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Il trafficante di droga grida in aula contro il pm De Tommasi e lo minaccia: “Deve finirla di rovinare le persone”
Il trafficante già condannato per associazione a delinquere oggi torna in aula per altri capi d’imputazione. Sul piatto sempre droga. Aula bunker del carcere milanese di Opera, Luigi Ruggiero, tarantino classe ’87, considerato a capo della batteria di trafficanti del comune di Rozzano assieme al defunto Chicco Pagani, prende la parola per alcune dichiarazioni spontanee. E che fa? Minaccia chiaramente il pubblico ministero. E chi è il pm? Francesco De Tommasi per il quale Ruggiero è uno dei tanti protagonisti della sua maxi inchieste Barrios su sette piazze di spaccio a Milano, tra cui, quella più grande, annidata nel quartiere della Barona. De Tommasi, assieme al collega Gianluca Prisco, proprio per aver chiuso il cerchio attorno alla famiglia Calajò, storici reggenti della malavita alla Barona, sono finiti sotto scorta. Era l’ottobre 2023 e dal carcere erano state registrate chiare minacce di morte. Questa mattina la storia sembra essersi ripetuta. Un fatto gravissimo che rubrica a poco meno che una bagatella l’affare tutto interno alla Procura che ha visto De Tommasi vedersi bocciato lo scatto di avanzamento di carriera dal consiglio giudiziario distrettuale per il presunto poco equilibrio mostrato nell’indagine bis sul caso di Alessia Pifferi e che riguardava i tentativi di manipolare la perizia psicologica a favore di una infermità mentale esclusa dalle sentenze di primo e secondo grado. In quel fascicolo, per farla breve, risulterà indagata anche la legale della donna, recentemente assolta. Detto questo, quel troncone finito sotto la lente della Procura Generale e del ministero della Giustizia non ha rilevato alcun illecito disciplinare. La questione in valutazione al Csm, sembra solo un fastidioso rumore di sottofondo rispetto alle minacce lanciate da un pericoloso trafficante di droga. Torniamo allora a Luigi Ruggiero, già condannato in abbreviato nel maxi processo Barrios, e questa mattina imputato per altri capi di accusa (cinque episodi di spaccio) in una lista di 57 persone, Ruggiero ha chiesto così di fare dichiarazioni spontanee e qui proprio non si è tenuto e anche ha alzato non poco la voce. In attesa della trascrizione dell’udienza, queste sono state le sue parole: “Il dottor De Tommasi deve smettere di perseguitarmi”. Il pm, dice Ruggiero, deve smetterla “di rovinarlo” che gli “ha fatto prendere 30 anni” e deve “lasciarlo in pace” e “finirla di rovinare le persone”. Il tutto alzandosi in piedi, alzando la voce e ripetendo più volte “dottor De Tommasi”. Parole sinistre che ricordano quelle del 2023 quando in carcere a Opera fu intercettata questa frase di Nazza Calajò: “De Tommasi si fermi se vuole salva la vita sua e della sua famiglia”. De Tommasi come il suo collega Prisco non si sono fermati e sono finiti sotto scorta armata. E ancora, sempre per voce del capo Nazzareno Calajò: “De Tommasi non ti conviene, credimi. Lasciaci stare e siamo a posto così e ti salvi la vita! A me di questa galera non me ne fotte niente. E te lo faccio vedere, non è uno scherzo! Ti lascio in un lago di sangue. Tuo padre, tua madre, i tuoi fratelli, le tue sorelle, i tuoi figli li uccido tutti!”. Non contento aggiungerà: “Io lo ammazzo De Tommasi, ti mangio come un cannibale, lo sgozzo (…). Ti faccio esplodere con una bomba (…). Il Tribunale di Milano lo faccio arrivare su Marte (…). Ti faccio fare la fine di quei due porci di merda (…). Ti faccio diventare un martire come loro”, riferendosi ai giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Quindi spiega: “Non vi preoccupate, giù in cantina abbiamo quattro bombe e quattro mitra”. Quasi tre anni dopo, ancora minacce gravi. E però a tenere banco nei corridoi e tra le correnti della magistratura è solo quella legittima attività di indagine, finita con le assoluzioni degli imputati, come spesso capita nelle aule di giustizia. L'articolo Il trafficante di droga grida in aula contro il pm De Tommasi e lo minaccia: “Deve finirla di rovinare le persone” proviene da Il Fatto Quotidiano.
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“Esaudiamo i vostri desideri 24 ore su 24”: dentro il call center dello spaccio a Milano che riforniva Coca city
Il manager nei palazzi di vetro di Citylife, riunione in corso, il whatsapp sul cellulare fa bin. Il chirurgo di fama del grande ospedale ha appena terminato l’intervento, un altro bin. E poi un altro bin in tasca alla giovane ricercatrice universitaria, al titolare di quel noto locale notturno in Brera e all’avvocato che di fretta esce dal tribunale con ancora la toga addosso, allo studente, al funzionario pubblico, al fioraio, a quel tizio che si fa chiamare Ibra. Bin, bin, bin. Tutti nello stesso istante e nella stessa chat comune Mamasita Griselda 2.0. E tutti, qualsiasi cosa stiano facendo, si fermano e leggono perché sanno che quel messaggio questa sera, o forse domani, salverà la loro vita tossica: “Macciao!! Tutto bene? Questo numero è la fusione di Mamasita e Griselda 2.0, da oggi potete contattarci qui, come unico numero, gli altri verranno disattivati! Vedete di memorizzare questo nuovo numero, se no come farete senza di me? Anzi senza di noi, sempre presenti a esaudire i vostri desideri a qualsiasi orario. E chi ieri sera ha speso troppi soldini con un 15 prenderà una 20”. LA CENTRALE OPERATIVA DELLA COCAINA A MILANO Inizia così la straordinaria storia della Centrale operativa della cocaina a Milano, gestita e coordinata da Katia Adragna, la Mamacita o Griselda o Super Mamacita o la bionda o la nera, narco-madrina in nome e per conto dei boss del clan della Barona, Nazzareno e Luca Calajò. Il tutto riassunto in una annotazione della Squadra mobile di Milano agli atti dell’indagine sull’arresto di Adragna e altri. Una casa imbosco: via Lope de Vega 46 e una decina di centralinisti sempre operativi per ricevere gli ordini e indirizzare i cavallini o Glovo, che sono Nuvola, Pantani, Biondino, Indiano, per le consegne a domicilio. Le dosi sono “la spesa” e vanno a colori: bianco blu, viola. Tutti vogliono la cocaina e tutti vogliono il “perlage”, la migliore, la più buona. Mamacita ascolta, segna ed esaudisce i desideri di Coca city. La sua squadra è la migliore e arriva ovunque, da Porta Venezia e corso Buenos Aires, dai Navigli alla street del design di via Tortona. Si paga in contanti o comodamente su postepay o altri conti correnti. E quando Mamacita si prende qualche giorno di pausa, la Centrale mica si ferma: “Ciao ragazzi siamo la squad della Griselda, lei è andata in vacanza ma è sempre qua tra noi. Questo sarà il numero provvisorio perché gli altri se li è portati con sé, abbiamo sempre i nostri glovo simpatici e siamo a vostra disposizione per rendervi felici. Già disponibili da subito”. E via altri dieci, cento, mille bin! “UN ATTIMO PER FAVORE, SIAMO INCASINATI” La giornata tipo della Centrale operativa non ha orari, le richieste dei clienti arrivano mattina, pomeriggio fino all’alba. A volte le comande cadono una sopra l’altra: “Un attimo per favore – scrive Mamacita al cliente che insiste – siamo incasinati, adesso metto nella lista anche te, stai calmo, non devi aspettare le ore, ma non rompermi i coglioni, perché purtroppo c’è casino”. Non succede spesso, ma a volte succede che il cliente ordina ma poi non si presenta al ritiro e allora Katia si arrabbia: “La prossima volta che mi fate venire i ragazzi li per niente, mi pagate comunque il disturbo. Eh sì? Non portano in giro né banane e né caramelle, né fiori, quindi un po’ di rispetto per le persone che a quest’ora rischiano e ve la portano in bocca”. LE PROMOZIONI DI GRISELDA: “PRENDI 30, PAGHI 25” I clienti pretendono e soprattutto vogliono la cocaina buona: “Buonasera, come sempre siete operativi e niente comunque ne prenderei uno (grammo, ndr), sono qua in Giambella. È sempre la stessa di questi giorni vero? È buona spero, cioè spero, eh deve essere quella, perché l’altra non mi convince, ma io prendo sempre quella”. Dalla Centrale operativa rispondono: “Dovrebbe”. Il cliente un po’ spazientito: “Eh in che senso dovrebbe, faccio entrare un secondo a vedere se è lei, perché se no io non la prendo, se non mi mandate quella là, altre non ne voglio”. La Griselda della Barona quindi spiega il prodotto: “Tesoro quella che ti ho mandata è buona buona, almeno che ci sia stato un errore tra i miei ragazzi, sai che io ho doppia qualità, mi sembra strano, o hanno sbagliato che quella che dovevo mandare a te, magari ti mando la madreperla”. Il cliente: “Certo che voglio il perlage zia, io voglio solo quella più buona di tutte cristo! Domani, comunque, portane almeno due (grammi, ndr)”. Ma non sempre si tratta di perlage: “Quella di ieri mai più, ha mal di denti, ha il naso distrutto non è la stessa, è pessima, è avanzata, se vuoi te la rido indietro, ti assicuro che non è la stessa”. Nel frattempo Griselda lancia l’ennesima promozione: “Oggi promozione prendi 30 (0,30 grammi, ndr) paghi 25”. GLI SCONTI CHIESTI DA CHI PRESENTAVA NUOVI CLIENTI Come in ogni attività commerciale, il cliente è sacro, perché è quello che paga. Le dosi volano ogni minuto da un posto all’altro della città. E stare dietro a tutti non è facile: “Tesoro guarda – scrive la Mamacita in chat – ancora 10 minuti prima che arriva da me, non ti voglio dire cagate, poi parte e comincia a fare tutte le consegne e ci sarai anche tu, tempo umano, tempo della strada niente di più niente di meno. Adesso te lo mando” e la dose sarà “più cicciottella e più potente, bellissima”. Laura poi è una cliente affezionata, acquista e spende e in certi casi porta qualche cliente in più, e però si lamenta che qualche sconticino mai: “Ciao – dice – vorrei porre i riflettori su una cosa, io vi ho passato un fantastico personaggio cliente come Raoul, che boh, numero 1, cioè super affidabile, sarebbe carino, corretto, se almeno una volta al mese io avessi un regalino, no? Sarebbe carino da parte vostra”. LE LAMENTELE DELLA NARCO-MADRINA KATIA ADRAGNA Ogni tanto poi sulla chat, la narco-madrina manda alcuni avvisi a quei naviganti che ricevono un po’ meno del pattuito e si lagnano: “Se stiamo vedere il glovo è gratis, la benzina è gratis, il ragazzo è gratis, la portata a casa è gratis, non è che ci dobbiamo lamentare più di tanto eh, a qualsiasi ora 24 ore su 24 a disposizione, che ne dici? Diciamo che di me e del mio servizio non ci si può proprio lamentare, che ne dici? Se stiamo a guardare anche il puntino sulla i, come dovrei fare io! Dovrei fare come tanti, che faccio pagare il servizio glovo che ne dici? Comunque alla prossima ti faccio aggiungere quello che ti mancava adesso, tanto non muore nessuno dai, una briciolina!”. Dopodiché “se io ti tratto male e tu non tomi più ci ho guadagnato sto cazzo, per cosa? Per rubarti la cinque/dieci euro oggi e poi non guadagnarci più domani sarebbe da stupidi”. Insomma, le solite beghe di lavoro. “PANTANI”, IL CORRIERE DELLA DROGA PIÙ VELOCE Nel frattempo in Centrale i telefoni sono bollenti. I clienti fremono, Milano non attende, vuole pippare. “Ma in Corso Buenos Aires la puoi fare una corsa? 30, 40 euro (…). Tesoro scusa mi dai il numero del Giovo, perché boh, son giù da 5 minuti, almeno sento dov’è (…). Ciao per favore mi puoi mandare 50 (…). Pronti, ascolta, se non è un grande problema, preferirei appunto non salire, perché vado abbastanza di fretta, eh ti squillo quando sono lì (…). Ma riuscite a passare da me, qui in Giamba, se posso ne prendo 2 a 150 (…). Mandami Gino, please, che almeno viene direttamente al cancello (…). Va bene uno, e poi datemi quell’aggiuntina di ieri che l’abbiamo pesata era veramente bassissima e niente vi mando la posizione (…). Ehi Zia, sono Ibra, dopo per l’una riesci a farmi venire qua un ragazzo con un 40, in via Brioschi al ristorante (…). Dai va bene, sono qua che adesso inizia Amici, eeh che te voglio dì, avvisami soltanto mezz’ora prima (…). Son qua dentro che mangio, se me lo mandi al volo, qua dai di fronte com’è che si chiama qui al Golf Club di Opera”. Una giostra senza fine. E poi? Poi si ricomincia. Quasi l’alba di un giorno di spaccio a Milano. In centrale operativa c’è Federica: “A me sembra che il tempo oggi non passa più”. Lo dice al suo fidanzato che fa il Glovo. Lo chiamano Pantani, in bici è una scheggia: “Invece il cazzo amo, figa già le 4,20”. In sottofondo il cigolio della bici nel buio di Milano. 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Maxi-perquisizione nel carcere di Prato: “I detenuti gestivano traffico di droga usando droni e minacciando altri carcerati”
Una perquisizione record contro praticamente l’intera popolazione del carcere La Dogaia di Prato, sempre più fuori controllo, è in corso dalla tarda notte. Il procuratore di Prato ha emesso un decreto di perquisizione e sequestro contro 564 detenuti (solo ventinove dei quali sono indagati). Gli interessati sono reclusi in tutti i reparti: Alta Sicurezza, Media Sicurezza, senza escludere i Semiliberi e le aree comuni. Questa misura straordinaria, spiega il procuratore Luca Tescaroli in un comunicato diffuso nella mattinata, è “resa necessaria dal peculiare fenomeno criminale pulviscolare che, pur concentrandosi prevalentemente nelle sezioni ottava, quinta, sesta e decima, irradia i propri effetti ad ampio raggio nella struttura carceraria”. La situazione descritta dal procuratore è quella di un’isola di illegalità dove sotto il cartello dello Stato dominano di fatto i detenuti più pericolosi e violenti: consegne di droga con i droni che entrano nella Dogaia tranquillamente, minacce ai detenuti con permesso di uscita per costringerli a fare da corrieri, talvolta ingerendo ovuli pieni di droga, pressioni per sfruttare ogni contatto con l’esterno, compresi i colloqui con i familiari, e poi telefonini e internet a go go per coordinare con la tecnologia le attività illegali dalla cella. I detenuti gestiscono i loro social dalla cella così da mostrare all’esterno chi comanda. Dentro e fuori, anche dopo la condanna. Dalla cella al web. E non è quindi sorprendente che al termine dei controlli le forze dell’ordine abbiano rinvenuto sei dosi di hashish, una di cocaina, sessantadue pasticche di sostanze “verosimilmente stupefacenti”, 14 lame artigianali, un cutter, un cacciavite, cinque punteruoli artigianali, uno smartphone privo di sim, uno smartwatch e denaro contante. Il problema della Dogaia era già stato oggetto di altre operazioni limitate nel passato. Vista la difficoltà di restaurare la legge il procuratore Tescaroli ha scelto di ricorrere a una perquisizione totale. Come si è potuti arrivare a questo punto? Nel comunicato il procuratore enumera i fattori scatenanti: “La possibilità di movimento concessa ai detenuti, soprattutto coloro che svolgono attività lavorative in seno alla struttura, sono ammessi ai permessi premio e sono semiliberi, nonché le possibili connivenze di alcuni appartenenti alla polizia penitenziaria”. Per il procuratore in questo buco nero “l’uso della violenza e della minaccia da parte di detenuti nei confronti di altri” punta “all’approvvigionamento di sostanza stupefacente del tipo cocaina, hashish, eroina e anfetamine/metanfetamine all’esterno del carcere, per il tramite di detenuti permessanti o semiliberi, destinatari anche di intimidazione e violenza, ovvero mediante consegna durante i colloqui di quanto occultato nelle parti intime dei familiari che si sono recati a colloquio, o invio di plichi destinati ai detenuti, celati all’interno di indumenti o cibi, o lanci di involucri, ovvero l’impiego di droni che trasportano plichi contenenti stupefacenti, nonché alla vendita e distribuzione dello stesso e nell’introduzione e impiego di telefoni cellulari e di social network, come i profili Tik Tok, che più detenuti continuano a gestire”. Il procuratore ritiene di avere individuato un’altra problematica: l’uso delle strutture che dovrebbero aiutare il reinserimento nella società in senso opposto alla loro finalità. Scrive Tescaroli: “La struttura di accoglienza Jacques Fesh (ubicata a Prato, in via Pistoiese) è risultata essere un luogo strategico per convogliare la droga, alla quale sono risultati avere accesso incontrollato detenuti in permesso autorizzati a uscire dal carcere”. La questione da risolvere urgentemente è quella dei droni. La tecnologia che ha cambiato la guerra nel mondo muta anche i traffici nelle celle di casa nostra: “Alcuni detenuti gestiscono l’approvvigionamento con l’impiego di droni in grado di trasportare plichi, al cui interno viene occultato stupefacente, cellulari, coltelli e tirapugni”. Ovviamente il servizio della consegna in carcere si paga caro: “I rischi che si affrontano per l’introduzione dello stupefacente comportano un aumento esponenziale del prezzo per l’acquisto della droga, che spesso risulta versato dai molti consumatori in carte ricaricabili, come le Postepay, riconducibili ai detenuti o a soggetti a loro vicini. A titolo esemplificativo, secondo le indicazioni provenienti da un detenuto che ha intrapreso un percorso collaborativo, per l’acquisto di 0,7 grammi di cocaina ha pagato 500 euro”. A nulla sono serviti i primi interventi mirati: “Il fenomeno non è stato neutralizzato il 28 giugno 2025 con le attività di perquisizioni svolte su scala ridotta in seno al carcere La Dogaia”. E già perché con quelle perquisizioni “non sono stati individuati gli apparecchi nella disponibilità di detenuti correlati a diciassette IMEI che sono risultati attivi (12 IMEI nell’alta Sicurezza e 5 nel reparto Media Sicurezza) e quelli utilizzati per l’impiego di ventuno utenze risultate nella disponibilità di detenuti (diciotto rientranti nel circuito alta Sicurezza e tre nel reparto media Sicurezza), nonché il congegno elettronico che ha consentito e consente a più detenuti di gestire dal carcere il proprio profilo Tik Tok”. Meglio è andata invece sul fronte droga: “Sono invece stati sequestrati, dal luglio 2024, trenta quantitativi di droga ( 1.145 gr. di hashish, 163,09 di cocaina, 4,61 di eroina e 0,66 di anfetamine/metanfetamine), occultati in camera di pernottamento, da familiari sulla loro persona, allorché si recano ai colloqui, e all’interno di pacchi spediti; quarantanove telefoni cellulari e alcuni routers sono stati rinvenuti e sequestrati”. Chi sono gli indagati? Ventinove detenuti di nazionalità dominicana, tunisina, marocchina, egiziana, italiana, polacca e albanese, a vario titolo, per estorsione, violenza privata, acquisto e vendita di stupefacenti, accesso indebito a dispositivi idonei alla comunicazione da parte di soggetti detenuti e detenzione e porto di armi. Un dominicano e un tunisino, operativi nell’ottava sezione della Media Sicurezza, sono risultati avvalersi di due detenuti in permesso, destinatari di aggressione fisica, per costringerli, con violenza e minaccia, a prestarsi per portare clandestinamente all’interno dell’istituto penitenziario lo stupefacente al rientro dalla fruizione dei permessi loro concessi. Scrive il procuratore: “L’aggressione dell’ 8 aprile 2025 risulta essere stata eseguita colpendo il detenuto vittima con calci e pugni al volto e in varie parti del corpo che gli provocavano lesioni personali, consistite in un trauma cranio-facciale all’interno della camera di detenzione ove era ristretto, rappresentandogli che l’aggressione costituiva solo l’inizio, ove non si fosse prestato a portare lo stupefacente all’interno dell’istituto pratese, rientrando dal permesso. L’aggressione del 16 maggio 2025 è consistita nel colpire la vittima con un punteruolo rudimentale all’avambraccio sinistro e nella zona inguinale sinistra, all’interno della camera di sicurezza ove era ristretto, sempre per costringerlo a portare lo stupefacente, rientrando dal permesso”. Non solo: “Tre detenuti si approvvigionavano di cellulari e armi (coltelli e tirapugni) impiegando un drone con una lenza lunga venti metri impiegata per trasportare i plichi contenenti detto materiale sino alla finestra della loro cella, priva di rete anti lancio, da dove prendevano il materiale, previe intese con un soggetto in libertà deputato a manovrare il drone, contattato con un’utenza cellulare”. La novità è la collaborazione da parte dei detenuti stufi di subire angherie. “Sei detenuti, destinatari di atti di violenza e di minacce di morte anche con l’impiego di armi, hanno assunto atteggiamento di collaborazione con quest’ufficio denunciando le intimidazioni, le violenze e i soprusi patiti, nonché indicando i canali di introduzione e i soggetti che gestiscono l’attività correlata all’approvvigionamento e alla vendita di stupefacente”. Il procuratore Tescaroli lancia un appello: “I detenuti vittima sono invitati a denunciare quanto accade all’interno della struttura carceraria pratese, tenendo conto che sussiste la possibilità di ricorrere ad appropriate misure di tutela nei loro confronti, come si è già provveduto a fare per coloro (i sei citati) che hanno fornito un concreto apporto alle investigazioni”. E c’è anche una richiesta al Dipartimento Amministrazione Penitenziaria. Scrive Tescaroli: “Le investigazioni espletate rivelano la necessità di munire la struttura carceraria pratese di telecamere e di reti anti lancio per tutte le finestre delle camere di detenzione occupate dai detenuti per neutralizzare l’impiego di droni con riprese continuative e ostacolare l’apprensione di plichi portati dai droni dalle celle, nonché di munire l’istituto di sistemi antidrone e di personale adeguato a garantire un compiuto servizio di vigilanza armata per prevenire il sorvolo degli stessi. Emerge, poi, l’esigenza di schermare la struttura in modo da impedire l’utilizzo della rete internet e di quella telefonica dall’interno della struttura carceraria. Inoltre, è emersa l ‘esigenza di sottoporre a contro ili sanitari, con esami radiologici (lastre), i detenuti permessanti al rientro in carcere per neutralizzare l’impiego di detto canale per introdurre lo stupefacente”. I decreti di perquisizione e sequestro sono stati eseguiti da un contingente di circa 800 esponenti delle quattro forze dell’ordine, Carabinieri, Polizia, Guardia di Finanza e Polizia Penitenziaria. L'articolo Maxi-perquisizione nel carcere di Prato: “I detenuti gestivano traffico di droga usando droni e minacciando altri carcerati” proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Banda della Barona, i sospetti sulla Super Mamacita: “Katia è una sbirra infame?”
I Calajò sono in carcere, sotterrati da anni di condanne (non definitive). Ma questo non sembra preoccupare più del dovuto Nazza lo zio e Luca il nipote, perché, secondo la Direzione distrettuale antimafia di Milano, personaggi “storicamente inseriti nel medesimo sodalizio, come Vladimiro Rallo e Francesco Perspicace si esprimono come attuali appartenenti a un’unica associazione criminale, anche in contrapposizione ad altri gruppi delinquenziali che, approfittando dell’assenza dei Calajò, cercano di primeggiare”. Rallo oggi è indagato nel filone che ha portato in carcere la Super Mamacita della coca Katia Adragna. Per lui la Procura di Milano si è vista respingere la richiesta d’arresto. Nel medesimo fascicolo Franco Perspicace, catanese di Caltagirone classe ‘60, risulta denunciato all’autorità giudiziaria come emerge dall’informativa finale della polizia penitenziaria del carcere di Opera sulle “indagini svolte a carico dei seguenti indagati”. Il nome di Perspicace sta al numero 28 dell’elenco proprio prima di quello di Vladimiro Rallo. “KATIA ADRAGNA È UNA SBIRRA INFAME?” Detto questo, Perspicace in perfetta sintonia con quanto scritto dalla Procura di un suo sentirsi “appartenente a un’unica associazione criminale” appena un anno fa, quando il nome della narco madrina compare in una chiusura indagini riguardante sempre la Barona, inizia a preoccuparsi. Il motivo è legato al fatto che, se pur Adragna risulti organica al gruppo Barona, per lei, fino a pochi giorni fa, non è mai stato chiesto il carcere. Il pensiero di Perspicace che raccoglie i dubbi di Rallo e di altri pro consoli della banda, è che la Mamacita di via De Pretis in quell’inverno del 2024 possa essere una informatrice della polizia giudiziaria. E’ il 5 novembre quando Perspicace ne parla con il figliastro Mattia Gelmini, anche lui indagato e libero, nonostante i suoi contatti diretti con Luca Calajò. Dice Perspicace, il cui telefono sarà intercettato per mesi: “Te l’ho detto che ho parlato con Vladi? Che ti ha detto?”. Gelmini: “Le solite cose che si dicono in giro!”. Perspicace: “Sì, sì. Però siccome c’era di mezzo la Katia. Mi ha detto (Vladi Rallo, ndr): ‘Ma ascoltami, fammi capire, a te ti risulta che la Katia è sbirra? E’ infame o no?’”. Gelmini, alias il farmacista, si legge nella richiesta di arresto, dunque “condivide con Perspicace le preoccupazioni e i timori legati alla circostanza che, nonostante le varie indagini e contestazioni a carico dell’Adragna, quest’ultima non sia stata ancora arrestata” e “ciò induce (…) a sospettare che la donna potrebbe aver deciso di collaborare con la giustizia o comunque con le forze dell’ordine”. PERSPICACE “PARLAVA MOLTO POCO” Del resto, annota la polizia penitenziaria nella sua informativa finale, “sia Perspicace sia Rallo, dopo la notifica dell’avviso chiusura indagini, si sono recati personalmente dalla Adragna, evidentemente spinti dall’esigenza di discutere con lei dei contenuti del predetto avviso”. Insomma se pur come detto, la sua posizione è quella di denunciato all’autorità giudiziaria e non formalmente di indagato, Perspicace sembra preoccuparsi molto della tenuta del gruppo criminale tanto da accertarsi che non vi siano crepe o pentiti. I magistrati lo definiscono “esponente di prim’ordine della galassia criminale dei Calajò”, “un pezzo da novanta” e “affermato elemento di spicco del clan della Barona”. In via De Pretis a casa della Mamacita, Franco Perspicace ci andrà anche per altro. Di quegli incontri sarà testimone diretta Rosangela Pecoraro, detta Rosy Bike, anche lei madrina della coca per conto di Nazza Calajò e oggi collaboratrice di giustizia. “Francesco Perspicace – dirà ai pm Francesco De Tommasi e Gianluca Prisco – è un altro, come Claudio Cagnetti, che parlava molto, molto poco. E’ molto silenzioso, l’Adragna era quella che teneva banco e parlava di soldi (…) in queste circostanze secondo me voleva entrare a fare qualcosa con lui perché comunque lui disponeva, avendo questa intermediazione. Però che si parlasse con Adragna di stupefacenti non lo posso dire, di denaro sì”. CHI È FRANCESCO PERSPICACE Nei suoi verbali lo cita diverse volte. I magistrati si mostrano molto interessati alla posizione di Perspicace, il quale, fin dagli Anni duemila risulta attivo nel campo dell’intermediazione immobiliare. Già nel 2009, in un report sulla presenza della criminalità organizzata a Milano, i carabinieri del Nucleo investigativo di via Moscova annotavano: “Il gruppo siciliano Nazzareno Calajò – Claudio Cagnetti – Francesco Perspicace ha mire espansionistiche su altre zone della città e sull’hinterland. Gli introiti realizzati con le attività illecite sarebbero reimpiegati nell’acquisto di unità immobiliari nelle zone centrali della città, servendosi di agenzie immobiliari”. Allo stato a lui sono riferibili tre società immobiliari, di cui una porta lo stesso nome di una srl ormai cancellata, tra i cui soci vi era l’ex compagna e Cristian Perspicace, coinvolto come Francesco nella iniziali indagini sul gruppo della Barona dei primi anni duemila. In quegli atti così viene sancita l’esistenza del “gruppo Barona almeno dalla fine del 1997, gruppo di cui a tutti gli effetti fanno parte in qualità di vertici Nazzareno Calajò, Claudio Cagnetti, Francesco Perspicace”. Un anno dopo, il 9 maggio 1998, la banda della Barona, coinvolto anche Perpicace, dà vita a scene da far west con una sparatoria in via Faenza contro i catanesi del Corvetto. Sarà uno spartiacque. Perspicace fugge in Francia, Calajò con l’amico Cagnetti in Spagna. E nonostante questo la banda prosegue i suoi affari sotto la guida di Luca Calajò, nipote di Nazza. LA LATITANZA IN ROMANIA All’epoca Alessandro M., sarà “l’uomo di fiducia di Perspicace” svolgendo “il ruolo di addetto a curare e a portare a termine le operazioni immobiliari per conto degli esponenti del gruppo”. Tanto che da un intercettazione agli atti dell’inchiesta El Nino (2006) dell’allora pm Laura Barbaini e del Gico della Guardia di finanza di Milano, secondo lo stesso magistrato, si avrà “la dimostrazione probatoria documentale delle tesi dell’accusa in ordine alle modalità con le quali Francesco Perspicace consentiva la pulitura del denaro proveniente dal traffico illecito”. Reato che non fu contestato anche perché all’epoca della richiesta di arresto “la posizione di Perspicace assieme a quelle di Nazza Calajò e Cagnetti furono separate perché già giudicate”. Pochi giorni dopo la sparatoria di via Faenza, lo stesso Alessandro M. contatterà più volte il telefono di Perspicace intestato a una sua immobiliare, la Lifra all’epoca con sede in via Santa Rita. In quel momento il telefono aggancia una cella francese. Nel 2005 poi Perspicace è di nuovo uccel di bosco, catturato latitante in Romania. Se ne era andato poco prima di una sentenza di condanna. Tra l’aprile e il dicembre ‘98, poi, lo stesso cellulare intestato alla Lifra contatterà un rappresentate dei cartelli colombiani della droga residente in Spagna e fornitore della banda della Barona. IL CORE BUSINESS DELLA DROGA E se allora, secondo gli atti di quelle inchieste, per Perspicace la droga era uno dei suoi core business, oggi, nell’ultima indagine su Katia Adragna i sospetti di un ritorno al vecchio amore non sono al momento diventati evidenze probatorie. E però lui, con la Mamacita ci parla spesso in modo riservato attraverso messaggistica istantanea. A riprova una intercettazione di Adragna che non avendo più soldi per internet è costretta a chiamare con linea ordinaria: “Amò sono la Katia! Scusa se ti chiamo normale, ho finito internet”. Il 16 ottobre 2024, poi, Perspicace con la Mamacita e Mattia Gelmini si recano a Bollate per incontrare Giuseppe D. “un potenziale fornitore”. Il sospetto è la droga anche se a margine dell’incontro monitorato gli inquirenti scrivono: “Non è dato sapere quale sia stata la ragione effettiva dell’incontro”. Alla sera sempre del 16 ottobre, poche ore dopo l’incontro, Adragna al telefono con possibili acquirenti di droga fa sapere di “essere apparecchiata bellissima”, così, annota la polizia giudiziaria, “lasciando intendere che è provvista di sostanza stupefacente . Insomma, il grande libro della banda della Barona prosegue con colpi di scena e inaspettati ritorni. L'articolo Banda della Barona, i sospetti sulla Super Mamacita: “Katia è una sbirra infame?” proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Dall’Olanda al Veneto e alla Lombardia, arrestata la “banda” dei nigeriani che trafficava eroina e cocaina
Importavano eroina e cocaina dall’Olanda e le riversano su Veneto e Lombardia. Lo facevano in modo così organizzato da essere considerati un’associazione a delinquere dalla Dda di Venezia. Con l’operazione Marshall i carabinieri hanno arrestato venti cittadini nigeriana di età compresa tra i 25 e i 57 anni. Gli inquirenti li ritengono responsabili di sistema criminale di spaccio internazionale e traffico di droga che presentava dei ruoli estremamente delineati. L’organizzazione poteva contare su un fornitore nei Paesi Bassi, che trovava e inviava gli stupefacenti. In Italia era presente un promotore a coordinare le attività e un gruppo di distributori che confezionavano e spacciavano le sostanze. La droga era trasportata da una rete di corrieri (i body packer) che ingerivano degli ovuli, e portavano la merce passando il confine con la Francia. Le zone principali di spaccio erano il Veneto e la Lombardia. Ogni corriere trasportava più o meno un kg di droga suddiviso in ovuli da 11 grammi sui quali era segnato con un pennarello una sigla identificativa dell’acquirente finale. Ascoltando le loro comunicazioni è stato decriptato il loro particolare linguaggio dove, ad esempio, il termine “TOP” era riferito alla cocaina, “SPA” all’eroina, “Pantaloncino” alle dosi da 5 grammi e “Fogli di caramelle” al denaro contante. Tra gli episodi citati dalla procura anche quello dell’aprile 2025, presso la stazione ferroviaria di Padova, quando una 34enne è stata arrestata mentre trasportava 1,1 kg di cocaina occultati nel reggiseno. Dopo un indagine durata due anni, ora il giudice per le indagini preliminari di Venezia ha disposto la custodia cautelare per tutti gli indagati anche considerando i numerosi precedenti a carico di alcuni esponenti dell’organizzazione e il concreto rischio di fuga. L'articolo Dall’Olanda al Veneto e alla Lombardia, arrestata la “banda” dei nigeriani che trafficava eroina e cocaina proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Trafficava droga tra Italia, Vietnam e Thailandia: “Qui la polizia non è attenta, sono dei minch*oni”. Ma lo arrestano
“State tranquilli, qui da noi la polizia non è attenta. Sono dei minch*oni”. Così un 26enne del Torinese rassicurava e tranquillizzava i complici del traffico di droga che gestiva fra l’Italia, il Vietnam e la Thailandia. Alla fine però è stato arrestato al termine di un’indagine condotta proprio dalla polizia e, in particolare, dall’aliquota in forza alla procura di Asti (oltre che dai carabinieri). Il giovane, secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, girava fra i tre Paesi usando un visto di “nomade digitale” e gestiva dal web quello che è stato definito un vero e proprio supermarket degli stupefacenti: hashish, cocaina, eroina, ketamina, oppio, Lsd. Tutta droga che veniva spedita in Italia con il servizio postale e destinata a locker automatizzati. A supportarlo e aiutarlo logisticamente, sempre secondo le indagini, erano degli amici di vecchia data che, nonostante le sue rassicurazioni, sono stati tutti arrestati in flagranza di reato. Per un arco di tempo il 26enne, che risiede a Cambiano (Torino), ha cambiato i suoi collaboratori, ma dopo l’ultima retata è scappato all’estero. Circa dieci giorni fa è stato rintracciato e arrestato a Bangkok, in Thailandia. Dopo qualche giorno ha chiesto e ottenuto di rientrare in Italia, dove è stato prelevato dalla polizia all’aeroporto di Milano Malpensa e condotto nel carcere di Busto Arsizio. L'articolo Trafficava droga tra Italia, Vietnam e Thailandia: “Qui la polizia non è attenta, sono dei minch*oni”. Ma lo arrestano proviene da Il Fatto Quotidiano.
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