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“Torturato e picchiato” dagli altri detenuti nel carcere minorile. Il padre: “Non lasciatelo morire”
“Non lasciatelo morire dietro quelle sbarre”. A parlare è il padre del 14enne arrestato un mese fa con l’accusa di aver ricattato per mesi e violentato una ragazzina di Sulmona appena 12enne.Con lui erano stati arrestati il cugino 18enne del ragazzo e un 17enne. L’appello del padre è scattato dopo una visita al figlio nel carcere minorile di Casal del Marmo (Roma). Il 14enne, presente all’incontro visibilmente sfigurato, avrebbe raccontato al padre le sevizie e i dispetti quotidianamente subiti dagli altri detenuti. Segnalate anche minacce di morte e richieste di droga da parte dei detenuti al giovane, che si ipotizza possa essere stato preso di mira per la gravità del reato contestato. “Ho paura che esca lì morto – ha riferito l’uomo in questura – Aveva profonde ferite in volto, sul torace e sulle braccia. Mi ha raccontato di essere stato immobilizzato da due detenuti più grandi di lui e picchiato, torturato con una spatola di ferro. Almeno quattro volte mi ha raccontato di essere stato picchiato e derubato delle scarpe e del cibo che gli ho portato in carcere, ma l’altro giorno lo hanno sfigurato“. Ora il padre del giovane ha deciso di denunciare i fatti, ma anche chi aveva il compito di vigilare sul figlio “Vi prego, fate qualcosa per lui, ha solo 14 anni. Se ha sbagliato pagherà, quello che sta subendo a Casal del Marmo non serve a raddrizzarlo, semmai a farne un delinquente quando ne uscirà. Seguirà un percorso riabilitativo con gli psicologi, ma non lasciatelo morire dietro quelle sbarre. In questa storia lui è rimasto coinvolto suo malgrado, si è lasciato trascinare da quei ragazzi più grandi che per lui erano gli unici punti di riferimento. Siamo stranieri e viviamo in un piccolo paesino: non è facile per un bambino di sette anni, tanto aveva quando ci siamo trasferiti qui, farsi delle amicizie” A parlare all’Ansa anche l’avvocato della famiglia Alessandro Margiotta, che chiarisce di aver chiesto già da 20 giorni e già per tre volte il trasferimento del suo cliente. Il legale definisce l’accanimento verso il ragazzino “tortura di stampo medievale” e conclude dicendo: “Ha solo 14 anni e la tipologia di reato per il quale è rinchiuso, lo rende un facile bersaglio per gli altri detenuti. Sembra esser stato torturato con una spazzola di ferro e lamette. Credo lo facciano per gioco, probabilmente per il tipo di reato, ma anche probabilmente perché racconta di queste violenze e loro lo puniscono sempre di più. Ma il mio assistito è stato anche minacciato: agli altri detenuti gli hanno detto di riferire al padre di portare droga da fumare, altrimenti lo ammazzeranno. Il ragazzino si trova in cella con il 17enne, l’altro minore coinvolto nello stesso caso, altrettanto sconvolto perché hanno picchiato anche lui ma non ha nessuno che lo va a trovare, non ha i genitori qui. Bisognerà che la procura di Roma si attivi per verificare le condizioni di tutti i ragazzi lì dentro”. L'articolo “Torturato e picchiato” dagli altri detenuti nel carcere minorile. Il padre: “Non lasciatelo morire” proviene da Il Fatto Quotidiano.
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La destra blocca la modifica della legge sulla violenza sessuale: chi ha paura del consenso di una donna?
Chi ha paura del consenso di una donna? Nella Giornata Internazionale per l’Eliminazione della Violenza contro le Donne, la coalizione di destra ha messo in scena un grottesco teatrino con lo stop alla modifica della legge sulla violenza sessuale. Il nuovo testo introduce la centralità del consenso della vittima nella definizione del reato. A bloccare l’iter, che dopo l’approvazione all’unanimità alla Camera sembrava scontato, è stata la Lega, seguita da ruota da Fratelli d’Italia e Forza Italia. Un eccesso di dietrologia potrebbe far pensare che la stretta di mano tra Giorgia Meloni e Elly Schlein a favor di telecamere sia stata una mossa per raccogliere qualche voto in più in due regioni tradizionalmente vicine al centrosinistra, in prossimità delle elezioni regionali. Una sorta di cinico spot elettorale? Più probabilmente Matteo Salvini, visto il deludente risultato elettorale di Fratelli d’Italia, ha voluto mettere in difficoltà Giorgia Meloni, che si era esposta su questo tema. Un modo per dire ‘qui comando io e questa è anche casa mia’. Forte del sostegno degli uomini della coalizione. Dopo lo stop sono arrivate le rassicurazioni di Eugenia Roccella e di Giulia Bongiorno: la legge sul consenso si farà ma con “modifiche migliorative” e le attiviste ora temono un depotenziamento della legge… e allora? Meglio la vecchia normativa che una brutta riforma. Ma la cosa più grave sono state le dichiarazioni del ministro Matteo Salvini, che con il suo spregio misogino e sessista ha offeso tutte le donne di questo paese, paventando un’epidemia di calunnie da parte di “vendicatrici” che vorrebbero vedere uomini innocenti in carcere. Imbeccato opportunamente, ha tirato fuori, già che c’era, il somaro di battaglia delle cosiddette associazioni dei padri separati. “Le denunce strumentali rovinano le famiglie” ha tuonato. È molto probabile che, se Matteo Salvini si sedesse a un tavolo con 20 uomini, avrebbe vicino a sé almeno tre autori di violenze sessuali, mentre la probabilità che tra questi ci sia un uomo calunniato per stupro è prossima allo zero. I dati Istat sulla violenza sessuale ci dicono che solo il 10% delle vittime denuncia, mentre l’80% tace. Meno del 30% delle donne che si rivolgono ad un centro antiviolenza denuncia. Il silenzio è proprio ciò che la destra sembra volere: che le donne continuino a tacere. Ma sarebbe più onesto che costoro lo dicessero apertamente: “State zitte! Non denunciate, perché rischiate di rovinare la vita e la reputazione di tanti rispettabili cittadini”. Tacere, a patto che non si tratti di immigrati, identificati dal leader della Lega come il prototipo dello stupratore. Uomini dalla cultura arretrata, anche se alcuni politici nostrani non hanno esitato ad augurare stupri ad avversarie politiche come Matteo Camiciottoli, ex sindaco di Pontivrea della Lega, condannato per aver augurato uno stupro a Laura Boldrini. La credibilità di una vittima di stupro, lo sappiamo, è inversamente proporzionale allo status dello stupratore. Se il violento è un “bravo ragazzo” o un “rispettabile cittadino”, può dormire sonni tranquilli. Nel corso degli anni, le operatrici dei centri antiviolenza hanno ascoltato testimonianze di donne che avevano subito violenze sessuali da parte di medici, ingegneri, imprenditori, preti, appartenenti alle forze dell’ordine, avvocati (sì, anche penalisti), militari, insegnanti, allenatori, fisioterapisti, politici, giornalisti, direttori di banca, studenti di prestigiose università e attivisti dei centri sociali, quelli che stanno sempre in prima linea a lottare contro il potere, tranne quello che si cullano dentro. Uomini di destra e uomini di sinistra. Atei o religiosi. La violenza sessuale non avviene solo per mano di emarginati che aggrediscono donne nel buio delle strade o nei parchi. Avviene anche in studi eleganti, in uffici confortevoli, in case accoglienti , commessa in larga parte, da uomini che sono già in relazione con le donne. Sono violenze che difficilmente vengono denunciate. In 30 anni di esperienza ho seguito personalmente solo cinque donne che avevano deciso di denunciare. Cinque in 30 anni. In uno di questi casi, si trattava di una ragazza che, dopo aver accettato un rapporto sessuale, aveva subito una violenza. Quando mi disse che era determinata a denunciare, le offrii il sostegno del centro antiviolenza, ma ero preoccupata per la pesantezza del processo che rischiava di diventare un vero e proprio tritacarne. Lo abbiamo visto con le 700 domande a cui è stata sottoposta la donna che ha denunciato Ciro Grillo, Vittorio Lauria ed Edoardo Capitta, condannati in primo grado dal tribunale di Tempio Pausania. Una ragazza che, prima di ottenere la condanna, aveva subito una gogna mediatica, con la sua credibilità messa in dubbio in un processo sommario sui social e sulle pagine dei giornali. È accaduto anche alle vittime di Alberto Genovese. Le battaglie femministe, alla fine, vincono perché sono fondate sulla denuncia di una palese iniquità e anche se sono portate avanti contro un vento che soffia forte e gelido, riescono a cambiare la cultura. Tutto questo avviene tra passi avanti e i backlash reazionari. La legge sulla violenza sessuale fondata sul consenso è stata approvata in Spagna, Svezia, Danimarca, Francia, Belgio, Irlanda e Germania e non ci sono state “ecatombe” di uomini calunniati. In Italia, forse ci vorranno vent’anni. Lo spettacolo penoso offerto dal centrodestra – gira voce che un modulo di consenso sessuale sia stato distribuito tra i senatori da Porro e Cruciani – ci fa capire quale sia il livello culturale di chi siede nei banchi del parlamento. Sul livello culturale degli estensori del modulo, che cali un pietoso velo. Contro questa legge si è levata una bella fetta della stampa, quella che urla quando a stuprare una donna non è un italiano bianco, ma un nero o peggio un “islamico”. Alcuni hanno sventolato la foglia di fico dell’inversione della prova, una tesi confutata da Paola Di Nicola Travaglini, magistrata e consigliera di Cassazione; da Fabio Roia, presidente del tribunale di Milano; ma anche da avvocati. Una parte degli uomini, terrorizzati all’idea di finire in carcere per stupro, hanno rumoreggiato sui social. E ci sono stati deliri di avvocati che si sono esposti pubblicamente nel suggerire di filmare i rapporti sessuali: diteci, cari avvocati, si deve filmare con o senza il consenso della donna? E che fare poi di quelle immagini, avvocati, conservarle nel caso del bisogno? Si potrebbe parlare di isteria collettiva se non fosse che anche la parola isteria è portatrice di un gap culturale. Ci vollero 20 anni per trasformare il reato di violenza sessuale in un crimine contro la persona e non contro la morale. Che a essere ferita dal crimine fosse una donna e non la morale, all’epoca, sembrava scandaloso. Era una legge che incideva non solo sul piano giuridico ma anche sul piano simbolico, riconoscendo che il corpo delle donne non apparteneva alla famiglia o al marito e non rappresentava l’onorabilità di un uomo. E deputati e senatori, in Parlamento, resistettero assediati per 20 anni, ferreamente alleati contro i corpi delle donne. Oggi, l’introduzione del consenso nel dibattito parlamentare suscita ancora scandalo. E gli uomini si alleano contro la volontà delle donne perché è quello che il patriarcato li ha addestrati a fare. Da quando nascono. La società italiana è ancora profondamente allagata dalla cultura dello stupro. Le pagine come Phica.eu o Mia moglie ci ricordano che il consenso della donna è imprevisto. Il corpo della donna è un oggetto di scambio tra maschi, trofeo in un terreno di guerra contro le donne. Troppi uomini interiorizzano la cultura dello stupro e vivono la sessualità come un atto predatorio, di dominio e umiliazione nei confronti del corpo femminile. I 700mila uomini che si scambiavano foto senza il consenso delle partner o che si divertivano a umiliare donne in politica o nello spettacolo non erano tutti stupratori, ma condividevano lo stesso immaginario degli stupratori. Tutti coloro che si spaventano all’idea che il consenso di una donna possa diventare parte integrante della legge sulla violenza sessuale o hanno la coscienza sporca, o hanno l’inconscio di paglia. E quindi: a chi fa paura il consenso di una donna? L'articolo La destra blocca la modifica della legge sulla violenza sessuale: chi ha paura del consenso di una donna? proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Ddl stupro, Roccella: “Rovescia l’onere della prova”. Il magistrato Roia: “Falso, spetta al pm dimostrare l’assenza di consenso”
“Il rischio è il rovesciamento dell’onere della prova“. Anche la ministra per la Famiglia, Natalità e Pari Opportunità, Eugenia Roccella, si scaglia contro il ddl sul “consenso libero e attuale” in materia di violenza sessuale. Lo fa criticando il testo del provvedimento e sollevando dubbi, salvo poi essere smentita – punto per punto – dal presidente del Tribunale di Milano Fabio Roia, magistrato da decenni impegnato nel contrasto alla violenza di genere: “Dovrà essere sempre il pubblico ministero a dover dimostrare che quel rapporto è avvenuto senza un libero consenso da parte della donna”, spiega Roia. Dopo la battuta d’arresto a sorpresa arrivata martedì in Senato, la destra prova ad abbattere definitivamente il ddl, nonostante le garanzie date dalla stessa premier Giorgia Meloni. Matteo Salvini, con orgoglio, si intesta la frenata parlamentare: per il leader della LEga la legge è “troppo interpretabile” e lascia “spazio alle vendette personali”. Poco dopo è la ministra Roccella, intervistata durante la trasmissione “Ping Pong” su Rai Radio 1, a condividere la decisione di non approvare il ddl: “È meglio prendere più tempo ma approvare una legge convincente”, ha detto. Per Roccella “quello che è emerso dopo l’approvazione alla Camera è una forte perplessità da ambienti importanti: gli avvocati, l’ex presidente delle Camere Penali Caiazza è stato molto duro su questa legge, anche altri hanno sollevato dei dubbi“. Critiche condivise dalla ministra: “Il rischio è il rovesciamento dell’onere della prova, questo è il dubbio”, insiste la ministra. Alla presa di posizione di Roccella risponde il magistrato Roia che ha ricevuto per il suo impegno sul tema del contrasto alla violenza di genere l’Ambrogino d’Oro nel 2018. Non è “assolutamente vero che introdurre il concetto di consenso libero ed attuale” nel reato di violenza sessuale “costituisca un’inversione dell’onere della prova”. Come spiega Roia, la donna “si limiterà a fare una denuncia, sempre sotto assunzione di responsabilità”, ma poi “dovrà essere il pubblico ministero a dimostrare che quel rapporto è avvenuto senza un libero consenso”. Parlando con l’Ansa, il presidente del Tribunale di Milano sottolinea che parlare di rischio di inversione della prova “è una suggestione, un profondo sbaglio giuridico-processuale e probabilmente, ma questo non sta a me dirlo, può essere una scusa per non approvare una legge di civiltà“. Legge che, ricorda il magistrato, “altri Paesi hanno e che stanno applicando e che la stessa Europa ci ha richiesto di adottare”. Roia spiega infatti che “già nell’attuale legge ci sono delle condizioni che tendono ad eliminare il consenso, che sono la violenza, la minaccia e l’abuso di condizioni di inferiorità, anche transitoria, psichica o fisica da parte della donna”. Questi, spiega, sono i casi “tipici della donna che assume sostanze stupefacenti o alcoliche“. Introdurre “il concetto di consenso – prosegue il presidente del Tribunale – è un qualcosa di più ampio, ma che non sposta assolutamente il tema, perché dovrà essere sempre il pubblico ministero a dover dimostrare che quel rapporto è avvenuto senza un libero consenso da parte della donna”. Pm che “ovviamente utilizzerà le dichiarazioni della donna, ma questo già avviene nei processi attuali”, aggiunge. Per Roia quella di martedì “è una pagina oscura che è capitata, tra l’altro, proprio il 25 novembre (giornata internazionale contro la violenza sulle donne, ndr) e lo è sul piano di quel raggiungimento di obiettivi di libertà delle donne verso i quali tutti dicono, a parole, di orientarsi, tranne poi assumere atteggiamenti contraddittori rispetto a quegli stessi obiettivi”, conclude il magistrato. L'articolo Ddl stupro, Roccella: “Rovescia l’onere della prova”. Il magistrato Roia: “Falso, spetta al pm dimostrare l’assenza di consenso” proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Ddl stupro, la destra ci ripensa e salta l’accordo Meloni-Schlein: “Servono nuove audizioni e correzioni”
Stop al Senato all’approvazione del ddl sul “consenso libero e attuale” in materia di violenza sessuale. L’accordo, dopo la trattativa che ha coinvolto Elly Schlein e la premier Giorgia Meloni, c’era e l’auspicio delle opposizioni e dello stesso presidente del Senato era quello di approvare oggi, senza modifiche, il disegno di legge in occasione della Giornata per l’eliminazione della violenza contro le donne. Ma la destra ci ripensa con la presidente della Commissione Giustizia, la leghista Giulia Bongiorno, che chiede correzioni e un nuovo ciclo di audizioni. Un a mossa che ha provocato la reazione delle opposizioni, con i senatori di centrosinistra che hanno abbandonato la riunione in segno di protesta. “Siamo molto amareggiati e sorpresi. Una legge che aveva oggi la possibilità di celebrare un momento alto del Parlamento, è stata di fatto affossata. Come opposizioni abbiamo lasciato i lavori. Stringersi la mano con questa destra non vale niente”, hanno detto i senatori dem abbandonando i lavori. E dall’altro ramo del Parlamento i deputati di opposizione hanno chiesto una sospensione del ddl Femminicidio. La Camera ha respinto a maggioranza la richiesta avanzata in primis da Avs e a cui si sono associati Iv, Pd e M5s. Bisogna “sospendere il provvedimento fino a quando la ministra Roccella non chiarirà insieme ai capigruppo di maggioranza del Senato cosa sta accadendo”, “se c’è ancora un accordo” sul tema delle violenze di genere tra maggioranza e opposizione, ha detto Marco Grimaldi di Avs. “Farò un ciclo di audizioni che sia mirato e breve su alcuni aspetti tecnici segnalati e poi si proseguirà. Essendo arrivato oggi in commissione, è erroneo e fuorviante dire che ci sono ritardi. Certamente il provvedimento andrà avanti”, ha dichiarato Giulia Bongiorno che è anche relatrice del ddl sulla violenza sessuale e il consenso. La senatrice della Lega ha confermato che nel merito, i dubbi riguardano un comma che disciplina i casi di “minore gravità” per cui i senatori del centrodestra hanno chiesto di specificare cosa si intende per minore gravità. Ma ha ribadito che si tratta di “un provvedimento importantissimo e utile perché è come se in Italia una giurisprudenza esalta il consenso e poi il singolo giudice si attiene al testo normativo. Quindi bisogna garantire omogeneità”. L'articolo Ddl stupro, la destra ci ripensa e salta l’accordo Meloni-Schlein: “Servono nuove audizioni e correzioni” proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Il consenso ‘libero e attuale’ è frutto di una rivoluzione culturale. Ora facciamo prevenzione
di Vera Cuzzocrea* E’ recente e unanime l’approvazione alla Camera della proposta di legge che modifica il reato di violenza sessuale introducendo il requisito del “consenso libero e attuale”, in linea con quanto previsto all’art. 36 della Convenzione di Istanbul e come già avviene in diversi paesi. L’elemento costitutivo della violenza diventa il consenso che deve essere dato volontariamente e valutato tenendo conto del contesto in cui avviene l’atto: un vero e proprio ribaltamento, dagli obiettivi di indagine alla dinamica processuale. In cui la vittima viene ascoltata nei suoi vissuti e riconosciuta nella condizione di particolare vulnerabilità che connota il reato e al reo viene restituita la responsabilità di dimostrare di non aver posto in essere nessuna forma di costrizione, non solo fisica ma anche psicologica. E’ l’esito di una rivoluzione culturale che per secoli ha posto la vittima di violenza sessuale nel paradosso di essere giudicata, costretta a difendersi, prodotto scenari processuali di vittimizzazione secondaria. L’associazione Victim Support ha recentemente pubblicato i risultati di una ricerca da cui emerge che il 73% delle vittime sopravvissute ad uno stupro sarebbero sottoposte ad una ri-traumatizzazione giudiziaria. Per la durata, gli ascolti multipli connotati da domande screditanti tese ad indagare le azioni messe in atto per fermare l’atto, l’eventuale abuso di sostanze stupefacenti, l’abbigliamento indossato, la vita privata. Domande orientate a indebolire la credibilità della vittima più che ad accertare le responsabilità dell’autore, di fatto non capaci di restituire giustizia a chi subisce il reato. Giustizia, come quella che chiedeva l’avvocata Tina Lagostena Bassi, nella sua arringa conclusiva (Processo per stupro, 1978). Eppure la giurisprudenza si è espressa sull’irrilevanza della reazione della vittima nel delitto sessuale, riconoscendo la difficoltà psicologica vissuta a causa della paura e del frastornamento per l’imprevedibilità della situazione. D’altra parte, i reati sessuali sono da sempre caratterizzati da credenze che di fatto hanno contribuito a normalizzare la violenza, disimpegnando moralmente chi ne è responsabile e colpevolizzando chi la subisce. E’ solo del 1981 l’abolizione del “matrimonio riparatore”: una pratica che “costringeva” la donna a sposare il suo stupratore quale “rimedio” al disonore. Come se il danno prodotto non fosse emotivo e fisico e il diritto violato non fosse alla propria libertà personale. Quasi non stupisce, considerando che la violenza sessuale, fino al 1996, era un reato contro la morale pubblica e non contro la persona! Franca Viola si è ribellata, trent’anni prima, rifiutandosi di sposare il suo violentatore, denunciandolo e ottenendone la condanna. Lei e molte altre andrebbero ricordate oggi: sono il 23,4% le donne tra i 16 e i 75 anni vittime di violenza sessuale (Istat, 2025). E chissà quante altre. Sollecitando il governo ad investire in azioni strategiche volte a promuovere lo sviluppo di competenze emotive e socio-relazionali capaci di costruire uno star bene insieme sano svincolato da logiche di dominio e stereotipi di genere. Fin dall’infanzia. Si chiama prevenzione ed è necessaria a costruire quella consapevolezza del consenso. Per chi non sa percepirlo, per chi non sa ascoltarsi e per noi che troppo spesso abbiamo giudicato senza conoscere guardando ad un’unica storia possibile. * Vicepresidente Ordine Psicologi Lazio L'articolo Il consenso ‘libero e attuale’ è frutto di una rivoluzione culturale. Ora facciamo prevenzione proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Violenza sulle donne, un prontuario per avvocati e dieci regole per i giovani dopo la legge sul consenso
La riforma che introduce il consenso libero e attuale al centro della violenza sessuale cambia il lessico del dibattito ma non le regole del processo penale: resta un reato gravissimo, con pene elevate, che si fonda su un accertamento probatorio pieno, oltre ogni ragionevole dubbio, e non su automatismi morali. Per il difensore di un ragazzo accusato di stupro lo scenario non è la “guerra alle donne”, ma una responsabilità tecnica più alta: da un lato impedire che il nuovo testo si traduca in condanne simboliche fondate sul clima sociale; dall’altro evitare che la difesa diventi il luogo in cui si riciclano gli stereotipi di genere che la riforma prova a scardinare. Nei casi tipici di “parola contro parola” – nessuna violenza fisica evidente, nessun testimone diretto, pochi riscontri – la prima bussola è ricordare al giudice che l’elemento centrale del nuovo 609-bis non è l’idea astratta di violenza ma la prova concreta della mancanza di consenso: spetta al pubblico ministero dimostrare che l’atto è stato compiuto nonostante, o approfittando, del dissenso della persona offesa; non spetta alla difesa certificare un consenso impossibile da “dimostrare” in positivo. Questo non autorizza il vecchio copione del massacro in aula: la persona offesa resta un teste centrale e vulnerabile, ma non è intoccabile; il difensore serio lavora su coerenza, costanza, precisione del racconto, raccordo con gli altri dati (chat, spostamenti, video), non sulla vita sessuale pregressa, sull’abbigliamento o sulle fantasie degli imputati. La linea di confine è chiara: interrogare in modo serrato sui fatti è legittimo, alludere a “ragazze facili” è già vittimizzazione secondaria e, oggi, anche un boomerang processuale che rivela l’avvocato scarso. Nel nuovo contesto il vero terreno di scontro diventano le tracce digitali: messaggi prima e dopo, vocali, foto, geolocalizzazioni, storie social. Il difensore deve ricostruire l’intera sequenza: chi cerca chi, chi propone l’incontro, come si parla (o non si parla) di sesso, se emergono esitazioni, paure, ripensamenti. Sulla base della giurisprudenza consolidata l’attendibilità della persona offesa può reggere una condanna anche senza altri testimoni, ma richiede comunque un racconto internamente logico ed esternamente compatibile con i dati oggettivi; è lì che la difesa deve battere, non sul pregiudizio. Allo stesso tempo è essenziale lavorare sul cliente: molti giovani imputati arrivano in studio ripetendo “era consenziente” perché confondono il “non ha detto di no” con un sì; il penalista, prima ancora di pensare alla linea processuale, deve spiegare che nel nuovo quadro il consenso è una costruzione positiva, fatta di parole, gesti, partecipazione, e che frasi da spogliatoio (“ci stava”, “se l’è cercata”) in chat o sui social non solo sono moralmente miserabili, ma diventano materiale probatorio devastante. Nella gestione del procedimento il difensore dovrà anche proteggere il processo dal cortocircuito mediatico: niente conferenze stampa identitarie, sì a interventi mirati quando la presunzione d’innocenza viene calpestata; spiegare al ragazzo che ogni post, ogni like, ogni meme sull’accaduto può trasformarsi in un indice di totale disprezzo per la libertà sessuale altrui. Nei casi davvero opachi, poi, il garantismo non è la difesa a oltranza dell’innocenza in astratto, ma la verifica onesta dell’esistenza del ragionevole dubbio: se non c’è, ha senso discutere di riti alternativi e percorsi di responsabilizzazione invece di spingere verso processi distruttivi per tutti. Ed è proprio dalla consapevolezza processuale che nasce questo mio “prontuario” per i ragazzi: le dieci regole per non farsi accusare – in realtà, per non diventare aggressori, neppure per ignoranza. 1. Se non è un sì chiaro, è un no; una ragazza rigida, che “lascia fare”, che guarda altrove o dice “non lo so” non sta dando consenso, e la risposta corretta è fermarsi. 2. Chiedere è obbligatorio, non goffo; “ti va se ti bacio?”, “vuoi continuare?” sono la normalità, e davanti a esitazioni si chiude la partita, non si interpreta. 3. Alcol e droghe annullano il consenso; se lei è ubriaca o alterata, il rapporto è semplicemente da escludere. 4. Il sì non è un contratto irrevocabile; può dire sì a un bacio e no al resto, può spogliarsi e cambiare idea in qualsiasi momento, e dal primo “basta”, anche sussurrato, ogni insistenza diventa violenza. 5. Pressione psicologica, senso di colpa e ricatti emotivi (“dai, non fare la bambina”, “allora perché sei venuta qui?”) non sono seduzione ma strumenti di dominio; se hai bisogno di fare leva sulla sua paura o sul suo senso di colpa, sei già oltre il confine. 6. I messaggi contano più delle intenzioni dichiarate a posteriori; se il giorno dopo lei scrive che “ci è stata male”, che “non voleva davvero”, che “si è sentita costretta” o parla apertamente di violenza, il ragazzo non deve cancellare chat, minimizzare, rovesciare la colpa o, peggio, girare gli screenshot agli amici, perché così costruisce da solo il processo contro di sé; la risposta più corretta – umana e, paradossalmente, anche difensiva – è qualcosa come: “Non mi rendevo conto che ti fossi sentita così, mi dispiace sinceramente; se vuoi parlarne sono disponibile, se preferisci non sentirci più lo rispetto”, dopodiché si smette di insistere, non si cerca di convincerla che esagera, non la si minaccia se accenna alla denuncia e, se la situazione precipita, ci si rivolge a un avvocato senza aggiustamenti fai-da-te. 7. Evitare situazioni di isolamento con persone quasi sconosciute, specie dopo alcol; pensare di “portarla a casa” dopo mezz’ora di conoscenza e considerare tutto ciò che accade come scontato è un errore grave e ingenuo. 8. Il branco non attenua, aggrava; partecipare a scene in cui un gruppo preme, filma, commenta mentre una sola persona è vulnerabile significa esporsi non solo a una responsabilità morale, ma a imputazioni pesanti, quindi allontanarsi di corsa dalla scena. 9. Non esiste un diritto all’happy end, nessuna cena pagata, nessun flirt, nessuna chat esplicita genera un credito sessuale da esigere. 10. Regola di chiusura, da insegnare come una formula di procedura penale domestica: se non sei sicuro al cento per cento che lei voglia davvero, qui e ora, ti fermi. La nuova legge sul consenso non è un complotto contro i “bravi ragazzi”, è un invito a costruire relazioni in cui libertà sessuale, responsabilità e prova processuale non siano mondi separati; chi non vuole finire in un’aula di giustizia deve cominciare da qui. L'articolo Violenza sulle donne, un prontuario per avvocati e dieci regole per i giovani dopo la legge sul consenso proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Finalmente il consenso al centro: cambia la legge sullo stupro in Italia. Un grande passo avanti
Articolo 609-bis (violenza sessuale): Chiunque compie o fa compiere o subire atti sessuali ad un’altra persona senza il consenso libero e attuale di quest’ultima è punito con la reclusione da sei a dodici anni. Alla stessa pena soggiace chi costringe taluno a compiere o a subire atti sessuali con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità ovvero induce taluno a compiere o subire atti sessuali abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica o di particolare vulnerabilità della persona offesa al momento del fatto o traendo in inganno la persona offesa per essersi il colpevole sostituito ad altra persona. E’ bastato un articolo per dare il via libera alla proposta di legge, approvata dalla Camera all’unanimità, per riscrivere l’articolo 609-bis del codice penale sul reato di stupro che segue quanto la Convenzione di Istanbul, legge dello Stato, prevedeva già dal 2013, anno in cui è stata ratificata dall’Italia, ma mai applicata mancando il collegamento, essenziale, con il codice penale (al completamento dell’iter legislativo manca ancora l’approvazione del Senato che presumibilmente avverrà proprio nella seduta del 25 novembre). Per provare la violenza, sino ad oggi, nei processi di stupro, occorreva dimostrare l’elemento della minaccia e della costrizione. Elementi molto spesso difficili da provare, che portavano a processi estremamente dolorosi per la donna che spesso assumeva il ruolo di accusata anziché di vittima, concretizzando il fenomeno della cosiddetta “vittimizzazione secondaria”, dovendo lei dimostrare che si era opposta, che aveva lottato, reagito. Oggi invece con questa legge si afferma che il reato di stupro si configura ogni volta non ci sia un consenso pieno, consapevole e attuale, sia prima che durante il rapporto sessuale. Da un punto di vista giuridico è un cambiamento determinante: la persona che denuncia uno stupro sa che è sua la responsabilità di quello che afferma, ma non deve provare di non aver prestato il consenso, deve essere l’uomo a dimostrare che il consenso c’è stato. Non si capisce perché, sino ad oggi, dovesse essere la persona offesa a doverlo dimostrare… se uno denuncia un furto, non deve provare che non è stato consenziente al reato. Come conferma giustamente il dottor Fabio Roia, Presidente del Tribunale di Milano, “…io pubblico ministero davanti ad una donna che si presenta a denunciare o che testimonia di avere subìto un atto sessuale senza il suo consenso, mi trovo davanti ad una notizia di reato e devo crederle. E questo è un primo fondamentale passo rispetto a tante situazioni in cui le donne raccontano la fatica di essere credute”. E a chi beffardamente chiede se serviranno moduli da compilare prima di un rapporto sessuale, rispondiamo con le parole di Laura Boldrini: “L’unica cosa che serve è un sì, libero, esplicito e attuale”. Il secondo comma dell’articolo poi è un altro punto essenziale: equipara allo stupro, comminando la stessa pena, quei casi in cui si abusa di una persona non solo in condizioni di inferiorità fisica o psichica, ma anche nei casi di “particolare vulnerabilità” della stessa. Tenendo quindi conto delle circostanze, purtroppo molto numerose, in cui le condizioni individuali, familiari o del contesto in cui è avvenuto il reato, possono configurare un consenso non libero ma coattivo. Ma la portata di questa legge va ben oltre. E’ un cambiamento di paradigma, che ha un valore simbolico potente e si conferma finalmente un principio di grande civiltà: un no ad un rapporto sessuale è un no anche se non esplicitamente affermato. Chi denuncia uno stupro, accollandosi tutto il dolore, l’imbarazzo, il disagio di raccontare un rapporto sessuale subito con violenza contro la propria volontà o in un contesto di particolare fragilità e vulnerabilità, non lo fa certo con leggerezza e a questo dolore non deve essere aggiunto quello ulteriore di non essere creduta. Anche l’Italia quindi adegua la sua legislazione a quella di Belgio, Croazia, Cipro, Repubblica Ceca, Danimarca, Finlandia, Germania, Grecia, Irlanda, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi, Polonia, Slovenia, Spagna e Svezia che già hanno introdotto una definizione di stupro basata sul consenso. Così come l’Islanda, la Norvegia, la Svizzera e il Regno Unito si sono fornite di definizioni analoghe di stupro in linea con il diritto internazionale e con le disposizioni della Convenzione di Istanbul. Prima di noi anche la Francia, in ottobre, ha approvato un disegno di legge che introduce nel codice penale una definizione di stupro che lo ridefinisce come “qualsiasi atto sessuale non consensuale”. Sicuramente il processo seguito alla vicenda di Gisèle Pelicot – drogata, abusata e violentata ripetutamente dal marito e da più di 50 uomini – ha portato alla luce un vuoto normativo nella legislazione francese: la sua mancanza di reazione, dovuta al fatto di essere stata narcotizzata, non rientrava in una delle quattro categorie previste dalla legge francese (violenza, coercizione, minaccia o sorpresa) benché fosse indubitabile che fosse stata stuprata. Celebriamo finalmente un 25 novembre all’insegna di un grande passo avanti in tema di violenza sessuale, senza però dimenticare che il cammino verso una società libera da questo odioso fenomeno è ancora lungo e tortuoso e passa attraverso un cambiamento culturale profondo, un’educazione sessuale e all’affettività seria, una consapevolezza di tutte e tutti che il patriarcato ancora esiste ed è alla base della violenza contro le donne; e se, come ci ricorda la Convenzione di Istanbul, riusciremo ad eliminare tutte le forme di discriminazioni che ancora le donne subiscono e che sono alla base dello squilibrio dei rapporti fra i sessi. L'articolo Finalmente il consenso al centro: cambia la legge sullo stupro in Italia. Un grande passo avanti proviene da Il Fatto Quotidiano.
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