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Si indaga per omicidio per la morte di Diana Canevarolo: dopo l’autopsia scartata l’ipotesi di un incidente
Ora si indaga per omicidio. L’ipotesi di reato è stata formulata dopo la conclusione dell’autopsia del corpo di Diana Canevarolo, la donna di 49 anni che era stata ritrovata gravemente ferita nel cortile della sua abitazione a Torri di Quartesolo, in provincia di Vicenza. L’autopsia è stata effettuata all’ospedale di Vicenza ed è durata oltre sei ore. Secondo le prime indiscrezioni, è stata scartata l’ipotesi di caduta accidentale come hanno confermato il figlio della vittima e il legale del marito. La donna è stata trovata senza vita la settimana scorsa e la Procura di Vicenza aveva disposto l’autopsia del cadavere. Sul corpo alcune ferite, di cui una ampia sulla parte sinistra del cranio. Non si esclude nessuna pista, ma l’esito dell’autopsia ha indirizzato gli inquirenti verso l’ipotesi di un delitto causato dalla violenta aggressione. Gli investigatori hanno raccolte le testimonianze di familiari e amici. Al vaglio anche le tracce di sangue che sarebbero state trovate vicino a una panchina a circa un metro e mezzo dal corpo. La casa, come riportano i media locali, è stata sequestrata e sarà probabilmente oggetto di un nuovo sopralluogo degli esperti della Scientifica. Verranno passate al setaccio anche le immagini dei filmati delle telecamere di sorveglianza distribuite nella zona, per verificare la presenza di estranei o sospetti nella zona in cui poi è stata trovata la 49enne in una pozza di sangue. L'articolo Si indaga per omicidio per la morte di Diana Canevarolo: dopo l’autopsia scartata l’ipotesi di un incidente proviene da Il Fatto Quotidiano.
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In Veneto il fattore Zaia provoca il ribaltone a destra: più di 200mila preferenze personali e la Lega doppia Fdi
È racchiuso in 203.054 preferenze il plebiscito di Luca Zaia, governatore veneto che non si è rassegnato alla conclusione di tre lustri di potere. Aveva fortissimamente voluto restare in sella per la quarta volta. La legge glielo ha impedito. Avrebbe voluto una lista con il proprio nome, ma gli alleati di centrodestra non l’hanno consentito. Si è così candidato come capolista in tutte le sette circoscrizioni del Veneto e ha raccolto una pioggia di voti. Per l’appunto più di 200mila preferenze su un totale di 607.220 voti raccolti dalla Lega. Un leghista su tre lo ha scelto, pur sapendo che il suo destino (al di là delle dichiarazioni di convenienza) non sarà legato al nuovo consiglio regionale di cui è entrato a far parte. Il numero di preferenze equivale a un elettore su sei del centrodestra, visto che il neo eletto Alberto Stefani ha ottenuto un milione 211mila e 356 voti, pari al 64,39 per cento di chi è andato alle urne. Siccome nella lista si potevano indicare solo due nomi, un candidato uomo e una candidata donna, la presenza di Zaia ha comunque provocato delusioni e bocciature per non pochi degli altri candidati leghisti, rimasti fuori dall’elenco dei 19 eletti dal partito. IL FATTORE Z. PROVOCA IL RIBALTONE I numeri disegnano la forza di traino che il fattore Z. ha portato in queste elezioni, consentendo alla Lega di doppiare Fratelli d’Italia, da cui era distanziata alle europee del 2024: 13,15 per cento al partito di Salvini, 37,58 per cento al partito di Meloni. Adesso la Lega è al 36,28 per cento, il doppio del 18,69 per cento di FdI, infatti i seggi dei padani sono 19 quelli del partito di governo solo 9, mentre le aspettative del coordinatore regionale Luca De Carlo erano esattamente opposte. Zaia con 203.054 preferenze ha ottenuto più voti di tutti gli altri leghisti e leghiste messi assieme. Le donne hanno registrato 99.756 preferenze, gli uomini 97.793 voti, comunque al di sotto di quota 200 mila. È solo così che gli uomini (Zaia compreso) hanno contato 298.847 preferenze, circa la metà dei 607 mila voti della Lega, il che significa che metà dell’elettorato si è accontentato di mettere una croce sul simbolo, senza esprimere una preferenza individuale, a dimostrazione che il simbolo della Lega gode di una attrattiva che esula da quella dello stesso ex governatore. TREVISO LA ROCCAFORTE Zaia ha costruito il proprio successo personale, a costo di cannibalizzare la Lega, a partire dalla provincia di Treviso dove ha ottenuto 48.253 preferenze e la Lega ha raggiunto il 40,78 per cento. Lì i padani hanno registrato 127.882 voti, pari al 40,78 per cento. Le preferenze attribuite a un candidato-donna sono state 21.088, agli altri uomini 18.438. Lo strapotere di Zaia ha fatto qualche vittima illustre, come l’ex portavoce dell’intergruppo leghista in consiglio regionale Alberto Villanova. Secondo feudo, la provincia di Vicenza, con 44.252 preferenze su 119.680 voti leghisti. Anche in questo caso gli altri candidati non hanno preso tutti assieme i voti di Zaia, con il risultato di un’esclusione eccellente, quella di Roberto Ciambetti, con alle spalle quattro legislature, di cui due da presidente del consiglio regionale. Zaia ha raccolto nelle altre province venete le seguenti preferenze: 35.701 a Padova, 32.961 a Venezia, 29.078 a Verona, 6.883 a Rovigo e 5.926 a Belluno. “HO VOLUTO QUESTA PROVA” Il governatore uscente ha spiegato così la sua soddisfazione. “Mi si apre il cuore. Mi sono messo a disposizione perché Alberto Stefani mi aveva chiesto se gli davo una mano. Ho voluto questo banco di prova. Penso a un segno di vicinanza e ringraziamento, dopo quindici anni e mezzo i cittadini mi vogliono ancora bene”. Ha una spiegazione anche per la bassa affluenza, considerando che su 4 milioni 294 mila elettori, sono andati a votare solo un milione 917 mila cittadini, mentre 2 milioni e 377 mila sono rimasti a casa. Naturalmente la lettura è centrata su se stesso e non sulla disaffezione generale per effetto di una gestione della politica veneta non soddisfacente: “Molti si sono arrabbiati per il trattamento che ho avuto, il terzo mandato negato, il no alla Lista Zaia. L’avevo detto: la Lista Zaia non essendo un soggetto politico avrebbe portato più gente a votare e avremmo avuto più consiglieri di maggioranza”. Glissa, come ha fatto in questi mesi, sul suo futuro. Non sa se farà il presidente del consiglio regionale, impegno che non sembra gradire, visto che richiederebbe una presenza continua nell’assemblea dove da governatore negli ultimi cinque anni si è presentato solo per una manciata di sedute, con un tasso di assenteismo del 94 per cento. Non sa neanche se farà l’assessore, ma la sua presenza sarebbe molto ingombrante per il neo eletto Stefani, che sentirebbe sul collo il fiato del predecessore. Una cosa però aggiunge, a dimostrazione di come le sue ambizioni non siano ancora finite nel cassetto: “Non ho avuto paura di misurarmi con l’elettorato e ora sono perfettamente ricandidabile alla presidenza della Regione. È questa l’assurdità della legge che non hanno voluto cambiare”. Non ha digerito il boccone amaro e sembra dimenticare che se è formalmente rieleggibile occorre attendere che vada a compimento la legislatura che dura cinque anni. Per il momento resterà in consiglio regionale, con un ruolo di padre nobile. Il prossimo anno si terranno le elezioni del sindaco di Venezia e le supplettive per sostituire in Parlamento il posto che sarà lasciato libero da Alberto Stefani. Con il bagaglio di preferenze che ha ottenuto, Zaia non ha che da chiedere. Il referendum che ha indetto sulla propria persona porterà ancora frutti copiosi alla sua vigna che si trova nel cuore dello Zaiastan. L'articolo In Veneto il fattore Zaia provoca il ribaltone a destra: più di 200mila preferenze personali e la Lega doppia Fdi proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Veneto: il traino di Zaia fa vincere Stefani, enfant prodige della Lega scelto da Salvini per tenere testa all’ex governatore
VENEZIA – Giovane, il volto di una persona perbene, nessuna polemica sopra le righe e un curriculum politico cominciato da amministratore locale, poi proseguito con l’elezione alla Camera. Con una percentuale superiore al 60 per cento dei voti, il padovano Alberto Stefani, moderato ed equilibrato enfant prodige della Lega in Veneto, ha ottenuto la successione alla poltrona di Doge che per tre lustri è appartenuta a Luca Zaia. In qualche modo un successo annunciato, in una regione da sempre a vocazione di centrodestra, in ogni caso costruito con accortezza e utilizzando al massimo il traino del governatore uscente. Eppure c’era qualche spunto perché Zaia e Stefani non andassero d’accordo. Innanzitutto il fatto che il trentatreenne nato a Camposampiero, diventato deputato nel 2018 ad appena 25 anni, poi anche sindaco di Borgoricco nel 2018, avesse compiuto la sua ascesa politica all’interno della Lega appoggiandosi a Matteo Salvini. È stato il segretario federale ad individuarlo come suo plenipotenziario in Veneto, chiedendogli di tenere testa allo strapotere di Zaia. La polarizzazione non si è trasformata in scontro interno per tanti motivi. Innanzitutto perché Stefani ha capito che non avrebbe potuto esistere senza trovare il modo di andare d’accordo con il governatore. Ma anche perché Zaia non ha mai accelerato per cercare di strappare la leadership nazionale di Salvini, accontentandosi (si fa per dire) di un ruolo di potere quasi assoluto all’interno dei confini del Veneto. Anzi, quando nel 2023 si sono svolte le votazioni per il nuovo segretario regionale della Liga Veneto-Lega Nord, Zaia ha capito come sarebbe andata a finire e non ha fatto la guerra al commissario di Salvini che aveva retto il partito nei tre anni precedenti. Qualche leghista nostalgico di una Lega radicata nel territorio e contraria alle aperure del segretario federale per farne un soggetto politico a dimensione nazionale, avrebbe voluto coltivare una candidatura alternativa alla segreteria rispetto a quella di Stefani. Uno di questi era l’assessore Roberto Marcato, padovano, che ha in più occasioni contestato la linea salviniana. Nel momento cruciale Zaia non si è schierato contro Salvini, anzi durante il congresso regionale ha dato il via libera a Stefani. Quest’ultimo da allora in poi ha condotto i giochi puntando a una ripresa del partito, sceso nel frattempo ai minimi storici e a consolidare l’accordo con Zaia. Lo ha appoggiato quando il governatore chiedeva il quarto mandato e anche quando voleva presentare una lista alternativa a Fratelli d’Italia, se il partito di Giorgia Meloni avesse insistito a pretendere un proprio candidato alla presidenza del Veneto. E’ così nata l’idea di candidare Zaia a capolista in tutte le province venete, per risollevare il peso elettorale, in una battaglia senza esclusione di colpi con Fratelli d’Italia. Stefani è un personaggio in buona parte da scoprire fuori dal Veneto. Ha frequentato il liceo scientifico di Camposampiero diplomandosi nel 2011. E’ poi diventato coordinatore provinciale di Padova del movimento giovanile della Lega. Nel 2014 è stato eletto consigliere comunale a Borgoricco. Nel 2017 si è laureato in giurisprudenza all’università di Padova, discutendo una tesi in diritto canonico e storia del diritto, materie che ha coltivato da ricercatore. La sua consacrazione politica è arrivata con l’elezione per la seconda volta alla Camera, nel 2022, nel collegio uninominale di Rovigo. Nel 2024 ha tirato la volata alle ambizioni di Zaia, presentando un disegno di legge come primo firmatario per modificare la legge del 2004 che limitava a soli due mandati la presidenza di regione, al fine di aumentarne il numero a tre. È stato il primo firmatario di una proposta di legge per abrogare la legge Delrio, con la richiesta di ripristinare le Province quali enti di primo livello amministrativo. Per trainare la riforma autonomista dello stato voluta da Zaia è stato nominato dai presidenti di Camera e Senato alla presidenza della Commissione Bicamerale per l’attuazione del federalismo fiscale. Intanto ha tenuto saldi i legami con Salvini che nel 2024 lo ha nominato vicesegretario. Consolidatosi a via Bellerio e in Veneto, Stefani ha condotto una campagna elettorale dall’esito scontato, che pure non ha improntato a temi strettamente identitari, ma aperto alla dimensione sociale e ai diritti. L'articolo Veneto: il traino di Zaia fa vincere Stefani, enfant prodige della Lega scelto da Salvini per tenere testa all’ex governatore proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Il medico “free vax” Riccardo Szumski verso l’ingresso in Consiglio: la sorpresa delle Regionali in Veneto
È considerata la vera sorpresa delle Regionali in Veneto. Mentre è ormai definitiva la prevista elezione del leghista Alberto Stefani come nuovo presidente della Regione, le proiezioni e lo spoglio evidenziano il quasi certo ingresso in Consiglio del medico “free vax” Riccardo Szumski. La lista “Resistere Veneto” – capeggiata proprio dall’ex sindaco di Santa Lucia di Piave (in provincia di Treviso) – viene stimata intorno al 5,1%, quindi ben oltre sopra la soglia di sbarramento. Un dato che permetterebbe l’elezione di Szumski e, probabilmente, anche di qualche altro candidato della lista. Il 73enne ex leghista ha deciso di attendere i risultati dello spoglio nel suo ambulatorio della cittadina trevigiana. Già noto per iniziative amministrative “venetiste” – documenti e atti in dialetto, ostilità alle ricorrenze civili nazionali – durante il lockdown per la pandemia si è distinto per la “ribellione” ai protocolli sanitari governativi, in nome della cura tempestiva e della libertà di coscienza. Per questa scelta è stato radiato dall’Ordine dei Medici. Nel 2022 ha fondato l’associazione “Resistere con Szumski”, da cui è nata la candidatura alla presidenza della Regione Veneto. La corsa al ruolo di governatore è fallita ma l’ingresso in Consiglio regionale potrebbe essere il grande obiettivo raggiunto. L'articolo Il medico “free vax” Riccardo Szumski verso l’ingresso in Consiglio: la sorpresa delle Regionali in Veneto proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Regionali, l’analisi di Boccia (Pd): “Calo affluenza è anche colpa del governo Meloni. Centrosinistra unito avanti al centrodestra”
Francesco Boccia, presidente dei senatori del Partito Democratico analizza il crollo dell’affluenza nelle tre Regioni al voto. Stesso trend delle tornate precedenti per il rinnovo delle giunte regionali. “Il crollo dell’affluenza? È una responsabilità che deve sentire soprattutto il governo. Cinque anni fa il governo mise al tavolo tutte le Regioni chiamate al voto e alla fine trovammo una data, lo stesso giorno, per tutte, questa volta si è votato una volta ogni due o tre settimane, non c’è stato un dibattito nazionale e questo è uno dei primi motivi che ha portato al crollo di dieci e quindici punti”. Con Boccia proviamo a fare un bilancio di questa tornata elettorale complessiva. Dalle elezioni nelle Marche ad oggi. “Se guardate i valori assoluti il centrosinistra unito è nettamente superiore al centrodestra di Governo – spiega – Solo due regioni hanno cambiato segno e sono passate al centrosinistra, ovvero Umbria e Sardegna. Invito tutti a fare le somme dei voti assoluti delle ultime 10 regioni in cui si è votato: il centrosinistra unito è sempre superiore. Io penso sia un dato oggettivo, poi sono elezioni diverse e non mescoliamo le mele con le pere come fa il centrodestra, ma se si vuole fare un discorso meramente aritmetico è così”. L'articolo Regionali, l’analisi di Boccia (Pd): “Calo affluenza è anche colpa del governo Meloni. Centrosinistra unito avanti al centrodestra” proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Regionali, ancora crollo diffuso dell’affluenza. Al seggio vanno 4 elettori su 10. In Veneto -16,5% rispetto al 2020
Anche questa volta si torna a parlare di astensionismo. Dopo il record storico negativo regionale delle scorse elezioni in Toscana (quando era andato a votare il 47,7%), adesso va anche peggio in Puglia, Veneto e Campania. Alle urne si presentano poco più di 4 elettori su 10. Risultato peggiore quello della Puglia dove l’affluenza si ferma al 41,83% oltre 14 punti in meno rispetto alle regionali di 5 anni fa. Migliore il dato finale del Veneto 44,64%: ma è questa la regione che segna il crollo maggiore dell’affluenza rispetto al 2020, oltre 16,5 punti percentuali in meno. I Campania, infine, è andato a votare solo il 44,06%, -11% rispetto alle scorse regionali. IN VENETO Nel 2020 in Veneto alle urne si era recato il 61,1% degli avanti diritto, oggi il 44,6%. In numeri assoluti sono stati dunque meno di 2 milioni i veneti che hanno partecipato al voto rispetto ai quasi 4.300.000 aventi diritto, con un calo rispetto a cinque anni fa di oltre 700mila elettori, secondo i dati dell’Osservatorio elettorale del Consiglio regionale del Veneto. L’affluenza più bassa, 35,3%, si è registrata in provincia di Belluno, dove alle Regionali del 2020 era stata del 47,8%. La più alta è stata invece in provincia di Padova, il 49%, contro il 65,5% di cinque anni fa. A seguire, la provincia di Vicenza (45,1% contro il 61,8% del 2020), quella di Verona (44,8% contro il 62%), di Venezia (44% contro il 62,5%), di Treviso (43,8% contro il 58,3%) e di Rovigo (41,2% contro 59,9%) . Tra le città capoluogo la maglia nera spetta proprio a Belluno, dove l’affluenza è stata del 49%. Migliore il risultato del Comune di Padova che sfiora il 50% (49,33% per l’esattezza). In Veneto questa tornata elettorale segna un calo dell’affluenza non solo rispetto alle scorse regionali ma anche rispetto alle Politiche del 2022 (quanto era stata del 70,2%) e alle Europee del 2024 (52,6%). IN PUGLIA In Puglia si registra il risultato peggiore di questa tornata elettorale. L’affluenza definitiva al 41,83% ed è inferiore di oltre 14 punti percentuali rispetto alle elezioni del 20 e 21 settembre 2020 quando era stata del 56,43%. Va peggio anche rispetto alle Politiche (56,6%) e alle Europee (43,6%). Tutte le province sono sotto il 50%: quella con la maggiore partecipazione al voto è Lecce con il 44,50% dei votanti. Seguono Bari con il 42,31%; Brindisi col 41,94%; Bat arriva al 41,22% e Taranto 40,60%. Maglia nera è la provincia di Foggia con una percentuale che si ferma al 38,61%. Tra i capoluoghi di provincia il risultato peggiore è quello del Comune di Taranto con il 33,59% di affluenza. Il migliore quello della città di Lecce: 45,25%. IN CAMPANIA Il calo dell’affluenza in Campania (ferma al 44,06%) è stato di 11 punti rispetto alle precedenti regionali quanto si era attestata al 55,52%. La provincia con il risultato peggiore è quella di Benevento dove ha votato il 41,18%. Migliore il risultato di Caserta con il 46,99%. Tra le città capoluogo si distingue Avellino, unica a superare la soglia del 50% (precisamente il 51,53). Risultato peggiore e quello del Comune di Napoli, qui l’affluenza è stata al di sotto del 40 per cento. Nel capoluogo di regione è infatti andato alle urne il 39,59%, un dato di quasi cinque punti sotto la media della Campania. I cittadini che sono andati a votare nel comune di Napoli sono stati 301.870 rispetto alla platea di 762.493 elettori. Alle precedenti Regionali aveva votato il 46,10%. Il dato definitivo regionale è simile a quello delle Europee, quando aveva votato il 44% degli aventi diritto. L'articolo Regionali, ancora crollo diffuso dell’affluenza. Al seggio vanno 4 elettori su 10. In Veneto -16,5% rispetto al 2020 proviene da Il Fatto Quotidiano.
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“Le Rsa venete sono piccoli ospedali a pagamento”. Dopo il taglio dei reparti ospedalieri per i ricoveri lunghi
Fare uscire gli anziani malati cronici dal Servizio sanitario nazionale? In Veneto non siamo molto lontani a sentire i dati snocciolati dalla consigliera regionale Anna Maria Bigon (Pd), che è anche vicepresidente della Commissione Sanità. Le case di riposo venete, spiega, sono ormai “dei piccoli ospedali”, solo che non sono attrezzate per esserlo e non hanno il personale adatto. E a differenza degli ospedali, le rette sono a carico delle famiglie. “I posti nelle case di riposo sono sempre più insufficienti: a fronte di una lista d’attesa di 10mila persone, ci sono 32.983 posti letto, l’84% dei quali è parzialmente coperto da un’impegnativa regionale che versa 52 euro al giorno a persona (57 per chi soffre di malattie neurodegenerative)”. Quindi più di 5mila famiglie pagano la retta intera, mentre quasi 28mila ne pagano circa la metà e altri 10.000 sono fuori dalla porta in coda. “Basterebbero 46 milioni di euro per arrivare a coprire il 90% almeno delle impegnative e circa 60-70 milioni per arrivare a totale copertura”, calcola Bigon che è in corsa per le regionali venete che sono alle porte. Ma il punto che solleva non è tanto, o soltanto, questo. Il punto è che nel 2019 il Veneto ha stabilito di chiudere i reparti ospedalieri di lungodegenza. Avrebbe dovuto rimpiazzarli con 70 ospedali di comunità, ma a oggi non ne ha realizzati più di 35. E nel frattempo i pazienti delle lungodegenze sono passati alle case di riposo, occupando quasi tutti i posti disponibili. “Adesso le schede di valutazione multidisciplinari che vengono fatte per l’accesso alle case di riposo, le svama, hanno punteggi sempre più alti… in pratica per entrare devi essere gravissimo, qualche anno fa si entrava con una valutazione più bassa. Quindi entrano quelli più gravi, ma non è che gli altri che stanno fuori hanno meno urgenza – spiega – Fino al 2019 avevamo i reparti sanitari di lungodegenza dove venivano accolte le persone con tante patologie come accade adesso nelle case di riposo”. Ovviamente essendo un ospedale, non c’era una retta da pagare. Così come non ci sarebbe stata se fosse andata a buon fine la sostituzione con gli ospedali di comunità. Anche se in questo caso c’è una questione di sostanza: le lungodegenze ospedaliere sono reparti che accolgono malati acuti, gli ospedali di comunità invece sono strutture che nascono sul territorio per i malati di media intensità, sono strutture a metà strada tra l’ospedale per acuti e la casa. E comunque non ne sono stati realizzati abbastanza. “Così le famiglie non hanno più avuto pari servizio e si sono rivolte alle case riposo”, sintetizza Bigon. Possiamo dire che la sanità veneta ha risparmiato sulla spesa per gli anziani malati cronici, spostandoli di fatto e al di là delle intenzioni, dai reparti sanitari di lungodegenza alle case di riposo che invece sono strutture socioassistenziali? “Sì, in buona parte sì. Non sono tutti anziani, parliamo di non autosufficienza, ma la maggior parte è anziana. Non necessariamente perché lo voglio, ma è il provvedimento stesso che di fatto rende necessario l’inserimento del malato in casa di riposo nel momento in cui chiudo i reparti di lungodegenza, che sono un costo completamente a carico del fondo sanitario”. I reparti ospedalieri di lungodegenza sono quelli nei quali vengono ricoverati i malati che hanno bisogno di più tempo di cura, si può arrivare anche a due o tre mesi, una novantina di giorni. I pazienti più ricorrenti sono gli anziani con diverse patologie, gli stessi che nelle case di riposo del Veneto hanno una degenza media di 217 giorni. L'articolo “Le Rsa venete sono piccoli ospedali a pagamento”. Dopo il taglio dei reparti ospedalieri per i ricoveri lunghi proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Veneto, per i militanti a destra la sfida è tra Lega e Fdi: “Votavo Carroccio, ma di Salvini non c’è da fidarsi”. “Chi vince? Ce la giochiamo”
Unito sul palco, ma diviso in platea. Il centrodestra chiude la campagna elettorale per le regionali venete al teatro Geox di Padova. Tajani, Salvini e Meloni si abbracciano per le foto di rito di fronte a più di tremila persone e a un mare di bandiere di blu di Fratelli d’Italia. Qui la vera sfida non sembra essere quella con il centrosinistra. “Quella l’abbiamo già vinta” racconta con fiducia un militante leghista. “L’obiettivo non è vincere, e lo dico con sobrietà, umiltà e scaramanzia, ma stravincere” aggiunge Salvini dal palco. Ma in questa terra dove dove il Carroccio faceva il pieno di voti fino a pochi anni fa, il derby è tra Lega e Fratelli d’Italia. “Una sana competizione” dice il responsabile dell’organizzazione di Fdi Giovanni Donzelli prima di entrare in sala. Ma parlando con la base meloniana ancora scottata dalla mancata scelta del suo candidato alla presidenza si è davanti a una “pseudo guerra intestina all’interno della coalizione tra Lega e Fdi”. Da anni, il partito di Giorgia Meloni sta conquistando terreno in Veneto proprio ai danni dei leghisti. “Noi votavamo Lega ma adesso non più – spiega un ex elettrice del Carroccio – perché Salvini ogni tanto fa le bizze, dice le cose bene e poi, dipende…”. In sala la conta delle bandiere viene vinta da Fratelli d’Italia. Il vessillo blu con la Fiamma domina in platea. Poche le bandiere della Lega, ancora meno quelle con il leone alato di San Marco. E quando sale sul palco il “Doge” Luca Zaia sventolano solo le bandiere leghiste, mentre quelle di Fdi e Forza Italia rimangono basse. Nessuna standing ovation per colui che ha governato il Veneto per quindici anni. Se ne accorge pure il leader di Noi Moderati Maurizio Lupi che all’inizio del suo intervento ringrazia Zaia e chiede per lui un “applauso più caloroso e più forte “. Al contrario quando è il turno della presidente del Consiglio Giorgia Meloni, tutto il teatro si alza in piedi sventolando le bandiere della coalizione. Stando alle bandiere presenti in sala, il derby per ora è vinto da Fdi. L'articolo Veneto, per i militanti a destra la sfida è tra Lega e Fdi: “Votavo Carroccio, ma di Salvini non c’è da fidarsi”. “Chi vince? Ce la giochiamo” proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Dall’Olanda al Veneto e alla Lombardia, arrestata la “banda” dei nigeriani che trafficava eroina e cocaina
Importavano eroina e cocaina dall’Olanda e le riversano su Veneto e Lombardia. Lo facevano in modo così organizzato da essere considerati un’associazione a delinquere dalla Dda di Venezia. Con l’operazione Marshall i carabinieri hanno arrestato venti cittadini nigeriana di età compresa tra i 25 e i 57 anni. Gli inquirenti li ritengono responsabili di sistema criminale di spaccio internazionale e traffico di droga che presentava dei ruoli estremamente delineati. L’organizzazione poteva contare su un fornitore nei Paesi Bassi, che trovava e inviava gli stupefacenti. In Italia era presente un promotore a coordinare le attività e un gruppo di distributori che confezionavano e spacciavano le sostanze. La droga era trasportata da una rete di corrieri (i body packer) che ingerivano degli ovuli, e portavano la merce passando il confine con la Francia. Le zone principali di spaccio erano il Veneto e la Lombardia. Ogni corriere trasportava più o meno un kg di droga suddiviso in ovuli da 11 grammi sui quali era segnato con un pennarello una sigla identificativa dell’acquirente finale. Ascoltando le loro comunicazioni è stato decriptato il loro particolare linguaggio dove, ad esempio, il termine “TOP” era riferito alla cocaina, “SPA” all’eroina, “Pantaloncino” alle dosi da 5 grammi e “Fogli di caramelle” al denaro contante. Tra gli episodi citati dalla procura anche quello dell’aprile 2025, presso la stazione ferroviaria di Padova, quando una 34enne è stata arrestata mentre trasportava 1,1 kg di cocaina occultati nel reggiseno. Dopo un indagine durata due anni, ora il giudice per le indagini preliminari di Venezia ha disposto la custodia cautelare per tutti gli indagati anche considerando i numerosi precedenti a carico di alcuni esponenti dell’organizzazione e il concreto rischio di fuga. L'articolo Dall’Olanda al Veneto e alla Lombardia, arrestata la “banda” dei nigeriani che trafficava eroina e cocaina proviene da Il Fatto Quotidiano.
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