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La lunga notte dell’Ilva morente e la previsione ignorata di Ubs nel 2014: “Se chiude, l’acciaio Ue sarà salvo”
Si rincomincia da capo: buste aperte sul tavolo dei commissari, offerte e piani da vagliare. Un film già visto a Taranto, dove il treno per l’ex Ilva però è passato da un pezzo: è da anni che l’impianto è fermo o marcia all’indietro, tra un balletto e l’altro della politica sensibile alla Confindustria. E l’entità delle nuove offerte, se mai ce ne fosse bisogno, lo conferma. Ma non si può certo dire che quello che è successo, il disastro ArcelorMittal, non fosse prevedibile. Anzi i segni c’erano tutti ed erano ben evidenti, mettendo insieme i puntini. Anche prima che il gruppo franco-indiano prendesse possesso dell’impianto, con l’industria europea dell’acciaio che aveva tutto da guadagnare da un ridimensionamento sostanziale dell’Ilva. L’ALLARME IGNORATO DI UBS NEL 2014 I primi a mettere in chiaro le cose erano stati gli svizzeri di Ubs più di 11 anni fa: la chiusura totale o parziale dell’impianto di Taranto avrebbe fatto un favore a tutti i concorrenti europei dell’Ilva. In un’analisi finanziaria datata 18 giugno 2014 la banca elvetica parlava di quella che viene letteralmente definita una cattiva notizia per i lavoratori dell’Ilva e una buona notizia per i produttori europei di acciaio: “Se la soluzione proposta per l’Ilva si dovesse realizzare come tratteggiato dalla stampa, verrebbero eliminati tra i 4 e i 6 milioni di tonnellate di produzione di acciaio, che significa il 20-30% della produzione in eccesso in Europa. Cosa che sarebbe positiva per gli altri produttori”, si leggeva nello studio che ricordava come all’epoca l’impianto di Taranto con la sua capacità produttiva di 11,2 milioni di tonnellate l’anno fosse uno dei più grandi d’Europa. “LA CHIUSURA SPAZZERÀ VIA LA PRODUZIONE IN ECCESSO” Un dimezzamento della produzione, come suggeriva all’epoca il presidente della Commissione Industria al Senato, Massimo Mucchetti, avrebbe appunto tolto di mezzo 4-6 milioni di tonnellate d’acciaio dal monte di 20 milioni di tonnellate che, secondo gli analisti della banca svizzera, costituiva la sovraccapacità produttiva europea. “Secondo i nostri calcoli, una chiusura totale spazzerebbe via il 58% della produzione in eccesso”, si leggeva nel report. L’eliminazione di questa forza produttiva, calcolavano gli analisti, avrebbe rappresentato per i produttori sopravvissuti un incremento della profittabilità compreso tra 3 e 18 euro a tonnellata di acciaio rispetto al livello di partenza di 55 euro a tonnellata. “Saremmo ampiamente a favore di una soluzione che comportasse una parziale chiusura dell’Ilva, poiché eliminerebbe una fetta importante della sovraccapacità produttiva d’Europa. Sfortunatamente crediamo improbabile che ciò si verifichi molto presto, per via dei diversi interessi delle parti in causa”. Anzi: “C’è il rischio che non vi sia alcuna chiusura, date le difficili circostanze sociali nella regione Puglia”, ma la proiezione viene fatta ipotizzando che avvenga. Come, a undici anni di distanza, sta di fatto accadendo. COSA DICEVA UBS SU MARCEGAGLIA A guadagnarci di più, sempre secondo le previsioni di Ubs, sarebbe stato chi non avesse partecipato al “salvataggio”. Per ArcelorMittal un coinvolgimento avrebbe portato “vantaggio solo nel lungo termine, ma non nel medio-breve termine. Una mossa del genere metterebbe a dura prova il bilancio del gruppo nel caso di una partecipazione di maggioranza o di un’acquisizione completa”. Quanto al futuro partner di ArcelorMittal in Ilva, il gruppo italiano Marcegaglia, Ubs scriveva: “Non vediamo perché dovrebbe occuparsi della gestione degli impianti di laminazione di Taranto. Il gruppo non ha né le competenze necessarie, né rientra nella sua strategia essere coinvolto nel processo di produzione dell’acciaio stesso. Tuttavia, Marcegaglia ha bisogno di un fornitore affidabile di semilavorati. Quindi, mentre Marcegaglia sarebbe soddisfatta di un ridimensionamento dello stabilimento di Taranto, a nostro avviso una chiusura totale potrebbe non essere auspicabile, soprattutto considerando che Marcegaglia ha investimenti significativi nella sua divisione energetica a Taranto”. L’ASSEGNAZIONE E COSA ACCADDE DOPO Ciò detto, in Ubs non prevedevano “una soluzione rapida per lo stabilimento Ilva in Italia, poiché gli interessi economici, sociali e politici non sono facilmente conciliabili e potrebbero persino compromettere il raggiungimento di un risultato positivo. Inoltre, siamo convinti che un esito positivo sarebbe possibile solo se venisse ridotta la capacità produttiva. Solo allora vedremmo la possibilità che l’Ue contribuisca a stabilizzare il mercato attuando misure di protezione volte a favorire la ristrutturazione del mercato europeo dell’acciaio”. Di tempo in effetti ne è passato parecchio: l’asta del 2016 si è chiusa con l’assegnazione alla cordata ArcelorMittal-Marcegaglia-Intesa Sanpaolo. Le ultime due si sono sfilate poco dopo. E in ogni caso, l’avventura in solitaria del colosso franco-indiano finì presto in discussione, tra mosse politiche usate come una clava (l’addio allo scudo penale targato M5s) e il cambio al vertice con l’arrivo della manager della cordata avversaria, Lucia Morselli. Quindi la “pax” con la firma un nuovo contratto (capestro) che ha visto scendere in campo lo Stato tramite Invitalia. Altri tre anni e poi di nuovo lo stop, il commissariamento e ora le nuove gare a prezzi simbolici, mentre la triade scelta dal governo per guidare Acciaierie d’Italia fino a nuova assegnazione prepara una causa da 5 miliardi di euro ad ArcelorMittal. IL TRACOLLO DELLA PRODUZIONE E LA LISTA CLIENTI Ma intanto la produttività dell’ex campione d’Europa è scesa vertiginosamente. Se infatti anche dopo il sequestro del 2012 Ilva è riuscita a produrre fino a 6 dignitosi milioni di tonnellate di acciaio l’anno, in seguito all’insediamento di ArcelorMittal la produzione è crollata: dal 2019 non è più andata oltre i 4 milioni di tonnellate e ora viaggia sugli 1,5 milioni. Non si può definire una ditta a conduzione familiare, ma un’acciaieria medio-piccola sì. Una situazione che ha avvantaggiato la concorrenza e cioè, oltre ad Arcelor, anche l’austriaca Voestalpine e gli svedesi di Ssab. Ai quali la diminuzione di capacità produttiva in Europa ha consentito di mantenere buoni margini, nonostante l’ingresso in forze di prodotti da Cina e India e nonostante i concorrenti abbiano delle condizioni logistiche molto meno favorevoli di quelle dell’Ilva che beneficiava di porto e cava, oltre agli impianti del nord ovest come sbocco sul mercato più attivo del Paese. Quindi se pure Arcelor nella partita Ilva ha perso dei bei soldi in termini di rapporti contabili tra controllante e controllata, non può certo dire di non averci guadagnato strutturalmente, in termini di peso sul mercato. Senza contare l’acquisizione della lista clienti di Ilva. IL CONTESTO POLITICO-IMPRENDITORIALE Non va poi dimenticato il contesto. A partire dalla nomina del commissario Ilva da far succedere a Enrico Bondi, che toccò a un ministero dello Sviluppo Economico di estrazione confindustriale, visto che faceva capo all’imprenditrice Federica Guidi e al suo vice e successore, Carlo Calenda, che in viale dell’Astronomia è stato assistente del presidente Luca di Montezemolo e poi direttore dell’area strategica e affari internazionali. E così il futuro della più importante acciaieria d’Europa venne messo nelle mani di Piero Gnudi, fidato custode dei segreti fiscali della Bologna che conta, incluso il padre della ministra, Guidalberto Guidi, e la di lui impresa, la Ducati Energia. Con il partner industriale italiano del futuro vincitore che si chiamava Marcegaglia. Come l’ex presidente di Confindustria, Emma, che era anche presidente della più importante partecipata statale, l’Eni. La quale era tra i creditori dell’Ilva. In quanto tale Eni sedeva nel comitato di sorveglianza e votò a favore dell’offerta della cordata ArcerlorMittal, Marcegaglia, Intesa Sanpaolo, nonostante l’evidente conflitto d’interesse, come scrisse all’epoca Ilfattoquotidiano.it. IL RI-VOTO E IL MANCATO RILANCIO La questione, oltre un anno dopo, finì davanti all’Avvocatura di Stato perché era tra i quesiti posti da Luigi Di Maio sulla legittimità dell’iter di gara. Nelle risposte, l’Avvocatura spiegherà che il possibile conflitto d’interessi era stato spazzato via perché, proprio il giorno della pubblicazione del nostro articolo, il ministero dello Sviluppo Economico aveva adottato un nuovo decreto ministeriale di aggiudicazione ad ArcelorMittal, confermativo, a valle di una nuova riunione del Comitato di sorveglianza alla quale il rappresentante di Eni non si era presentato. Sbavature di forma e forzature che non furono invece possibili per tenere in considerazione il rilancio – metteva sul piatto meno occupati – della cordata avversaria originariamente formata da Jindal, Leonardo Del Vecchio e dal braccio finanziario dello Stato, la Cassa Depositi e Prestiti. Non proprio tre scappati di casa, quindi, che proponevano in sostanza una riformulazione del vecchio piano del primo commissario dell’Ilva, Enrico Bondi, con la decarbonizzazione grazie all’utilizzo di tecnologie a gas ed elettriche. In pratica le stesse che oggi vengono ritirate fuori dai cassetti, ma in un contesto di domanda che è completamente cambiato. L’ORACOLO GOZZI: “ACCIAIO GREEN COSA DA LABORATORIO” All’epoca però c’era un altro confindustriale d’eccellenza, il presidente di Federacciai Antonio Gozzi, che le sminuiva: “La decarbonizzazione della siderurgia è un progetto assolutamente sperimentale, la più importante società al mondo che sta cercando di fare qualcosa, la Voestalpine, lo sta facendo a livello assolutamente sperimentale e ha dichiarato sul Financial Times, che il lavoro durerà decenni”, commentava a febbraio del 2017 quando erano in corso le valutazioni delle offerte. “Stiamo parlando di cose da laboratori di ricerca non applicato all’impresa ancora, è un progetto sperimentale, solo di ricerca al momento”. Eppure la commissione di saggi nominata ad hoc aveva valutato positivamente la parte industriale del piano proposto da Jindal, Del Vecchio e Cdp, contrariamente a quanto aveva fatto con quello di Arcelor e soci, che era stato giudicato incoerente su investimenti e volumi di produzione, come rivelato dal Fatto all’indomani dell’aggiudicazione. In pratica sulla bilancia il peso maggiore era stato dato alla parte economica dell’offerta e quando il concorrente industrialmente più promettente ha provato a rilanciare, Calenda chiuse la porta affrettandosi a chiedere un parere all’avvocatura di Stato. Il resto è storia. L'articolo La lunga notte dell’Ilva morente e la previsione ignorata di Ubs nel 2014: “Se chiude, l’acciaio Ue sarà salvo” proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Sala replica a Calenda: “Nessun veto su Azione”. Poi i complimenti: “Lo ammiro molto” – Video
“Non c’è un veto del Pd e io personalmente non ho nessun veto su Azione“. Lo ha spiegato il sindaco di Milano Giuseppe Sala, in merito a un possibile rimpasto di giunta col partito guidato da Carlo Calenda, dopo le dimissioni di Giancarlo Tancredi alla Rigenerazione urbana a causa delle inchieste. “È chiaro che non essendoci solo una posizione, qualcuno vuole spostare verso sinistra, qualcuno vuole spostare verso il centro, è difficile mettere d’accordo tutti – ha aggiunto parlando delle ambizioni dei partiti -. Però non c’è nessun veto, ogni tanto Calenda ha questa vis polemica, ma devo dire che io in realtà lo apprezzo molto e ammiro anche molto il suo coraggio, la sua volontà, la sua dedizione alla causa”. “I rapporti tra me e lui continuano a essere molto buoni e io vorrei continuassero a essere molto buoni tra la nostra coalizione e Azione – ha concluso a margine dell’inaugurazione dei mercatini di Natale attorno al Duomo -. Ricordo che Azione in questi anni ha sempre fatto la sua parte”. L'articolo Sala replica a Calenda: “Nessun veto su Azione”. Poi i complimenti: “Lo ammiro molto” – Video proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Calenda scatenato alla Sapienza, una valanga di invettive: da Fico a Conte, da Renzi a Travaglio fino a Di Battista, Landini e il campo largo
Alla Sapienza, facoltà di Scienze Politiche, il dibattito organizzato dall’Associazione studentesca Universitari Federalisti Europei s’intitolava “Quale futuro per l’Europa?”. La risposta di Carlo Calenda? Più che un’analisi geopolitica, un fuoco di fila: un’ora abbondante di invettive, sferzate, affondi personali e qualche “stica…” strategico, come nelle giornate buone dei commentatori più sanguigni dei talk show. L’atmosfera, va detto, era già elettrica fin da prima dell’evento, con un gruppo di studenti che contestava il leader di Azione brandendo slogan del calibro di “Noi la guerra non la vogliamo”, “Fuori i sionisti dall’università”, “Fuori i liberali dalle università”. Un prologo che non ha smorzato minimamente la verve del politico, anzi: è sembrato imprimergli una spinta ulteriore nel dispiegare il suo repertorio. Il primo bersaglio, in ordine di apparizione, è il neo-presidente della Regione Campania: “Ho sempre pensato che questo bi-populismo sta di fatto portando l’area liberale, repubblicana, socialista, riformista ad essere succube dei populisti. E infatti hanno eletto Fico. Non lo so… più di così, che devono fa’“. Da qui in poi la catilinaria contro i suoi storici spauracchi: Giuseppe Conte e i 5 Stelle coi loro “no all’Ucraina”, gli slogan “uno vale uno”, il Superbonus (“hanno preso 200 miliardi e li hanno buttati dalla finestra, che erano soldi che avrebbero potuto svoltare la vita dei giovani, dei meno giovani e di tutti”). Aggiunge anche la sua decisione di non sostenere Fico in Campania: “Ho scelto di dire: sai che c’è, io Fico, non lo appoggio, perdo quattro consiglieri regionali, stica, si volta pagina e si ricomincia.” Non manca il racconto del flop del Terzo Polo, rievocato con sarcasmo e rancore per l’ex alleato Matteo Renzi: “Ci ho creduto tanto da metterci il mio nome sul simbolo, pensa che pirla. Aveva come presupposto fondamentale il fatto di tenere una linearità. Siccome il giorno dopo mi sono trovato quello che votava per La Russa Presidente del Senato, tre giorni dopo rivendicava di essere figlio segreto di Berlusconi, questo ha determinato una rottura”. Da quel momento, Calenda punta il dito su quelli che considera gli artefici della fine del progetto: “Dove sono quei partiti? Dove sono? Dove stanno Più Europa e Italia viva? Nel campo largo.” E, riferendosi alla trasformazione strategica di Renzi, insiste: “Non c’è più il progetto Renzi al centro, c’ha tappezzato l’autobus, c’è il progetto Renzi-Schlein, perché hanno giocato una partita di calcetto.” Calenda allarga il tiro includendo anche gli ex alleati e la sinistra ecologista: “Il campo largo, con questo sbilanciamento, Schlein, Conte, Fratoianni, Bonelli, è una iattura per l’Italia, per il posizionamento dell’Italia, per la crescita dell’Italia.” In questo quadro non risparmia nemmeno le platee che lo applaudono: “Io ho brutalmente cazziato i giovani di Forza Italia sul fatto che si dicono eredi di de Gasperi, ma si fanno sottomettere dai post-fascisti. E per la confusione mentale, mi hanno pure fatto una standing ovation quando gliel’ho detto.” Episodio che paragona a un altro: “Esattamente come alla Festa dell’Unità, quando vado e gli dico che il partito erede delle tradizioni socialiste, liberal-democratiche, si fa sottomettere da quattro scappati di casa come Conte e compagni, persino Togliatti si rivolterebbe nella tomba. E anche lì fanno una standing ovation. E smettessero di fare standing ovation e dessero due voti, che è meglio.” Non manca nelle invettive calendiane il direttore del Fatto Quotidiano: “Le parole d’ordine che si usavano per dire che non ci voleva la comunità europea di difesa, o che non ci voleva l’adesione alla Nato o dell’Italia, erano parole d’ordine che sembrano il playbook di Travaglio oggi. Quando ti dice: ‘Ma no, vi pare possibile che Putin possa attaccare l’Europa?’… Ragazzi, ma Putin sta attaccando l’Europa con attacchi ibridi da quando abbiamo fatto il referendum costituzionale. Oh, ma io ho fatto una call con Putin, Renzi, che disse a Putin: ‘Ma tutti i tuoi giornali, i tuoi account, stanno facendo una battaglia per i 5 Stelle contro il referendum’. E lui gli rispose nel modo più divertente possibile, dicendo: ‘Lo sai com’è fatta la stampa, è libera a fare quello che gli pare'”. Segue il botta e risposta con uno studente, che gli rinfaccia di aver definito gli studenti pro-Palestina “filo nazisti”. La replica è immediata: “Non l’ho detto.” Lo studente ribadisce la data e Calenda risponde: “Però tu non devi seguire quel Di Battista là.” Quando il ragazzo sostiene che “il campo largo, alla fine, è l’unica alternativa rispetto al governo Meloni”, Calenda risponde secco: “A me non me ne frega niente.” E torna a sacrosanteggiare contro il bipopulismo (rappresentanti da Lega e M5s, secondo il senatore di Azione): “Il problema dell’Italia non è che non ci sia la Meloni, è che non ci sia il bipopulismo. E l’unico modo per farlo è avere una forza abbastanza forte al centro per cui lo disarticola. E verranno i tempi, e Meloni già lo sta facendo, in cui Meloni tradirà l’Ucraina. C’è anche questa linea del Pd totalmente sottomessa a un’ideologia assurda, ma su tantissime cose, che non sono solamente la questione del pacifismo sbandierato, che è l’essere deboli alla mercè degli aggressori“. Poi aggiunge: “Il rischio democratico è molto più grande della Meloni, perché Meloni, Urso e Lollobrigida non lo fanno neanche nel condominio loro il fascismo. Non sono in grado di fare niente. Noi dobbiamo tenere gli occhi sulla palla. Cioè, tra cinque anni è finita l’Europa. Hai capito? Gli attacchi ibridi russi aumenteranno. E io che faccio? Metto il paese in mano a Cuore di panna Di Battista, Fratoianni e Bonelli, che parla dei ciottoli del fiume portandosi quelli sbagliati?.” Arriva poi la parte più pittoresca dedicata a Alessandro Di Battista, che Calenda ribattezza con costanza: “Cuore di panna Di Battista.” Lo definisce appartenente a quella categoria di persone che “nella vita facevano gli animatori alla Valtour”, e insiste: “Cuore di panna di Battista è uno di questi. Per una sventura della storia che si chiama Beppe Grillo e compagni, questi che in un paese normale farebbero con successo gli animatori, magari non al Valtour, ma da Zio Checchino al Lido di Ostia, purtroppo vanno in televisione e dicono delle enormi cazzate.” Non poteva mancare tra i vituperati di Calenda il segretario della Cgil: “Landini? Ma Landini è il nemico dei giovani.” L'articolo Calenda scatenato alla Sapienza, una valanga di invettive: da Fico a Conte, da Renzi a Travaglio fino a Di Battista, Landini e il campo largo proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Sachs: “Lo scontro con Calenda? Ridicolo, volgare e ingiusto”. E il leader di Azione attacca Formigli: “Disgustoso”
A Piazzapulita, su La7, Jeffrey Sachs è tornato a parlare dello scontro con Carlo Calenda, che il 23 ottobre aveva incendiato lo studio della trasmissione. Appena il conduttore Corrado Formigli ha rimandato in onda la clip della lite con il leader di Azione, l’economista statunitense è apparso infastidito, quasi indignato, sottolineando che quel segmento televisivo non aveva alcun valore informativo. “Non posso credere che abbia fatto rivedere quella clip ridicola, oltre che volgare e ingiusta – ha commentato Sachs – ma vorrei rispondere con un articolo serio e non con questa barzelletta che avete fatto rivedere. Il Fatto Quotidiano del 12 novembre del 2025. Ecco, lì potete trovare tutte le informazioni di cui avete bisogno”. Sachs, citando il suo articolo, ha ricostruito brevemente ciò che il 23 ottobre non aveva potuto dire perché interrotto continuamente da Calenda. Ha ricordato la sua presenza in Ucraina nei giorni sensibili della crisi del 2014: “Il 7 di aprile del 2014 sono stato portato in giro per piazza Maidan, mi è stato spiegato quanto venivano pagati i partecipanti alle proteste e sì, gli Stati Uniti erano molto coinvolti nel pianificare un governo post Janukovicć“. L’economista ha rivendicato la solidità delle sue fonti, opponendole alle accuse di complottismo ricevute in diretta. Da qui la ricostruzione della telefonata filtrata nel 2014, intercettata dai servizi russi e diffusa online, tra Victoria Nuland (all’epoca sottosegretaria di Stato americana per gli Affari Europei ed Eurasiatici del governo Obama) e Geoffrey Pyatt (allora ambasciatore Usa in Ucraina). “Le persone possono ascoltare i nastri, la registrazione intercettata dai russi è stata messa online“, ha ricordato. E ha citato i passaggi chiave: l’ambasciatore Pyatt, che afferma “possiamo davvero fare avere un esito molto positivo se agiamo molto rapidamente”, e Nuland che fa riferimento a Jake Sullivan (in quel periodo Consigliere per la Sicurezza Nazionale del vicepresidente Joe Biden): “Bene Jeff, quando ho scritto questa nota, Jack Sullivan si è rivolto a me dicendo ‘Hai bisogno di Biden’. Ho detto ‘Beh, probabilmente domani’ per poter ottenere i dettagli e per poter andare avanti”. La conclusione di Sachs è stata definitiva: “Quindi, direi che questo è più che esplicito, è chiarissimo”. Su X, Calenda ha attaccato direttamente Formigli, accusandolo di aver dato spazio a Sachs senza garantire un contraddittorio: “La deontologia professionale di Formigli. Chiama Sachs gli fa commentare il confronto che abbiamo avuto ‘ridicolo, volgare, barzelletta’ senza la presenza dell’altra parte. Tralascio le citazioni da ‘il fatto quotidiano’ come ‘fonte seria’. Poi un lungo monologo sui deliri del ‘colpo di stato’ americano a Maidan. Ancora silenzio da parte Formigli. Disgustoso“. A quel post si è aggiunto il commento del ministro della Difesa Guido Crosetto, da tempo in attrito con il giornalista per precedenti scontri in trasmissione: “La domanda è: perché evitare il contraddittorio? Per quali ragioni far parlare solo una parte? Cui prodest?”. L'articolo Sachs: “Lo scontro con Calenda? Ridicolo, volgare e ingiusto”. E il leader di Azione attacca Formigli: “Disgustoso” proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Calenda di nuovo contestato dagli studenti: questa volta succede in Statale a Milano – Video
Nuova contestazione per Carlo Calenda a distanza di pochi giorni da quella de La Sapienza a Roma. Questa mattina, il segretario di Azione è stato criticato dagli studenti del collettivo Cambiare Rotta all’Università Statale di Milano. Il leader del partito di centro stava partecipando ad un evento dal titolo “Capitalismo liberale o libertà senza capitalismo?” organizzato nell’ateneo dall’associazione studentesca Unilab Unimi. Nell’avvicinarsi all’aula è stato intercettato da un gruppo di una decina di studenti di Cambiare Rotta i quali, esibendo uno striscione, hanno tentato di impedire che raggiungesse l’aula e intonato cori come: “Fuori Calenda dall’università” e “I signori della guerra siete voi”. L'articolo Calenda di nuovo contestato dagli studenti: questa volta succede in Statale a Milano – Video proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Regionali, Calenda: “Vince la linea Schlein? Ma quante cazzate… in Campania c’è Fico, uno che non ha mai lavorato in vita sua”
“Ma quante cazzate che raccontano continuamente…“: il leader di Azione Carlo Calenda, a margine dell’inaugurazione di una nuova sede del partito a Milano, ha replicato così a chi gli chiedeva delle analisi degli esponenti del Pd che parlano di una vittoria alle Regionali dell’impostazione della segretaria Elly Schlein. “Ma questi – ha aggiunto – hanno eletto Roberto Fico, uno che gli sputava in faccia, che non ha mai lavorato in vita sua. E l’hanno eletto con voti che derivano da clientele di Manfredi, di De Luca, di Mastella. L’ammucchiata più vergognosa che si sia vista nella storia repubblicana”. L'articolo Regionali, Calenda: “Vince la linea Schlein? Ma quante cazzate… in Campania c’è Fico, uno che non ha mai lavorato in vita sua” proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Calenda contestato alla Sapienza, lui affronta gli studenti: “Cosa avete da dire?” – Video
Carlo Calenda è stato contestato all’Università La Sapienza di Roma, dove ieri pomeriggio ha preso parte ad un incontro sul futuro dell’Europa alla facoltà di Scienze politiche. Un gruppo di studenti, al suo arrivo, lo ha contestato urlando lo slogan “Noi la guerra non la vogliamo” e “Fuori i sionisti dall’università”. Calenda è andato incontro al gruppo chiedendo se qualcuno volesse chiedergli qualcosa e poi ha risposto, facendo riferimento all’Ucraina: “Ora e sempre Resistenza”. E ancora: “Io sono per il riconoscimento dello Stato palestinese”. Durante l’incontro sull’Ue, che poi si è svolto regolarmente, il leader di Azione ha spiegato alla platea che “non c’è stato modo di aprire un dialogo” con i contestatori. È stato lo stesso Calenda successivamente a pubblicare il video di quanto avvenuto su X, spiegando: “Oggi alla Sapienza era previsto un corteo transfemminista in occasione del 25 novembre, che qualcuno ha trasformato in una contestazione al confronto che avevo con gli studenti, su loro invito. Sono andato a parlare con i manifestanti, ma tra urla, slogan confusi e accuse prive di argomenti è stato impossibile un confronto vero. Sentirmi dire ‘fuori i liberali dalle università’ è stato surreale: perché è proprio grazie alla democrazia liberale che oggi tutti, anche loro, possono manifestare e contestare. Negarlo significa non comprendere le libertà in cui viviamo e che abbiamo ereditato”. L'articolo Calenda contestato alla Sapienza, lui affronta gli studenti: “Cosa avete da dire?” – Video proviene da Il Fatto Quotidiano.
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La gita con disavventura del trio Calenda, Rosato, Richetti: doppio furto in treno e in auto. “Coi russi stiamo esagerando”
Bianco, Rosato e Verdone. Sarebbe questo il titolo se la disavventura dei papaveri di Azione fosse un road movie. Il deputato Matteo Richetti è stato vittima, domenica scorsa, di un doppio furto durante la tratta Brescia-Roma. Il gruppo, composto dallo stesso Richetti, Calenda ed Ettore Rosato, si trovava nella città lombarda per festeggiare il compleanno del collega di partito Fabrizio Benzoni. Il primo furto a Firenze, dove Richetti racconta: “Avevo con me il mio cane e il treno ha fatto la sosta a Firenze, quindi ho approfittato della sosta per farlo camminare un po’. Scendo dal treno, cinque minuti e risalgo e il mio zaino era sparito. Dentro c’erano l’Ipad e altri oggetti personali. Insomma, un po’ di roba. Ho chiamato il capotreno e mi ha detto che, purtroppo, è una dinamica frequente durante la sosta a Firenze”. Fastidiosissima disavventura che, purtroppo, è stata solo la prima perché “arrivati a Roma, siamo saliti tutti in una macchina in stazione quando, all’improvviso, un ragazzo ha aperto il portellone e si è portato via il mio trolley. Una scena da film. Per fortuna l’autista è stato pronto e ha raggiunto a tutta velocità il ragazzo. Sono arrivati anche i carabinieri che hanno fermato il ragazzo e io, almeno il trolley, l’ho recuperato”. Due su due per il deputato emiliano ridotto, è il caso di dire, a mal partito. Ma se il modo migliore per esorcizzare qualcosa di negativo è riderci su, a Calenda non manca lo spirito. Il segretario ha avvisato: “Matteo, forse coi russi stiamo esagerando…”. L'articolo La gita con disavventura del trio Calenda, Rosato, Richetti: doppio furto in treno e in auto. “Coi russi stiamo esagerando” proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Ovadia al convegno di D’Orsi: “Tappare la bocca è fascismo. Calenda e Picierno? Lui uno scappato di casa, lei non la metterei neanche in guardiola”
“Sono con voi in tutto e per tutto, considero l’atto di censura contro di te la prova che stiamo vivendo in un regime fascista. È inutile che si offendano o dicano che si esageri, questo è fascismo”. È l’incipit dell’intervento di Moni Ovadia al convegno dello storico Angelo d’Orsi, “Russofobia. Russofilia. Verità”, che si è tenuto in un affollatissimo circolo Arci “La Poderosa” dopo la sua cancellazione dell’incontro al Polo del Novecento. L’artista e scrittore non ha usato giri di parole per commentare la soppressione della conferenza a seguito della mobilitazione di Europa Radicale, +Europa, delle associazioni ucraine, nonché degli interventi di figure nazionali come Giorgio Gori (Pd), Pina Picierno (Pd) e Carlo Calenda (Azione): “Tappare la bocca a chi esprime opinioni è una cosa inimmaginabile. È naturalmente censura preventiva. Tutti leccano il sedere agli Stati Uniti, ma negli Stati Uniti c’è il Quinto Emendamento: non puoi fare niente contro uno che non ha ancora parlato. Da noi è peggio”. Il passaggio più duro è quello rivolto alle figure politiche che sono state determinanti per la cancellazione iniziale dell’evento: “Che qualità hanno questi signori? Chi sono? Dico la Picierno: questa signora è una che non dovrebbe neanche essere messa a custodire la guardiola di un edificio. Non parlo neanche di Calenda, lì stendiamo un velo pietoso, le vignette lo hanno già dipinto per quello che è. È uno scappato di casa, un signor nessuno. Perché si permette a questa gente di ergersi a che cosa? La nostra è una democrazia costituzionale. C’è una Costituzione, è ancora vigente”. Il discorso scivola poi sul tema centrale dell’incontro, Russia e Occidente. Ovadia dichiara di condividere “punto per punto” l’analisi di d’Orsi e sostiene: “Putin aveva tutte le sue ragioni, perché hanno cercato di trattarlo come un pezzente e a un certo punto ha dovuto dimostrare di fare sul serio. Putin sa bene chi sono gli occidentali, non ci si può fidare di nulla di quello che dicono”. Ovadia ribadisce che l’allargamento della Nato sarebbe stato percepito come una minaccia esistenziale: “Era come mettergli i missili americani nella Piazza Rossa. Gli occidentali volevano mangiarsi a bocconi tutta la Federazione Russa. E c’è una prova provata: il buon Gorbaciov è stato gentile, ma cosa hanno fatto di lui gli occidentali? Ne hanno fatto carne di porco. È per questo che bisogna essere cattivi: se non sei cattivo ti mangiano vivo. E poi c’è questo odio per la Russia – continua – prima era la russofobia, poi è stata la sovietofobia e adesso è ritornata la russofobia. L’Occidente, e in particolare gli Usa, hanno proprio una vocazione di egemonia totale sul mondo e non tollera che esista qualcuno che ha piena ragione e vuole rivendicare la sua identità e il suo orizzonte. E poi anche questo clima internazionale di guerra che stanno scatenando contro la Russia è una cosa veramente inenarrabile per stupidità e fanatismo e livello di retorica e menzogna”. Poi rivela: “Io ho un debito molto particolare con l’Armata Rossa, perché io sono nato grazie al suo arrivo in Bulgaria. Ho anche una ragione personale. Ovadia chiude citando An die Nachgeborenen (“Ai posteri”, 1939) di Bertolt Brecht, scritta durante l’esilio in Danimarca mentre fuggiva dal nazismo: “Chi lotta può perdere, chi non lotta ha già perso”. E aggiunge un aneddoto su Karl Marx: “Quando gli chiedevano cosa era per lui la felicità, Marx rispondeva: ‘felicità per me è lottare’. Dunque a tutti noi, a tutti voi, dico: siamo felici”. D’Orsi, dal palco, ringrazia: “Sei una presenza preziosa in questo Paese dove purtroppo allignano anche Calenda e Picierno. Però c’è Moni Ovadia anche in questo Paese: esiste un’altra Italia.” Ovadia commenta: “Certo che c’è quest’altra Italia: si è vista anche nelle manifestazioni per la Palestina. È ora di una riscossa chiara, netta, senza tentennamenti e soprattutto senza moderatismi. Ecco dove ci ha portato il moderatismo nazionale”. L'articolo Ovadia al convegno di D’Orsi: “Tappare la bocca è fascismo. Calenda e Picierno? Lui uno scappato di casa, lei non la metterei neanche in guardiola” proviene da Il Fatto Quotidiano.
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“Calenda ha fatto una scenata isterica”. Il retroscena di D’Orsi sulla sfuriata del leader di Azione al cronista del Tempo
Doveva essere un incontro per pochi aficionados, “una sessantina di persone”, dice lui. Invece il convegno “Russofobia. Russofilia. Verità” di Angelo d’Orsi, storico gramsciano, accademico di lungo corso ed ex candidato sindaco per Rifondazione comunista, si trasforma in un incontro da oltre 300 presenze, con gli organizzatori costretti a piazzare gli amplificatori nel cortile del circolo Arci “La Poderosa” per permettere a tutti di ascoltare. Un trasloco forzato: l’evento, previsto al Polo del Novecento, simbolo della memoria resistenziale torinese, era stato cancellato dopo le pressioni di +Europa, dei radicali, delle associazioni ucraine del territorio e, soprattutto, di alcuni big nazionali del centrosinistra. In piazza Carignano, poche ore prima, la contromanifestazione: una ottantina di presenti, tra radicali, +Europa, esponenti pro-Ucraina e qualche bandiera di Azione. Lo slogan: “Torino non russa”. Al centro del mirino, l’iniziativa di d’Orsi, bollata da più parti come “evento putiniano”. D’Orsi sale sul palco della Poderosa con l’aria di chi non ha intenzione di derubricare la vicenda a banale malinteso organizzativo. E attacca subito: “Abbiamo già fatto i ringraziamenti fondamentali al duo (Pina Picierno e Carlo Calenda, ndr) che ormai è nei nostri cuori: hanno fatto una importante contromanifestazione alle 18 in piazza Carignano. Ho mandato un emissario, erano in 60, protetti dalla polizia.” Il professore racconta di essere stato bersaglio di pressioni, accuse, appelli alla cancellazione dell’evento. Pressioni che sarebbero arrivate direttamente “dall’onorevole Gori, già sindaco di Bergamo, da Carlo Calenda e dalla signora Picierno”, con un ruolo determinante di +Europa e dei radicali torinesi: “Li pensavo estinti, ho scoperto che sono ancora vivi”. In mezzo, anche qualche affondo locale: “In consiglio comunale c’è stata un’iniziativa del dottor Silvio Viale, sul quale ieri il pm ha chiesto una condanna per violenza sessuale aggravata. E lui fa il moralista.” Il sindaco di Torino, Stefano Lo Russo, si sarebbe difeso dicendo a d’Orsi: “Non ho fatto un cazzo”. Ma, osserva il professore, “il solo fatto che un sindaco telefoni per verificare è una cosa mai vista”. Non manca la polemica sul doppio standard: “Il Polo del Novecento sta organizzando una grande giornata a sostegno dell’Ucraina, con interventi anche di associazioni ucraine, messa in calendario come evento culturale. Se lo faccio io, è propaganda. Decide la signora Picierno qual è il discrimine tra propaganda e cultura.” Il bersaglio resta sempre lo stesso: la “censura preventiva” esercitata nei suoi confronti, “prima ancora che parlassi”. Prima di arrivare al piatto forte della serata, d’Orsi snocciola una serie di episodi che definisce “bizzarri”: “Pochi minuti fa hanno hackerato il mio profilo Facebook, Instagram, Telegram, Apple, X, tutto. Ah, e PayPal mi ha preso dei soldi… ma per la buona causa si fa anche questo. Ci sono stati anche tentativi di effrazione qui alla Poderosa questa notte.” Ma il momento più applaudito arriva quando d’Orsi racconta il retroscena che ha fatto sghignazzare la platea: la telefonata di Carlo Calenda al giovane cronista del Tempo, Edoardo Sirignano, “reo”, secondo il leader di Azione, di aver pubblicato una lunga intervista allo storico. D’Orsi lo racconta così: “Un solo giornale nazionale mi ha intervistato: un giornale di destra, Il Tempo. Poco fa mi ha telefonato il giornalista, preoccupato. Mi fa: ‘Professore, l’intervista ha provocato un casino in redazione. Sa qual è stata la prima telefonata che ho ricevuto?’ Io gli ho detto: ‘Calenda’. E lui: ‘Sì’.” Calenda avrebbe chiamato alle 7.30 del mattino, protestando per lo spazio concesso al professore: “Ha detto: ‘Ma come? Voi date spazio a questo putiniano?’ Ha fatto una scena isterica al telefono, minacciando.” Secondo d’Orsi, il cronista temeva addirittura conseguenze professionali. “Gli ho detto: ‘Non si preoccupi, l’assumo io’.” D’Orsi amplia l’affondo politico: “La gran parte della mobilitazione contro l’evento viene dal Pd o da aree vicine al Pd. Oggi nel Pd ci sono i peggiori bellicisti, i peggiori guerrafondai, i peggiori russofobi.” Non manca una stoccata alla vicepresidente del Parlamento Europeo, Picierno, che avrebbe ironizzato sui suoi spostamenti: “Ha scritto: ‘Il professor d’Orsi va e viene dalla Russia, e poi gira l’Italia liberamente’. Come se fosse una concessione che mi fanno. Mettetemi subito al gabbio, allora.” In mezzo alle polemiche, il professore annuncia anche il messaggio di solidarietà di Alessandro Barbero: “È lui che ha cercato me. Mi ha detto che era scandalizzato e che si mette a disposizione nei limiti del possibile.” D’Orsi chiude rivendicando l’effetto boomerang delle contestazioni: “Davo per scontato 60 spettatori. Ora siamo qui in centinaia. Hanno moltiplicato tutto. Stiamo già costruendo qualcosa dal basso. Le reti sociali (per questo mi hanno anche hackerato tutto) sono diventate uno strumento importante.” L'articolo “Calenda ha fatto una scenata isterica”. Il retroscena di D’Orsi sulla sfuriata del leader di Azione al cronista del Tempo proviene da Il Fatto Quotidiano.
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