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La gioventù perduta di Napoli: l’incontro a scuola con Don Patriciello, il pm Woodcock e la vicedirettrice del Fatto
“Se noi continuiamo a trattarvi come se foste nella bambagia non avremmo capito nulla. Uagliu’ a vita e’ tosta. Si campa una volta sola e se perdiamo questa occasione la seconda non l’avrete. Per il ragazzo di quindici anni abbiamo un’ altra occasione di recuperarlo, aiutarlo e speriamo di poterlo fare. Per Marco Pio non abbiamo nessuna altra occasione. Marco Pio è morto ucciso a 19 anni e non tornerà mai più. Voi avete capito che questo rischio voi non lo dovete e non lo potete correre? Lo avete capito si o no?”. Don Maurizio Patriciello, il parroco di Caivano minacciato persino sull’altare dalla criminalità, si è rivolto così ai centinaia di studenti dell’istituto Superiore “Carlo Alberto Dalla Chiesa” di Afragola, Napoli. Tra le zone più difficili del Napoletano per densità camorristica e violenze sui giovanissimi, il rione Salicelle dove ha sede la scuola non è molto distante dal luogo dove solo pochi giorni fa è morto ammazzato, con un colpo di pistola in testa, Marco Pio Salomone, 19 anni. A sparare, con un copione che si ripete in questa città-Medea, un altro ragazzino, un minorenne, di 15 anni. Questo ennesimo omicidio è stato uno dei temi al centro dell’incontro organizzato mercoledì 26 novembre nell’I.S. “Carlo Alberto Dalla Chiesa”, dal titolo “Contro noi-La criminalità giovanile: cause, conseguenze e prevenzione”: un incontro fortemente voluto dalla preside Giovanna Mugione e da tutto il corpo docenti, e che ha visto come protagonisti, oltre a Don Maurizio Patriciello, il pm antimafia Henry John Woodcock, il capitano della Guardia di Finanza Andrea Zuppetti e la vicedirettrice del Fatto Quotidiano Maddalena Oliva, da sempre impegnata con il giornale e la Fondazione FQ sulla gioventù perduta di Napoli. Se la notizia della morte di Marco Pio e la sua età hanno lasciato una comunità sconvolta, quella che il suo assassino avesse solo quindici anni ha invece lasciato “orripilati”, ha spiegato Don Maurizio, che alla platea di giovanissimi studenti – questa scuola di frontiera ne accoglie oltre 1.400 – ha anche posto una domanda: “Ma a quindici anni una persona è un bambino o un uomo?” . E ancora: “A questo ragazzo la pistola chi gliel’ha data? Ma i genitori non si erano mai accorti di niente? Ma che ci faceva alle due di notte in mezzo alla strada? Che ci faceva?” ha urlato Don Maurizio alla platea di coetanei del baby killer. “I ragazzi qua fuori mi hanno chiesto: lei ha un messaggio per i ragazzi? No. Ho un messaggio lo voglio dare ai genitori. Per favore, portate i vostri figli a scuola e ringraziate gli insegnanti davanti a loro, portateli al Monumento dei Caduti che sta ad Afragola e spiegategli che sono morti per la nostra libertà. Andate e leggete i nomi dei caduti, perché ormai nessuno ci pensa neppure. Difendiamo questi ragazzini, se c’è bisogno anche dai loro stessi genitori”. Ai ragazzi si è rivolto anche il pm antimafia Henry John Woodcock, per cui il bello può anche essere un antidoto al male, quello della droga in particolare: “Avete la fortuna di vivere vicino ad una delle più belle città del mondo – ha detto il sostituto procuratore di Napoli – e per arrivare da qua a Mergellina o da qua al mare con un motorino o con un’autobus ci vuole pochissimo. Fatela vicino al mare. Perché le cose belle, il bello in generale, ha qualcosa di fortemente educativo, qualcosa di pedagogico. Magari se c’è qualche vostro amico, qualche vostro parente che è meno fortunato di voi, perché vi rendete conto che magari si fa di hashish o peggio ancora di cocaina, gli dovete dire: andiamoci a fare una passeggiata. E ripuliamo le strade di Napoli dal sangue dei giovani, tutti insieme”. Ha chiuso il suo intervento con un appello ai ragazzi anche la vicedirettrice del Fatto Maddalena Oliva, che ha raccontato delle sue inchieste sulla paranza dei bambini e sulla criminalità giovanile, a partire dal suo film documentario sui babyboss della camorra Robinù: “Riprendetevi quello che è vostro. E quello che è vostro è avere la stessa possibilità di studiare, leggere un libro, andare a una mostra e laurearvi, di un vostro coetaneo che vive nella parte alta della città, a Chiaia o a Posillipo. Avete il diritto ad avere una vita che sia dignitosa e che sia appunto uguale per tutti. Ma la scelta sta a voi. Dovrete fare più fatica, certo. Come un po’ più fatica la dovranno fare la vostra famiglia e i vostri insegnanti. Ma la società c’è. Noi ci siamo. C’è una parte di questa città e di questo Paese che non vuole che vi perdiate e non vuole che Napoli sia condannata a questo destino: quello di perdere i propri figli nel sangue. E non possiamo solo più lavare il sangue dall’asfalto”. Il capitano Andrea Zuppetti, ufficiale del Nucleo Pef della Guardia di Finanza di Napoli, ha avvertito i ragazzi: “La camorra vi vende illusioni e vuole solo usarvi”. E lo ha spiegato rispondendo al motivo per cui lui ha scelto la carriera nelle forze armate: “Per comprendere il perché un ragazzo dovrebbe scegliere la strada della legalità bisogna fare una domanda al contrario: cosa spinge un ragazzo in età scolastica ad entrare nel mondo della criminalità? Non c’è una risposta unica. Ci sono dei ragazzi che vivono in contesti familiari più difficili, dove mancano dei punti di riferimento, dove la difficoltà economica può comportare anche delle difficoltà quotidiane. Ci sono dei quartieri dove la criminalità appare come una presenza normale e costante, quasi come se fosse una parte del paesaggio. Ci sono anche tanti che si sentono invisibili, che avvertono la mancanza di opportunità, di ascolto, sostegno. Dall’altra parte ci sono gruppi criminali che conoscono molto bene queste fragilità. Cosi vi viene offerta un’illusione, quella del guadagno facile, quella del rispetto immediato, vi offrono l’illusione di diventare grandi prima del tempo e di sentirvi qualcuno. Ma chi vi spinge verso l’illegalità lo fa solo perché vede in voi uno strumento”. L'articolo La gioventù perduta di Napoli: l’incontro a scuola con Don Patriciello, il pm Woodcock e la vicedirettrice del Fatto proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Criminalità
Mattia Faraoni dall’eredità di Petrosyan alla laurea, fino al rapporto con Cicalone: “Basta con i cliché sui fighters, servono persone pulite e oneste”
Il campione del mondo di kickboxing, Mattia Faraoni, si prepara a difendere il titolo ISKA a Ostia contro il giapponese Akira Jr. Unemura. Un incontro cruciale che, in caso di vittoria, potrebbe spalancare al fighter romano le porte della fase finale del prestigioso torneo K1 in Giappone. A Faraoni, noto al grande pubblico anche per il successo sui social e le collaborazioni con Cicalone su YouTube, spetta il difficile compito di dare continuità a questo sport a pochi giorni dall’addio alle scene di Giorgio Petrosyan, il più grande di tutti, avvenuto a Milano. Ora tocca a lei, Faraoni. Come vive questa eredità? Ha smesso un dio della kickboxing. Un ‘GOAT’ e anche di più. La kickboxing, comunque, continua a far parlare di sé: i palazzetti sono pieni e le TV trasmettono i match. Certo, un altro Petrosyan sarà difficile da trovare nel mondo, anche se di bravi atleti, pure in Italia, ce ne sono. Come arriva a questo match al Pala Pellicone di Ostia? Ci arrivo dopo un percorso costruito piano piano. Questo match con il giapponese è determinante per il mio futuro, per tornare a combattere in Giappone e disputare uno dei tornei più prestigiosi. Sono concentrato e determinato al massimo. Lei è laureato in Tecnica di Radiologia Medica, suo fratello minore Francesco (pugile a un passo dal titolo italiano) in Statistica. Siete la dimostrazione che i fighters non sono i ‘brutti, sporchi e cattivi’ di certi cliché? Basta con questi cliché! Io e mio fratello andiamo nelle scuole a parlare di bullismo con i ragazzi. I luoghi comuni sui fighters stanno pian piano scomparendo, ma la cultura non cambia in un solo giorno. Siamo comunque sulla strada giusta. Servono persone pulite e oneste. Basta anche con il cliché dell’esaltato che deve redimersi: lo sport va fatto quando hai un obiettivo e il fuoco dentro, un desiderio profondo e dei progetti, proprio come nella vita. Lei è stato anche campione italiano dei massimi leggeri nella boxe. Tornerà mai nella ‘noble art’? Mai dire mai, ho una doppia identità. Ma ora sono concentrato nella kickboxing, dove sono più forte, competitivo e con contratti importanti. Mi ha fatto sentire in ‘Serie A’. E suo fratello Francesco? Mio fratello è un talento sia tecnicamente che psicologicamente; non gli pongo limiti. Ha mai provato paura quando ha prodotto per YouTube la serie “Quartieri Criminali” con Simone Cicalone? Paura no, anche se alcuni contesti erano borderline. È stato bello incontrare ragazzi come noi, di periferia, che vivono in situazioni difficili. Nelle Vele di Scampia, per esempio, abbiamo trovato persone accoglienti e affettuose, impossibile rifiutarsi di prendere un caffè. Abbiamo testimoniato che il bello c’è ovunque, solo che un contesto diverso può portare le persone ad agire in maniera illegale. Un ragazzo che vive in un buco con altre quattro persone, scale pericolanti e magari senza vetri alle finestre cresce con un concetto di bene e male diverso. Non crede che Cicalone si sia spinto troppo oltre e che la gestione delle questioni di sicurezza debba restare di esclusiva competenza delle Forze dell’Ordine e non di un content creator? Conosco Cicalone da tantissimi anni. È stato uno dei primi divulgatori a Roma e non solo della boxe e degli sport da contatto, con la sua ‘Scuola di Botte’ dove spiegava il pugilato in modo tecnico, ma anche irriverente. Successivamente, si è specializzato su temi ‘caldi’ della periferia romana, portando all’attenzione di tutti questioni come il degrado e la microcriminalità, aspetti che, ci tengo a sottolinearlo, affliggono purtroppo qualsiasi grande area metropolitana moderna, sia in Italia che all’estero. Il pubblico romano lo segue e lo apprezza. Ho visto di recente che c’è stato un sit-in con centinaia di romani che gli hanno dimostrato vicinanza per quanto ha subito nei giorni scorsi. Detto questo, è chiaro e indiscutibile che gli aspetti di pubblica sicurezza spettano esclusivamente alle Forze dell’Ordine. Su questo non c’è neppure da discutere. Tuttavia, è importante ricordare che anche le Forze dell’Ordine raccolgono segnalazioni di atti criminali da comuni cittadini. Ho notato che Cicalone lo fa sempre, collaborando (come nell’ultimo caso di cronaca con la Polmetro di Ottaviano). Il suo essere uno youtuber di inchiesta non sempre valorizza adeguatamente questo suo impegno civile e la sua collaborazione con le Forze dell’Ordine. L'articolo Mattia Faraoni dall’eredità di Petrosyan alla laurea, fino al rapporto con Cicalone: “Basta con i cliché sui fighters, servono persone pulite e oneste” proviene da Il Fatto Quotidiano.
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