Il computer di Chiara Poggi torna al centro del dibattito mediatico sul caso
Garlasco. È proprio sull’importanza di quel PC che si ragiona durante l’ultima
puntata di Ignoto X, andata in onda giovedì 11 dicembre, il programma di La7
condotto da Pino Rinaldi . Il conduttore ospita in trasmissione Gennaro Cassese,
l’ex comandante dei Carabinieri di Vigevano che il 13 agosto 2007 fu uno dei
primi a entrare nella villa Poggi. Rinaldi, dunque, si concentra su quanto fu
trovato in quella casa per risalire al possibile movente di chi ha commesso
l’omicidio, tentando di ricostruire insieme all’ospite i momenti successivi alla
scoperta del corpo di Chiara.
“Ero lì. Le prime fotografie furono fatte dal brigadiere Pennino della stazione
di Garlasco. Poi siamo arrivati noi della compagnia di Vigevano e il nostro
repertatore ha iniziato a fare un fascicolo fotografico. Subito dopo è arrivato
il personale del reparto operativo di Pavia, che intervengono nei casi di reati
più gravi, e hanno fatto tutto il repertamento. Hanno sequestrato alcuni
oggetti, come il portavaso, poi tutto l’appartamento è stato sottoposto a
sequestro per permettere l’intervento dei RIS che ha proceduto a una dettagliata
valutazione degli oggetti ritenuti importanti”, sostiene Cassese.
Sulla base di quanto visto una volta giunto sul posto, l’ex carabiniere osserva
che “la scena del crimine trasmetteva” la “crudeltà estrema che la persona aveva
avuto contro la povera Chiara”: “C’era sangue dappertutto, c’era stata una
violenza quasi inaudita. A mio avviso, dato che aveva aperto la porta in
pigiama, era una persona che conosceva molto bene e comunque una così massiva
violenza, ma è una mia valutazione, la riporta a persone che erano coinvolte da
una sfera affettiva”.
A giocare un ruolo centrale, secondo il conduttore, potrebbe essere il PC della
vittima, all’interno del quale sarebbero stati trovati dei “video intimi di
Chiara con Alberto”: “Quel computer viene utilizzato da Marco Poggi e dagli
amici di Marco Poggi. La difesa di Sempio dice che se il Dna è arrivato sulle
unghie di Chiara Poggi è perché magari ha toccato gli stessi tasti che Sempio
aveva utilizzato magari il pomeriggio prima. Per cui quel computer è al centro
di tutto quanto. Questa pista, alla luce di quanto sta avvenendo fuori da quel
computer, l’avrebbe seguita, mettendo da parte Alberto Stasi?”, chiede Rinaldi.
Secondo l’ex Carabiniere, allora non fu possibile stabilire la presenza sulla
scena del crimine del 37enne, che ad oggi è accusato dalla Procura di Pavia per
l’omicidio di Chiara Poggi: “Noi avremmo seguito tutte le piste – risponde
Cassese -. Il problema è che per la figura di Andrea Sempio io devo dare una
risposta contestualizzandola al 2007. Allora per la procura e per noi
investigatori dell’epoca non avevamo nulla che collocasse Sempio sulla scena del
crimine. Adesso si parla di questa famosa impronta 33 ma nel 2007 era
sconosciuta”.
Alcuni elementi, come anche il Dna trovato sulle unghie della vittima, riporta
Cassese, sarebbero stati riscontrati solo successivamente. Ma su questo punto
comincia il botta e risposta tra Rinaldi e il suo ospite: “Se lei mi ha alzato
la palla io non posso non scacciare – interviene il conduttore -. Il Dna di
Sempio sembra, secondo la difesa di Sempio, essere dappertutto. Dopo il delitto,
cominciate a fare le analisi e non si trova il Dna di Sempio, non viene
rintracciato, eppure quella casa era frequentata da lui e dagli amici. Se non
una l’altra: cos’è successo in quei giorni? Perché ci sono questi muri enormi?”,
è la domanda del conduttore. A cui però Cassese risponde spiegando che il Dna di
Sempio “nel 2007 per noi era totalmente sconosciuto”, sostiene l’ex Carabiniere.
Che poi aggiunge: “Lei ha fatto la schiacciata e io difendo. Per quanto riguarda
il RIS, fa una relazione in cui dice che non c’è Dna. Questi elementi di cui
oggi parlate non li conoscevamo proprio”, conclude.
L'articolo “Secondo la difesa il DNA di Sempio sembra fosse dappertutto”: botta
e risposta tra Rinaldi e Cassese a Ignoto X. L’ex Carabiniere: “Nel 2007 questi
elementi erano sconosciuti” proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Il re della pizza a taglio romana finisce in tribunale per accuse di
maltrattamenti e lesioni nei confronti della sua ex compagna e di resistenza a
pubblico ufficiale. Come riporta Il Messaggero, il 48enne Gabriele Bonci si è
presentato davanti ai giudici della V sezione collegiale di piazzale Clodio.
Dai documenti acquisiti dal giornale romano si legge che l’accusa ha
sottolineato i “comportamenti controllanti dovuti a ossessiva gelosia” di Bonci
che sono durati circa un anno e mezzo, da gennaio del 2022 a giugno del 2023.
Inoltre, sempre secondo l’accusa “Bonci avrebbe minacciato la donna in più
occasioni e l’avrebbe aggredita, afferrandola per i polsi, tirandole i capelli e
provocandole ematomi sul corpo“. La madre della presunta vittima ha testimoniato
anche che il pizzaiolo si sarebbe presentato sotto casa sua per parlare con la
figlia “e se ne sarebbe andato solo una volta chiamate le forze dell’ordine”.
“L’episodio più grave a inizio giugno 2023 quando secondo la ricostruzione degli
inquirenti la vittima sarebbe andata in un bar dove il 48enne stava bevendo con
gli amici, per chiedergli le chiavi di casa. – si legge sul quotidiano –
L’imputato avrebbe cominciato a insultarla, dicendole che non si doveva
permettere di disturbarlo. Giunti a casa avrebbe scagliato per terra una pentola
e una bottiglia di birra. La donna, spaventata, sarebbe fuggita, per tornare
qualche ora dopo, rassicurata dallo stesso Bonci”.
Ma non è tutto perché Bonci avrebbe spaccato per terra i quadri “insieme a ogni
oggetto che gli capitava tra le mani. Poi, mentre lei cercava di chiamare aiuto,
le avrebbe messo un dito in bocca con violenza, provocandole un sanguinamento
sotto la lingua. All’arrivo dei poliziotti chiamati dai vicini Bonci li avrebbe
minacciati e offesi”.
Da qui la denuncia per resistenza a pubblico ufficiale.
L'articolo Gabriele Bonci, il re della pizza, in tribunale: “Accusato di
maltrattamenti e lesioni nei confronti della sua ex compagna e di resistenza a
pubblico ufficiale” proviene da Il Fatto Quotidiano.
Primo step vinto dalla mamma di Valeria Marini, Gianna Orrù, che ha denunciato
Giuseppe Milazzo Andreani per truffa. L’uomo è stato condannato, il 20 novembre,
dal Tribunale monocratico di piazzale Clodio a Roma, in primo grado a un anno
con pena sospesa, come riporta il Corriere della Sera Roma, e quindi ritenuto
responsabile della truffa aggravata.
Gianna Orrù tra il 2018 e il 2019 aveva versato al produttore cinematografico
335mila euro per investimenti su piattaforme online, mai realizzati. L’uomo è
stato presentato alla signora Orrù, proprio da Valeria Marini in qualità di
produttore a investitore finanziario autorizzato esperto di trading online.
Questo è uno dei motivi per cui i rapporti tra madre e figlia si sono
bruscamente interrotti. La Marini ha chiesto scusa e ha espresso il desiderio di
ricongiungersi alla madre in diverse trasmissioni televisive, ma la risposta è
sempre stata negativa.
“Ho speso 30 anni della mia vita dedicandoli a mia figlia, io avevo un’attività.
– aveva dichiarato la Orrù a Domenica in – Per correre dietro a mia figlia senza
conoscere il mondo dello spettacolo. Su quel mondo purtroppo c’è tanto da
scoprire. Non mi è piaciuto che mia figlia sia andata ovunque a parlare di
questa storia, bisogna stare zitti. Invece tv, giornali, ovunque. Questo è
sbagliato, solo per visibilità”.
La Marini quando è stata chiamata in tribunale ha difeso a spada tratta il
genitore: “Questa persona ha distrutto mia madre, che essendo una donna d’onore
si vergognava di essere stata raggirata al punto di rifiutarsi persino di
aprirmi la porta di casa.
L'articolo Condannato Giuseppe Milazzo Andreani: aveva truffato la mamma di
Valeria Marini. Gianna Orrù ha versato 335mila euro per investimenti mai
realizzati proviene da Il Fatto Quotidiano.
Una ex agente dell’intelligence dell’Aeronautica Militare ha ammesso la propria
colpevolezza per aver dichiarato il falso alle autorità, sostenendo che l’ex
moglie astronauta, da cui era separata all’epoca, aveva commesso il “primo reato
nella storia avvenuto nello spazio”, secondo quanto confermato dalle autorità
competenti.
La 50enne Summer Worden, rischia così fino a cinque anni di carcere e una multa
massima di 250mila dollari per aver dichiarato un falso sull’astronauta della
NASA e allora coniuge Anna McClain. La dichiarazione di colpevolezza della
Worden, rilasciata giovedì scorso, ha posto fine a un’aspra contesa legale con
McClain.
La Worden ha affermato che la “McClain aveva indovinato la password e aveva
avuto accesso illegalmente al suo conto bancario nel gennaio 2019, mentre la
coppia era ancora sposata e la McClain era impegnata in una missione di sei mesi
sulla Stazione Spaziale Internazionale”, hanno dichiarato i pubblici ministeri.
La falsa dichiarazione ha innescato un’indagine da parte della Federal Trade
Commission e dell’Ispettore Generale della NASA, ha riportato il New York Times.
“Worden aveva effettivamente aperto il conto bancario nel 2018 e sia lei che la
McClain vi hanno avuto accesso fino a gennaio 2019, quando Worden ha modificato
le credenziali”, hanno affermato le autorità. “Gli investigatori hanno scoperto
poi le prove che la Worden, in verità, aveva concesso alla coniuge l’accesso ai
suoi conti bancari almeno dal 2015, comprese le sue credenziali di accesso“,
hanno aggiunto i pubblici ministeri.
La coppia era nel mezzo di una brutale separazione e di una lite genitoriale
quando la Worden, un ex ufficiale dell’intelligence dell’Aeronautica Militare
residente in Kansas, ha mosso le accuse che poi si sono rivelate false. La
Worden sarà condannata il 12 febbraio. Davanti all’evidenza del risultato delle
indagini, la donna non ha potuto fare altro che ammettere tutto.
L'articolo “Ho mentito, la mia ex moglie non ha commesso nessun crimine nello
spazio”: la rivelazione che scagiona l’astronauta della NASA Anna McClain
proviene da Il Fatto Quotidiano.
Il Tribunale di Monza ha assolto in primo grado Marco Castoldi, in arte Morgan,
dalle accuse di oltraggio a pubblico ufficiale nei confronti di alcuni agenti di
polizia per le frasi rivolte loro durante lo sfratto dalla propria abitazione di
Monza nel giugno 2019.
Il fatto non sussiste è la formula utilizzata dai giudici contro la richiesta
della Procura di Monza di condannare l’artista 52enne a 9 mesi di reclusione. Le
motivazioni della sentenza saranno depositate entro 90 giorni ma il Tribunale
avrebbe accolto la tesi del legale dell’artista, avvocato Roberto Iannaccone,
secondo cui le espressioni utilizzate contro le forze dell’ordine come “boia” o
“becchini” avrebbero un “contenuto artistico” e “teatrale” provocatorio.
E ancora Morgan “si è difeso contestualizzando le sue reazioni in una giornata
emotivamente difficile spiegando di aver utilizzato un gergo “teatrale”, oltre
ad aver dichiarato di non aver identificato gli agenti perché in borghese.
“C’è grande soddisfazione, era stata chiesta una condanna a nove mesi e il mio
assistito è stato assolto perché il fatto non sussiste. – ha poi spiega
all’Adnkronos Iannaccone – Il giudice ha accolto la linea difensiva per cui ha
prevalso il contenuto artistico delle espressioni utilizzate da Morgan
prevalevano sul contenuto giuridico dell’oltraggio. Il mio assistito è
contentissimo, siamo soddisfatti”.
L'articolo Morgan assolto dall’accusa di oltraggio a pubblico ufficiale durante
lo sfratto: “Il fatto non sussiste”. Il cantautore: “Sono contentissimo e
soddisfatto” proviene da Il Fatto Quotidiano.