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Financial Times: “L’Ue prepara indagine antitrust su Meta AI integrata in Whatsapp”
La Commissione europea sta pianificando una nuova indagine antitrust sugli strumenti di funzionalità di intelligenza artificiale di Meta su Whatsapp. Lo riporta il Financial Times, secondo cui l’indagine verterebbe su come il colosso tech abbia integrato il suo sistema Meta AI nel suo servizio di messaggistica all’inizio dell’anno, scrive il quotidiano citando due funzionari. L’avvio dell’indagine dovrebbe essere annunciato nei prossimi giorni, anche se i tempi potrebbero ancora variare. Nel mercato europeo infatti Meta AI – chatbot e assistente virtuale – è stato integrato nell’interfaccia di WhatsApp a partire da marzo 2025. L’azienda ha riferito a Reuters di non aver ricevuto i dettagli dell’indagine e ha fatto riferimento a una precedente dichiarazione di WhatsApp sull’inchiesta avviata da parte delle autorità antitrust italiane, che ha definito “infondata”. A luglio infatti l’Autorità garante della concorrenza e del mercato in Italia ha avviato un’indagine nei confronti di Meta per presunto abuso di posizione dominante con l’integrazione di uno strumento IA in WhatsApp. A novembre l’analisi è stata ampliata per la verifica di abuso di posizione dominante nel mercato dei servizi di AI chatbot nella piattaforma di messaggistica. Il Financial Times riferisce inoltre che l’indagine sarà condotta in base alle norme antitrust tradizionali anziché fare riferimento al Digital Markets Act, legislazione di riferimento dell’Unione Europea criticata da Donald Trump e attualmente impiegata per monitorare i servizi cloud di Amazon e Microsoft al fine di applicare eventuali restrizioni. “Il recente aggiornamento non influisce sulle decine di migliaia di aziende che forniscono assistenza clienti e inviano aggiornamenti pertinenti, né sulle aziende che utilizzano l’assistente IA di loro scelta per comunicare con i propri clienti”, ha dichiarato Meta. Il Ceo di Meta, Mark Zuckerberg, ha fatto pressioni sull’amministrazione Trump contro quelle che l’azienda considera regolamentazioni europee troppo onerose, che secondo Meta rischiano di far rimanere il blocco europeo indietro rispetto a Stati Uniti e Cina nella corsa all’IA. Sia il presidente Donald Trump sia il vicepresidente JD Vance si sono espressi contro le norme che prendono di mira le Big Tech americane dopo vari incontri con Zuckerberg. Intanto lo scorso mese, il segretario al commercio degli Stati Uniti, Howard Lutnick, ha dichiarato durante una visita a Bruxelles che l’Ue deve allentare la sua regolamentazione in campo tecnologico. L'articolo Financial Times: “L’Ue prepara indagine antitrust su Meta AI integrata in Whatsapp” proviene da Il Fatto Quotidiano.
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“Abuso di posizione dominante”, l’Antitrust indaga su Meta. Sotto accusa i chatbot di intelligenza artificiale
È di abuso di posizione dominante l’accusa nei confronti di Meta da parte dell’Antitrust, che ha avviato un procedimento cautelare ai danni della multinazionale. Al centro dell’attenzione le nuove condizioni contrattuali, introdotte il 15 ottobre scorso dalle nuove condizioni d’uso WhatsApp Business Solution Terms, oltre all’integrazione di nuove funzioni Meta Ai. Secondo l’Autorità queste introduzioni potrebbero limitare gli altri servizi AI Chatbot, e sarebbe una violazione delle leggi europee in materia. Le condizioni all’interno del nuovo contratto escludono dalla piattaforma WhatsApp tutte le imprese concorrenti di Meta Ai nel mercato dei servizi AI Chatbot, i sistemi di chat informatici con cui conversiamo ormai quasi giornalmente. Nella nota dell’Antitrust si legge che “questa modifica delle condizioni contrattuali è suscettibile di limitare la produzione, gli sbocchi o lo sviluppo tecnico nel mercato dei servizi di AI Chatbot, a danno dei consumatori, e costituisce una possibile violazione dell’articolo 102 TFUE. Inoltre, l’Autorità ritiene che tale violazione della normativa sulla concorrenza da parte di Meta possa pregiudicare, in modo grave e irreparabile, la contendibilità del mercato, a causa della scarsa propensione dei consumatori a cambiare le abitudini che ostacola il passaggio a servizi concorrenti”. L’Autorità si è anche riservata il diritto di adottare eventuali misure cautelari ex art. 14-bis della legge n. 287/1990. Il procedimento è stato avviato nei confronti di Meta Platforms Inc., Meta Platforms Ireland Limited, WhatsApp Ireland Limited e Facebook Italy S.r.l., indicate complessivamente come Meta. “Respingiamo con forza queste accuse infondate. L’API di WhatsApp non è stata progettata per essere utilizzata con chatbot di intelligenza artificiale e farlo comporterebbe un grave sovraccarico dei nostri sistemi. Il recente aggiornamento non ha alcun impatto sulle decine di migliaia di aziende che forniscono assistenza ai clienti e inviano comunicazioni rilevanti, né sulle aziende che utilizzano l’assistente AI che preferiscono per conversare con la propria clientela”. Per il Codacons è invece positiva la decisione dell’Antitrust. L’associazione aveva presentato a marzo un esposto che, come si legge nella loro dichiarazione, avrebbe portato a luglio l’apertura di un procedimento da parte delle Autorità. “E su Meta – ricorda ancora il Codacons – incombe ora anche un altro rischio: lo scorso 14 novembre è stato discusso dinanzi al Tribunale di Roma il ricorso inibitorio promosso assieme ad Adusbef e Assourt e teso ad impedire l’accesso dei minori a Instagram. Se il tribunale accoglierà l’azione legale, Meta dovrà correre ai ripari bloccando centinaia di migliaia di profili in Italia”. L'articolo “Abuso di posizione dominante”, l’Antitrust indaga su Meta. Sotto accusa i chatbot di intelligenza artificiale proviene da Il Fatto Quotidiano.
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“Sventata la più grande fuga di dati della storia su WhatsApp”: così una falla della piattaforma ha rischiato di mettere a rischio 3,5 miliardi di numeri di telefono (e di foto) privati
La facilità con cui WhatsApp consente di individuare nuovi contatti ha avuto un ruolo centrale nella vicenda analizzata dai ricercatori dell’Università di Vienna, che hanno verificato come il semplice controllo dei numeri in rubrica permetta di ottenere dati su scala globale. Il meccanismo, applicato in modo sistematico, ha infatti consentito al team di elencare 3,5 miliardi di numeri associati alla piattaforma, accedendo in molti casi alle foto profilo e alle informazioni pubbliche. Gli studiosi hanno spiegato che, attraverso la versione web dell’app, sono riusciti a controllare circa 100 milioni di numeri all’ora senza incontrare blocchi significativi. Nel loro report hanno scritto che la falla avrebbe rappresentato “la più grande fuga di dati della storia” e che, per quanto noto, si è trattato “della più estesa esposizione di numeri di telefono e dati correlati mai documentata”, come afferma Aljosha Judmayer. Max Günther ha aggiunto: “Se noi siamo riusciti a recuperare questi dati con estrema facilità, altri avrebbero potuto fare lo stesso”. Il team ha dichiarato di aver avvisato Meta ad aprile ed eliminato la copia dei dati, mentre l’azienda ha introdotto solo a ottobre nuove limitazioni di frequenza. In una dichiarazione a Wired, Meta ha definito le informazioni coinvolte “informazioni pubbliche di base”, sostenendo che i dati non risultavano visibili agli utenti che avevano impostato la privacy su valori più restrittivi. Nitin Gupta ha affermato: “Non abbiamo trovato alcuna prova che attori malevoli abbiano sfruttato questa vulnerabilità. Nessun dato non pubblico è stato accessibile ai ricercatori”. Secondo il team, però, durante la raccolta dei numeri non è comparsa alcuna “difesa” e il problema risulta noto dal 2017, quando Loran Kloeze aveva mostrato la stessa possibilità, osservando: “Adesso sì che fa paura, vero?”. I ricercatori hanno analizzato la visibilità dei dati paese per paese: negli Stati Uniti il 44% mostrava la foto profilo e il 33% un testo Info; in India le foto pubbliche raggiungevano il 62%, in Brasile il 61%. Un ulteriore risultato riguarda le chiavi crittografiche duplicate. Alcuni account utilizzavano chiavi identiche e 20 numeri statunitensi presentavano chiavi composte interamente da zeri. Judmayer ha sintetizzato così il problema strutturale: “I numeri di telefono non sono stati progettati come identificatori segreti, eppure è così che vengono utilizzati nella pratica”. L'articolo “Sventata la più grande fuga di dati della storia su WhatsApp”: così una falla della piattaforma ha rischiato di mettere a rischio 3,5 miliardi di numeri di telefono (e di foto) privati proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Chat control, trucco danese per resuscitare la sorveglianza di massa. M5s: “In nome dei minori, controllano i cittadini”
I difensori della privacy già si preparavano a celebrare il funerale di Chat control, il regolamento proposto dalla Commissione europea per sorvegliare tutti i messaggi in chat di 450 milioni di cittadini europei. Invece il “Grande fratello” è risorto più minaccioso di prima nel nuovo testo firmato dalla Danimarca, presidente di turno del Consiglio europeo. La scansione automatica dell’algoritmo investirà non solo i link, le foto e i video, ma anche le parole e i testi. LA MORTE DELLA PRIVACY IN NOME DEI MINORI Lo scopo è combattere la piaga della pedofilia online in vertiginoso aumento. Tecnicamente la proposta di chiama Csar, Child sexual abuse regulation. Ma l’effetto collaterale è la “sorveglianza di massa” – per citare letteralmente il Parlamento Ue – e la morte della privacy digitale. Di più: il controllo dei testi apre la possibilità di equivoci drammatici e infondate accuse di pedofilia. “Nessuna intelligenza artificiale può distinguere in modo affidabile tra un flirt, il sarcasmo e un ‘adescamento’ criminale”, ha commentato Patrick Breyer, giurista ed ex europarlamentare tedesco. “Immaginate che il vostro telefono controlli ogni conversazione con il vostro partner, vostra figlia, il vostro terapeuta e la trasmetta solo perché da qualche parte compare la parola ‘amore’ o ‘incontro’ – prosegue Breyer – Questa non è protezione dei minori, è una caccia alle streghe digitale. Il risultato sarà un’ondata di falsi positivi, che metterà cittadini innocenti sotto il sospetto generale ed esporrà masse di chat e foto private, persino intime, a sconosciuti”. Dello stesso tenore le preoccupazioni dell’europarlamentare 5 stelle Gaetano Pedullà. Secondo il giornalista, il controllo dei testi “potrebbe portare a un’enorme quantità di false accuse”. Basta citare la storia di papà Mark, negli Usa, raccontata dal New York Times il 21 agosto 2022. Per una foto ai genitali del figlio, inviata al pediatra in chat durante la pandemia, è scattata l’indagine per pedofilia: invece era solo un problema di salute. L’algoritmo non sempre indovina, anzi. Breyer cita un dato fornito dalla polizia tedesca: circa il 50% di tutte le segnalazioni sono irrilevanti dal punto di vista penale. Ecco perché, secondo Pedullà, il compromesso danese “è addirittura peggiore della versione stralciata qualche settimana fa”. “Con la scusa della tutela dei minori, i governi vogliono assicurarsi uno strumento potente di sorveglianza e controllo dei cittadini”, conclude il pentastellato. IL TRUCCO DANESE E LA “MITIGAZIONE DEL RISCHIO” Giova ricordare: i servizi di messaggistica possono già spiare ogni chat a caccia di pedofili, se lo vogliono. Facebook è in prima fila. La sorveglianza avviene grazie ad una deroga europea alla tutela della privacy varata nel 2021, rinnovata ogni anno. Prossima scadenza: aprile 2026. Anche per questo Mette Frederiksen, premier danese socialdemocratica, aveva imposto la priorità per chat control. La proposta di Copenaghen sembrava seppellire i timori del Grande fratello perché aboliva l’obbligo della scansione automatica, in capo alle piattaforme, fotografando la situazione attuale: sorveglianza sì, ma su base volontaria e senza imposizioni per Whatsapp e gli altri: come Google, Meta, Signal, Telegram, Proton. Invece l’obbligo, uscito dalla finestra rientra dalla porta: “un inganno politico di primissimo ordine”, secondo Breyer. Il trucco è all’articolo 4 del nuovo testo, dice il giurista: i fornitori di servizi sono obbligati ad adottare “tutte le misure appropriate di mitigazione del rischio”. Inclusa la scansione dei messaggi privati, avvisa l’ex europarlamentare tedesco. Dunque la minaccia per la privacy resta intatta. Non solo. Per tutelare i minori, la verifica dell’età diventerebbe obbligatoria prima di accedere a chat e servizi di posta elettronica. Ogni cittadino dovrebbe fornire un documento d’identità o accettare una scansione. In pratica, “la morte dell’anonimato online”, dice Pedullà. “Un disastro per dissidenti, giornalisti, attivisti politici e persone in cerca di aiuto che fanno affidamento sulla protezione dell’anonimato”, avverte Breyer. LA MAGGIORANZA QUALIFICATA ORA È POSSIBILE La nuova proposta è stata discussa il 12 novembre nella riunione tecnica del Law Enforcement Working Party. Il 19 dovrebbe approdare sul tavolo degli ambasciatori del Coreper, per preparare il voto decisivo nel Consiglio Ue. E potrebbe essere la volta buona per la proposta di regolamento Chat control, dopo tre anni di negoziati falliti. L’ostinazione degli Stati europei e della Commissione Ue si spiega solo con la portata della posta in palio. La versione danese è già stata discussa in una riunione informale degli ambasciatori nazionali il 5 novembre. Come rivelato dalla testa Brussellese Politico, anche la Germania sarebbe favorevole. La giravolta tedesca consentirebbe di raggiungere la maggioranza qualificata e superare la minoranza di blocco. Ma non è detta l’ultima parola. L'articolo Chat control, trucco danese per resuscitare la sorveglianza di massa. M5s: “In nome dei minori, controllano i cittadini” proviene da Il Fatto Quotidiano.
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