Alla fine, dopo due anni di indagine segnati da pressioni e battute d’arresto,
l’Unione Europea ha deciso di multare X, il social network di Elon Musk, per 120
milioni di euro per aver violato la legge sui servizi digitali. Si tratta delle
prime sanzioni comminate ai sensi della storica normativa europea concepita per
porre fine al “far west” online che obbliga le piattaforme tech a una maggiore
trasparenza e responsabilità sui contenuti illegali e dannosi che inondano lo
spazio digitale.
Più un buffetto che uno schiaffo al colosso di Musk, ma che ha subito acuito le
tensioni con Washington. Il vice presidente degli Stati Uniti JD Vance ha
criticato Bruxelles, rea di voler multare X per “non aver imposto la censura”.
In serata, l’affondo del segretario di Stato Marco Rubio che ha bollato le
sanzioni a X come “un attacco a tutte le piattaforme tecnologiche americane e al
popolo americano da parte di governi stranieri”.
“I tempi della censura online degli americani – ha avvertito – sono finiti”. Un
mantra dell’amministrazione Usa targata Donald Trump che ha fatto della crociata
alle regole europee sul digitale una missione. Con gli Stati Uniti si è
schierato il vicepremier italiano Matteo Salvini: “La multa a X da parte di
Bruxelles è un attacco alla libertà di espressione. Con il Dsa, che la Lega – e
solo la Lega, unico partito italiano a votare contro in Europa – ha sempre
denunciato come un’arma di censura, l’Ue usa le sue regole per colpire chi dà
voce a chi la pensa diversamente. No alla legge bavaglio europea: viva la
Libertà, sempre”.
Secca la replica della vice presidente della Commissione, Henna Virkkunen,
responsabile Ue per il digitale: “La multa a X – ha tagliato corto – riguarda la
trasparenza, non ha nulla a che fare con la censura”. Rispedita al mittente
anche l’accusa di voler colpire le big tech a stelle e strisce: “Le nostre
regole valgono per tutti coloro che operano in Europa”, ha detto Virkkunen che
ha promesso “nuove decisioni nei prossimi mesi”.
Nel merito, palazzo Berlaymont ha inflitto tre sanzioni al social di Musk, una
per ogni violazione contestata. La prima, da 45 milioni di euro, è legata alla
spunta blu usata per gli account verificati. Per Bruxelles si tratta di un
inganno dato che chiunque può pagare per ottenerla senza che vi sia una verifica
dell’azienda su chi si cela dietro l’account. La seconda sanzione, da 35 milioni
di euro, riguarda la mancanza di trasparenza dell’archivio pubblicitario,
importante ad esempio per rilevare truffe e campagne di minacce ibride. La
Commissione ha contestato infine la violazione dell’obbligo di garantire ai
ricercatori l’accesso ai dati pubblici della piattaforma, comminando una terza
sanzione da 40 milioni di euro. È ancora in corso invece l’indagine sull’aspetto
politicamente più delicato del dossier, quello dei contenuti illegali e della
manipolazione delle informazioni.
Tiepida l’accoglienza riservata all’annuncio. Europarlamentari di diversi
schieramenti hanno insistito sulla necessità di stringere i tempi su altre
indagini, 14 quelle aperte finora ai sensi del Dsa. “Finalmente la Commissione
si è mossa. Ci sono voluti due anni, troppi, di esitazioni e di timori”, è il
commento di Sandro Gozi (Renew). Anche il dem Sandro Ruotolo sostiene che la
multa da sola non basta: “Da mesi richiamiamo in plenaria l’urgenza di
affrontare l’altra metà della questione: trasparenza reale sugli algoritmi,
responsabilità sulla moderazione dei contenuti e tutela effettiva dei cittadini
contro manipolazione e disinformazione”, aggiunge. Tanto che la stessa Virkkunen
ha ammesso: “La decisione odierna rappresenta due importanti traguardi, ma sono
solo la punta dell’iceberg”. Non meno perplessità le ha suscitate l’importo
modesto delle sanzioni. Da palazzo Berlaymont hanno provato a smorzare la
polemica. “La multa – hanno spiegato – deve essere proporzionale, il calcolo è
determinato sulla base della natura, della gravità, della ricorrenza e della
durata delle violazioni contestate”.
L'articolo L’Ue multa X e gli Usa scendono in campo: “Attacco al popolo
americano” proviene da Il Fatto Quotidiano.
Tag - X - Twitter
Oltre al danno, anche la beffa. Come riporta La Repubblica, l’imprenditore Dave
Portnoy ha pubblicato su X (Twitter) la foto del giardino di casa sua
danneggiato da atti vandalici. Nella fotografia postata sul social si vedono un
paio di alberi e una curiosa cassetta delle lettere a forma di tricheco. Pochi e
semplici elementi che hanno permesso a tutti di scoprire dove abita Portnoy. A
svelare l’indirizzo dell’imprenditore è stato Grok, l’Intelligenza artificiale
di Elon Musk, proprietario, tra le tante aziende, anche di X. Un utente ha
chiesto al sistema di geolocalizzare la posizione della casa in base alla foto
del giardino, ottenendo in pochi istanti una risposta accurata. Su Musk e la sua
“creazione” sono piovute critiche, data l’evidente violazione della privacy.
Tuttavia, l’IA può avvalersi ancora di una “zona grigia” della protezione dei
dati.
IL DOXXING
La geolocalizzazione della casa di Dave Portnoy parte dalla fotografia
pubblicata dall’imprenditore su X. Questo caso rientra nel cosiddetto “doxxing”,
ossia la condivisione di informazioni che dovrebbero essere private (foto,
indirizzi di casa, numeri di telefono etc…). In molti paesi la pratica del
doxxing è considerata illegale e la violazione della privacy può sfociare in
azioni civili e penali. In Italia la regolamentazione della condivisione dei
dati è compito del Garante per la privacy, che si spende per informare gli
utenti e diminuire i rischi di una fuga di informazioni sensibili.
LA ZONA GRIGIA
Con il passare del tempo e degli aggiornamenti, l’IA sta aggirando le regole dei
Garanti agendo nelle zone grigie della regolamentazione della condivisione dei
dati privati. L’Intelligenza artificiale collega informazioni provenienti da
fonti diverse e apparentemente scollegate come, vedi il caso di Portnoy, una
foto di un giardino. Non è la prima volta che Grok viene additata come strumento
negativo. In passato l’IA di Musk aveva generato commenti sessisti e razzisti.
> Whoever vandalized my home is lucky Miss Peaches is too kind to bite.
>
> The rivalry giveth. The rivalry taketh away pic.twitter.com/qnGb9IxnuY
>
> — Dave Portnoy (@stoolpresidente) November 29, 2025
L'articolo Pubblica la foto del giardino per denunciare l’atto vandalico e Grok
svela il suo indirizzo: polemica sull’IA di Elon Musk proviene da Il Fatto
Quotidiano.
TikTok avanza. Instagram è fermo. X arretra. Youtube sempre primo su tutti.
Questi per sommi capi i dati sui social in Italia provenienti dal sistema di
rilevazione Audicom-Audiweb pubblicati in anteprima dall’Ansa. A quanto pare i
social avrebbero raggiunto nel nostro paese una “fase di saturazione” con X che
tra il 2023 e il 2024 ha subito un calo del 12,8% (e negli ultimi mesi del 2025
ha perso oltre 4 milioni di utenti con un meno 27,6%) e che mostra un calo di
permanenza sulla piattaforma del 30%. Gli italiani continuano a mostrarsi dei
social boomer con al primo posto YouTube (37,1 milioni di persone in totale, più
0,5% nel 2024 sul 2023, ma meno 1% tra i primi nove mesi del 2024 e i primi nove
del 2005. Poi c’è Facebook con una media mensile di circa 35,8 milioni di
utilizzatori, anch’esso in calo nei primi 9 mesi del 2025 del 2,9% (meno oltre 1
milione di utenti), anche se resta il social più frequentato (13 ore e 29 minuti
al mese per persona).
Al terzo posto Instagram con quasi 32,9 milioni di utenti ma che segna un meno
1,9 punti nel 2025 e 8 ore e 52 minuti al mese di tempo impiegato per navigarci.
TikTok rimane quarto con 22,4 milioni di utenti, in calo anch’esso negli ultimi
nove mesi dello 0,6%. Crescono invece, pur rimanendo ancora piccini nei numeri
di fedelissimi, Threads e Reddit. “C’è un’inedita contrazione nell’uso di alcuni
social che inizia nel 2024 e prosegue nei primi mesi del 2025 – afferma
l’esperto del mondo digitale, Vincenzo Cosenza. “Tra gennaio-settembre 2024 e
2025 c’è una perdita dello 0,16% degli utenti complessivi e un riequilibrio dei
flussi tra le piattaforme”.
L'articolo La classifica dei social più usati: X crolla, Instagram è fermo. Il
preferito dagli italiani? Adesso è YouTube proviene da Il Fatto Quotidiano.
Un problema a Cloudflare, azienda che aiuta i siti web a proteggere e gestire il
loro traffico internet, ha mandato in down gran parte dei portali e applicazioni
che usano il servizio. Al momento, piattaforme come il social X e l’IA di
ChatGpt procedono a rilento, con una ripresa graduale. “Cloudflare è a
conoscenza di un problema che potrebbe avere un impatto su più clienti e lo sta
analizzando”, ha scritto l’azienda sul proprio sito web alle ore 13 italiane. La
criticità è emersa intorno alle 12.45.
“Stiamo lavorando per comprendere appieno l’impatto e ridurre le conseguenze”,
dice Cloudflare sulla pagina relativa ai servizi del suo sito web. Stando al
portale Down Detector – prima che anche questo andasse in down perché si
appoggia proprio a CloudFlare – anche Spotify e alcuni videogame online – oltre
che Canva – sono stati colpiti dall’accaduto. Difficoltà anche per numerose
attività commerciali che gestiscono i loro sistemi di ordini e pagamento
attraverso applicazioni.
L’intento di Cloudflare è rendere i siti web più veloci e più sicuri agendo come
un intermediario che gestisce e ottimizza tutto il traffico Internet. Quando la
piattaforma ha un problema, i portali diventano inaccessibili perché la strada
che usano per connettersi viene bloccata. L’interruzione si verifica a quasi un
mese da quella di Amazon Web Services, che ha interrotto per ore un’ampia gamma
di servizi online.
L'articolo ChatGpt, Spotify, X e un pezzo di Internet in down: la colpa è di
Cloudflare che non funziona proviene da Il Fatto Quotidiano.