Nel 2026, la pubblicità potrebbe sbarcare su Gemini, il sistema d’intelligenza
artificiale di Google (Alphabet). O almeno questo è ciò che nelle scorse ore è
circolato online a partire da un’esclusiva (subito smentita) della testata
giornalistica Adweek che citava fonti interne all’azienda. È una prima epifania:
vero o falso che sia, si inizia a pensare a come saranno inglobate le pubblicità
nei sistemi di ricerca con l’Ai e il rischio che gli utenti non riescano a
distinguere tra oggettività, induzione all’acquisto e spot inizia a essere
concreto. Le leggi sul tema, però, ad oggi sono molto carenti.
IL CASO GOOGLE
Ma partiamo dall’attualità. Nel caso di Google, il condizionale sulla notizia di
Gemini è d’obbligo: a stretto giro, infatti, è arrivata la smentita ufficiale su
X da parte di Ginny Marvin, Ads Product Liaison di Google: non solo non ci sono
annunci visibili su Gemini, ha detto, ma mancano anche piani futuri
sull’argomento. D’altro canto, però, ha confermato l’impegno di Google su AI
Overviews, i riassunti generati dall’intelligenza artificiale che tutti vediamo
tra i risultati di ricerca: negli Usa, infatti, tra i risultati già possono
comparire annunci pubblicitari in linea con le richieste dell’utente ed è solo
questione di tempo prima che la funzione si estenda in tutto il mondo.
E QUELLO DI CHAT GPT
Anche ChatGPT, in queste stesse ore, ha fatto discutere attorno allo stesso
tema. Alcuni utenti paganti hanno visto comparire, durante una conversazione con
l’Ai, il suggerimento per un’app (Peloton) che sembrava in tutto e per tutto
simile ad una proposta pubblicitaria integrata nelle conversazioni. Il
co-fondatore della startup di intelligenza artificiale Hyperbolic, Yuchen Jin,
lo ha raccontato con un post di X, screenshot incluso. Contrariato, ha fatto
notare, oltretutto, di essere un abbonato super-pagante (200 dollari al mese per
il piano Pro): come considerarlo se non una sperimentazione di open Ai sulla
pubblicità? Daniel McAuley, responsabile dei dati di OpenAI ha però chiarito che
non era uno spot bensì “solo un suggerimento per installare l’app di Peloton”,
in linea – spiegava – con alcune implementazioni legate alle app che la
piattaforma sta prevedendo per il futuro. Ma ha dovuto però ammettere che “la
mancanza di pertinenza” della conversazione ha reso l’esperienza negativa e
confusa.
LA PUBBLICITÀ PER SOSTENERSI
Il fatto che si sia subito pensato all’advertising apre però una riflessione
d’obbligo: con il tempo, i sistemi di ricerca basati sull’Ai, che restituiscono
testi complessi e strutturati basati su fonti non sempre chiare (dall’origine
spesso opaca e scorretta) avranno integrata la pubblicità per potersi sostenere.
Sostituiranno i tradizionali motori di ricerca e, come già accade per gli
adolescenti che li utilizzano come psicologo, avranno funzioni più invasive sia
in termini di ciò che restituiranno all’utente, sia in termini di comprensione,
profilazione e targetizzazione dell’utente. Grazie al machine learning, il
linguaggio sarà sempre più naturale e confidenziale così come l’approfondimento
delle informazioni “umane”. Tutti elementi preziosi per modellare il marketing
sull’utente. Esempio banale: se farò una ricerca su un problema amoroso, potrei
ricevere in futuro sia una risposta sul tema, sia il consiglio commerciale sui
migliori terapeuti (inserzionisti) per me? Probabilmente sì.
LEGGI CARENTI
Intanto le norme – a partire dalla legge delega sull’IA recentemente approvata
in Italia e che dovrà produrre i relativi decreti legislativi – non regolano
specificamente l’introduzione della pubblicità in questi sistemi. “Né l’Ai Act
europeo né la legge italiana in proibiscono chiaramente l’utilizzo della
pubblicità nei sistemi d’intelligenza artificiale – spiega Fulvio Sarzana,
avvocato e docente presso l’Università Lum di Bari -. Certo però le tematiche
antitrust hanno un peso importante: parliamo comunque di decisioni automatizzate
che possono anche incidere sui diritti fondamentali dei cittadini”.
PRIVACY, ANTITRUST E AI ACT
Ci sono infatti due tipi di problematiche: la prima riguarda la privacy e il
regolamento europeo (GDPR) che impone la possibilità di contrastare il
trattamento automatizzato dei propri dati; la seconda è di tipo concorrenziale,
legata alla posizione dominante dei servizi pubblicitari che potrebbe
coinvolgere anche il settore dei chatbot. Ciononostante, “l’advertising – spiega
Sarzana – non è uno dei campi contenuti nell’allegato 3 dell’AI Act perché non
si ritiene causi rischi sistemici per i diritti fondamentali dei cittadini”.
TRASPARENZA ASSENTE
Si aggiunge poi il problema della protezione del segreto industriale da parte
delle aziende: capire quanto ciò che appare all’utente sia veicolato
dall’advertising o dai rapporti tra inserzionisti e aziende sarà sempre più
difficile. “È il problema del black box dell’intelligenza artificiale: – spiega
Sarzana – non siamo in grado di capire come funziona l’algoritmo. Il GDPR
permette di opporsi al trattamento automatizzato della nostra persona, di
opporsi alla ricostruzione di noi e della nostra personalità fatta dai sistemi.
Però sapere come funziona l’algoritmo e quindi capire quali siano gli
accostamenti che portano a una risultanza, ad oggi, non è previsto da alcuna
norma. E questo ha a che vedere sia con le pubblicità che con i diritti delle
persone”. Non esistono insomma disposizioni che obbligano a mostrare il codice:
“Rimarrà sempre un aspetto oscuro nelle tecnologie, a maggior ragione
dell’intelligenza artificiale, che può generare anche allucinazioni o fornire
quadri distorti delle persone, oltre creare un ecosistema opaco ”. Capace un
giorno di spingerci, anche con linguaggio sempre più comprensivo, naturale e
confidenziale, a comprare.
L'articolo La pubblicità si affaccia anche nella AI. Il caso (smentito) di
Gemini e quello di ChatGPT. Le leggi? Sono già obsolete proviene da Il Fatto
Quotidiano.
Tag - Antitrust
Sanzionate per oltre mezzo milione di euro dall’Antitrust sei società di call
center con l’accusa di aver concluso contratti di energia e telefonia dopo aver
fornito informazioni ingannevoli. Le prime tre aziende, attive nel settore
energetico, sono Titanium, Fire – condannate in solido a pagare 160mila euro – e
J.Wolf Consulting, multata di 120mila euro. Ci sono poi Nova Group, Communicate
e Entiende, attive nel settore delle telecomunicazioni, multate rispettivamente
per 80mila, 40mila e 120mila euro.
Le società avrebbero contattato i consumatori proponendo l’attivazione di
contratti energetici dopo aver fornito delle formazioni false o ingannevoli
sulla propria identità, sul motivo della telefonata e sulla convenienza
dell’offerta. Come spiega l’AGCM in un comunicato stampa: “Nel settore
dell’energia è stato accertato che gli operatori dei call center si presentavano
come dipendenti di Autorità di regolazione e controllo o di un “centro
assistenza bollette” e informavano i consumatori di asseriti aumenti imposti
dalla regolazione o di presunte anomalie (doppia attivazione di forniture su
un’unica utenza o difficoltà nello switching), per indurli a stipulare un nuovo
contratto di fornitura”.
Per quanto riguarda le telecomunicazioni – spiega la nota – i telefonisti
prospettavano (fingendosi impiegati dell’ufficio tecnico o amministrativo del
fornitore attuale) imminenti scadenze o disservizi sulla tariffa relativa al
contratto in essere e nuovi rincari ai danni dell’utente chiamato. “Gli addetti
ai call center” – spiega AGCM – “indicavano altresì che questi eventi potevano
essere evitati attivando una nuova offerta con un diverso operatore a condizioni
contrattuali particolarmente favorevoli, che poi si rivelavano false”.
“Tale condotta” – conclude l’Antitrust – “è risultata idonea a incidere sulla
libertà dei consumatori di scegliere in modo consapevole e informato il proprio
fornitore, alterando le facoltà di valutare la convenienza delle offerte
attraverso la prospettazione di informazioni non rispondenti a realtà, in
violazione degli articoli 20, 21 e 22 del Codice del consumo”.
L'articolo Multe da 520mila euro a sei società di call center. L’Antitrust:
“Informazioni ingannevoli, lesa libertà dei consumatori” proviene da Il Fatto
Quotidiano.
Utilizzando i contenuti degli editori online e i video caricati su Youtube per
sviluppare la propria intelligenza artificiale, Google ha violato le norme Ue
sulla concorrenza? È questa la domanda alla quale dovrà rispondere l’indagine
aperta dalla Commissione Europea sul gigante di Mountain View per accertare se
Google abbia imposto condizioni contrattuali ingiuste a editori e creatori di
contenuti, oppure garantendosi un accesso privilegiato a questi contenuti, con
possibili effetti negativi sugli sviluppatori di modelli di AI concorrenti.
L’indagine antitrust sarà condotta con procedura prioritaria: se confermate, le
pratiche sleali si configurerebbero come abuso di posizione dominante. Bruxelles
teme che Google abbia utilizzato in modo improprio i contenuti degli editori
online per alimentare i propri servizi di intelligenza artificiale generativa
come AI Overviews e AI Mode mostrati nelle pagine dei risultati di ricerca,
senza offrire agli editori un’adeguata remunerazione e senza consentire loro di
rifiutare l’uso dei propri contenuti senza perdere l’accesso al traffico
proveniente da Google Search, da cui molti dipendono.
Timori Ue analoghi riguardano anche i video e gli altri contenuti caricati su
YouTube per addestrare i modelli di AI generativa di Google, anche in questo
caso senza compensare i creatori né permettere loro di opporsi. Chi carica
contenuti su YouTube, evidenzia Bruxelles, è obbligato a concedere a Google il
permesso di usarli anche per l’addestramento dell’IA senza tuttavia ricevere un
corrispettivo.
“Una società libera e democratica si fonda su media diversificati, libero
accesso all’informazione e un panorama creativo dinamico. Questi valori sono
centrali per la nostra identità di europei”, ha evidenziato la vicepresidente
dell’esecutivo Ue, Teresa Ribera, ammonendo che “l’IA sta portando innovazioni
straordinarie e molti benefici per cittadini e imprese in tutta Europa, ma
questo progresso non può avvenire a scapito dei principi alla base delle nostre
società”.
L'articolo L’Ue apre un’indagine antitrust su Google: “Contenuti degli editori
online utilizzati per sviluppare l’AI” proviene da Il Fatto Quotidiano.
BRUSSELS — The European Commission has opened an antitrust investigation into
whether Google breached EU competition rules by using the content of web
publishers, as well as video uploaded to YouTube, for artificial intelligence
purposes.
The investigation will examine whether Google is distorting competition by
imposing unfair terms and conditions on publishers and content creators, or by
granting itself privileged access to such content, thus placing rival AI models
at a disadvantage, the Commission said on Tuesday.
In a statement, the EU executive said it was concerned that Google may have used
the content of web publishers to provide generative AI-powered services on its
search results pages without appropriate compensation to publishers, and without
offering them the possibility to refuse such use of their content.
Further, it said that the U.S. search giant may have used video and other
content uploaded on YouTube to train Google’s generative AI models without
compensating creators and without offering them the possibility to refuse such
use of their content.
The formal antitrust probe follows Google’s rollout of AI-driven search results,
which resulted in a drop in traffic to online news sites.
Google was fined nearly €3 billion in September for abusing its dominance in
online advertising. It has proposed technical remedies over that penalty, but
resisted a call by EU competition chief Teresa Ribera to break itself up.
È di abuso di posizione dominante l’accusa nei confronti di Meta da parte
dell’Antitrust, che ha avviato un procedimento cautelare ai danni della
multinazionale. Al centro dell’attenzione le nuove condizioni contrattuali,
introdotte il 15 ottobre scorso dalle nuove condizioni d’uso WhatsApp Business
Solution Terms, oltre all’integrazione di nuove funzioni Meta Ai. Secondo
l’Autorità queste introduzioni potrebbero limitare gli altri servizi AI Chatbot,
e sarebbe una violazione delle leggi europee in materia. Le condizioni
all’interno del nuovo contratto escludono dalla piattaforma WhatsApp tutte le
imprese concorrenti di Meta Ai nel mercato dei servizi AI Chatbot, i sistemi di
chat informatici con cui conversiamo ormai quasi giornalmente.
Nella nota dell’Antitrust si legge che “questa modifica delle condizioni
contrattuali è suscettibile di limitare la produzione, gli sbocchi o lo sviluppo
tecnico nel mercato dei servizi di AI Chatbot, a danno dei consumatori, e
costituisce una possibile violazione dell’articolo 102 TFUE. Inoltre, l’Autorità
ritiene che tale violazione della normativa sulla concorrenza da parte di Meta
possa pregiudicare, in modo grave e irreparabile, la contendibilità del mercato,
a causa della scarsa propensione dei consumatori a cambiare le abitudini che
ostacola il passaggio a servizi concorrenti”. L’Autorità si è anche riservata il
diritto di adottare eventuali misure cautelari ex art. 14-bis della legge n.
287/1990.
Il procedimento è stato avviato nei confronti di Meta Platforms Inc., Meta
Platforms Ireland Limited, WhatsApp Ireland Limited e Facebook Italy S.r.l.,
indicate complessivamente come Meta. “Respingiamo con forza queste accuse
infondate. L’API di WhatsApp non è stata progettata per essere utilizzata con
chatbot di intelligenza artificiale e farlo comporterebbe un grave sovraccarico
dei nostri sistemi. Il recente aggiornamento non ha alcun impatto sulle decine
di migliaia di aziende che forniscono assistenza ai clienti e inviano
comunicazioni rilevanti, né sulle aziende che utilizzano l’assistente AI che
preferiscono per conversare con la propria clientela”.
Per il Codacons è invece positiva la decisione dell’Antitrust. L’associazione
aveva presentato a marzo un esposto che, come si legge nella loro dichiarazione,
avrebbe portato a luglio l’apertura di un procedimento da parte delle Autorità.
“E su Meta – ricorda ancora il Codacons – incombe ora anche un altro rischio: lo
scorso 14 novembre è stato discusso dinanzi al Tribunale di Roma il ricorso
inibitorio promosso assieme ad Adusbef e Assourt e teso ad impedire l’accesso
dei minori a Instagram. Se il tribunale accoglierà l’azione legale, Meta dovrà
correre ai ripari bloccando centinaia di migliaia di profili in Italia”.
L'articolo “Abuso di posizione dominante”, l’Antitrust indaga su Meta. Sotto
accusa i chatbot di intelligenza artificiale proviene da Il Fatto Quotidiano.
L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha irrogato una sanzione di
150.000 euro a Tannico srl, una delle più note enoteche online, per pratica
commerciale scorretta. “La società, tramite il proprio sito web e l’app Tannico,
diffondeva comunicazioni commerciali ingannevoli e omissive sugli annunci di
riduzione di prezzo delle bevande alcoliche pubblicizzate”, ha spiegato
l’Autorità in una nota.
In particolare, Tannico srl “promuoveva in modo scorretto numerosi prodotti ‘in
offerta’ per i quali i prezzi, indicati come ‘promozionali’, erano maggiori o
uguali al prezzo più basso applicato nei 30 giorni precedenti alle offerte,
contrariamente a quanto previsto dalle norme a tutela dei consumatori per
garantire una corretta informazione sull’effettiva convenienza economica delle
promozioni. A metà luglio 2025, durante l’istruttoria, la società ha modificato
sito web e app, mettendo fine all’infrazione”, conclude l’Autorità nella nota.
L'articolo Tannico multata di 150 mila euro dall’antitrust per pratica
commerciale scorretta proviene da Il Fatto Quotidiano.
Multa da 500mila euro dell’Antitrust per la low cost Wizzair. L’Autorità garante
della concorrenza e del mercato ha accertato la violazione delle norme del
Codice del consumo in materia di pratiche commerciali scorrette e di clausole
vessatorie da parte della compagnia aerea low cost Wizz Air Hungary Ltd e ha
irrogato una sanzione di 500.000 euro. Il procedimento riguarda il servizio di
abbonamento annuale “Wizz All You Can Fly”, che consente di volare a una tariffa
fissa su tutte le rotte internazionali operate dal vettore, a fronte del
pagamento di 599 euro (499 nella fase iniziale della promozione).
L’Autorità ha accertato che, “nello svolgimento delle campagne promozionali,
Wizz Air presentava il servizio come un abbonamento senza limiti, omettendo
informazioni adeguate e puntuali sulle limitazioni”. Le informazioni
precontrattuali fornite al consumatore sulle caratteristiche dell’abbonamento
erano “carenti e ambigue, soprattutto riguardo alle finestre temporali di
prenotazione dei singoli voli, al numero e alla tipologia dei posti disponibili
per gli abbonati su ogni volo, nonché ad ulteriori limitazioni applicabili
all’utilizzo del servizio”.
Inoltre, prosegue l’Antitrust, “è stata accertata la vessatorietà di alcune
clausole presenti nella versione originaria delle condizioni generali di
contratto, nella parte in cui attribuivano a Wizz Air la possibilità di
modificare i termini e le condizioni del servizio o interromperne del tutto
l’erogazione, senza prevedere i giustificati motivi o assicurare tutele idonee
ai consumatori. Oltre a ostacolare il diritto di rimborso pro quota, infatti, le
clausole contestate limitavano il diritto di recesso, in caso di sospensione o
cessazione del servizio, anche nell’ipotesi in cui l’aeroporto interessato fosse
quello scelto dal consumatore come hub preferito. Le clausole contestate
causavano pertanto un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi a
carico degli abbonati”.
L'articolo Multa Antitrust da 500mila euro per Wizzair: informazioni carenti e
ambigue sull’abbonamento annuale proviene da Il Fatto Quotidiano.
BRUSSELS — The European Commission wants Google to break itself up. The U.S.
search giant says no.
Google has delivered its formal response to a landmark ad tech antitrust
decision by the Commission, rejecting the watchdog’s prescription of an asset
sale to address its competition concerns.
The firm submitted a compliance proposal late Wednesday that includes a set of
product and technical changes, including some to be rolled out within the year,
that aim to open up its ad tech empire to rivals.
The move comes on the final day of the deadline imposed by the Commission on
Sept. 5, when it fined the Alphabet unit €2.95 billion for its conduct.
In its decision, the Commission concluded that Google’s abuse was a product of
the “inherent conflict of interest” it has by owning such vast swaths of the
infrastructure that powers online advertising.
A spokesperson for the Commission confirmed in a statement that the EU executive
had received Google’s proposal, and that it will now analyse the proposed
measures.
The search giant has proposed a series of immediate product changes, such as
giving publishers greater pricing power, as well as longer-term fixes to
increase the interoperability of its ad tech tools.
“Our proposal fully addresses the EC’s decision without a disruptive break-up
that would harm the thousands of European publishers and advertisers,” a Google
spokesperson said in a statement.
News publishers on both sides of the Atlantic have long lamented that they face
few options other than Google to administer their ad-powered businesses,
ultimately forcing up costs for the already struggling sector.
Those complaints crystallized in the early 2020s, when both the U.S. Department
of Justice and the European Commission launched antitrust investigations into
Google’s control over the plumbing of online advertising.
When the Commission issued its final decision in September, it made the
unprecedented move of stipulating that its concerns could only be resolved if
Google ceded control of its market-leading ad tech tools.
The measures proposed to Brussels by Google fall far short of the envisioned
structural sell-off that both the Commission and its American counterpart
envisioned as a solution to Google’s distortion of competition in the online
advertising sector.
They also largely echo the proposals Google submitted to the U.S. federal court
overseeing the Trump administration’s ad tech case, where it, too, proposed a
mix of behavioural fixes. Closing arguments in the U.S. trial will begin on
Monday.
In its statement, the Commission said it would analyze Google’s remedies against
a yardstick of whether they end and address the conflicts of interest that
Google’s ownership of the sellside, buyside and exchange infrastructure upon
which digital ads are priced and placed.
The Commission has never imposed structural remedies and faces a high legal bar
for doing so, legal experts have told POLITICO.
BRUSSELS — The European Commission has opened an antitrust probe into Red Bull
as it suspects the energy drink manufacturer of abusing its dominant position by
restricting competition for rival products.
“Red Bull’s strategy allegedly targeted in particular the energy drinks sold by
its closest competitor,” the Commission said in a press release. It added that
Red Bull’s strategy had targeted sale points where drinks are bought for
consumption elsewhere, such as supermarkets and petrol station shops.
The Commission suspects that Red Bull implemented the strategy at least in the
Netherlands. This consisted of granting incentives to retailers to stop selling
rival energy drinks and of misusing “its position as category manager at
off-trade customers so that competing energy drinks sold in sizes exceeding
250ml are delisted or disadvantaged,” the Commission said.
“We want to see if these practices may be keeping prices high and limiting
choice of energy drinks for consumers,” competition chief Teresa Ribera said in
a statement. “This investigation is part of the Commission’s continued efforts
to enforce competition rules in the food supply chain to the benefit of European
consumers.”
Red Bull’s legal challenge of the Commission’s dawn raids carried out in 2023
was dismissed in October by the General Court, which ruled that the inspection
was neither arbitrary nor disproportionate.
The case is AT.40819
A message from Brussels to Google: Would you break yourself up, please?
The search giant faces an early November deadline to say how it intends to
comply with a European Commission decision in September, which found that it had
illegally maintained its grip on the infrastructure that powers online
advertising.
With a €2.95 billion fine in the rearview mirror, the Commission and Google find
themselves in an unprecedented standoff as Brussels contemplates the once
unthinkable: a structural sell-off of part of a U.S. company, preferably
voluntary, but potentially forced if necessary.
The situation is “very unusual,” said Anne Witt, a professor in competition law
at EDHEC Business School in Lille, France.
“Structural remedies are almost unprecedented at the EU level,” Witt added.
“It’s really the sledgehammer.”
In its September decision, the Commission took the “unusual and unprecedented
step,” per Witt, to ask Google to design its own remedy — while signaling, if
cautiously, that anything short of a sale of parts of its advertising technology
business would fall foul of the EU antitrust enforcer.
“It appears that the only way for Google to end its conflict of interest
effectively is with a structural remedy, such as selling some part of its Adtech
business,” Executive Vice President Teresa Ribera, the Commission’s competition
chief, said at the time.
As the clock counts down to the deadline for Google to tell the Commission what
it intends to do, the possibility of a Brussels-ordered breakup of an American
tech champion is unlikely to go unnoticed in Washington, even as the Donald
Trump administration pursues its own case against the search giant. (Google
accounts for 90 percent of the revenues of Alphabet, the $3.3 trillion
technology holding company headquartered in Mountain View, California.)
Executive Vice President Teresa Ribera, the Commission’s competition chief. |
Thierry Monasse/Getty Images
Google has said that it will appeal the Commission’s decision, which in its view
requires changes that would hurt thousands of European businesses. “There’s
nothing anticompetitive in providing services for ad buyers and sellers, and
there are more alternatives to our services than ever before,” Lee-Anne
Mulholland, its vice president and global head of regulatory affairs, wrote in a
blog post in September.
PARALLEL PROBES
The proposal for a voluntary break up of Google marks the culmination of a
decade of EU antitrust enforcement in digital markets in which “behavioral”
fixes achieved little, and a unique alignment in both timing and substance
between the U.S. and the EU of their parallel probes into the firm’s ad tech
empire.
“It would have been unthinkable 10 years ago that there would be a case in the
U.S. and a sister case in Europe that had a breakup as a potential outcome,”
said Cori Crider, executive director of the Future of Tech Institute, which is
advocating for a break-up.
The Commission formally launched the investigation into Google’s ad tech stack
in 2021, following a drumbeat of complaints from news organizations that had
seen Google take control of the high-frequency exchanges where publishers and
advertisers agree on the price and placement of online ads.
Google’s control of the exchanges, as well as infrastructure used by both sides
of the market, was like allowing Goldman Sachs or Citibank to own the New York
Stock Exchange, declared the U.S. Department of Justice in its lawsuit in 2023.
It also created a situation in which cash-strapped news organizations on both
sides of the Atlantic saw Google eating an increasing share of revenues from
online advertising — and ultimately posing a threat to journalism itself.
“This is not just any competition law case — this is about the future of
journalism,” said Alexandra Geese, a German Green member of the European
Parliament. “Publishers don’t have the revenue because they don’t get traffic on
their websites, and then Google’s algorithm decides what information we see,”
she said.
The plight of publishers proved hefty on the other side of the Atlantic too.
In April, the federal judge overseeing the U.S. government’s case against Google
ruled that the search giant had illegally maintained its monopoly over parts of
the ad tech market.
A spokesperson for the company said that the firm disagrees with the
Commission’s charges. | Nurphoto via Getty Images
The Virginia district court held a two-week trial on remedies in September. The
Trump administration has advocated a sale of the exchanges and an unwinding of
Google’s 2008 merger with DoubleClick, through which it came to dominate the
online ad market. Judge Leonie Brinkema will hear the government’s closing
arguments on Nov. 17 and is expected to issue her verdict in the coming months.
STARS ALIGN
Viewed by Google’s critics, it’s the ideal set of circumstances for the
Commission to push for a muscular structural remedy.
“If you cannot go for structural remedies now, when the U.S. is on the same
page, then you’re unlikely to ever do it,” said Crider.
The route to a breakup may, however, be both legally and politically more
challenging.
Despite the technical alignment, and a disenchantment with the impact that past
fines and behavioral remedies have had, the Commission still faces a “big
hurdle” when it comes to the legal test, should it not be satisfied with
Google’s remedy offer, said Witt.
The U.S. legal system is more conducive to ordering breakups, both as a matter
of law — judges have a wide scope to remedy a harm to the market — and in
tradition, said Witt, noting that the U.S. government’s lawsuits to break up
Google and Meta are rooted in precedents that don’t exist in Europe.
Caught in the middle is Google, which should file its proposed remedies within
60 days of being served notice of the Commission decision that was announced on
Sept. 5.
A spokesperson for the company said that the firm disagrees with the
Commission’s charges, and therefore with the notion that structural remedies are
necessary. The firm is expected to lodge its appeal in the coming days.
While Google has floated asset sales to the Commission over the course of the
antitrust investigation, only to be rebuffed by Brussels, the firm does not
intend to divest the entirety of its ad tech stack, according to a person
familiar with the matter who was granted anonymity due to the sensitivity of the
case.
Ultimately, what happens in Brussels may depend on what happens in the U.S.
case.
While a court-ordered divestiture of a chunk of Google’s ad tech business is
conceivable, U.S. judges have shown themselves to be skeptical of structural
remedies in recent months, said Lazar Radic, an assistant law professor at IE
University in Madrid, who is affiliated with the big tech-friendly International
Center for Law and Economics.
“Behavioral alternatives are still on the table,” said Radic, of the U.S. case.
The Commission will likely want to align itself with the U.S. should the
Virginia court side with the Department of Justice, said Damien Geradin, legal
counsel to the European Publishers Council — of which POLITICO parent Axel
Springer is a member — that brought forward the case. Conversely, if the court
opts for a weaker remedy than is being proposed, the Commission will be obliged
to go further, he said.
“This is the case where some structural remedies will be needed. I don’t think
the [European Commission] can settle for less,” said Geradin.