriele Pegoraro, l’hacker che su mandato
di Equalize intercetta decine di chat a soggetti, tra cui giornalisti, avversi a
Pazzali, quando era ad di Fiera Milano e poi quando sarà nominato presidente di
Fondazione. Pegoraro risulterà coinvolto in un fascicolo della Procura di Torino
per lo stesso tipo di reato. In quel frangente però si scoprirà che le chat
hackerate erano state inventate. Il punto viene posto dal pm De Tommasi: “Quando
Calamucci le spiega del procedimento penale pendente a Torino a carico di Di
Iulio e di Pegoraro, che erano stati anche perquisiti, le dice ‘sì, ma mi sa che
lì queste chat WhatsApp sono false’. E lei risponde, c’è l’intercettazione: ‘I
miei non erano inventati, vero?’, cioè gli chiede ‘i miei’, cioè quelli che lei
aveva chiesto a Gallo, il quale a sua volta s’era rivolto a Pegoraro Gabriele
con la consapevolezza da parte sua”. Pazzali afferma però di “non aver mai
incontrato Pegoraro”.
L’ULTIMO ADDENDUM E L’ENNESIMO BUCO
A porre, infine, la domanda che sintetizza tutte le contraddizioni di Enrico
Pazzali, è l’avvocato Paolo Simonetti che con Antonella Augimeri ha difeso
Carmine Gallo e continua a difendere Samuele Calamucci senza che nessuno, né la
Procura né altre difese, abbiano sollevato alcun conflitto della cui esistenza
invece farebbe intendere lo stesso Pazzali in una lunga intervista rilasciata a
Il Giornale domenica 9 novembre. Il punto qua è l’incontro che l’allora
presidente di Fondazione Fiera dovrà avere con Massimo Ferrari, general manager
di Webuild Italia Spa, società che aveva presentato un progetto per la
ristrutturazione dello stadio Giuseppe Meazza. Il 2 luglio 2024 Pazzali chiede a
Gallo un report su Ferrari. Il dossier viene estratto dalla piattaforma Beyond e
inviato. Poche ore dopo, Pazzali riceve da Gallo un file chiamato “addendum
Ferrari” che riporta un precedente poi archiviato a carico di Ferrari. Si tratta
di un acceso abusivo al database del Viminale. Tanto che le ricerche successive
mostrano un accesso alla banca dati interforze proprio con il nominativo Ferrari
e proprio il 2 luglio 2024. Accesso effettuato dall’indagato Giuliano Schiano,
maresciallo della Finanza in forza allora alla Dia di Lecce. Quindi la domanda
dell’avvocato Simonetti: “Gallo non aveva rapporti diretti con questo Ferrari né
con la Webuild, perché Gallo doveva correre il rischio di fare uno Sdi?”. E
questo potrebbe valere anche per gli accessi alla posizione del presidente del
Milan Paolo Scaroni e altri soggetti. Il pm Ardituro così tira le somme: “La
domanda dell’avvocato è la domanda che abbiamo fatto noi più volte, no? E’
sempre la stessa che torna per tutte le richieste che lei ha fatto per questioni
personali, non di clientela, la clientela abbiamo già detto è roba di soldi,
loro avevano interesse, più fatturato c’era, più faceva Mercury e quindi tutto a
posto. Però per le cose sue personali resta sempre questo iato”. Cioè una
frattura o anche un buco appunto.
L'articolo Inchiesta Equalize sugli spioni | Dai dossier “impropri” ai cellulari
tracciati: tutti i buchi nella versione di Pazzali, secondo i pm proviene da Il
Fatto Quotidiano.
Non solo quella valanga di dati riservati acquisiti in modo illecito dal
database del Viminale. L’ex presidente della Fondazione Fiera di Milano, Enrico
Pazzali, oltre alla squadretta di Equalize, aveva altre fonti eccellenti dalle
quali acquisire informazioni sensibili come i precedenti penali e anche le
dinamiche interne a grandi società. Lo afferma in modo molto chiaro l’hacker
Samuele Calamucci, difeso dagli avvocati Antonella Augimeri a Paolo Simonetti,
nel suo interrogatorio dell’11 settembre scorso. Il verbale in parte omissato è
stato depositato dal pm Francesco De Tommasi assieme a parte delle copie forensi
sui dispositivi elettronici. Il dato, sul quale sono in corso verifiche, è di
grande rilevanza perché aprirebbe scenari fino ad ora inesplorati.
E così a pagina 43 Calamucci svela: “In alcune occasioni era lo stesso Pazzali a
informarci informazioni riservate”. A parte la ripetizione nella frase, il senso
appare chiaro, tanto che il pm esclama: “Ah, a passarvi informazioni riservate”.
Calamucci così inizia nel suo racconto inedito: “Ad esempio un incarico ricevuto
da Luca Cavicchi (…). Era un’azienda del Regno Unito che dava un incarico. Una
due-diligence. Che consisteva nel reperire informazioni reputazionali su due
dirigenti di Bip Consulting (non indagata e anzi nel ruolo di vittima, ndr),
famosa società di consulenza che ha un grande appalto con la Regione Lombardia.
Pazzali ci consegnò i dati riservati su alcuni dirigenti di questa società, le
prove di questo si trovano in una riunione svolta tra me, Pazzali e Carmine
Gallo”.
Quali dati riservati fossero, Calamucci lo spiega subito dopo: “Praticamente
(Pazzali, ndr) ci ha detto gli accordi che avrebbe fatto un certo signore di Bip
e ci ha fatto sapere che sarebbe uscito quando ancora non avevano fatto le
riunioni”. E ancora: “Che sarebbe uscito dalla compagine sociale, che già solo
quella era un’informazione che se finiva, diciamo, in mani sbagliate, tant’è
vero che l’abbiamo calmierata nel report, perché cambiava gli equilibri proprio
economici di tante aziende e poi ci ha dato dei precedenti, eh, di reputazione
che non so dove abbia preso, perché noi non riuscivamo a farli”. Precedenti
anche “su un altro di questi dirigenti di Bip”. Il pm chiede meglio: “Che
precedenti?”. Calamucci, come sempre, spiega: “Eh, precedenti che si trovano
allo Sdi (il database riservato del ministero dell’Interno, ndr), tipo questo ha
una condanna per questa cosa ma è stato beccato per spaccio”. Quindi, chiosa il
pm, “precedenti di polizia, ma in che forma ve li ha dati?”. Calamucci:
“Verbalmente. La mia richiesta è verbale a Pazzali, io gli faccio questa
richiesta, lui mi fa: ‘Tanto in settimana vedo uno dei miei contatti e poi ti
faccio sapere’. Io ho preso gli appunti, se c’è, dico, la videoregistrazione si
vede che lui mi detta queste cose, poi io le trascrivo all’interno della
protonmail. Antonio Rossi, Cavicchi montano il report e lo traduciamo in
inglese”. Alla fine, spiegherà Calamucci, la squadra di Equalize ingloba le
informazioni riservate procurate da Pazzali e non fa accesso allo Sdi “perché
erano persone in vista (…). Io ho detto: ‘L’unico che può sapere questa
informazione è Enrico perché sta in politica’, ma in realtà ci ha dato anche
delle informazioni in più. Trovate il report in inglese”.
Insomma, stando alle parole dell’hacker, che fin dall’inizio della sua
collaborazione è stato ritenuto credibile dai pm, emerge come Pazzali, oggi
indagato con Calamucci per associazione a delinquere finalizzata all’accesso
abusivo a sistemi informatici, avesse una rete parallela di informazioni
riservate in qualche modo legata ai suoi stretti rapporti con la politica e non
solo. Che sia amico di alti funzionari dei nostri servizi segreti lo ha ammesso
anche lui. Calamucci, però in questo verbale aggiunge una nuova pepita e cioè lo
scambio di informazioni con un vertice milanese dei servizi interni (Aisi).
“Quando Pazzali – dice Calamucci – parla con me e Carmine di un certo C., questo
lavora nei Servizi segreti, una persona con cui ci scambiavano opinioni e
informazioni (…). Eravamo (con l’agente segreto, ndr) a una cena di Fondazione
Fiera, era nel nostro tavolo, il tavolo Blitz dove partecipavamo io, C. e l’ex
Ceo di Vodafone”. Sul tema dei contatti riservati di Pazzali, Calamucci conclude
riferendo di un ex comandante del Ros di Milano, già in contatto con
Pierfrancesco Barletta, ex del Cda di Leonardo spa, che “condivideva le
informazioni”. Mentre rispetto alla fuga di notizie legata a un giornalista che
rivelò a Pazzali i contenuti delle indagini su Equalize un anno prima degli
arresti, lo stesso ex manager pubblico svela a Calmucci, lo mette l’hacker a
verbale, che la fonte del cronista fosse un ex capo del Dis, e cioè l’organo di
coordinamento di Aisi e Aise, i due servizi segreti italiani.
L'articolo Equalize, nei verbali di Calamucci la rete parallela di Enrico
Pazzali. “L’ex presidente di Fondazione Fiera passava informazioni riservate”
proviene da Il Fatto Quotidiano.