Per decenni ha tenuto compagnia a milioni di bambine che ci hanno giocato
inventando le storie più disparate, oggi la Barbie è motivo di polemica
politica. Succede ad Arcore, città amministrata da Fdi in provincia di Monza e
Brianza, dove dal 6 dicembre al 18 gennaio 2026 è possibile visitare la mostra
“Le donne: 500 fashion Barbie dolls” presso Villa Borromeo d’Adda. L’iniziativa
è promossa dall’amministrazione comunale in chiusura del mese di novembre
dedicato alla lotta alla violenza di genere. E proprio la scelta di legare
l’evento alla battaglia per la prevenzione, ha suscitato numerose contestazioni.
È il caso di Carla Giuzzi, responsabile diritti segreteria Sinistra Italiana
Monza e Brianza, che in un post su Facebook, pur definendo “meritevole”
l’intenzione di destinare il ricavato delle offerte alla Caritas della Comunità
pastorale Sant’Apollinare, parla della celebre bambola come di “un modello di
donna che è alla base della violenza di genere in quanto vista solo come ‘un
oggetto’ da possedere”.
“BARBIE È MODELLO DI DONNA STEREOTIPATO”
Se Valentino Damiano Donghi, direttore artistico della mostra, la descrive come
“un racconto sul femminile e di tutto quello che le donne sono riuscite a
realizzare nonostante gli uomini”, c’è chi si interroga su come sia possibile
portare un contributo alla lotta contro la violenza di genere servendosi della
Barbie, modello per eccellenza della donna-oggetto. Scrive Giuzzi sui social:
“Il suo aspetto fisico, alta, bionda, occhi azzurri, vita stretta e gambe lunghe
ha condizionato generazioni di bambine a seguire il modello di donna
stereotipato che veicolava e non è bastato vestirla da scienziata, poliziotta o
pilota d’aereo. Un modello di donna che è alla base della violenza di genere in
quanto vista solo come ‘un oggetto’ da possedere. La volontà di possesso
costituisce uno dei primi fattori da combattere per eliminare la violenza sulla
donna”.
LA REPLICA DEL SINDACO
Maurizio Bono, primo cittadino Fdi di Arcore, replica così alle polemiche
scatenate dall’iniziativa: “Leggo con sorpresa e un po’ di amarezza le critiche
mosse in queste ore alla mostra dedicata alle Barbie e interpretata, in modo
frettoloso e superficiale, come un’operazione priva di contenuti culturali o
lontana dal tema della violenza sulle donne”, si legge su PrimaMonza.it. “La
realtà è esattamente opposta. Il progetto nasce proprio per stimolare una
riflessione pubblica sul percorso culturale che la nostra società ha compiuto –
e che deve continuare a compiere – nella rappresentazione dei ruoli femminili e
maschili”. E ancora: “La storia della Barbie, dagli anni Cinquanta a oggi, è la
storia dei cambiamenti del nostro immaginario collettivo: dagli stereotipi
rigidi della donna-oggetto a modelli sempre più consapevoli, autonomi e plurali.
E allo stesso modo Ken racconta quanto, anche per gli uomini, certi ruoli
sociali siano stati a lungo rigidi o irrealistici”. “Non si tratta di celebrare
un giocattolo – conclude Bono – ma di usare un simbolo popolare e riconosciuto
per aprire una discussione accessibile a tutti, soprattutto ai più giovani, su
come i modelli culturali influenzino la percezione dei ruoli e possano, nel
lungo periodo, alimentare o contrastare la violenza”.
L'articolo Arcore, l’iniziativa della destra contro la violenza sulle donne? Una
mostra dedicata alle Barbie proviene da Il Fatto Quotidiano.
Tag - Violenza
Chi cresce nelle periferie delle grandi città italiane, in particolare del Sud,
vive in condizioni di fragilità. I giovani che crescono nei quartieri San Nicola
a Bari, San Michele a Cagliari, nella zona Pendino di Napoli, ma anche alle
Piagge a Firenze, all’ex mercato ortofrutticolo di Bologna o al Lambro di
Milano, sempre più spesso abbandonano la scuola prima di finire le superiori e
sono “in potenziale disagio economico”, ovvero vivono con genitori che hanno
meno di 64 anni e nessun soldo in tasca. A lanciare un nuovo allarme sono la
Fondazione “Con i bambini” e Openpolis che – insieme ad esponenti della
commissione parlamentare d’inchiesta sulle periferie – hanno presentato alla
Camera dei Deputati il report 2025 su “Giovani e periferie”. “Le ultime
analisi”, ha dichiarato il presidente della fondazione Marco Rossi Doria,
“mostrano concentrazioni più elevate di povertà educativa, una minore
disponibilità di spazi aggregativi e un’offerta formativa e opportunità
occupazionali minori e meno diversificate rispetto alle aree protette”. Dunque
meno lavoro, istruzione e spazi pubblici. Parole che commentano dati sui quali
vale la pena soffermarsi. A destare preoccupazione è anche l’aumento di
comportamenti violenti tra i più giovani: la crescita del tasso di presunti
autori di delitto denunciati o arrestati dalle forze di polizia ogni 100mila
residenti tra 14 e 17 anni, tra prima e dopo la pandemia segna un più 54%.
DISAGIO ECONOMICO E POVERTÀ EDUCATIVA
Le disuguaglianze territoriali pesano sulla condizione educativa dei più
giovani. Le situazioni di maggiore fragilità sociale si concentrano nelle aree
del mezzogiorno. A Catania (6,2%), Napoli (6%) e Palermo (5,8%) l’incidenza
delle famiglie con figli in potenziale disagio economico risulta molto marcata.
Si tratta di nuclei con figli a carico in cui la persona di riferimento ha meno
di 65 anni e nessun componente è occupato o pensionato. Tali valori sono oltre
quattro volte superiori rispetto a quelli registrati in altre città del
centro-nord: Bologna si ferma all’1,2%, Venezia e Genova all’1,3%, Milano e
Firenze all’1,4%. Emerge dall’analisi condotta sui 14 comuni capoluogo.
Dentro una stessa città, i divari possono risultare ancora più ampi. A Catania
ad esempio, a fronte di una media cittadina del 6,2%, si va dal 3,1% del Terzo
municipio al 9,3% del Sesto. A Napoli, si va dal 3% di quartieri come Arenella e
Vomero al 9,2% del quartiere di San Pietro a Patierno.
Il rapporto conferma che bambini e ragazzi restano la fascia d’età più spesso in
povertà assoluta (13,8% contro una media del 9,8%). In media, nel 2024, il 12,3%
delle famiglie in cui vivono minori di 18 anni si è trovato in tale condizione;
la quota sale al 16,1% dei nuclei con minori nei comuni centro dell’area
metropolitana.
L’ISTRUZIONE
La condizione di partenza si riflette spesso sugli esiti educativi. Gli
abbandoni precoci della scuola colpiscono soprattutto il Mezzogiorno. Ha
lasciato l’aula prima del diploma delle superiori o di una qualifica oltre il
25% dei giovani a Catania, il 19,8% a Palermo, il 17,6% a Napoli. Si tratta
anche delle città in cui oltre uno studente su cinque arriva in terza media con
competenze del tutto inadeguate in italiano. La dispersione scolastica implicita
ed esplicita resta elevata soprattutto tra i ragazzi provenienti da famiglie
svantaggiate.
Sul tema istruzione, nemmeno certe zone delle città del Nord si salvano: nel
comune di Milano gli abbandoni precoci della scuola riguardano il 12,4% dei
giovani tra 18 e 24 anni ma tra i figli delle persone senza diploma il dato sale
al 19,3% a livello comunale. Complessivamente, la quota raggiunge il 28,2% a
Triulzo Superiore. A Roma la zona della Magliana risulta critica per gli
abbandoni scolastici precoci (27,9%) e la presenza di Neet mentre è molto più
contenuta a Grottaferrata (2,5%). Tra i figli delle persone senza diploma,
l’abbandono scolastico precoce è più frequente nel quartiere San Lorenzo
(35,8%), mentre appare assente nelle zone di Foro Italico e di Grottarossa Est.
Stessa musica a Torino dove complessivamente, la quota di abbandoni raggiunge il
26,5% nella zona di Borgata Monterosa mentre nelle zone statistiche di Reaglie –
Forni e Goffi, Comandi Militari – Stazione Porta Susa e Strada di Pecetto-Eremo
non raggiunge il 3%.
GIOVANI CHE NON STUDIANO NÉ LAVORANO
I comuni capoluogo con più giovani Neet (che non studiano e lavorano) sono,
invece, Catania (35,4%), Palermo (32,4%) e Napoli (29,7%). A quota 20% circa,
tra le altre, le due città italiane più popolose, Roma e Milano. La quota scende
al 17,3% a Bologna. Anche qui, tuttavia, dove il fenomeno è meno diffuso, la
quota risulta molto più elevata in aree come l’Ex Mercato Ortofrutticolo
(47,2%), il Caab (39,8%) e il Pilastro (29,6%), mentre i livelli più bassi si
registrano nelle aree di Siepelunga (11,3%), La Dozza (10,9%), Scandellara
(5,6%).
COMPORTAMENTI VIOLENTI IN AUMENTO DOPO LA PANDEMIA
Il report riporta anche un segnale preoccupante in merito ai comportamenti a
rischio o violenti tra gli adolescenti. I primi studi esplorativi, come
evidenzia il lavoro di “Transcrime”, Centro di ricerca interuniversitario, in
collaborazione con il dipartimento per la giustizia minorile e di comunità del
ministero della giustizia, mostrano alcuni segnali di peggioramento proprio tra
i più giovani dopo la pandemia dovuto al Covid. “Il tasso di presunti autori di
delitti violenti denunciati o arrestati dalle forze dell’ordine ogni 100mila
abitanti è rimasto sostanzialmente stabile nella popolazione complessiva”, si
legge, “se si confrontano i dati precedenti la pandemia (133,14 nel periodo
2007-19) con quelli successivi all’emergenza (133,43 tra 2021 e 2022)”. Mentre
“tra i minori e gli adolescenti, il quadro mostra una situazione molto più
critica. Nella fascia tra 14 e 17 anni si è passati da una media di 196,61
presunti autori ogni 100mila giovani nel periodo 2007-19 a 301,87 dopo la
pandemia. Nella fascia fino a 13 anni, l’incremento è stato ancora maggiore,
trattandosi di numeri in partenza molto più contenuti: da 2,38 a 6,25 ogni
100mila minori, per un aumento del 163%”.
L'articolo Giovani e periferie, il report: “Il disagio socio-educativo nelle
città del Sud è quattro volte superiore” proviene da Il Fatto Quotidiano.
Si era parlato di violenza politica, un’aggressione squadrista
dall’inconfondibile matrice fascista. C’era stata la condanna da parte della
politica regionale e persino di Elly Shlein. Ora una lettera anonima rischia di
ribaltare la possibile ricostruzione dei danneggiamento al circolo locale di
Chiavari del Partito Democratico: la politica – dice la lettera – non c’entra.
Almeno è quanto si legge nel testo senza firma lasciato nell’androne della sede
de Il Secolo XIX da un ragazzo dal volto coperto. La firma: “Ragazzi del
misfatto“. La lettera è autentica? Gli autori sono davvero coloro che hanno
danneggiato il circolo dem a suon di cori che inneggiavano al Duce? E’ una
burla, l’opera di un mitomane, una giustificazione per nascondere l’impeto di un
momento e gli spiriti nostalgici veri o presunti? La lettera è stata requisita
dalla polizia per gli accertamenti del caso.
Si legge: “Scriviamo per scusarci del pasticcio che abbiamo combinato. Non ci
aspettavamo questo riscontro a livello nazionale e ci dispiace molto anche
perché non ha senso prendere di mira un luogo pacifico come il Pd di Chiavari.
Siamo ragazzi giovani, senza alcun interesse per la politica e speriamo che la
questione si possa risolvere in modo sereno, sperando di non aver lasciato danni
permanenti né al Pd Chiavari né sul suolo pubblico”.
Il movente, semplicemente, non c’è, spiegano gli anonimi: “Avevamo bevuto troppo
e abbiamo causato questi danni, non siamo in alcun modo coinvolti in
organizzazioni filofasciste e non la pensiamo in quel modo, non ci interessa la
politica, il nostro è stato solo un gesto insensato e privo di ragionamento,
dettato da un consumo eccessivo di alcolici”. Il segretario del circolo, Antonio
Bertani, aveva dichiarato di aver udito frasi come “Siamo noi i camerati” e
“Duce, duce!“. La matrice dei cori sarebbe la stessa degli atti vandalici: “I
cori che si possono essere sentiti sono risultato di un eccessivo consumo
alcolico. Però, comunque, non possono essere giustificati e ci scusiamo”. I
“Ragazzi del misfatto” definiscono l’aggressione uno stupido errore e, oltre a
scusarsi, si rendono disponibili a risarcire i danni.
L'articolo Sede del Pd a Chiavari vandalizzata, la lettera anonima dei presunti
autori: “Avevamo bevuto troppo” proviene da Il Fatto Quotidiano.
Un litigio in casa è finito nel peggiore dei modi possibili. Nella scorsa notte,
un uomo di 35 anni è stato ucciso al culmine di una violenta lite in un
appartamento di via Gabriele d’Annunzio, a Salerno. Stando alla prima
ricostruzione fornita dalle indagini, la vittima si trovava nell’abitazione
quando è scattato un litigio con il proprietario di casa, Luca Fedele.
Tra i due è nata una violenza colluttazione durante la quale il 35enne è stato
colpito con un pugno, è caduto ed è morto. Ancora non è chiaro se il decesso sia
avvenuto a causa del colpo oppure della caduta. I carabinieri hanno arrestato il
proprietario di casa con l’accusa di omicidio preterintenzionale, e stanno
lavorando per trovare il movente della lite che ha portato alla morte dell’uomo.
L'articolo Uomo di 35 anni ucciso in una lite a Salerno: i carabinieri arrestano
il proprietario di casa proviene da Il Fatto Quotidiano.
Cento di Bergamo, via San Lazzaro. Attorno alle 16 di sabato 29 novembre, una
23enne è stata soccorsa da una passante e subito dopo dal fidanzato mentre il
27enne Amran Md, 27 anni, bengalese e connazionale della vittima, la picchiava
brutalmente. Sconosciuto alla giovane, l’uomo era stato processato due ore prima
per il furto di alcolici, due giubbotti e tre zaini in un supermercato Lidl, con
obbligo di firma disposto dal giudice, come riporta l’edizione locale del
Corriere della Sera.
La ricostruzione delle Volanti parte dall’autobus della linea 5 proveniente da
Lallio, sul quale Md aveva rivolto avances alla ragazza. Rifiutato, era passato
agli insulti. Scesi in via Zambonate, la giovane gli aveva scattato delle foto
temendo che la seguisse. L’uomo avrebbe reagito estraendo una bottiglia di vetro
e minacciandola, continuando poi a seguirla per poi trascinarla in un portone di
via San Lazzaro e picchiarla.
Per fortuna una passante di 25 anni ha sentito le richieste di aiuto, ha aperto
il portone e ha allertato il 112. Il fidanzato, già avvisato e guidato dal Gps
inviato dalla ragazza, ha raggiunto la zona e ha bloccato Md mentre si
allontanava. La 23enne ha riportato un lieve trauma cranico, graffi ed
ecchimosi.
La polizia ha arrestato l’uomo, che nega le accuse. A suo carico risultano
precedenti per rapina a Desenzano del Garda e per rapina e resistenza a Venezia.
Dichiarava di vivere insieme ad altri connazionali, ma risulta assente dai
registri e privo del permesso di soggiorno per lavoro. Il giudice Alberto
Longobardi ha disposto il carcere per violenza privata e lesioni aggravate,
valutando gravi i fatti e non credibile la versione dell’uomo. L’udienza è
fissata per il 14 gennaio.
L'articolo Bergamo: molestata, seguita e picchiata dentro un portone. Arrestato
27enne processato ore prima per furto proviene da Il Fatto Quotidiano.
“Noi eravamo orfani invisibili, non venivamo considerati dall’istituzione né
tantomeno dalla società perché nessuno si poneva il problema che quando muore
una donna potrebbero esserci dei bambini”. Giuseppe Delmonte è un orfano di
femminicidio. Aveva 19 anni quando sua madre, Olga Granà, venne uccisa a colpi
d’ascia dal padre, che ora si trova in carcere. Era il 1997, la legge sugli
orfani di femminicidio sarebbe arrivata soltanto 21 anni dopo.
“Dopo aver ucciso mia madre, mio padre ha acquisito tutta una serie di diritti
che noi vittime collaterali non avevamo” racconta Delmonte al Fatto.it facendo
alcuni esempi. “Mio padre la settimana dopo ha avuto lo psicologo e ce l’ha da
28 anni gratis, io il primo psicologo l’ho visto dopo 20 anni perché me lo sono
pagato io, ha avuto la possibilità di studiare e ha studiato, a me questa
possibilità è stata tolta perché il mio sogno era quello di fare medicina e a 19
anni non ho più potuto avere questa possibilità né economica e tanto meno
psicologica per affrontare un ciclo di studi così lungo. Mio padre ha avuto la
possibilità di chiedere la grazia al Presidente della Repubblica per il suo
ergastolo, ma per il mio che è quello del dolore non potrò mai chiedere niente a
nessuno”.
Dopo anni di silenzio, Delmonte ha iniziato a girare l’Italia per raccontare in
pubblico la sua storia. E l’anno scorso ha fondato l’associazione Olga (Oltre la
Grande Assenza) per aiutare e stare vicino “alle persone di ogni genere ed età,
che abbiano subito qualsiasi tipo di maltrattamento, violenza, abuso o
aggressione fisica o psicologica”. In particolare agli orfani di femminicidio,
grazie anche a delle borse di studio che integrano le tutele offerte dalla
legge. Dal 2018, l’Italia ha riconosciuto la figura degli orfani di femminicidio
tutelandoli sia da un punto di vista processuale sia economico. “Siamo l’unico
Stato in Europa ad avere una legge sull’orfano di femminicidio, – osserva
Delmonte – è sicuramente una legge apripista ma non è sufficiente perché è stata
fatta secondo me in maniera un po’ superficiale, perché come dico io non puoi
fare una legge sull’orfano di femminicidio senza sapere neanche quanti sono”. Ad
oggi infatti non esistono dati ufficiali sul numero degli orfani di
femminicidio.
La sfida dell’associazione Olga è soprattutto sul piano educativo e culturale.
Una consapevolezza che nasce dalla storia del suo presidente, Delmonte. “Col
tempo ho scoperto che molte persone sapevano quello che succedeva nella nostra
casa, lo sapeva il prete, lo sapeva il medico di famiglia perché trovava i
lividi addosso a mia madre, lo sapeva il ginecologo, lo sapevano i vicini di
casa perché sentivano le urla, però mai nessuno ha fatto qualcosa affinché
questa catena si potesse interrompere” racconta Delmonte sottolineando la
necessità di “non girarsi dall’altra parte perché l’indifferenza uccide”.
L’educazione al rispetto però non può essere affidata esclusivamente alle
famiglie. Il motivo? “L’87% delle violenze minorili avviene all’interno della
stretta cerchia familiare e dunque è fondamentale che questo ruolo sia svolto
dalla scuola perché comunque la maggior parte del tempo dei bambini e degli
adolescenti viene trascorso all’interno della scuola e quindi credo molto in
questo patto di corresponsabilità tra scuola e famiglia”.
Sul piano legislativo e repressivo, l’inasprimento delle pene e la certezza
della pena “sicuramente serve per le vittime collaterali nel senso che riesce
sicuramente a alleggerire un po’ il dolore che si è subito in seguito a quel
reato , ma non è sicuramente la soluzione perché un uomo che vuole uccidere una
donna, se sa che ha l’ergastolo piuttosto che 20 anni o poco meno lo fa comunque
e quindi non è la soluzione al problema”.
L'articolo “Io orfano di femminicidio invisibile per anni. L’Italia ora ci
riconosce ma non basta, non sa neanche quanti siamo”. La storia di Giuseppe
Delmonte proviene da Il Fatto Quotidiano.
“Col tempo ho scoperto che molte persone sapevano quello che succedeva in quella
casa, lo sapeva il prete, lo sapeva il medico di famiglia perché trovava i
lividi addosso a mia madre, lo sapeva il ginecologo, lo sapevano i vicini di
casa perché sentivano le urla, però mai nessuno ha fatto qualcosa affinché
questa catena si potesse interrompere”. Giuseppe Delmonte è un orfano di
femminicidio. Aveva 19 anni quando sua madre, Olga Granà, venne uccisa a colpi
d’ascia dal padre, che ora si trova in carcere. Alla madre ha intitolato
l’associazione Olga (Oltre la Grande Assenza) con la quale gira l’Italia per
raccontare la sua storia e per stare vicino “alle persone di ogni genere ed età,
che abbiano subito qualsiasi tipo di maltrattamento, violenza, abuso o
aggressione fisica o psicologica”. Una sfida che si gioca soprattutto sul piano
educativo per sconfiggere la cultura del patriarcato. “Anche le forze
dell’ordine sapevano perché intervenivano spesse volte quando mia madre era
massacrata di botte da mio padre che addirittura dovevamo chiedere l’intervento
delle ambulanze e quindi le forze dell’ordine sapevano che cosa succedeva ma non
avevano gli strumenti per intervenire, le frasi più celebri sono finché lui non
farà qualcosa di eclatante e non possiamo fermarlo o addirittura non possiamo
pensare di mettere in galera tutti i mariti che picchiano le mogli perché
altrimenti le galere sarebbero strapiene”. E così il messaggio che Giuseppe
porta nelle scuole è che “oggi non ci si può più girare dall’altra parte perché
abbiamo degli strumenti che ci possono portare a uscire da queste situazioni e
che l’indifferenza uccide”.
L'articolo “Tutti sapevano, ma nessuno faceva nulla. L’indifferenza uccide”. Il
racconto di Giuseppe Delmonte, orfano di femminicidio proviene da Il Fatto
Quotidiano.