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Sciopero, in piazza anche i licenziati per i dazi di Trump: “Senza lavoro dalla sera alla mattina. Al governo dico ‘mettetevi nei nostri panni”
“I dazi di Trump non potevano non avere conseguenze. Ed eccoci qua”. Adriano è uno dei 42 lavoratori della Freudemberg di Rho che rischia di perdere il lavoro a causa della decisione dell’azienda di chiudere lo stabilimento dell’hinterland milanese. Il motivo? “I dazi di Trump”. Eppure il governo Meloni aveva annunciato che le politiche statunitensi del nuovo presidente americano non avrebbero avuto conseguenze sull’Europa. “Vorrei vedere loro nella nostra situazione che cosa avrebbero pensato – commenta con amarezza il lavorator – non potevano non avere conseguenze e noi le stiamo pagando”. L'articolo Sciopero, in piazza anche i licenziati per i dazi di Trump: “Senza lavoro dalla sera alla mattina. Al governo dico ‘mettetevi nei nostri panni” proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Sciopero Generale, i servizi a rischio e quelli garantiti: a Milano la M3 riapre alle 15. A Napoli chiusa la Linea 1
Prosegue lo sciopero generale lanciato per oggi dalla Cgil contro la nuova legge di bilancio. Le manifestazioni sono partite in tutte le principali città d’Italia. Cortei a Milano, Roma, Torino, Palermo, Napoli e non solo. A seguire i disagi segnalati e previsti in alcuni centri cittadini, soprattuto per quanto riguarda i trasporti. A Milano Atm fa sapere che dalle 8,45 alle 15 rimane chiusa la linea M3 della metropolitana, regolari invece M1,M2,M4,M5. Per i bus e tram di superficie deviate alcune linee nei pressi della manifestazione – che è partita alle 9.00 da Porta Genova e raggiungerà Piazza della Scala, dove sono previsti gli interventi di chiusura. Per il settore ferroviario, Trenord ha annunciato due fasce orarie di garanzia: 06.00 – 09.00 e 18.00-21.00. Previsti bus diretti, sostitutivi del servizio aeroportuale, in entrambe le direzioni tra Milano Cadorna (in partenza da via Paleocapa 1) e Malpensa Aeroporto. Garantite anche le corse tra Stabio e Malpensa Aeroporto. I treni della rete Ferrovienord subiranno probabili ripercussioni fino a mezzanotte, orario di termine previsto dello sciopero. Il consiglio per i passeggeri è quello di consultare l’elenco dei treni garantiti. A Napoli Trenitalia garantisce servizi minimi dalle 06.00 alle 09.00 e dalle 18.00 alle 21.00. Circumvesuviana presente dalle 05.30 alle 08.30 e dalle 16.30 alle 19.30. A seguito della grande adesione allo scioperò in città è stata dichiarata sospesa la Linea 1 della Metropolitana, insieme alle funicolari di Mergellina e Montesanto, per l’intera tratta. A Roma servizio regolare per la rete Atac, in sciopero pochi giorni fa. Coinvolto invece il servizio Cotral che riguarda le corse dei bus regionali, delle ferrovie della Roma Nord e della Metromare. Fasce di garanzia: inizio servizio – 8:30 e 17.00 – 20.00. Non assicurati i viaggi Trenitalia fuori dalle fasce 6.00 – 9.00 e 18.00 – 21.00. A Torino corteo da piazza XVIII Dicembre a Piazza Castello. Gtt ferma per 24 ore, con le fasce di garanzia solite che rimangono 06.00 – 09.00 e 12.00 – 15.00. Il servizio extraurbano si è fermato alle 08.00 di mattina, e riprenderà dalle 14.30 alle 18.30. Fermi Trenitalia e Italo, solite fasce per i regionali (06.00-09.00 e 18.00-21.00). In Liguria diverse scuole sono rimaste chiuse e nelle principali stazioni di Genova, quella di Brignole e Principe, risultano cancellati già diversi treni intercity e regionali. Situazione simile a Bologna. Disagi anche a Firenze, dove è presente il segretario Cgil Maurizio Landini. Previste fasce di garanzia, stabilite sempre a livello locale. Situazioni simili nelle altre città, in cui ovviamente – come avviene sempre e ovunque – a fare la differenza sarà l’adesione o meno dei lavoratori allo sciopero. L'articolo Sciopero Generale, i servizi a rischio e quelli garantiti: a Milano la M3 riapre alle 15. A Napoli chiusa la Linea 1 proviene da Il Fatto Quotidiano.
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L’insegnante di Genova e le polemiche per la foto con bambini e genitori in piazza per lo sciopero generale
“Oggi si sciopera. Insegnanti, genitori e bambini e bambine. Sempre fiera della mia scuola e della sua partecipazione. Perché non possiamo che occuparci dei bambini e delle bambine di tutti e tutte. Anche quelli lontano da noi. Siamo i loro occhi e la loro voce. Ce lo chiede la nostra Costituzione. W la Daneo W la scuola pubblica W Genova resistente. W la Palestina libera”. Sotto questo post pubblicato sul profilo Facebook della maestra e scrittrice, che insegna all’istituto “Daneo” di Genova, Cinzia Pennati, la foto di otto donne e sei bambini e bambine tra cui uno avvolto nella bandiera palestinese. Sullo sfondo i vessilli dei sindacati di base che venerdì scorso hanno proclamato lo sciopero generale di 24 ore contro la manovra finanziaria – improntata, per gli organizzatori, a “un’economia di guerra”- e per la Palestina. Uno scatto fotografico che ha sollevato parecchie polemiche tanto da ricevere oltre sei mila commenti tra i quali molte critiche come “Brava insegnante che prepara i bambini per i centri sociali ma i genitori dove sono?”. Oppure “Poveri bambini trascinati nell’ignoranza…”. Tra i tanti anche chi difende la maestra: “Ci fossero più insegnanti come lei, forse ci sarebbero meno risposte maleducate. Grazie per l’esempio che state dando” o “Bravissimi…insegnate l’altruismo e il rispetto dei diritti umani”. Il post dell’insegnate continua così: “W la scuola capace di dissentire da un governo che spende più soldi in armamenti, sovvenziona le scuole private e taglia fondi alle scuole pubbliche. Un governo che mette bavagli. Ps: tesserata Cgil da 28 anni, sono un po’ stanca di difese tiepide e divisioni. Si scende insieme. Si lotta insieme. Grazie Francesca Albanese Greta Thunberg e Thiago Avila. Ps: per questo venerdì di sciopero ho una trattenuta di 85 euro circa, che pesa sul Tfr e sulla pensione. Guai a chi mi parla di scelta di scioperare per stare a casa! Informatevi”. Parole che hanno sollevato un polverone. Pennati, contattata da ilfattoquotidiano.it, spiega: “Non ho molto da dire. Come lavoratrice ho esercitato il mio diritto di sciopero. I bambini e le bambine li ho incontrati con le loro famiglie in manifestazione. Come risulta dalla fotografia ciascuno era con il proprio genitore”. L’insegnante, che ha pubblicato diversi libri (tra cui l’ultimo “Questione di famiglia” per Sperling & Kupfer), a Genova è molto nota: da oltre vent’anni lavora come insegnante, si occupa di scrittura espressiva ed è formatrice. Nel dicembre 2016 ha aperto un blog, sosdonne.com, che tratta tematiche femminili e si rivolge a una community di oltre 30 mila follower. Un caso che non è passato inosservato al deputato leghista Rossano Sasso che sempre da Facebook ha attaccato la scrittrice: “Una maestra elementare che ha pubblicamente gioito per aver visto in piazza con sé anche bambini di sette anni, probabilmente i suoi alunni. Questo è quanto emerge da quanto la stessa insegnante, tale Cinzia Pennati, attivista politica già candidata con il centrosinistra in Liguria e mai eletta, ha pubblicato sui suoi canali social con tanto di foto. Si vedono alcuni bambini in maniera nitida (e quindi senza nemmeno oscurare il volto, come prescrive la normativa) bardati di bandiere palestinesi e kefiah, novelli propal infanti che anziché essere in classe erano in piazza insieme a bandiere rosse e simboli islamici. Voglio sperare e anzi, sono quasi certo che (ahimè) insieme ai bambini ci fossero anche i genitori, perché altrimenti saremmo dinanzi a qualcosa di molto grave”. A tutti, intanto, con garbo, Pennati, sul social sul social replica così: “Rispondo qui un grazie a chi mostra vicinanza e sentire. A chi usa parole di dissenso con spirito critico. Per chi è violento e insultante non voglio spendere nemmeno un attimo del mio tempo, oltre questa frase”. L'articolo L’insegnante di Genova e le polemiche per la foto con bambini e genitori in piazza per lo sciopero generale proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Sciopero generale 28 novembre, si ferma anche la sanità: visite ed esami, ecco cosa è a rischio. “Gli aumenti? Irrisori”
Medici, infermieri, ostetrici, tecnici della prevenzione, di laboratorio, della riabilitazione. Ma anche chi si occupa di gestire la prenotazione delle prestazioni o chi è impiegato nei servizi di accettazione. Tutti i lavoratori del comparto sanitario potranno partecipare allo sciopero generale del 28 novembre, indetto dai sindacati di base – Usb, Cobas, Cub e Sgb -, che anticipa la manifestazione nazionale in programma a Roma per il giorno successivo. “La situazione è sotto gli occhi di tutti. Lavoratori e cittadini toccano con mano la crisi della sanità. Quello che succede nei reparti, la carenza di personale, le condizioni di lavoro, le liste d’attesa. E questa legge di Bilancio non farà che peggiorare le criticità”, spiega a ilfattoquotidiano.it Stefano Corsini, membro del coordinamento nazionale pubblico impiego di Usb. Da qui la scelta di due giorni di protesta contro una manovra “che premia i redditi più alti, riduce i servizi e condanna i lavoratori a un’ulteriore perdita di potere d’acquisto, mentre il governo accelera su riarmo e spesa militare”. SERVIZI ESSENZIALI ED ESAMI: COSA È A RISCHIO Come sempre vale per gli scioperi in sanità, i servizi essenziali resteranno comunque garantiti. Pronto soccorso e chirurgia d’emergenza continueranno a operare regolarmente, così come l’assistenza ai pazienti già ricoverati, le cure domiciliari e le attività di prevenzione considerate urgenti. A rischio rinvio, invece, esami diagnostici, accertamenti e visite ambulatoriali. Possibili disagi anche per le funzioni amministrative legate a prenotazioni e accettazione delle prestazioni. “È il momento di tornare alla pratica del ‘Blocchiamo tutto’, già utilizzata con efficacia in solidarietà al popolo palestinese, contro il genocidio e in supporto alla Global Sumud Flotilla – spiega il sindacalista -. Contro una legge di Bilancio povera e di guerra, che prevede la militarizzazione della spesa pubblica. Basti vedere le risorse stanziate dall’esecutivo per raggiungere gli obiettivi imposti dalla Nato o quanto previsto dal piano ReArm Europe”. “DEFINANZIAMENTO REALE” Un cortocircuito, spiega, reso ancora più evidente se confrontato con quanto messo sul tavolo dal governo per la salute. Il Fondo sanitario crescerà di 6,6 miliardi di euro nel 2026, ma la spesa pubblica si fermerà al 6,5% del Pil, percentuale inferiore sia alla media Ocse (7,1%), sia a quella Ue (6,9%). “Dopo aver dovuto ascoltare una serie infinita di dichiarazioni sul record di stanziamenti in sanità, possiamo affermare con certezza che il definanziamento reale del Servizio sanitario nazionale non si ferma – prosegue – Nel 2028 per la prima volta il Fondo sanitario scenderà sotto la soglia del 6% rispetto al Pil. L’aumento di risorse assolute di cui parla il governo è fumo negli occhi se non viene parametrato con l’inflazione che lo divora”. Discorso che vale anche per gli aumenti di stipendio previsti dal contratto Sanità della Pubblica amministrazione, firmato a fine ottobre, per il triennio 2022-2024. Soprattutto alla luce dei dati diffusi dall’Istat, secondo cui negli ultimi quattro anni i prezzi dei beni alimentari in Italia sono aumentati del 25%. GLI AUMENTI DI STIPENDIO? “IRRISORI” “Tutto dovrebbe essere riparametrato all’inflazione – commenta Corsini – In tal senso, il contratto appena firmato grida vendetta. Sono stati lasciati per strada dieci punti reali di potere d’acquisto. A novembre i lavoratori si renderanno conto effettivamente degli aumenti irrisori che riceveranno in busta paga: circa 30 euro netti al mese per un infermiere con anni di anzianità”. E riguardo al piano straordinario di assunzioni promesso dall’esecutivo, per Corsini ci troviamo di fronte “all’ennesima politica dell’annuncio, perché 6mila infermieri in più sono una barzelletta”. In Italia, ne mancano più di 65mila – anche se secondo i sindacati di categoria la carenza è quasi tre volte maggiore – e nei prossimi anni questa penuria peggiorerà ancora, visto che sempre meno giovani scelgono di intraprendere questa professione. “A queste condizioni lavorative e salariali, in ogni caso, sarà difficile anche assumere i 6mila professionisti previsti dalla manovra. Le condizioni economiche non sono sostenibili. Banalmente, come pensiamo che un infermiere possa vivere in una città cara come Milano con questi stipendi?”, conclude Corsini. L'articolo Sciopero generale 28 novembre, si ferma anche la sanità: visite ed esami, ecco cosa è a rischio. “Gli aumenti? Irrisori” proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Sciopero generale, venerdì a rischio i trasporti e manifestazioni in tutta Italia
Contro la legge di Bilancio e le politiche economiche e fiscali del governo, nonché contro il ddl Sicurezza e l’Autonomia differenziata. Ritorna il “Blocchiamo tutto” del sindacalismo di base con un nuovo sciopero generale. Venerdì 28 si fermano tutti i settori privati e pubblici per l’astensione dal lavoro invocata da Usb, Cobas e altre sigle di base. Manifestazioni sono previste in diverse città con la principale a Roma dove il corteo partirà da piazza Indipendenza alle ore 9.30, attraverserà il centro sfilando davanti al ministero dei Trasporti e al ministero dell’Economia, per terminare a piazza Barberini dove si svolgerà un’assemblea pubblica. Al corteo, oltre ai lavoratori pubblici e privati in sciopero, parteciperanno centri sociali, strutture di movimento, studenti e giovani precari. Manifestazioni sono in programma anche a Torino, Milano, Padova, Bologna, Pisa, Lucca, Siena, Terni, Ancona, Pescara, Termoli, Napoli, Potenza, Brindisi, Cosenza, Catania, Siracusa, Palermo e Cagliari. “Avremmo voluto partecipasse anche la Cgil per ripetere la grande e assai produttiva unità del 3 ottobre scorso: ma i nostri appelli non sono stati ascoltati e la Cgil ha preferito scioperare da sola e fuori tempo massimo il 12 dicembre quando l’iter della legge di Bilancio sarà in conclusione”, dice la confederazione Cobas. L’invito a scioperare è per chiedere massicci investimenti nella scuola, sanità, trasporti, con il taglio drastico delle spese militari; la stabilizzazione di tutti i precari e dei lavoratori in appalto della Pubblica amministrazione; aumenti salariali che recuperino quanto perso (circa il 30%) nell’ultimo ventennio; l’adeguamento delle pensioni all’inflazione, rendendole pari all’ultimo stipendio in servizio; la riduzione dell’orario di lavoro e l’introduzione per legge del salario minimo; la fine del sostegno militare allo Stato di Israele, in solidarietà con la lotta del popolo palestinese. Lo sciopero è anche convocato contro le politiche economiche e fiscali della Finanziaria e lo spostamento di risorse dalle spese sociali agli armamenti; la privatizzazione delle aziende energetiche, delle poste, delle telecomunicazioni, del trasporto pubblico, dei servizi di igiene ambientale, della sanità, dell’istruzione; la violenza di genere e ogni divario salariale di genere; il Ddl Sicurezza che criminalizza il conflitto sociale e l’Autonomia differenziata che acuisce le differenze sociali tra le diverse regioni. L’impatto più importante è come sempre atteso nei trasporti. Lo sciopero interesserà il personale del gruppo Fs italiane dalle ore 21 di oggi, giovedì 27, alle ore 21 di domani. Per il trasporto regionale sono garantiti i servizi essenziali previsti in caso di sciopero nei giorni feriali: dalle ore 6 alle 9, e dalle ore 18 alle 21 di venerdì 28 novembre. Trenitalia, tenuto conto delle possibili ripercussioni sul servizio, invita i passeggeri a informarsi prima di recarsi in stazione. A Roma è a rischio la mobilità delle tratte Atac nel trasporto pubblico locale, con fasce di garanzia da inizio servizio alle 8.29 e dalle 17 alle 19.59. A Milano saranno invece regolari i mezzi di Atm, che si fermeranno domenica 30, mentre è coinvolta Trenord. L'articolo Sciopero generale, venerdì a rischio i trasporti e manifestazioni in tutta Italia proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Il pessimo rinnovo contrattuale dei metalmeccanici rafforza le ragioni dello sciopero generale
Se si vuole cogliere dal vivo una delle principali ragioni per cui il sistema salariale italiano da anni precipita verso il basso ed è il peggiore tra i paesi più sviluppati, basta guardare al rinnovo del contratto dei metalmeccanici, appena sottoscritto tra FimFiomUilm e Federmeccanica. Negli ultimi anni la perdita di potere d’acquisto per un lavoratore metalmeccanico di livello medio è stata di più di 250 euro netti al mese. Per recuperare questa perdita, i salari contrattuali avrebbero dovuto crescere di circa 350 euro lordi. La richiesta dei sindacati confederali per il rinnovo del contratto triennale, dall’inizio del 2025 alla fine del 2027, è stata di 280 euro in più al mese. FimFiomUilm hanno spiegato questa richiesta, inferiore a ciò che sarebbe stato necessario per pareggiare i conti con la perdita salariale, con altre importanti rivendicazioni normative. Prima di tutto la riduzione dell’orario di lavoro a 35 ore settimanali, poi un potenziamento delle funzioni e dei poteri dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza, infine rivendicazioni contro il precariato e per i diritti individuali. Il risultato finale, tanto esaltato in queste ore dai dirigenti sindacali e ancor più dagli industriali, cancella la piattaforma. L’aumento salariale è di 205 euro lordi medi, con il prolungamento di un anno della durata del contratto. Allungare la durata del contratto è un classico metodo negli accordi sindacali per fare sembrare di più i soldi. Ma in realtà l’aumento effettivo è di 177 euro, perché 28 erano già stati erogati ai lavoratori nel giugno di quest’anno, in virtù del meccanismo di rivalutazione dei salari basato sull’Ipca. Questo indice dell’aumento dei prezzi è stato adottato dal contratto dei metalmeccanici, però con una pesante limitazione: i costi dei prodotti energetici importati non vengono calcolati. Cioè l’aumento dell’energia elettrica, del gas e della benzina per la busta paga non contano. All’inizio della trattativa la Federmeccanica aveva controproposto un aumento di 170 euro. Il risultato finale è dunque di 7 euro in più della proposta delle imprese, però con il contratto che dura anche nel 2028. Fino al giugno dell’anno prossimo i metalmeccanici non riceveranno alcun aumento, poi scatteranno circa 50 euro in più, mesi dopo seguiranno altre piccole tranches. L’ultima rata dell’aumento di oltre 60 euro sarà addirittura nel giugno del 2028. Per quanta riguarda la riduzione dell’orario non si ottiene nulla, anzi c’è un peggioramento delle condizioni dei lavoratori, con l’aumento delle ore di flessibilità obbligatoria e la diminuzione della giornate di riposo libere. Nulla sulla salute e la sicurezza, pasticci e chiacchiere su tutto il resto. Insomma un risultato negativo sul piano normativo e pessimo su quello salariale. L’intesa FimFiomUilm-Federmeccanica non recupera nulla di quanto i lavoratori hanno perso e rischia di peggiorare ancora nel tempo il valore reale delle retribuzioni. Un risultato persino inferiore a quello degli accordi in alcune categorie del pubblico impiego, accordi che la Cgil aveva rifiutato di sottoscrivere perché giudicati troppo bassi. Invece ora per Landini questo contratto è “una buona notizia per tutto il paese”. La firma del contratto dei metalmeccanici conferma che è ancora pienamente in vigore il sistema di compressione dei salari definito con gli accordi di “concertazione” del 1992-93, sistema rinnovato e anche peggiorato in diverse intese, fino al “Patto della Fabbrica” del 2018. Negli ultimi trent’anni l’Italia ha avuto la peggiore dinamica salariale tra i paesi Ocse, non solo per le politiche di austerità dei governi, ma per la complicità di Cgil-Cisl-Uil con il sistema delle imprese. I sindacati confederali hanno accettato di scambiare, con la Confindustria e le organizzazioni imprenditoriali, il riconoscimento del proprio ruolo con il salario dei lavoratori. Hanno accettato regole che impediscono di rivendicare veri aumenti della retribuzione e che impongono sempre di inseguire in ritardo l’aumento dei prezzi. Il sistema contrattuale italiano è come la carota appesa al bastone davanti all’asino, che per quanto cammini non riesce mai a raggiungere l’obiettivo. Sembrava che stavolta i sindacati confederali dei metalmeccanici avessero provato a forzare un poco il sistema, ma dopo quaranta ore di sciopero hanno praticamente accettato ciò che gli industriali offrivano all’inizio. Abbiamo salvato il contratto nazionale, hanno dichiarato i dirigenti di FimFiomUilm. No, hanno confermato un sistema contrattuale che fa sprofondare i salari e garantisce i profitti. Tutto questo rafforza il significato e il valore dello sciopero generale del 28 novembre, proclamato dai sindacati di base e conflittuali. È infatti necessaria una profonda rottura del sistema contrattuale fondato sia sull’austerità di bilancio dei governi, sia sulla complicità tra sindacalismo confederale e imprese. Senza questa rottura continuerà il disastro dei salari, che certo non sarà fermato dalla doppiezza di una Cgil che contesta a Giorgia Meloni ciò che accetta volentieri da Confindustria. L'articolo Il pessimo rinnovo contrattuale dei metalmeccanici rafforza le ragioni dello sciopero generale proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Scioperi e libertà d’informazione: dov’è la terzietà dei “Garanti”?
Un “garante” segue l’altro: 150mila euro di penale comminati dalla Commissione per la “Privacy” (con i voti dei consiglieri di destra ma anche del presidente Pd e del membro Cinque Stelle) a Sigfrido Ranucci di Report per colpire la libertà d’informazione; poi fino a 2 milioni di euro che la Commissione sugli scioperi vorrebbe togliere alle 8 Confederazioni (Cgil, Usb, Cobas, Unicobas, Cub ed altri) che hanno proclamato lo sciopero generale del 3 ottobre per Gaza e a ognuna delle loro articolazioni di categoria (circa 40 differenti soggetti giuridici). I “garanti” sono delle autocrazie, manganelli del governo e dei poteri forti? Nel merito dello sciopero, va detto che l’illegittima aggressione armata da parte dello Stato di Israele contro imbarcazioni civili (diciotto delle quali battenti bandiera italiana) in navigazione per Gaza, avvenuta il primo ottobre (quando abbiamo proclamato lo sciopero), ha imposto l’obbligo morale di chiamare i lavoratori italiani a manifestare con urgenza per l’incolumità e la sicurezza dei cittadini e dei lavoratori imbarcati nella Global Sumud Flotilla, impegnati in azioni umanitarie di solidarietà verso la popolazione palestinese, vittima, come ritenuto dall’Onu, per due anni, di un attacco militare indiscriminato che ha ucciso 80mila persone, prevalentemente civili, fra le quali almeno 20mila minori, con centinaia di migliaia di feriti privati persino di medicinali, cibo e acqua potabile. Dunque, anche per la rapida successione degli avvenimenti, doveva applicarsi l’art. 2, comma 7, della L. 146/1990 sul diritto di sciopero che esime da regole e preavviso quando si tratta di difendere i principi costituzionali. La delibera restrittiva del 2.10.2025 della Commissione di Garanzia contraddice lo spirito della norma. Il 3 ottobre si trattava di spingere il governo italiano a proteggere quanti erano sulla Flotilla, almeno fino al limite convenzionale di 12 miglia dalla costa, in acque territoriali impropriamente gestite da Israele di fronte alla striscia di Gaza (entità palestinese). La Marina Militare, della quale sarebbe bastata la mera presenza, ha seguito gli eventi soltanto fino a 150 miglia dalla costa, per poi abbandonare i naviganti (ed i propri cittadini) in balia di Israele, che aveva annunciato di voler trattare i componenti della Flotilla come “terroristi”. L’illegale abbordaggio, con il sequestro ad armi spianate delle persone e dei natanti, è infatti avvenuto in acque internazionali, fra le 60 e le 70 miglia marine dal terra: un vero e proprio atto di pirateria, vietato dal diritto internazionale, con precise regole d’ingaggio vincolanti anche per il nostro Paese. Lo sciopero generale risultava l’unico strumento per consentire ai lavoratori italiani di esprimersi immediatamente contro la connivenza del governo italiano, nonché contro l’aggressione dello Stato di Israele al Popolo Palestinese e ai suoi sostenitori, a cominciare dai membri della Flotilla. Il governo non ha seguito le prescrizioni costituzionali, eludendo il ripudio della guerra e sostenendo uno stato aggressore. Sinergie militari con Israele, scambi commerciali e di materiale bellico coinvolgenti società e imprese italiane, anche pubbliche o partecipate, considerata l’indiscriminata violazione del diritto internazionale, avrebbero dovuto (e devono) essere interrotti. Ma l’Italia ha votato in sede Ue contro qualsiasi sanzione ad Israele ed ha rassicurato Netanyahu quando gli è stato spiccato contro un mandato d’arresto internazionale. Costituzionalmente, l’astensione collettiva dal lavoro è uno degli strumenti a tutela dei diritti inviolabili: libertà di espressione e partecipazione sindacale e politica, di opinione e di manifestazione. Senza lo sciopero i lavoratori italiani non avrebbero potuto manifestare tempestivamente durante l’orario lavorativo. Tale esigenza è stata confermata dall’enorme presenza di piazza in tutto il territorio nazionale. Infine, il procedimento della Commissione di Garanzia non è solo giuridicamente viziato e volutamente repressivo, ma risulta persino raffazzonato. La premura persecutoria, caldeggiata fra gli altri dal ministro Salvini, ha indotto la Commissione in errori madornali. Oltre ad un preavviso di 2 giorni anziché 10, viene contestato il mancato rispetto dei termini di interruzione con piccoli scioperi locali e di settore già previsti da organizzazioni diverse, quando in passato la medesima Commissione ha considerato lo sciopero generale “assorbente” e prevalente sugli altri. Ma il massimo dell’improvvisazione sta nel contestare alla Cib Unicobas uno sciopero nei trasporti, mai proclamato onde evitare ai lavoratori i rischi legati alla minacciata precettazione. Poi l’Unicobas Scuola e Università, sindacato autonomo e distinto (che ha evitato la proclamazione esistendo già una regolare indizione per il comparto da parte del SiCobas), viene chiamato in causa come la Cib Unicobas, unico ente proclamante. L’Unicobas Scuola è attivo in un settore ove lo sciopero è stato considerato legittimo: sarebbe stato controproducente metterlo a rischio con un’ulteriore inutile indizione fuori dai termini di legge. La confusione ci espone ad un raddoppio della sanzione. Quanti hanno a cuore la libertà d’espressione, la democrazia ed il diritto delle organizzazioni sindacali di indire scioperi quando questo è decisivo, e quello dei lavoratori di aderirvi, devono vigilare attentamente sulla conclusione di queste inaudite vicende. Anche per questo il sindacalismo di base sciopera di nuovo il 28 novembre. L'articolo Scioperi e libertà d’informazione: dov’è la terzietà dei “Garanti”? proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Botta e risposta su La7. Mieli spinge sul riarmo, Landini si oppone: “Vediamo prima come l’Ucraina spende i fondi inviati”
Botta e risposta a In onda (La7) tra il segretario dela Cgil Maurizio Landini e il giornalista Paolo Mieli sullo sciopero generale del 12 dicembre contro la Legge di Bilancio 2026 del governo Meloni, ritenuta “ingiusta, sbagliata e insufficiente” perché non affronta le emergenze sociali e lavorative del paese. Durante la trasmissione, Landini spiega le ragioni della contestazione: il mancato aumento dei salari e delle pensioni, l’innalzamento dell’età pensionabile, la precarietà nel lavoro, i tagli a sanità pubblica, istruzione e welfare, la mancanza di giustizia fiscale e il focus su misure che premiano i redditi alti (come rilevato da Istat, Banca d’Italia e Ufficio parlamentare di bilancio). E aggiunge: “Questi non fanno altro che condoni fiscali, ora in manovra hanno infilato il quindicesimo condono. Ormai raccontano balle. Non avevano un promesso che se vincevano le elezioni loro avrebbero cancellato la Fornero? Bene, hanno aumentato l’età pensionabile, non hanno fatto la pensione di garanzia per i giovani, addirittura hanno tolto “Opzione donna” e quelle forme di flessibilità che possono aiutare coloro che fanno i lavori più gravosi. Questi stanno facendo cassa, come sempre sui lavoratori dipendenti e sui pensionati“. Il sindacalista poi sottolinea: “Di fatto, l’unico investimento pubblico che viene previsto nei prossimi tre anni è quello nelle armi. Se tu prendi la legge di bilancio di quest’anno, alla voce ‘investimenti pubblici’ c’è zero. E infatti l’Ilva sta per chiudere perché non vogliono intervenire. Cè una crisi industriale nel nostro paese che sta andando avanti da 31 mesi. Capite perché siamo arrivati alla proclamazione dello sciopero? Il governo Meloni vuole che non si scioperi? Noi l’abbiamo proclamato un mese e mezzo prima, quindi c’è il tempo per aprire una trattativa e per cambiare queste cose”. Mieli obietta: “Non gettiamo lì le armi in questo modo demagogico. Si tratta di partecipare a un progetto europeo di riarmo anche in funzione di una guerra che è ancora in atto. Allora io faccio una domanda a Landini: alla precedente manifestazione giustamente faceste sventolare bandiere palestinesi. Se non ci sarà una pace, farete sventolare le bandiere dell’Ucraina? Anche lì muoiono delle persone sotto le case, donne, bambini, da doppio del tempo”. Immediata la risposta di Landini: “Noi siamo scesi in piazza perché vengano fermate tutte le guerre“. “Quindi farete sventolare bandiere ucraine?”, incalza Mieli. “Ma certo – risponde il segretario della Cgil – Il 25 ottobre, quando abbiamo riempito piazza San Giovanni a Roma, ha parlato il segretario del sindacato mondiale. E la posizione del sindacato mondiale, non della Cgil, è quella di bloccare il processo di di riarmo che si è avviato nel mondo, perché siamo di fronte a un aumento delle spese per armi in tutto il mondo che non ha precedenti”. “L’Ucraina è il punto, segretario”, ribatte Mieli. “Sì – risponde Landini, che cita lo scandalo corruzione a Kiev – sull’Ucraina vediamo anche come vengono spesi i soldi che vengono dati“. L'articolo Botta e risposta su La7. Mieli spinge sul riarmo, Landini si oppone: “Vediamo prima come l’Ucraina spende i fondi inviati” proviene da Il Fatto Quotidiano.
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