Tanto è robusta l’inchiesta della Procura di Milano sul nuovo sistema mafioso
lombardo, tanto circostanziato il lavoro dei pm Alessandra Cerreti e Rosario
Ferracane assieme ai carabinieri del Nucleo investigativo che dopo il primo,
poche ore fa è arrivata la notizia di una secondo collaboratore anche lui
considerato organico e ai vertici del Consorzio mafioso fotografato
dall’inchiesta Hydra.
Se solo poche settimane fa la storia dell’indagine aveva subito una svolta con
la collaborazione di William Cerbo, braccio finanziario della cosca Mazzei di
Catania, ora è il turno della ‘ndrangheta di Lonate Pozzolo capeggiata da
Vincenzo Rispoli, da tempo al 41 bis e recentemente raggiunto da un’ordinanza
per l’omicidio di Nicola Vivaldo ucciso a Rho il 23 febbraio 2000. A collaborare
è infatti Francesco Bellusci, classe ‘1987 nato a Cuggiono in provincia di
Milano, considerato interno al gruppo calabrese assieme, tra i vari, a Massimo
Rosi, Giacomo Cristello e Pasquale Rienzi.
La notizia è stata resa nota oggi durante l’udienza del processo che si svolge
con rito abbreviato. La Procura ha infatti depositato sei recentissimi verbali
di Bellusci che ha iniziato a collaborare con la Procura lo scorso 21 novembre,
data del suo primo verbale. Sarà sentito poi l’1, il 2, il 3, il 9 e il 10
dicembre. Lunghi verbali, in parte omissati, che contengono, per quel che
risulta, rivelazioni decisamente pesanti. Bellusci infatti racconta la genesi
del Consorzio che lui definisce “Unione”, dopodiché spiega la sua affiliazione
alla locale di ‘ndrangheta di Lonate Pozzolo con relativo rituale.
Quindi svela un omicidio commesso da uno degli imputati di Hydra che però al
tempo del processo fu assolto. E infine illustra nello specifico la gestione del
denaro dell’ex primula rossa di Cosa Nostra Matteo Messina Denaro. Bellusci, pur
relativamente giovane, emergerà dalle indagini partecipa a diversi summit di
mafia anche con i rappresentanti di Messina Denaro e della camorra romana legata
al clan di Michele Senese. Inoltre, presente alla “mangiate” nel terreno della
famiglia Nicastro a Castano Primo ne svela contenuti e interessi, a partire
dalla ricostituzione del locale di ‘ndrangheta di Lonate Pozzolo.
Secondo la Procura di Milano appartiene alla locale di ‘ndrangheta organica al
Consorzio. Intercettato Massimo Rosi: “Fa parte della locale di Legnano
Francesco Bellusci”, il quale, secondo i pm, si metterà “a completa disposizione
degli interessi dell’associazione, cooperando con gli altri associati nella
realizzazione del programma criminoso”. E dunque: “Svolgendo funzioni operative
nelle azioni intimidatorie ed estorsive da compiere nell’interesse dell’intera
associazione criminale; contribuendo all’alimentazione della cassa comune
destinata al sostentamento dei detenuti, in particolare per il capo locale
Vincenzo Rispoli, occupandosi del reimpiego dei profitti illeciti
dell’organizzazione criminale, attraverso l’acquisizione di aziende operanti in
vari settori, alle quali erano addetti, quali prestanome”.
L'articolo Consorzio mafioso lombardo, c’è un secondo pentito. E’ Francesco
Bellusci affiliato alla ‘ndrangheta proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Si potrebbe iniziare così: la “pezza” ritrovata. E la pezza in questo caso, è lo
striscione dei Commandos Tigre, primo gruppo ultras (nasce nel 1967) del tifo
organizzato milanista. Lo stendardo è stato ritrovato “per caso” qualche giorno
fa durante uno sgombero da uno studente universitario sconosciuto alle cronache
di curva e giudiziarie. Ma il dato è oggettivo. Di più: lo striscione è
originale e per il blasone che rappresenta rischia oggi di scompaginare gli
equilibri della Curva sud. Tanto che i suoi pretoriani assieme ai senatori
dell’Old Clan si sono messi in caccia come alla ricerca del Sacro Graal.
Ultras a Milano, quindi. Sponda rossonera, secondo anello blu, Curva sud.
Esistenza oggi difficile. Indagata, processata, condannata e ancora
attenzionata, diffidata, sgradita. L’occhio della Procura sembra vigile, la
Squadra Mobile indaga sull’ultimo tentato omicidio, mentre Luca Lucci il Toro
intravede, oltre alla già emessa sentenza per l’inchiesta Doppia Curva,
vent’anni per droga. Eppure chiuso nel carcere, ancora è ritenuto il capo da chi
in transenna si barrica dietro l’equivoco “Sodalizio”, vietato in forma di
striscione eppure ribadito durante il derby con le torce dei cellulari. Ma sono
solo increspature, la Procura decide, la società un po’ storce il naso, mentre
il vecchio vocalist Pacio Pacini, fedelissimo di Lucci, risulta sgradito a
giorni alterni.
Nel frattempo, però, a far prevedere burrasca tra i monolitici equilibri di
Curva sud puntellati di recente da senatori dell’Old Clan, già a capo delle
Brigate Rossonere declinate in forma di estrema destra, c’è la pezza ritrovata
dei Commandos, simbolo del potere assoluto in curva. Perché i Commandos Tigre
sono il gruppo ultras più antico, anche della Fossa dei Leoni, anche delle
Brigate Rossonere. Per cinquant’anni è stato il sangue blu del tifo organizzato,
una nobiltà supportata non di rado dagli interessi criminali della famiglie
mafiose, fino a quando il blasone è stato spazzato via prima dai “guerrieri” di
Giancarlo Sandokan Lombardi e poi dai “banditi” di Lucci. Sulla strada della
conquista si sono osservati due tentati omicidi nei confronti di storici
appartenenti dei Commandos, calci, pugni e pistolettate. Era il 2006 e per altri
dieci anni il gruppo espropriato del suo luogo di origine, il primo anello blu,
ha provato a resistere anche con innesti criminali di alto rango. Ma già in
questo decennio lo striscione scompare custodito come il Graal da un tesoriere
segreto.
Poi nel 2016 la trasferta a Genova contro la Sampdoria sembra chiudere i giochi
con un’aggressione programmata. I Commandos arrivano nella pancia del Marassi e
si trovano davanti i pretoriani di Curva Sud. Ad attenderli anche un fedelissimo
di Lucci che oggi va a braccetto con i vecchi amici dell’Old Clan. Non è una
rissa, ma una spedizione punitiva. Da lì a poco alle 19:30 del 26 aprile 2016 in
rete gira il comunicato con cui si annuncia lo scioglimento dei Commandos: “Ieri
sera 25 aprile è successo quello che pensavamo non potesse mai succedere,
abbiamo deciso di sciogliere i Commandos Tigre”. Quattro ore dopo la smentita,
il comunicato è falso, i Commandos non si sono sciolti: “Il comunicato
pubblicato a nome dei Commandos Tigre 1967 non arriva da nessuno autorizzato a
farlo”.
Insomma i Commandos non si sono mai sciolti e ora torna lo striscione a mettere
in subbuglio gli interessi che, nonostante gli arresti, si agitano dietro la
Curva Sud. Il giovane universitario pochi giorni fa così ha postato le foto sui
social, scrivendo: “Buongiorno a tutti, ho trovato questo striscione a seguito
di un sgombero. Appena l’ho visto stentavo a crederci, ma l’emozione iniziale ha
lasciato spazio ai dubbi: sarà vero? Chiedo a voi che siete più esperti.
Qualcuno sa dirmi qualcosa?”. Che certamente si tratta dell’originale.
La “pezza” che oggi ritorna è in fondo anche il simbolo di come è iniziata la
carriera di Luca Lucci, la cui parabola lunga quasi vent’anni lo ha alla fine
portato in galera accusato di associazione a delinquere. Nel mezzo della storia
quattro tentati omicidi, pestaggi di ogni genere, collegamenti, penalmente
giudicati non rilevanti, con la ‘ndrangheta e tantissimi affari ben oltre il
tifo. Per questo la conquista dello striscione e poterlo esporre al Meazza
potrebbe rappresentare la chiusura del cerchio e l’affermazione definitiva di un
potere assoluto cui ambiscono anche gli amici dell’Old Clan. Anche perché in un
orizzonte breve di appena sei anni ci sarà lo stadio nuovo, tutto privato. Le
operazioni di avvicinamento sono già iniziate non senza ingerenze su alcuni
dirigenti dell’Ac Milan.
L'articolo Commandos Tigre, ricompare la storica “pezza”: i capi ultras del
Milan a caccia del Santo Graal del potere in Curva Sud proviene da Il Fatto
Quotidiano.
L’inchiesta della Procura di Milano sull’ipotizzato caporalato nelle filiere
della moda, che ha portato i carabinieri del Nucleo per la Tutela del Lavoro a
chiedere documenti e atti a 13 grandi gruppi del settore, accende nuovamente i
riflettori sul sistema degli appalti e subappalti. A sottolinearlo sono le
segreterie generali di Filctem Cgil, Femca Cisl e Uiltec Uil, che leggono
l’azione della magistratura come una conferma delle criticità da loro denunciate
da tempo.
“L’inchiesta della Procura milanese sul caporalato, che ieri ha portato i
carabinieri del nucleo per la Tutela del Lavoro nelle sedi di 13 grandi Gruppi
della Moda è l’ennesima conferma delle nostre denunce sulla diffusa illegalità
nella catena degli appalti e dei subappalti. I riflettori della magistratura
sono nuovamente puntati sulle filiere produttive del settore”, affermano i
sindacati, ricordando che l’indagine potrebbe ora allargarsi: dopo i primi
provvedimenti di amministrazione giudiziaria, non si esclude l’applicazione
delle misure previste dal Testo unico antimafia o una vera e propria
contestazione del reato di caporalato, nell’ambito della legge 231 sulla
responsabilità amministrativa delle imprese.
I sindacati puntano il dito contro i grandi marchi, accusati di beneficiare dei
profitti senza farsi carico delle responsabilità della filiera: “Crediamo sia
inaccettabile che i grandi marchi, beneficiari di bilanci record, possano avere
una sorta di beneplacito che li esclude da ogni responsabilità, rispetto alle
condotte delle ditte cui danno in appalto le lavorazioni”, denunciano Filctem,
Femca e Uiltec. Da qui la richiesta di un intervento del Governo sul disegno di
legge dedicato alle piccole e medie imprese, già approdato in Senato e ora
all’esame della Camera: “Per questo chiediamo che il Governo ci ascolti rispetto
alle modifiche da apportare al ddl sulle pmi (di iniziativa del ministro Urso,
ndr). Non è possibile escludere o alleggerire la posizione di responsabilità
solidale del committente sugli appalti e subappalti, specialmente in presenza di
presunti ‘modelli di controllo’ interni”.
Le tre sigle riassumono poi le loro proposte in cinque punti che mirano a
rafforzare la legalità nelle filiere produttive. “Stop all’emendamento ‘Salva
committenti’, con il ritiro immediato degli articoli del ddl pmi che
alleggeriscono la responsabilità dei brand sugli illeciti lungo la filiera;
nessuna scorciatoia per chi lucra sullo sfruttamento e realizza così forme di
dumping sulle migliaia di aziende che agiscono correttamente, quindi sì alla
responsabilità solidale effettiva; maggiori controlli ispettivi lungo tutta la
catena produttiva, anche con l’ausilio di indici di congruità per individuare i
subappalti a rischio illegalità; applicazione puntuale del Contratto Collettivo
Nazionale di Lavoro, senza eccezioni, in ogni segmento della filiera;
tracciabilità etica, con l’introduzione di una certificazione sul rispetto dei
diritti e delle norme in ogni fase della produzione”. Secondo i sindacati, solo
un intervento strutturale potrà evitare che le irregolarità emerse in queste
settimane si ripresentino nel tempo, garantendo condizioni di lavoro dignitose e
una concorrenza leale tra imprese.
L'articolo Moda e caporalato, i sindacati contro i grandi marchi: “Stop al
‘salva committenti’” proviene da Il Fatto Quotidiano.
Nessuna evidenza e nessun reato. La Procura di Milano ha chiesto l’archiviazione
dell’indagine con al centro la compravendita della villa in Versilia di
Francesco Alberoni, acquistata da Dimitri Kunz D’Asburgo, compagno di Daniela
Santanchè, e da Laura De Cicco, moglie del Presidente del Senato Ignazio La
Russa per 2,45 milioni e rivenduta a gennaio 2023, in meno di un’ora dal rogito,
all’imprenditore Antonio Rapisarda per 3,45 milioni. L’inchiesta, in cui è
indagato solo Rapisarda, è coordinata dai pm Matina Gravina e Luigi Luzi, del
pool guidato dall’aggiunto Roberto Pellicano, ed è stata aperta in seguito a una
Sos, ossia una segnalazione di operazione sospetta dell’Antiriciclaggio di
Bankitalia per via del maxi affare che ha fruttato un milione di euro. Una
vicenda su cui il nucleo di Polizia economico finanziaria della Guardia di
finanza ha effettuato accertamenti su una serie di ipotesi, tra cui il
riciclaggio e il finanziamento illecito ai partiti, a cui non sono stati trovati
i riscontri.
Secondo la ricostruzione, la villa di Forte dei Marmi appartenuta al sociologo
scomparso nell’estate 2023, è stata acquistata da Kunz e Laura De Cicco, con un
preliminare di vendita del 22 luglio 2022, per 2 milioni e 450 mila euro, cifra
ritenuta congrua per un immobile di 350 metri quadrati su tre livelli con
giardino e piscina e che necessitava di lavori di manutenzione. Ma il gennaio
successivo, il compagno della ministra del Turismo e la moglie della seconda
carica più alta dello Stato hanno rivenduto l’immobile in meno di un’ora
all’imprenditore Antonio Rapisarda per 3 milioni e 450 mila euro.
Una plusvalenza di un milione in pochissimo tempo su cui si sono focalizzate le
indagini che hanno portato ad appurare che il denaro è stato usato per scopi
personali. Indagini che non hanno restituito alcuna evidenza tale da poter
essere inquadrata in un reato. Per questo è stata proposta l’archiviazione dai
due pm che si stanno occupando del ‘pacchetto’ di procedimenti che riguardano
Daniela Santanchè. La senatrice, in merito a Visibilia, è tra gli imputati per
falso in bilancio e per truffa aggravata per la vicenda della Cassa integrazione
a zero ore chiesta e ottenuta durante il Covid. Mentre si sta attendendo il
deposito della relazione del curatore che riguarda il fallimento di Bioera.
L'articolo Compravendita della villa di Alberoni, chiesta l’archiviazione
dell’inchiesta dai pm di Milano proviene da Il Fatto Quotidiano.
L’avvocata di Alessia Pifferi, Alessia Pontenani, è stata assolta dalle accuse
di falso e favoreggiamento nel cosiddetto processo “Pifferi bis” su una presunta
attività di manipolazione compiuta per ottenere una perizia psichiatrica che
certificasse un vizio parziale di mente della sua assistita, condannata in
appello a 24 anni per la morte della piccola figlia Diana. Assolti anche gli
altri quattro imputati, tre ex psicologhe del carcere di san Vittore e lo
psichiatra Marco Garbarini, ex consulente della difesa. Il pm Francesco De
Tommasi aveva chiesto condanne fino a quattro anni. Per l’accusa le psicologhe
avevano somministrato dei test “incompatibili con le caratteristiche psichiche
effettive della detenuta”, mentre lo psichiatra Garbarini l’aveva “eterodiretta”
nelle risposte da fornire. L’avvocata Pontenani è stata definita dal pm la “vera
regista dell’operazione volta a farla passare per scema”.
L’assoluzione è arrivata al termine del processo con il rito abbreviato con la
formula “perché il fatto non sussiste” e, in un caso, per la particolare tenuità
del fatto. Rinviata a giudizio, invece, una psicologa che aveva optato per il
rito ordinario, ma in riferimento a un caso esterno riguardante una presunta
irregolarità sul conseguimento di alcuni crediti in dei corsi di aggiornamento.
Le motivazioni della sentenza pronunciata dal gup di Milano Roberto Crepaldi
saranno disponibili entro un mese. La condanna più alta – quattro anni – era
stata richiesta per Pontenani: secondo la legale, la sentenza “dimostra che gli
avvocati devono continuare a fare il loro lavoro” e che “non esiste l’eccesso di
difesa”. L’avvocato Corrado Limentani, che la assisteva, ha parlato di “un
procedimento parallelo fondato sul nulla che ha condizionato il processo
principale”.
Nell’ambito del processo si era consumato un duro scontro tra Procura e
avvocati, culminato in uno sciopero indetto dalla Camera penale di Milano del 4
marzo 2024. I penalisti protestavano contro l’indagine, definita un'”ingerenza”
da parte del pm, in violazione del diritto di difesa e del principio del giusto
processo. De Tommasi aveva anche chiesto l’astensione del giudice Crepaldi, a
causa di un comunicato dell’Associazione nazionale magistrati milanese, da lui
redatto in quanto membro della giunta, che secondo il pm dimostrava un
pregiudizio nei confronti dell’indagine: un’istanza respinta dal presidente del
Tribunale Fabio Roia. Dall’inchiesta nei confronti dell’avvocata e delle
psicologhe si era dissociata anche Rosaria Stagnaro, la pm che insieme a De
Tommasi aveva condotto il processo Pifferi.
L'articolo Assolti l’avvocata e gli psicologi di Alessia Pifferi: erano accusati
di manipolazione per farla risultare inferma di mente proviene da Il Fatto
Quotidiano.
I Calajò sono in carcere, sotterrati da anni di condanne (non definitive). Ma
questo non sembra preoccupare più del dovuto Nazza lo zio e Luca il nipote,
perché, secondo la Direzione distrettuale antimafia di Milano, personaggi
“storicamente inseriti nel medesimo sodalizio, come Vladimiro Rallo e Francesco
Perspicace si esprimono come attuali appartenenti a un’unica associazione
criminale, anche in contrapposizione ad altri gruppi delinquenziali che,
approfittando dell’assenza dei Calajò, cercano di primeggiare”. Rallo oggi è
indagato nel filone che ha portato in carcere la Super Mamacita della coca Katia
Adragna. Per lui la Procura di Milano si è vista respingere la richiesta
d’arresto. Nel medesimo fascicolo Franco Perspicace, catanese di Caltagirone
classe ‘60, risulta denunciato all’autorità giudiziaria come emerge
dall’informativa finale della polizia penitenziaria del carcere di Opera sulle
“indagini svolte a carico dei seguenti indagati”. Il nome di Perspicace sta al
numero 28 dell’elenco proprio prima di quello di Vladimiro Rallo.
“KATIA ADRAGNA È UNA SBIRRA INFAME?”
Detto questo, Perspicace in perfetta sintonia con quanto scritto dalla Procura
di un suo sentirsi “appartenente a un’unica associazione criminale” appena un
anno fa, quando il nome della narco madrina compare in una chiusura indagini
riguardante sempre la Barona, inizia a preoccuparsi. Il motivo è legato al fatto
che, se pur Adragna risulti organica al gruppo Barona, per lei, fino a pochi
giorni fa, non è mai stato chiesto il carcere. Il pensiero di Perspicace che
raccoglie i dubbi di Rallo e di altri pro consoli della banda, è che la Mamacita
di via De Pretis in quell’inverno del 2024 possa essere una informatrice della
polizia giudiziaria. E’ il 5 novembre quando Perspicace ne parla con il
figliastro Mattia Gelmini, anche lui indagato e libero, nonostante i suoi
contatti diretti con Luca Calajò. Dice Perspicace, il cui telefono sarà
intercettato per mesi: “Te l’ho detto che ho parlato con Vladi? Che ti ha
detto?”. Gelmini: “Le solite cose che si dicono in giro!”. Perspicace: “Sì, sì.
Però siccome c’era di mezzo la Katia. Mi ha detto (Vladi Rallo, ndr): ‘Ma
ascoltami, fammi capire, a te ti risulta che la Katia è sbirra? E’ infame o
no?’”. Gelmini, alias il farmacista, si legge nella richiesta di arresto, dunque
“condivide con Perspicace le preoccupazioni e i timori legati alla circostanza
che, nonostante le varie indagini e contestazioni a carico dell’Adragna,
quest’ultima non sia stata ancora arrestata” e “ciò induce (…) a sospettare che
la donna potrebbe aver deciso di collaborare con la giustizia o comunque con le
forze dell’ordine”.
PERSPICACE “PARLAVA MOLTO POCO”
Del resto, annota la polizia penitenziaria nella sua informativa finale, “sia
Perspicace sia Rallo, dopo la notifica dell’avviso chiusura indagini, si sono
recati personalmente dalla Adragna, evidentemente spinti dall’esigenza di
discutere con lei dei contenuti del predetto avviso”. Insomma se pur come detto,
la sua posizione è quella di denunciato all’autorità giudiziaria e non
formalmente di indagato, Perspicace sembra preoccuparsi molto della tenuta del
gruppo criminale tanto da accertarsi che non vi siano crepe o pentiti. I
magistrati lo definiscono “esponente di prim’ordine della galassia criminale dei
Calajò”, “un pezzo da novanta” e “affermato elemento di spicco del clan della
Barona”. In via De Pretis a casa della Mamacita, Franco Perspicace ci andrà
anche per altro. Di quegli incontri sarà testimone diretta Rosangela Pecoraro,
detta Rosy Bike, anche lei madrina della coca per conto di Nazza Calajò e oggi
collaboratrice di giustizia. “Francesco Perspicace – dirà ai pm Francesco De
Tommasi e Gianluca Prisco – è un altro, come Claudio Cagnetti, che parlava
molto, molto poco. E’ molto silenzioso, l’Adragna era quella che teneva banco e
parlava di soldi (…) in queste circostanze secondo me voleva entrare a fare
qualcosa con lui perché comunque lui disponeva, avendo questa intermediazione.
Però che si parlasse con Adragna di stupefacenti non lo posso dire, di denaro
sì”.
CHI È FRANCESCO PERSPICACE
Nei suoi verbali lo cita diverse volte. I magistrati si mostrano molto
interessati alla posizione di Perspicace, il quale, fin dagli Anni duemila
risulta attivo nel campo dell’intermediazione immobiliare. Già nel 2009, in un
report sulla presenza della criminalità organizzata a Milano, i carabinieri del
Nucleo investigativo di via Moscova annotavano: “Il gruppo siciliano Nazzareno
Calajò – Claudio Cagnetti – Francesco Perspicace ha mire espansionistiche su
altre zone della città e sull’hinterland. Gli introiti realizzati con le
attività illecite sarebbero reimpiegati nell’acquisto di unità immobiliari nelle
zone centrali della città, servendosi di agenzie immobiliari”. Allo stato a lui
sono riferibili tre società immobiliari, di cui una porta lo stesso nome di una
srl ormai cancellata, tra i cui soci vi era l’ex compagna e Cristian Perspicace,
coinvolto come Francesco nella iniziali indagini sul gruppo della Barona dei
primi anni duemila. In quegli atti così viene sancita l’esistenza del “gruppo
Barona almeno dalla fine del 1997, gruppo di cui a tutti gli effetti fanno parte
in qualità di vertici Nazzareno Calajò, Claudio Cagnetti, Francesco Perspicace”.
Un anno dopo, il 9 maggio 1998, la banda della Barona, coinvolto anche
Perpicace, dà vita a scene da far west con una sparatoria in via Faenza contro i
catanesi del Corvetto. Sarà uno spartiacque. Perspicace fugge in Francia, Calajò
con l’amico Cagnetti in Spagna. E nonostante questo la banda prosegue i suoi
affari sotto la guida di Luca Calajò, nipote di Nazza.
LA LATITANZA IN ROMANIA
All’epoca Alessandro M., sarà “l’uomo di fiducia di Perspicace” svolgendo “il
ruolo di addetto a curare e a portare a termine le operazioni immobiliari per
conto degli esponenti del gruppo”. Tanto che da un intercettazione agli atti
dell’inchiesta El Nino (2006) dell’allora pm Laura Barbaini e del Gico della
Guardia di finanza di Milano, secondo lo stesso magistrato, si avrà “la
dimostrazione probatoria documentale delle tesi dell’accusa in ordine alle
modalità con le quali Francesco Perspicace consentiva la pulitura del denaro
proveniente dal traffico illecito”. Reato che non fu contestato anche perché
all’epoca della richiesta di arresto “la posizione di Perspicace assieme a
quelle di Nazza Calajò e Cagnetti furono separate perché già giudicate”. Pochi
giorni dopo la sparatoria di via Faenza, lo stesso Alessandro M. contatterà più
volte il telefono di Perspicace intestato a una sua immobiliare, la Lifra
all’epoca con sede in via Santa Rita. In quel momento il telefono aggancia una
cella francese. Nel 2005 poi Perspicace è di nuovo uccel di bosco, catturato
latitante in Romania. Se ne era andato poco prima di una sentenza di condanna.
Tra l’aprile e il dicembre ‘98, poi, lo stesso cellulare intestato alla Lifra
contatterà un rappresentate dei cartelli colombiani della droga residente in
Spagna e fornitore della banda della Barona.
IL CORE BUSINESS DELLA DROGA
E se allora, secondo gli atti di quelle inchieste, per Perspicace la droga era
uno dei suoi core business, oggi, nell’ultima indagine su Katia Adragna i
sospetti di un ritorno al vecchio amore non sono al momento diventati evidenze
probatorie. E però lui, con la Mamacita ci parla spesso in modo riservato
attraverso messaggistica istantanea. A riprova una intercettazione di Adragna
che non avendo più soldi per internet è costretta a chiamare con linea
ordinaria: “Amò sono la Katia! Scusa se ti chiamo normale, ho finito internet”.
Il 16 ottobre 2024, poi, Perspicace con la Mamacita e Mattia Gelmini si recano a
Bollate per incontrare Giuseppe D. “un potenziale fornitore”. Il sospetto è la
droga anche se a margine dell’incontro monitorato gli inquirenti scrivono: “Non
è dato sapere quale sia stata la ragione effettiva dell’incontro”. Alla sera
sempre del 16 ottobre, poche ore dopo l’incontro, Adragna al telefono con
possibili acquirenti di droga fa sapere di “essere apparecchiata bellissima”,
così, annota la polizia giudiziaria, “lasciando intendere che è provvista di
sostanza stupefacente . Insomma, il grande libro della banda della Barona
prosegue con colpi di scena e inaspettati ritorni.
L'articolo Banda della Barona, i sospetti sulla Super Mamacita: “Katia è una
sbirra infame?” proviene da Il Fatto Quotidiano.
L’indagine sui turisti-cecchini a Sarajevo aperta dalla procura di Milano, muove
i primi passi. Sarà un ex 007 dell’intelligence bosniaca, che ha già riferito di
aver avuto contatti all’epoca anche con il Sismi (ex servizio segreto militare),
uno dei testimoni principali che saranno ascoltati per riferire su cittadini
italiani che pagavano per andare ad uccidere nella Sarajevo assediata dai
serbo-bosniaci tra il ’92 e il ’96. L’attività istruttoria più rilevante, con i
verbali di persone informate sui fatti, inizierà nei prossimi giorni nelle
indagini condotte dal Ros dei carabinieri e coordinate dal pm Alessandro Gobbis.
La procura è in contatto, attraverso i canali di collaborazione, anche con la
Procura del Meccanismo Residuale per i Tribunali Penali Internazionali,
istituito nel 2010 per completare i lavori anche del Tribunale Penale
Internazionale per l’ex Jugoslavia. Gli inquirenti puntano pure a verificare
l’esistenza di documenti del Sismi che all’epoca avrebbe saputo di quei viaggi
dell’orrore e sarebbe intervenuto per bloccarli. E ciò secondo il racconto di
quell’ex agente segreto bosniaco, riportato nell’esposto dello scrittore Ezio
Gavazzeni, assistito dai legali Nicola Brigida e Guido Salvini.
L’ex 007 (il suo nome è nell’esposto) ha spiegato che l’ex servizio segreto
italiano avrebbe avuto informazioni proprio dai servizi bosniaci, a inizio ’94,
che i “tiratori turistici” partivano da Trieste. E avrebbe “interrotto” quegli
orribili “safari”. L’ex agente bosniaco ha sostenuto pure che ci potrebbero
essere carte conservate su interlocuzioni tra 007 bosniaci e italiani e con
tanto di “identificazioni” di quegli assassini. Già nelle denunce presentate
dall’ex sindaca di Sarajevo, Benjamina Karic (che ha dichiarato di essere
disposta a testimoniare), poi, venivano indicati almeno cinque nomi di persone
che parlarono della vicenda nel documentario ‘Sarajevo Safari’ di Miran Zupancic
del 2022.
L'articolo Un ex 007 bosniaco sarà uno dei testimoni principali dell’inchiesta
sui turisti-cecchini a Sarajevo proviene da Il Fatto Quotidiano.
Fedez e Mr Marra hanno condotto un’edizione straordinaria di “Pulp Podcast“,
intitolata “Ci è accaduto un fatto allarmante”. Durante la trasmissione, i due
hanno narrato un episodio inquietante verificatosi il 5 novembre scorso presso
la sede della società Doom, di cui l’artista è proprietario.
Secondo quanto riferito da Fedez, due uomini si sono diretti verso la sua
società affermando di essere poliziotti in borghese. “Hanno iniziato a fare
delle domande in merito a “Pulp Podcast”, chiedendo se registrassimo in quella
sede, gli orari in cui giravamo le puntate e hanno pure chiesto espressamente
quando io sarei stato presente alla registrazione”, ha raccontato il rapper.
Dopo l’episodio Fedez e Mr Marra hanno presentato un esposto in Procura ed è
stato allertato il questore di Milano Bruno Megale che ha detto di non essere a
conoscenza di nessuna attività in questo senso: “Noi andiamo avanti, non ci
facciamo intimidire”, hanno poi aggiunto. “Le preoccupazioni ci sono ma non si
può vivere nella paura, quindi non muterà assolutamente il nostro contenuto. Non
è il metodo giusto per farci fermare“, ha aggiunto Mr. Marra.
“Dovevamo mettervi al corrente di una situazione abbastanza strana”, ha esordito
Mr Marra. Poi Fedez ha spiegato: “In data 5 novembre due individui arrivavano al
portineria dell’ufficio della mia società Doom. Si sono presentati come
poliziotti in borghese e iniziano a fare delle domande al portinaio in merito a
“Pulp Podcast” chiedendo se registrassimo in quella sede il podcast e in quali
orari, poi hanno chiesto di quando io sarei stato presente alla registrazione di
queste puntate chiedendo appunto quando sarei arrivato per girare le prossime
puntate, chiedendo altro sulla programmazione…”.
Una serie di domande che hanno fatto venire il sospetto a Fedez: “Vertevano su
quando giravamo le puntate e a dove le giravamo. Sono stati esortati ad andare
all’interno della sede, ma in realtà non sono entrati, si sono dileguati senza
entrare negli uffici e fare domande. Noi abbiamo presentato un esposto
immediatamente. Ho chiamato il dottor Bruno Megale, che è il questore di Milano.
Mi ha detto non era assolutamente a conoscenza di nessun tipo di attività in
questo senso. Cioè la polizia non era stata mandata lì”.
L'articolo “Due finti poliziotti sono venuti a cercarci. Volevano intimidirci e
non è il metodo giusto per farci fermare”: Fedez e Mr Marra presentano la
denuncia in Procura proviene da Il Fatto Quotidiano.