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“La sua ansia aumenta. La stiamo incoraggiando a prendersi cura della sua salute fisica e mentale”: la famiglia di Ariana Grande è molto preoccupata
C’è preoccupazione per Ariana Grande. La sua famiglia sta passando un momento difficile perché è evidente, secondo le fonti anonime intercettate dal Daily Mail, che qualcosa non sta girando per il verso giusto. “Ariana non ha affrontato al meglio il tour promozionale di Wicked. – ha confidato la fonte – Sono successe cose che l’hanno turbata: dall’uomo che ha cercato di afferrarla mentre attraversava il red carpet ai commenti online al vetriolo. Adesso sta avendo difficoltà ad elaborare il tutto”. E ancora: “Non sta bene e di questo ne è consapevole. Tutte le persone attorno a lei lo sanno. La sua ansia aumenta sempre più, a volte Ariana appare troppo sensibile. Ha richiesto troppo alle proprie forze e adesso gli effetti sono sotto gli occhi di tutti. Fortunatamente, lei ha chi la supporta. Tutti la stanno incoraggiando a prendersi cura della sua salute fisica e mentale, ne ha davvero bisogno”. Già nel 2023 Ariana Grande aveva spiegato: “Ci sono diversi modi di apparire in salute. Il corpo che avevo prima non era affatto salutare: prendevo antidepressivi, mangiavo male e avevo toccato il fondo. A voi sembravo star bene, ma non era così. Cercate di essere più gentili, specialmente quando giudicate i corpi altrui”. Di certo Ariana Grande ha annunciato una lunga pausa dalla musica dopo il suo “Eternal Sunshine Tour” del 2026, che ha definito come “un ultimo grande momento di condivisione con i fan”. Il motivo? Ufficialmente per dedicarsi maggiormente alla recitazione, ufficiosamente per curare la sua salute fisica e mentale. L'articolo “La sua ansia aumenta. La stiamo incoraggiando a prendersi cura della sua salute fisica e mentale”: la famiglia di Ariana Grande è molto preoccupata proviene da Il Fatto Quotidiano.
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“Influencer depressi, in ansia e con pensieri suicidi molto più degli altri lavoratori”: il nuovo studio e il parere dell’esperto
Depressi, isolati e persino con pensieri suicidi. Un nuovo studio di Creators 4 Mental Health e Lupiani Insights & Strategies evidenzia come i creatori di contenuti abbiano problemi di salute mentale molto più della popolazione generale. La ricerca, pubblicata dalla Harvard T.H. Chan School of Public Health e basata su 542 creator nordamericani, rivela un quadro complicato ancor più da pressioni finanziarie, instabilità degli algoritmi e assenza di confini tra vita privata e lavoro. Il 52% del campione coinvolto segnala ansia, il 35% ammette di soffrire di depressione e il 62% soffre di burnout occasionalmente o spesso. Stando ai risultati dello studio, la professione del creatore di contenuti non dispone delle infrastrutture per la salute mentale presenti nei settori occupazionali tradizionali. Questo, malgrado sia il motore di un’economia da 200 miliardi di dollari. Ilfattoquotidiano.it ne ha parlato con il professor Federico Tonioni, psichiatra e psicoterapeuta presso il Policlinico Gemelli di Roma. Perché i creator risultano particolarmente vulnerabili rispetto ad altre categorie professionali? Un creator è inevitabilmente molto connesso, e le relazioni online pur essendo assolutamente reali, non sono “intere”. Le emozioni, cioè, sono rappresentate, e non presentate. Questa castrazione di contenuti autentici viene in qualche modo supplita con la tendenza a interpretare di più, e così facendo si apre la strada al pensiero paranoico. Aggiungiamoci una tendenza alla dissociazione che tutti noi abbiamo quando siamo davanti a uno screen digitale, e il risultato è la possibilità di insorgenza di sintomi psicopatologici in chi sta molto online. Ma c’è di più. Ovvero? Chi fa l’influencer o il creator ha dei motivi personali per fare questo lavoro che dà, oltre ai guadagni, una visibilità narcisistica molto potente. Credo però che parte della psicopatologia che colpisce questa categoria possa essere precedente e non conseguente al tipo di lavoro che fa. Quindi ci sarebbe già una predisposizione di base? Penso che i sintomi abbiano sempre a che fare con qualcosa che non ha funzionato nelle prime relazioni con l’ambiente quando si era bambini. Ad esempio, per chi ha un problema di ritiro sociale, questa professione può diventare un modo per rifarsi, una strada molto ambiziosa per “guarire” e raggiungere un equilibrio più gratificante. Tra le pressioni più grandi che diversi creator hanno riscontrato c’è la performance dei contenuti. La necessità di dover sempre performare – in qualsiasi ambito – è uno dei mali dei nostri tempi? Le performance sono conseguenti alle aspettative. Le prime con cui ci troviamo a fare i conti sono quelle genitoriali, perché ancor prima di nascere esistiamo nell’immaginazione dei genitori. Le aspettative sono tossiche, anche se inevitabili. Si può parlare di una forma di dipendenza dalla performance digitale? Sì, e dipende dall’autostima, che è percezione del valore di sé. Come si può aumentare questo valore? Sentendosi amati dopo aver deluso le aspettative. Se, per esempio, un ragazzo prende per la prima volta un brutto voto a scuola non va punito, va compreso con la massima tenerezza e amato proprio quel giorno. È lì che l’autostima cresce. Perché abbiamo così paura del fallimento? Anche il fallimento viene dalle aspettative. Se uno ce la mette tutta ha diritto di fallire e di non riuscire. Più autostima si ha, più ci si può permettere di fallire. Le piattaforme social dovrebbero avere dei protocolli di intervento o di segnalazione per creator in crisi psicologica? Servono attenzione e rigore nei confronti del bullismo. Tutti, soprattutto i più giovani, si muovono nella dicotomia popolarità-vergogna, laddove la vergogna corrisponde – in particolar modo per gli adolescenti – a un crollo a livello di identità la cui intensità è proporzionale alla visibilità. I giovani che vogliono fare i creator vanno istruiti sui rischi psicologici cui possono andare incontro? Il creator è un lavoro come gli altri, non è quello che dà dolore mentale. Può darsi che una persona cerchi una soluzione al proprio dolore in un lavoro piuttosto che in un altro, ma non vedo un pericolo specifico nel web. La distanza più sana dai giovani è la fiducia, non il controllo. L'articolo “Influencer depressi, in ansia e con pensieri suicidi molto più degli altri lavoratori”: il nuovo studio e il parere dell’esperto proviene da Il Fatto Quotidiano.
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“Se tuo figlio è rabbioso, è colpa tua. I genitori di oggi sono pigri, non sanno insegnare il sacrificio e preferiscono fare i benefattori”: parla la psicologa Maria Rostagno
Il problema della violenza giovanile non è solo un deficit di empatia, ma una mancata educazione alla tolleranza della frustrazione. Ne è convinta la psicologa Maria Rostagno, che nel suo studio di Rovereto accoglie pazienti di ogni età e ora, in un’intervista al Corriere, ha individuato un problema sistemico legato alla mancata educazione affettiva delle nuove generazioni. Una delle cause principali dell’immaturità emotiva dei giovani di oggi risiede infatti in una genitorialità affaticata che preferisce evitare il conflitto immediato. “La nuova generazione di genitori fa fatica a tollerare la frustrazione dei figli, una competenza indispensabile per poter educare”, spiega Rostagno. Questa incapacità porta i genitori a vestire i panni del “benefattore” piuttosto che dell’educatore.: “I genitori di oggi sono pigri, non hanno voglia di insegnare questi principi e preferiscono trasformarsi in benefattori dei figli”. Il risultato è un ragazzino che non impara a sopportare l’insoddisfazione momentanea. Quando questo meccanismo si rompe, la rabbia esplode in modo sproporzionato, come nel caso del femminicidio di Afragola, dove l’esecutore “non ha saputo reggere il moto di rabbia di fronte a una ragazza (di 14 anni) che ha detto ‘no’“. A questa debolezza educativa si aggiunge un fattore tecnologico: la dipendenza da dopamina. La nuova generazione è abituata a un mondo digitale dove la gratificazione è immediata. “La nuova generazione ne è dipendente a causa dei social”, sottolinea Rostagno. “I ragazzi di oggi pretendono che i loro desideri vengano esauditi immediatamente perché hanno davanti agli occhi un mondo irreale dove tutti sembrano avere tutto“. Di conseguenza, perdono la capacità di tollerare il sacrificio, un principio fondamentale per vivere nella realtà. “Per riuscire a vivere nella realtà bisogna essere in grado di saper gestire l’insoddisfazione momentanea per avere poi una gratificazione a lungo termine”. Molti ragazzi di oggi non riescono ad avere questa pazienza, non capendo che per ottenere un bel voto a scuola, devono “studiare, magari non uscire il sabato”. Queste reazioni violente hanno anche una base neurologica. La dottoressa Rostagno chiarisce che la corteccia prefrontale, l’area del cervello che ci rende umani, responsabile del controllo degli impulsi e della valutazione delle conseguenze, matura completamente solo attorno ai 25 anni. “Per cui un ragazzino può reagire a stimoli emotivi intensi con una sproporzionata reazione, ed è qui che subentra l’adultità adeguata nell’aiutare a capire come fare a gestire questi moti”. La violenza è spesso alimentata anche dalla costruzione di un’identità maschile tossica, legata ai concetti di possesso e controllo sulla donna. Nonostante questo, l’esperta ha notato un cambiamento positivo nelle vittime che non hanno più paura di rivolgersi a uno psicologo. La stessa Rostagno ha avuto in terapia giovani che si sono riconosciuti pericolosi nei confronti delle loro compagne. “Sì, ho avuto un ragazzo che si è riconosciuto pericoloso e violento, anche se solo verbalmente”, ha raccontato. Un percorso faticoso, ma necessario. “È stato un lavoro molto faticoso, anche perché dopo alcune sedute è emerso che lui stesso aveva sofferto di abusi nella sua famiglia”. L'articolo “Se tuo figlio è rabbioso, è colpa tua. I genitori di oggi sono pigri, non sanno insegnare il sacrificio e preferiscono fare i benefattori”: parla la psicologa Maria Rostagno proviene da Il Fatto Quotidiano.
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La salute mentale è la priorità: richiede interventi concreti, non bonus psicologi temporanei
di Susanna Stacchini In Europa, il suicidio è la causa principale di morte di giovani in età compresa fra i 17 e 29 anni e in Italia è la seconda, dopo gli incidenti stradali. Dati che rendono inspiegabile il tanto disinteresse da parte della politica. Se tutti noi abbiamo l’obbligo morale di non essere impermeabili al dolore che si trincera dietro a un gesto tanto estremo, la politica ne ha l’obbligo istituzionale. Ha il dovere di rispondere a quella che è una vera e propria emergenza contemporanea, creando le condizioni perché quel dolore possa essere intercettato per tempo e trattato di conseguenza, attraverso un’efficacie rete di protezione, sia essa sanitaria che sociale, familiare che territoriale. Promuovere e tutelare la salute mentale e a maggior ragione quella dei giovani, intervenendo su quelli che sono i principali fattori di rischio, ridurrebbe il bisogno di cura e di conseguenza la pressione sulle casse dello Stato. Da qui, l’importanza fondamentale della prevenzione che invece, ancora una volta, si conferma essere la grande assente di sempre. Non va nel solco della prevenzione condannare molti giovani alla precarietà del lavoro o a stipendi da fame, negando loro la possibilità di progettare un futuro. Tantomeno va in quella direzione un modello di società ad impronta sempre più individualistica, in cui prevale la legge del più forte e dove spesso il disvalore è un valore. Ecco che in questo scenario, ognuno di noi è chiamato a fare la sua parte. Dobbiamo imparare a parlare di suicidio con la mente sgombra da tabù e pregiudizi, evitando il giudizio morale del suicida, compresi i frequenti accostamenti a una sua probabile torbida esistenza. Il suicidio non è che l’epilogo di una “malattia mentale” che, arrivata al culmine della sua gravità, non consente al malato altra opportunità di scelta, se non la morte. E l’idea che la persona affetta da “malattia psichiatrica” debba mettercela tutta e reagire per stare meglio, come se non si trattasse di una patologia ma di uno stato d’animo dal quale poter uscire grazie alla forza di volontà, è un approccio deleterio. Il messaggio che arriva al malato è sminuente e colpevolizzante. Nessuno oserebbe dire lo stesso a una persona cardiopatica o diabetica. Ora, com’è vero che anche nell’ambito della psichiatria certi quadri clinici possono risultare letali per la loro ingravescenza, anche una mancata o inadeguata presa in carico possono condizionarne pesantemente la prognosi. In una sanità sempre più imbrigliata fra protocolli, regolamenti e un’ortodossa aderenza al budget, si perde di vista il valore nevralgico della centralità della persona, soprattutto se malata. Così, mentre la ricerca ha fatto evidenti progressi, studiando farmaci innovativi, strumenti, metodi e strategie d’intervento, la politica non ha fatto altrettanto. Manca un piano strutturale serio che risponda ai bisogni di una popolazione giovanile sempre più in difficoltà. Non è con un bonus psicologo annuo, da elargire in base al valore Isee e fino a esaurimento fondi, che si può affrontare il dramma del disagio giovanile. Il benessere psichico non è un di più, non è il superfluo, è una priorità. Il corpo non è a sé stante dalla mente e viceversa e come due inseparabili compagni di viaggio sono da sempre dipendenti l’uno dall’altro. Ma la politica non ha assolutamente fatto proprio questo concetto, tanto da tradire senza esitazioni una legge che ha fatto letteralmente storia, la legge Basaglia del 1978. Quella legge rivoluzionò l’approccio alla salute mentale. Abolì i manicomi e introdusse il superamento del concetto di isolamento e modello custodiale, introducendo parallelamente un nuovo modello di cura basato sulla riabilitazione, territorialità, inclusione sociale e rispetto dei diritti della persona malata. Una legge evidentemente troppo illuminante e precorritrice dei tempi, per politici accecati dalla smania di potere che hanno preferito non sfruttarne le potenzialità. IL BLOG SOSTENITORE OSPITA I POST SCRITTI DAI LETTORI CHE HANNO DECISO DI CONTRIBUIRE ALLA CRESCITA DE ILFATTOQUOTIDIANO.IT, SOTTOSCRIVENDO L’OFFERTA SOSTENITORE E DIVENTANDO COSÌ PARTE ATTIVA DELLA NOSTRA COMMUNITY. TRA I POST INVIATI, PETER GOMEZ E LA REDAZIONE SELEZIONERANNO E PUBBLICHERANNO QUELLI PIÙ INTERESSANTI. QUESTO BLOG NASCE DA UN’IDEA DEI LETTORI, CONTINUATE A RENDERLO IL VOSTRO SPAZIO. DIVENTARE SOSTENITORE SIGNIFICA ANCHE METTERCI LA FACCIA, LA FIRMA O L’IMPEGNO: ADERISCI ALLE NOSTRE CAMPAGNE, PENSATE PERCHÉ TU ABBIA UN RUOLO ATTIVO! SE VUOI PARTECIPARE, AL PREZZO DI “UN CAPPUCCINO ALLA SETTIMANA” POTRAI ANCHE SEGUIRE IN DIRETTA STREAMING LA RIUNIONE DI REDAZIONE DEL GIOVEDÌ – MANDANDOCI IN TEMPO REALE SUGGERIMENTI, NOTIZIE E IDEE – E ACCEDERE AL FORUM RISERVATO DOVE DISCUTERE E INTERAGIRE CON LA REDAZIONE. SCOPRI TUTTI I VANTAGGI! L'articolo La salute mentale è la priorità: richiede interventi concreti, non bonus psicologi temporanei proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Cinema e salute mentale, a Milano la rassegna gratuita “Lo Spiraglio” con film scelti insieme da utenti e operatori
La salute mentale pervade sempre di più le nostre riflessioni. Come fa con ogni tema, il cinema la sviscera e la racconta senza filtri. Questa è la volontà dello Spiraglio a Milano, alla sua quinta edizione, organizzato da Cinergie. Il progetto prende il nome dall’esperienza dello Spiraglio Film Festival di Roma, caposaldo del tema cinema e salute mentale ed ormai alla sua sedicesima edizione. Cinergie è un percorso riabilitativo nato dall’associazione Zuccheribelli onlus, con lo scopo di promuovere progetti orientati all’inclusione lavorativa di persone con disabilità. “Il legame tra i due festival parte nel 2009“, spiega a ilfattoquotidiano.it il terapeuta di Cinergie Andrea Valvassoi, “perché il nostro gruppo ha partecipato allo Spiraglio di Roma ed è stato premiato come miglior cortometraggio con il progetto Una trota in microonde. Da allora l’idea di collaborare con i colleghi per far nascere una rassegna anche a Milano”. Cinergie riesce a coinvolgere un gran numero di persone, da utenti a operatori, da esperti ad appassionati. La prima edizione arriva nel 2019, dopo 10 anni di lavoro, sempre all’Anteo Citylife. Stessa location nel 2022, 2024 e 2025 e quest’anno. Valvassoi collabora con i ragazzi nella scelta delle pellicole, ma il loro lavoro non ha solo una funzione pratica: “Ogni settimana visioniamo dei film che provengono dalla rassegna di Roma per stimolare una riflessione sulla salute. La funzione è anche in parte terapeutica, in carico ai servizi della salute mentale di Milano che ci segnalano pazienti e noi li coinvolgiamo“. Per oltre otto mesi tutti i partecipanti hanno lavorato alla visione, selezione e programmazione della giornata. Sono stati scelti 15 cortometraggi, 2 lungometraggi e saranno accompagnati da numerosi incontri con registi ed attori. La rassegna si terrà mercoledì 26 novembre 2025 presso il cinema Anteo Citylife, nella sala Capitol e sala Aurora con ingresso gratuito, fino ad esaurimento posti. L’iniziativa è promossa da Cascina Biblioteca Cooperativa di solidarietà sociale e Progetto “ACCOGLIMI PLUS”, ed è realizzata con l’Assessorato Welfare e Salute del Comune di Milano, finanziata con fondi PON Metro Plus 2021-2027 Prevista anche, come extra festival, la presentazione del film Come quando eravamo piccoli di Camilla Filippi, presente in sala. In programma poi Tracciamenti, l’inchiesta finalista del premio Morrione 2024 di Edoardo Anziano, Francesca Cicculli e Roberta Lancello. Nella sala Capitol del cinema, invece, nel pomeriggio ci sarà una serie di proiezioni riservate ad un pubblico giovane e di studenti. La programmazione della sera prevede infine Il mio compleanno, lungometraggio di Christian Filippi, vincitore dell’ultima edizione de Lo Spiraglio Film festival di Roma. Dal festival, ci dice Andrea, “ci si aspetta anche quest’anno una buona partecipazione. La Sala Aurora ha 150 posti con persone che vanno e vengono dalla mattina alla sera. A Roma hanno un’organizzazione più ampia su 4 giornate” – prosegue – “ma l’anno scorso e gli altri anni è andata bene come pubblico”. L'articolo Cinema e salute mentale, a Milano la rassegna gratuita “Lo Spiraglio” con film scelti insieme da utenti e operatori proviene da Il Fatto Quotidiano.
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