Il Partito Socialista Operaio Spagnolo (PSOE) attraversa una delle fasi più
complesse e contraddittorie della sua recente traiettoria di governo. A una
crisi politica latente, legata alla fragilità della maggioranza parlamentare e
ai rapporti sempre più tesi con gli alleati indipendentisti, si è sommata nelle
ultime settimane una crisi morale e di credibilità provocata dall’emersione di
diversi casi di presunte molestie e abusi sessuali che coinvolgono dirigenti ed
esponenti del partito. Una vicenda che colpisce al cuore l’identità pubblica del
PSOE, forza che da anni rivendica un ruolo di avanguardia nella lotta contro la
violenza maschilista e che adesso mette a rischio, di nuovo, la tenuta
dell’esecutivo, con gli alleati di Sumar che chiedono un rimpasto di governo.
I casi emersi hanno avuto un forte impatto mediatico e politico perché
riguardano figure inserite, a vario titolo, nei gangli del potere socialista. Il
primo a esplodere a livello nazionale è stato quello di Francisco Paco Salazar,
ex consigliere politico di lunga esperienza e considerato vicino agli ambienti
della presidenza del governo. Diverse donne, militanti o lavoratrici in ambiti
collegati al partito, lo hanno accusato di comportamenti sessisti, commenti sul
corpo, messaggi inappropriati e pressioni per incontri fuori dall’orario di
lavoro. Secondo quanto ricostruito dalla stampa, almeno due denunce formali sono
state presentate attraverso i canali interni del PSOE, senza però ricevere
risposta per mesi. Una gestione che ha alimentato l’accusa più grave rivolta al
partito: non tanto l’esistenza di singoli comportamenti abusivi, quanto la
tendenza a minimizzare e ritardare l’intervento per proteggere l’organizzazione.
Salazar ha sempre respinto le accuse, ma ha infine lasciato i suoi incarichi in
un clima segnato dalla percezione di una reazione tardiva e difensiva.
Un secondo caso riguarda Antonio Navarro, segretario generale del PSOE a
Torremolinos, accusato da una donna del partito di molestie attraverso messaggi
WhatsApp e commenti ritenuti umilianti. Dopo la pubblicazione delle accuse, la
direzione socialista lo ha sospeso dal ruolo, in attesa degli sviluppi
giudiziari. In Galizia, è stato invece José Tomé, presidente della Deputazione
di Lugo e figura influente del socialismo locale, a dimettersi dopo segnalazioni
interne di comportamenti inappropriati. Tomé ha parlato di un attacco politico e
di un tentativo di “incastrarlo”, ma la pressione interna e l’attenzione
mediatica hanno reso inevitabile il passo indietro. Il caso più recente è quello
di Javier Izquierdo, senatore ed esponente della Commissione Esecutiva Federale
del PSOE, che ha rassegnato le dimissioni dopo una nuova denuncia per molestie
sessuali. In un messaggio pubblico ha parlato di “motivi personali”, ma il
contesto ha reso evidente il legame tra il suo ritiro e la vicenda.
La risposta del PSOE ha suscitato critiche trasversali. Da più parti si accusa
il partito di aver agito con lentezza, scarsa trasparenza e insufficiente
attenzione alle vittime. “Non basta dichiarare tolleranza zero, servono azioni
immediate e verificabili”, ha ammesso la dirigente socialista Rebeca Torró dando
voce a un malessere diffuso anche all’interno del partito. Le associazioni
femministe socialiste, come Femes, hanno parlato di un sistema di tutela che,
nei fatti, continua a scoraggiare la denuncia.
Critiche durissime proprio contro chi, negli ultimi anni, ha promosso alcune
delle politiche più avanzate in Europa contro la violenza maschilista. Tra
queste figurano la legge sul consenso sessuale (“solo sì è sì”), il
rafforzamento delle misure di protezione per le vittime di violenza di genere,
l’estensione dei diritti economici e sociali alle donne che denunciano abusi,
l’aumento dei fondi per i centri contro la violenza sulle donne e una strategia
statale che riconosce la violenza maschilista come un problema strutturale, non
privato. Sánchez ha più volte ribadito che “la durezza contro lo stalking e
l’abuso ha delle sigle, e sono quelle del PSOE”, rivendicando la coerenza
dell’azione legislativa socialista. Eppure, proprio questa distanza tra
l’impianto normativo e la gestione concreta dei casi interni rischia di minare
la credibilità dell’intero progetto politico.
La crisi ha avuto effetti immediati anche sulla stabilità dell’esecutivo. Il
partner di coalizione Sumar ha preso pubblicamente le distanze dalla gestione
socialista della vicenda. La vicepremier Yolanda Díaz ha parlato di una
situazione “insostenibile”, chiedendo un rimpasto di governo come segnale
politico di discontinuità. Una richiesta che ha aperto una frattura evidente
nella maggioranza. Pedro Sánchez ha respinto l’ipotesi di un rimpasto profondo e
ha escluso elezioni anticipate, ribadendo la volontà di proseguire l’azione di
governo “nonostante circostanze complesse”. Ma la crisi arriva in un momento
particolarmente delicato: il PSOE governa grazie a una maggioranza parlamentare
fragile, fondata sull’appoggio esterno di partiti indipendentisti catalani e
baschi, con i quali i rapporti si sono recentemente deteriorati su dossier
chiave.
La rottura di alcuni canali di dialogo con gli indipendentisti riduce i margini
di manovra del governo e rende Sánchez ancora più restio a concedere spazio agli
alleati di sinistra all’interno dell’esecutivo. La strategia socialista,
coerente con una tradizione consolidata, resta quella di mantenere una gestione
fortemente centralizzata del governo, cercando appoggi esterni caso per caso
piuttosto che ridefinire gli equilibri interni. In questo quadro, la crisi degli
scandali sessuali non è solo una questione etica o reputazionale: è un fattore
che si intreccia con la fragilità parlamentare, le tensioni nella coalizione e
il difficile rapporto con gli indipendentisti. Un nodo politico che il PSOE non
potrà sciogliere solo con dichiarazioni di principio, ma che richiederà scelte
strutturali, sia sul piano interno sia su quello della tenuta dell’esecutivo.
L'articolo Spagna, i Socialisti travolti da uno scandalo di abusi sessuali. E
gli alleati di Sumar chiedono il rimpasto di governo proviene da Il Fatto
Quotidiano.
Tag - Abusi Sessuali
Aggredita e poi violentata da un uomo che si era nascosto nella vegetazione di
un sentiero ciclo-pedonabile. I carabinieri della compagnia di Cesenatico hanno
arrestato un 26enne originario del Gambia con l’accusa di violenza sessuale
aggravata e lesioni personali. Lo stupro è avvenuto a San Mauro Pascoli, in
provincia di Forlì-Cesena. Venerdì mattina, la vittima stava correndo lungo un
sentiero ciclo-pedonale quando è stata assalita. Dopo averla immobilizzata,
l’uomo ha trascinato la ragazza in un’area appartata e l’ha violentata.
Dopo la fuga dell’uomo, la vittima ha chiamato i carabinieri ed è stata
soccorsa. Grazie alla precisa descrizione fornita, le pattuglie e gli elicotteri
degli agenti hanno rapidamente individuato il presunto aggressore in un capanno
poco distante. L’uomo aveva anche una ferita a una mano causata dalla resistenza
opposta dalla vittima. L’uomo, che è anche ritenuto responsabile di
palpeggiamenti commessi in precedenza nei confronti di un’altra donna, che ha
poi denunciato l’episodio ai carabinieri, è stato arrestato e, su disposizione
del sostituto procuratore di Forlì, portata in carcere, in attesa dell’udienza
di convalida.
L'articolo Aggredita mentre correva su un sentiero e stuprata: 26enne arrestato
per violenza e lesioni proviene da Il Fatto Quotidiano.
Provava piacere a veder soffrire le donne che si presentavano per un colloquio
di lavoro, somministrava nelle bevande che offriva loro un potente diuretico
illegale e poi le convinceva a proseguire la conversazione fuori dall’ufficio,
all’aperto, lontano dai servizi igienici, così da poter vedere crescere in loro
il disagio e la sofferenza per l’urgenza di urinare. Christian Nègre,
funzionario del Ministero della Cultura francese, come riporta il Guardian, è
stato sottoposto a un’indagine formale dal 2019 con diverse accuse che vanno
dalla somministrazione di sostanze stupefacenti alla violenza sessuale. Ma in
attesa di processo, ha continuato a lavorare nel settore privato.
Il processo non è stato ancora celebrato. Ma i racconti delle vittime, quasi 250
in totale, hanno riaperto il dibattito sugli abusi nei confronti delle donne con
l’uso di sostanze stupefacenti. Sylvie Delezenne, esperta di marketing di Lille,
racconta ad esempio che era alla ricerca di un lavoro nel 2015, quando è
arrivato il contatto su Linkedin da parte di un responsabile delle risorse umane
del ministero. Quando però si è recata a Parigi per il colloquio, è diventata
una delle vittime di Nègre: “Non sapevo nemmeno che potesse esistere questo tipo
di violenza”, ha raccontato.
L’uomo offriva alle aspiranti dipendenti tè o caffè all’inizio della
conversazione e poi le convinceva a proseguire il colloquio lontano dai servizi
igienici. Molte di loro che non riuscivano più a trattenersi hanno raccontato di
aver urinato in pubblico o di non aver raggiunto il bagno in tempo, bagnandosi i
vestiti. La conseguenza è stata un senso di vergogna e fallimento che ha avuto
un impatto sulla loro vita.
I primi casi sono emersi nel 2018 a seguito di un’altra inchiesta. Sullo stesso
Nègre pendeva una denuncia, fatta da un collega, per aver tentato di fotografare
le gambe di un alto funzionario. La polizia aprì un’inchiesta e gli agenti
trovarono un foglio sul quale l’uomo annotava gli orari delle somministrazioni
di droghe e le reazioni delle donne. Il titolo del documento era Esperimenti. A
quel punto, è stato sollevato dall’incarico, ma ha continuato a lavorare nel
settore privato.
“Sentivo un bisogno crescente di urinare – ha raccontato una delle vittime – Mi
tremavano le mani, avevo il cuore che batteva forte, gocce di sudore mi
scendevano sulla fronte e stavo diventando rossa. Ho detto ‘Ho bisogno di una
pausa tecnica’. Ma lui ha continuato a camminare”. Un’altra ha raccontato che
lui le ha proposto di fare una passeggiata, poi lei ha iniziato ad avere bisogno
di andare in bagno e ha chiesto di tornare indietro. Lui però si è diretto nel
senso opposto. “Mi ha guardato negli occhi e mi ha chiesto ‘Hai bisogno di fare
pipì?’. Era come un adulto che parlava a una bambina. L’ho trovato bizzarro.
Avevo una spia rossa nella mia testa che mi diceva che c’era qualcosa che non
andava. Alla fine sono arrivata nel bagno di un bar. Ma troppo tardi”. Molte di
loro hanno ricevuto un risarcimento dallo Stato, altre sono ancora in attesa di
giustizia.
L'articolo Francia, somministrava potenti diuretici alle donne durante i
colloqui di lavoro: a processo un funzionario del ministero della Cultura
proviene da Il Fatto Quotidiano.
Dopo tre anni di negoziati falliti in senso al Consiglio europeo, Chat control è
vicinissimo alla meta, grazie al “sì” del Coreper giunto la mattina del 26
novembre. Gli ambasciatori a Bruxelles dei 27 Stati europei, senza discutere il
provvedimento, hanno approvato il testo firmato dalla Danimarca. Serve a
contrastare la pedofilia online, ufficialmente, con il nome tecnico di Csar:
Child sexual abuse regulation. Ma l’effetto collaterale sarebbe l’azzeramento
della privacy online: i messaggi in chat e via mail di 450 milioni di europei
sarebbero scansionati automaticamente da un algoritmo, se le piattaforme
digitali vorranno. Oggi la maggioranza qualificata è stata raggiunta, nella
riunione del Coreper, con il favore decisivo della Germania e l’astensione
dell’Italia. La prossima tappa è il voto decisivo del Consiglio Ue l’8 e 9
dicembre. Non ci saranno discussioni, i 27 dovranno prendere o lasciare: sembra
scontato il semaforo verde, per ratificare il consenso già espresso. Dopo
inizierà la fase finale, con i negoziati tra le massime istituzioni del Vecchio
Continente: il trilogo tra Commissione, Parlamento e Consiglio Ue.
COSA PREVEDE LA VERSIONE DANESE DI CHAT CONTROL
La proposta danese ha riscosso consensi grazie ad una modifica sostanziale. La
scansione dei messaggi non sarà imposta alle piattaforme digitali, ma solo
caldamente consigliato. Invece il regolamento proposto dalla Commissione europea
– l’11 maggio 2022 – prevede controlli automatici e indiscriminati, grazie ad un
varco nella “muraglia” della crittografia end to end. Traduzione: un software
spierebbe i messaggi di tutti i cittadini europei, eludendo i codici a tutela
della privacy, segnalando alle forze dell’ordine i casi sospetti di molestie sui
minori. Da circa un decennio, le agenzie di sicurezza come Europol ed Fbi
reclamano l’accesso alle comunicazioni online per contrastare la criminalità,
inclusi gli abusi sui minori. Ma nel nome della sicurezza, si rischia di
sacrificare la privacy.
Nel testo danese, il controllo dei messaggi è affidato alla libera scelta delle
piattaforme, proprio come avviene ora: una violazione della privacy in virtù di
una deroga, contenuta nel regolamento Ue n. 1232 del 2021, rinnovata ogni anno.
Ma ora l’eccezione diventerebbe la norma. Facebook già scansiona i nostri
messaggi a caccia di sospetti abusi e da Meta giunge il 95 per cento delle
segnalazioni per le forze dell’ordine. Tuttavia, la nuova formulazione non fuga
i dubbi dei difensori della privacy. Secondo l’ex europarlamentare Patrick
Breyer, l’obbligo della scansione è uscito dalla finestra per rientrare dalla
porta. L’articolo 4 del nuovo testo, infatti, impone alla piattaforme di
adottare “tutte le misure appropriate di mitigazione del rischio”. Senza stilare
“un elenco esaustivo delle misure”, i fornitori di servizi conserverebbero “un
certo grado di flessibilità per progettare e attuare” le difese digitali a
tutela dei minori. Una concreta possibilità è l’obbligo della verifica dell’età:
se passasse Chat control, con buona probabilità bisognerà inviare i documenti
alle piattaforme, prima di aprire un profilo in chat, un account di posta
elettronica o acquistare spazio di archiviazione sul cloud. Da febbraio, sarà
così per visitare i siti porno. In pratica, la morte dell’anonimato online. Di
sicuro, la scansione automatica e obbligatoria di tutti i messaggi non è
accantonata, ma solo rinviata. La possibilità di imporla sarà riesaminata in
futuro dalla Commissione Ue, stando al compromesso danese. Bisognerà attendere
stagioni migliori, i tempi non sono maturi.
LE PIATTAFORME CONTRO CHAT CONTROL, PROTON: “….”
Proton è tra le piattaforme ostili a Chat control. “In questo tipo di
legislazione, il diavolo si nasconde solitamente nei dettagli – dice al Fatto.it
il Ceo e fondatore Andy Yen – Restiamo estremamente vigili e contribuiremo
attivamente ai prossimi negoziati di trilogo per garantire i miglioramenti
necessari, affinché siano rispettate la protezione della privacy e la sicurezza
delle comunicazioni”. Anche Signal e Meta hanno espresso forti critiche verso
chat control, per i rischi sulla privacy ma anche per la sicurezza informatica.
Aprire un varco nella crittografia end to end sarebbe utile non solo alle forze
dell’ordine, ma anche ai delinquenti digitali.
L’ITALIA E LA DIFFICILE MINORANZA DI BLOCCO, M5S: “GOVERNO MELONI? ASTENSIONE
PILATESCA. FERMARE LA SORVEGLIANZA DI MASSA”
Al Coreper l’Italia si è astenuta su chat control: in passato ha sempre espresso
posizioni dubbiose, mai apertamente sfavorevoli. Non è chiaro quali Paesi
abbiano espresso voto contrario, nell’assise degli ambasciatori del 26 novembre.
Cechia, Polonia, Paesi Bassi e Slovacchia avrebbero espresso riserve su Chat
control. Ma non basta per formare una minoranza di blocco: l’unico modo per
fermare il provvedimento è il no di almeno 4 Paesi con il 35 per cento della
popolazione europea. Il poker di Paesi con riserva, sommando gli abitanti
dell’Italia, si ferma poco sotto l’asticella del 30 per cento. Dunque l’ago
della bilancia è nelle mani della Germania e il voto contrario dell’Italia non
cambierebbe il risultato. Il governo Meloni lascia trapelare alle agenzie le sue
perplessità: condivide la lotta agli abusi sessuali online, ma non accetta forme
di controllo massivo di chat e dati personali. Ma allora, perché astenersi al
voto su chat control? Una mossa “pilatesca” secondo l’europarlamentare del
Movimento 5 stelle Gaetano Pedullà. “Con la scusa della tutela dei minori, i
governi vogliono assicurarsi uno strumento potente di sorveglianza e controllo
dei cittadini”, rincara il pentastellato. Il 19 novembre a Montecitorio, il
deputato del Movimento Marco Pellegrini ha chiesto alla premier di esporre in
Parlamento la posizione del governo su Chat control. Per ora, palazzo Chigi
tace.
L'articolo Chat control, c’è la maggioranza qualificata per la sorveglianza di
massa. Italia astenuta, M5s: “Meloni come Pilato” proviene da Il Fatto
Quotidiano.