La crisi geopolitica innescata dalla guerra, arrivata quasi al quarto anno,
della Russia contro l’Ucraina ha scatenato una corsa europea al riarmo che sta
compromettendo le relazioni anche tra membri della Nato, seppur da sempre in
rapporti difficili. È il caso della Grecia e Turchia. Funzionari turchi hanno
dichiarato che, pur essendo fermamente impegnata a trasformare il Mar Egeo in
una zona di pace e stabilità, la Turchia neutralizzerà risolutamente qualsiasi
minaccia, in risposta ai recenti commenti del ministro della Difesa greco, Nikos
Dendias, sui piani di Atene di schierare missili sulle isole dell’Egeo. “Tutti
gli sviluppi nella nostre regioni, comprese le attività militari della vicina
Grecia, vengono monitorati con attenzione. Come sottolineiamo costantemente, la
nostra priorità principale è la pace e la stabilità della nostra regione,
incluso il Mar Egeo. Ci assumiamo le nostre responsabilità di conseguenza e ci
aspettiamo dalla Grecia che persegua lo stesso approccio costruttivo”, hanno
dichiarato ai giornalisti fonti del ministero della Difesa turco il 4 dicembre.
Le osservazioni del ministero hanno fatto seguito alla dichiarazione di Dendias
su una nuova dottrina di difesa greca che include l’armamento delle isole
dell’Egeo con missili a guida di precisione, forniti principalmente da Israele.
La nuova dottrina greca viene considerata ostile dalla Turchia, che sta
rafforzando le proprie capacità difensive e di deterrenza in una regione densa
di conflitti armati. Il Mar Nero su cui si affacciano la Turchia, l’Ucraina e la
Russia, dopo l’annessione unilaterale della Crimea, è oggi uno dei luoghi dove
già si scontrano gli interessi non solo di questi paesi.
Le fonti hanno descritto le dichiarazioni come esagerate, irrealistiche e
fantasiose, senza altro scopo se non quello di danneggiare il clima positivo
basato su un accordo tra i leader dei due Paesi, il presidente Recep Tayyip
Erdogan e il primo ministro greco Kyriakos Mitsotakis. “Le Forze Armate turche
non rappresentano una minaccia per nessuno. Hanno, tuttavia, la forza e la
determinazione per eliminare qualsiasi minaccia che possa essere diretta contro
il nostro paese. Tutti i tentativi di prendere di mira la Turchia sono falliti
in passato e sono destinati a fallire in futuro”, hanno aggiunto le stesse
fonti.
Dendias, noto per le sue dichiarazioni incalzanti sulla Turchia fin dai tempi in
cui era ministro degli Esteri, in un discorso a margine di una conferenza
intitolata “Grecia in una prospettiva globale”, ha sostenuto che la Turchia
rappresenta la più grande minaccia per la Grecia e che sono necessarie misure
militari concrete per contrastarla. Ha affermato che, nell’ambito di una nuova
dottrina, la Grecia continuerà i suoi ambiziosi sforzi in materia di armamenti e
schiererà missili in molte isole greche, a costo di violare il diritto
internazionale. “L’Egeo non sarà protetto solo dalla Marina, bensì,
principalmente, da sistemi missilistici mobili dispiegati su centinaia, se non
migliaia, di isole. Sigilleremo il Mar Egeo dalla terraferma. Questo libererà
anche le operazioni navali dalla limitazione a questo stretto braccio di mare”,
ha affermato.
Erdogan e Mitsotakis nel 2023 avevano firmato la cosiddetta Dichiarazione di
Atene incentrata sulla volontà di mantenere buoni rapporti tra Turchia e Grecia
ed evitare passi che creerebbero nuove tensioni nell’Egeo e nel Mediterraneo.
Nel frattempo, la Turchia ha convocato alti diplomatici ucraini e russi presso
il ministero degli Esteri dopo i recenti attacchi alle petroliere che navigavano
nel Mar Nero. Anche se gli attacchi sono avvenuti in acque internazionali, sulla
base della Convenzione di Montreux del 1936, la Turchia ha piena sovranità e
responsabilità sugli Stretti (Bosforo e Dardanelli), potendo controllare il
passaggio delle navi da guerra in tempo di guerra, pur garantendo la libera
circolazione delle navi civili e mercantili in tempo di pace, rendendola un
attore chiave nella geopolitica regionale.
Secondo le informazioni ottenute dall’agenzia Anadolu, funzionari turchi hanno
espresso all’ambasciatore ucraino Nariman Celal e all’incaricato d’affari russo
Aleksei Ivanov la preoccupazione di Ankara. Il portavoce del ministero degli
Esteri turco, Öncu Keçeli, ha dichiarato in un post su X che gli attacchi alle
navi Kairos e Virat sono avvenuti all’interno della zona economica esclusiva
della Turchia e hanno rappresentato gravi rischi per la navigazione, la vita, la
proprietà e la sicurezza ambientale nella regione. “Ankara sta conducendo
colloqui con le parti interessate per impedire l’estensione della guerra contro
l’Ucraina attraverso il Mar Nero e per proteggere gli interessi economici della
Turchia”, ha aggiunto Keçeli.
Allo stesso tempo, la Turchia sta portando avanti le proprie attività
nell’ambito del Black Sea Mine Countermeasures Task Group (MCM Black Sea), una
missione co-fondata con Romania e Bulgaria.
L'articolo Mar Egeo, sale la tensione tra Grecia e Turchia. Il ministro degli
Esteri di Ankara: “Neutralizzeremo qualsiasi minaccia” proviene da Il Fatto
Quotidiano.
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La nostra ultima puntata di Coffee Tech del 29 novembre su La7 ha esplorato il
cambiamento nella nostra visione del futuro, passata da un ottimismo tecnologico
lineare (futuro ‘jetpack’) a una prospettiva più complessa e cinica (futuro
‘cyberpunk’). Questo fenomeno di ridefinizione collettiva del domani trova un
potente parallelo storico nella relazione tra Roma e la Grecia, descritta nella
mostra appena inaugurata ai Musei Capitolini La Grecia a Roma.
I Romani, pur vincitori militari, subirono una conquista culturale totale che ne
riscrisse l’orizzonte di aspirazioni. Prima dell’incontro con la Grecia, il
futuro di Roma era plasmato da valori pratici, marziali e agricoli. L’arte era
funzionale. L’incontro con la civiltà greca rappresentò uno “shock del futuro”:
i bottini di guerra non erano solo oggetti, ma i frammenti di un modello
alternativo di società, che privilegiava la bellezza ideale, la filosofia e la
perfezione formale. Questo “futuro” si rivelò più seducente del loro.
Come oggi adottiamo il linguaggio digitale globale, i Romani assimilarono il
lessico culturale greco, dalla lingua all’estetica. Questo non fu un processo
passivo. Le botteghe greche che producevano opere “in stile” per i romani sono
l’equivalente antico della nostra rielaborazione creativa di tecnologie globali,
un tentativo di trovare una voce originale all’interno di un paradigma
dominante.
La traiettoria romana mostra un’evoluzione esemplare: si passò dalla predazione
(il saccheggio dei generali e di Nerone) alla commissione (Adriano che pagava
artisti greci viventi). Questo segna il passaggio cruciale da consumatori
passivi a co-creatori attivi di un futuro condiviso, una lezione di maturità
culturale che è più che mai attuale per noi nell’era tecnologica.
Infine, l’episodio della statua di Lisippo, raffigurante l’atleta che si deterge
il sudore, restituita da Tiberio dopo le proteste popolari, dimostra che questa
nuova visione del futuro, basata sulla bellezza come bene comune, era diventata
un bisogno della collettività, non un lusso per élite. Anche oggi, la spinta per
un futuro tech più etico e sostenibile nasce similmente dal basso. Anche noi
oggi, infatti, viviamo un’epoca in cui una potente visione del futuro (quella
tecnologica) cerca di conquistare le nostre anime. La lezione di Roma è che la
sfida non è respingere questo incontro, ma gestirlo con la stessa intelligenza
finale, cioè assimilare, rielaborare e, come Adriano, imparare a diventare
architetti consapevoli, e non semplici spettatori, del domani.
In quest’ottica, la frase “I Romani conquistarono la Grecia, ma furono i Greci a
conquistare l’anima di Roma” assume tutto un altro significato.
L'articolo La Grecia a Roma: ai Musei Capitolini una mostra più che mai attuale
nell’era tecnologica proviene da Il Fatto Quotidiano.
L’imponente sciame di terremoti che ha scosso le isole greche di Santorini e
Amorgos nel 2025 non è stato causato da una faglia in scivolamento, ma da un
inatteso flusso di magma che agisce come un cuore sotterraneo, battendo con
cicli di espansione e contrazione. A scoprirlo è stato uno studio internazionale
– frutto della collaborazione tra l’ALomax Scientific (Francia), l’Università
Aristotele di Salonicco (Grecia) e l’University College London (Regno Unito) –
che offre uno sguardo inedito e dettagliato sulle dinamiche del magma a grandi
profondità. I risultati del lavoro sono stati pubblicati sulla rivista Science.
Tra la fine di gennaio e l’inizio di marzo, i ricercatori hanno analizzato oltre
25.000 terremoti che si sono verificati tra Santorini e le isole di Amorgos.
Centinaia di questi erano abbastanza forti con magnitudo superiore a 4,5. Lo
sciame sismico ha provocato lo stato di emergenza locale, la chiusura delle
scuole e l’allarme tra residenti e turisti di Santorini. Per decenni, l’origine
dell’agitazione sismica in aree vulcaniche attive come Santorini è stata oggetto
di dibattito, spesso attribuita a movimenti lungo le faglie o a intrusioni
magmatiche.
Nel nuovo studio il team di ricerca ha superato i limiti della sorveglianza
tradizionale applicando avanzati metodi di machine learning per individuare e
localizzare con precisione circa 25.000 terremoti registrati durante la crisi.
Questi tremori, normalmente visti solo come sintomi, sono stati trasformati in
veri e propri “sensori virtuali”. Sfruttando una nuova tecnica di imaging 3D
chiamata CoulSeS, i ricercatori hanno mappato come i cambiamenti di stress nel
sottosuolo abbiano innescato l’attività sismica, tracciando il percorso
migratorio dei sismi stessi. Il risultato è l’immagine chiara di un dicco, cioè
un intrusione di magma, in propagazione che non avanza in modo lineare, ma con
un meccanismo dinamico e sorprendente: il “flusso a pompa”.
Mentre il magma spingeva in avanti la sua sacca sotterranea, ha dovuto superare
ripetutamente delle “barriere di stress” nella crosta terrestre. Dopo ogni
rottura, il flusso si arrestava, per poi subire cicli dinamici di contrazione ed
espansione, un comportamento che ricorda i battiti di un cuore geologico.
“Abbiamo utilizzato un nuovo metodo per determinare la causa di uno sciame di
terremoti, trattando ciascuno dei 25.000 terremoti localizzati con precisione
come ‘misuratori di stress virtuali’, ovvero indizi su come lo stress stava
cambiando nel sottosuolo”, spiega Stephen Hicks, del Dipartimento di Scienze
della Terra dell’UCL. “Questo ci ha fornito un quadro robusto e ad alta
risoluzione di ciò che stava accadendo, consentendoci di escludere lo
slittamento della faglia come causa principale dei terremoti. La nostra tecnica
– continua – potrebbe essere applicata ai futuri sciami sismici quasi in tempo
reale e potrebbe consentirci di prevedere meglio la probabilità di eruzioni
vulcaniche o terremoti più forti”.
Le evidenze dello studio suggeriscono che il magma che ha causato i terremoti di
Santorini non si stava avvicinando alla superficie. “Se applicassimo la nostra
tecnica a sciami di terremoti simili in futuro, potremmo individuare con
precisione dove il magma potrebbe fuoriuscire e potenzialmente in che quantità”,
spiega Hicks. “Il nostro approccio utilizza solo dati provenienti dai sismometri
che registrano le vibrazioni del terreno, ed è quindi particolarmente utile per
gli eventi sottomarini in cui le immagini satellitari o il GPS terrestre,
utilizzati per individuare i cambiamenti nella posizione del terreno, potrebbero
non essere disponibili”, conclude.
Valentina Arcovio
Lo studio
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cosa ha provocato i terremoti del 2025 proviene da Il Fatto Quotidiano.
di Alberto Minnella
Negli ultimi vent’anni, in Italia, è successo qualcosa che non ha fatto rumore,
ma che ha cambiato parecchio: ci siamo abituati. Ci siamo abituati a una
politica che parla più in televisione che in Parlamento, a un dibattito pubblico
sempre più ridotto a slogan, a una partecipazione civile che si accende a
fiammate e poi si spegne. Non c’è stato un punto di rottura, nessun evento
traumatico: solo un lento scivolare verso un’idea di cittadinanza più passiva,
più spettatrice che protagonista.
È per questo che la memoria del 17 novembre 1973 ad Atene può tornare utile. Non
perché ci siano analogie immediate — la Grecia di allora viveva sotto una
dittatura militare — ma perché quella rivolta mostra un meccanismo universale:
quando un gruppo, anche piccolo, riesce a riappropriarsi della parola pubblica,
l’intero sistema entra in discussione. Gli studenti del Politecnico non
pensavano di fare la rivoluzione; volevano semplicemente dire la loro, e farlo
davanti a tutti. È stata la reazione del potere a trasformare la protesta in un
evento storico.
Guardando all’Italia degli ultimi due decenni, colpisce invece quanto il
dissenso sia diventato, poco a poco, qualcosa da osservare con sospetto. Le
piazze sono state spesso raccontate come un fastidio, le mobilitazioni come un
eccesso, le richieste sociali come capriccio o minaccia. E così ci si è abituati
all’idea che un conflitto — normale in una democrazia — vada subito ricondotto
all’ordine, neutralizzato, svuotato della sua funzione politica. È un
cambiamento lento ma significativo: quando un Paese smette di ascoltare il
dissenso, smette di ascoltare se stesso.
La storia greca del ’73 ricorda invece che la vitalità democratica nasce proprio
da lì: dal fatto che qualcuno, in un momento qualsiasi, decide che è arrivato il
momento di dire “non va bene così”, e che la società, nel suo insieme, prenda
quella voce sul serio. È un insegnamento che vale anche per noi: non servono
eroismi, serve lucidità. E la lucidità, in politica, significa partecipare,
discutere, mantenere vivo uno spazio pubblico in cui non sia sempre lo stesso a
parlare più forte.
Se oggi “tiriamo fiori” su quella memoria, non è per nostalgia, ma per
ricordarci una cosa molto semplice: la democrazia non è fatta solo delle grandi
occasioni. È fatta dell’attenzione quotidiana, della capacità di non lasciar
scivolare tutto, della volontà di non rassegnarsi alla versione più comoda dei
fatti. Gli studenti del Politecnico non cambiarono la storia da soli, ma
mostrarono che una società può risvegliarsi anche da una piccola crepa. È una
lezione che, negli ultimi vent’anni italiani, sarebbe stato utile ricordare più
spesso.
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va coltivata ogni giorno proviene da Il Fatto Quotidiano.