“Se passa il principio che Trump decide dall’altra parte del mondo e qui le
aziende chiudono e se ne vanno, rischia di essere seguito a ruota da altre
imprese”. Davanti ai cancelli della Freudenberg di Rho la rabbia è ancora tanta
dopo la decisione dell’azienda (che produce filtri industriali) di chiudere lo
stabilimento lasciando a casa 42 persone. Una scelta che secondo la
ricostruzione dei sindacati sarebbe stata motivata proprio dai “dazi di Trump”.
E così nelle assemblee di ieri e oggi, i lavoratori hanno optato per altre otto
ore di sciopero previsto per il 15 dicembre per “contestare la decisione del
gruppo di chiudere e delocalizzare la produzione negli Stati Uniti e in
Slovacchia”. E proprio in quella giornata i lavoratori si recheranno in
Germania, a Weinheim, per protestare davanti alla sede centrale del Gruppo
Freudenberg e chiedere la disponibilità a un tavolo con un soggetto che sarebbe
interessato al subentro. Intanto davanti ai cancelli dello stabilimento di Rho,
oggi una delegazione del Movimento 5 Stelle guidata dalla deputata Chiara
Appendino e dall’eurodeputato Gaetano Pedullà oltre ai consiglieri regionali di
Pd e Avs ha incontrato i lavoratori criticando gli effetti della politica dei
dazi di Trump: “Per il governo erano un’opportunità – attacca Appendino – ma
sono un’opportunità i 42 licenziamenti?”.
L'articolo L’azienda di Rho lascia 42 lavoratori a casa. “Colpa dei dazi di
Trump. Il rischio è che lo facciano anche altre imprese” proviene da Il Fatto
Quotidiano.
Tag - Industria
Su diciotto settori industriali, in Europa uno solo è in crescita: l’aerospazio.
Tutti gli altri diciassette sono fermi se non addirittura in preoccupante calo,
in particolare l’automotive e l’acciaio che interessano da vicino l’Italia, alle
prese con la produzione ai minimi di Stellantis e la morte annunciata dell’Ilva.
Persino il comparto della difesa, che pure sta ricevendo la spinta dei piani di
riarmo, sconta la difficoltà di essere troppo permeato dagli Stati Uniti. A
Bruxelles è stato presentato il report realizzato da Syndex per IndustriAll, il
sindacato europeo dei metalmeccanici. Il documento ha un titolo che non si serve
di giri di parole: Ending european naivety, ovvero “finiamola con l’ingenuità
europea”. Scatta una drammatica fotografia dello stato della manifattura nei
Paesi Ue e chiede alle istituzioni di intervenire con una cura choc per evitare
il tracollo, visto che al momento ci sono oltre 4 milioni di lavoratori
interessati da ammortizzatori sociali.
PROBLEMI IN TUTTI I REPARTI
Volendo prendere in prestito la metafora calcistica, l’industria europea può
essere descritta come una squadra che ha problemi in tutti i reparti.
Innanzitutto in attacco, perché l’austerità fiscale blocca gli investimenti e
comprime i consumi interni. Poi in difesa, perché ci sono pochi e inefficaci
strumenti per proteggere le nostre fabbriche dalla concorrenza cinese e
americana, dal dumping salariale e dalla eccessiva dipendenza energetica.
Infine, è del tutto carente quello che potremmo definire il settore giovanile:
gli investimenti in ricerca, sviluppo e formazione sono troppo bassi, l’età
media della forza lavoro è elevata e si fa fatica a favorire il ricambio
generazionale.
UE A RISCHIO DESERTIFICAZIONE
Insomma, senza un drastico cambio di rotta si rischia una perenne
desertificazione industriale. Sorride solo l’aerospazio, che va meglio dei suoi
competitori statunitensi e molto meglio di quelli cinesi. L’industria del solare
è stata annientata dalla Cina, così come Pechino domina quella delle componenti
per le telecomunicazioni. E ancora, la farmaceutica è sotto pressione da parte
degli Stati Uniti, oltre che dipendente da Cina e India. Questa situazione è
definita dal sindacato “una precisa scelta politica”, dettata soprattutto dal
patto di stabilità che pone un freno agli investimenti e alla domanda interna.
Ecco perché IndustriAll chiede di tornare a sospendere la stretta fiscale, come
fatto durante il Covid.
L’URGENZA? I COSTI DELL’ENERGIA
L’urgenza è rappresentata dal capitolo energia. I costi sono determinati dal
ristretto mercato del gas e l’Europa sta assorbendo la costosa crescita
dell’offerta americana, anche se continua a consumare gas e petrolio russi. La
transizione ecologica è una sfida fondamentale e, secondo gli autori del report,
bisognerebbe programmarla facendo sì che porti con sé nuove assunzioni. Anche da
questo punto di vista va contraddetto il luogo comune per cui una maggiore
regolamentazione rallenta lo sviluppo: anzi è “ironico” che mentre l’Europa
tenta di ridurre la regolamentazione, la Cina introduce nuovi standard di
sostenibilità.
INDUSTRIALL CHIEDE LA DIFESA DEL MERCATO INTERNO
Si diceva della carenza difensiva dell’Europa: ci sono pochi mezzi per
contrastare le importazioni da Paesi che attuano il cosiddetto dumping, per
esempio utilizzando fonti inquinanti e non riconoscendo diritti e giuste
retribuzioni a chi lavora. Ecco perché il rapporto IndustriAll chiede una
maggiore difesa del mercato interno, rendendo “non gratuito” l’ingresso di
merci. Il riferimento è alla possibilità di inasprire le tariffe per far entrare
prodotti realizzati con alto apporto di carbonio, quindi rendere ancora più
severo il Cbam (Meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere) che oggi
regola la materia.
ANCHE LA RICERCA PERDE TERRENO
Anche nella ricerca l’Europa sta perdendo terreno: è messa bene per quanto
riguarda quella di base, ma non in quella cosiddetta applicata. Mentre negli
Stati Uniti l’obiettivo è stato aumentare la capacità produttiva, nel nostro
continente ci si è concentrati più sulla sostituzione. Ma soprattutto,
l’atteggiamento europeo è ancora focalizzato sulla gestione di una crisi, e non
tanto sulla pianificazione dello sviluppo. Le diverse normative nazionali sul
mercato del lavoro aggravano la carenza di manodopera competente.
LA RICHIESTA: AIUTI SOLO SE PROFITTI REINVESTITI
C’è anche un passaggio sul rapporto tra la finanza e l’industria. Il rapporto
del sindacato sostiene che in Europa i profitti non vengono reinvestiti, e che
il nostro continente è il primo per distribuzione degli utili agli azionisti.
Ecco perché l’altra proposta è creare una condizionalità negli aiuti pubblici:
non concederli a pioggia ma vincolarli a investimenti in occupazione, formazione
e ricerca.
LE REGOLE INTERNE NON FANNO BARRIERA
In definitiva, il rapporto racconta l’industria europea come un settore
stritolato da due superpotenze come Cina e Stati Uniti, interventiste e
protezioniste. Le regole interne inceppano gli investimenti e non pongono
barriere alle “minacce” esterne sul piano energetico e del dumping ambientale e
salariale. Vale la pena ricordare, al di là dello studio europeo, che il caso
italiano è emblematico: da due anni il dato sulla produzione industriale è in
calo, al netto di qualche ripresa occasionale. A pesare sono le questioni più
spinose, ex Ilva e Stellantis.
L’AUTO IN LOTTA PER LA SUA SOPRAVVIVENZA
Proprio l’automotive è uno dei settori più indagati dal report. La produzione di
veicoli è diminuita in “maniera preoccupante” nel 2024 con un calo del del 6,1%
e si prevede un’ulteriore diminuzione nel 2025, mentre i cinesi trainano i
volumi mondiali con un numero di vetture assemblate che ha superato la richiesta
del mercato interno nel 2021 e lo scorso anno era superiore del 15%. Una
tendenza che – secondo IndustriAll – non si arresterà negli anni a venire. Il
comparto è definito “sotto minaccia” dal sindacato europeo con impatti a valle
sull’intera catena: i produttori automobilistici europei stanno “lottando”, si
legge nel report, nel quale gli autori avvisano che il “picco dell’onda non è
ancora arrivato”. Il rischio è che diversi pezzi della filiera “non
sopravvivano”.
LE CINESI IN UE SÌ, LE AUTO EUROPEE LÌ NO
Anche perché in futuro, stando ai dati, si rischia un’invasione cinese. L’ascesa
dei marchi di Pechino sembra inarrestabile: IndustriAll fa notare che i
produttori automobilistici del Paese asiatico sono in crescita (6 gruppi cinesi
sono ora nella Top 20 delle immatricolazioni europee e BYD è nella Top 10),
mentre le vendite dei produttori stranieri in Cina sono in calo. Quando la quota
di elettrico aumenterà (oggi è al 17%), il trend rischia di impennarsi
definitivamente perché l’offerta di veicoli senza motori endotermici da parte
delle cinesi sta raggiungendo o superando quella dei produttori occidentali.
LA PERDITA DI KNOW HOW, UNO SCENARIO PLAUSIBILE
La conclusione è drammatica nel lungo periodo, non solo per le materie prime
legate alle batterie, ma anche perché la ricerca e sviluppo – secondo il
sindacato – è minacciata a causa dell’attrattiva crescente delle piattaforme
ideate in Cina e India, che consentono uno sviluppo più rapido a costi
inferiori. Il rischio è che vada totalmente disperso il know how. Se il settore
automobilistico europeo continuerà a ridurre le sue capacità di produzione e
progettazione e a esternalizzare gli acquisti al di fuori dell’Europa, ad avviso
degli autori, presto non avrà più i volumi necessari per essere redditizio, né
le competenze e l’esperienza richieste per la sua trasformazione.
DE PALMA: “RISCHI ENORMI, SERVE MOBILITAZIONE EUROPEA”
“L’industria europea sta correndo un rischio enorme a causa delle mancate scelte
e dei mancati investimenti privati e pubblici dalla Commissione e dell’Unione,
dei Governi ma anche alle scelte sbagliate che le multinazionali stanno facendo
in questo momento”, dice il segretario della Fiom-Cgil Michele De Palma. “Il
numero che mi ha particolarmente colpito della relazione di Judith
Kirton-Darling, segretaria generale di IndustriAll Europe, è quello dei 4,3
milioni di lavoratrici e di lavoratori in Europa che sono in questo momento
interessati da ammortizzatori sociali e quindi non pienamente al lavoro a cui si
aggiungono i lavoratori già licenziati, decine di migliaia. Questo segnala il
rischio in Europa di perdita di ulteriori posti di lavoro e di perdita quindi
della sovranità industriale europea”. Secondo De Palma è “fondamentale” che “ci
siano proposte condivise da parte dei sindacati europei dell’industria” e
“necessaria” una mobilitazione “nei confronti dei Governi e dell’Unione europea
per rimettere al centro le lavoratrici e i lavoratori dell’industria per
garantire autonomia e democrazia”.
L'articolo Sotto l’aerospazio, niente: tutti i settori industriali Ue in crisi.
“Tra costi dell’energia e interventismo di Usa e Cina si rischia il deserto”
proviene da Il Fatto Quotidiano.